mercoledì 6 novembre 2013

-ANSIA. Timidezza.


Timidezza  un disagio che condiziona la vita

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apita a tutti di sentirsi intimiditi ed imbarazzati in situazioni impegnative, nuove o inconsuete. La timidezza, quella occasionale, è una condizione del tutto normale, mentre quella permanente - caratterizzata da un senso di disagio che paralizza l’azione - è un tratto “patologico” della personalità legato a carenze affettive, scarsa autostima e a profondi sentimenti di inferiorità. E’ una condizione che ostacola lo sviluppo, impedisce di conoscere, vivere il proprio talento, toglie l’entusiasmo, rovina la vita quotidiana. L’obbligo che il timido si autoimpone di incontrare persone e situazioni fa sì che i suoi tentativi di socializzazione risultino sofisticati, maldestri e sempre fuori tempo. Il soggetto, quindi, man mano che passa il tempo, tende ad isolarsi, evita l’intimità ed ogni tipo di incontro sociale. Il timido sembra colpito da paralisi psichica, dominato da rossori e tremori, non osa mai, ipersensibile alla critica, perennemente terrorizzato dall’idea di rendersi ridicolo, teme costantemente l’umiliazione, la vergogna e il rifiuto. Sempre dotato di una eccessiva dose di insicurezza, oltre a nascondersi agli occhi altrui, vede in sé carenze e difetti inesistenti: un vero agnello tra lupi affamati.

n disagio che può portare a totale   sottomissione   o   ad incontrollabile aggressività. A volte, infatti, usando un atteggiamento di compensazione al proprio sentimento di inferiorità e al basso livello di autostima, reagisce a certe situazioni in maniera eccessiva ed impulsiva, adottando spesso comportamenti autoritari ed aggressivi. Poiché le occasioni sociali sono incubi da evitare ad ogni costo, il timido nei vari rapporti fa di tutto per non essere notato, assume un atteggiamento “trasparente”,  rannicchiato, con testa e collo completamente infossati sulle spalle; parla con voce strozzata e bassa, evita lo sguardo diretto, si rinchiude negli angoli con posture da vero contorsionista.


essere osservato dagli altri poi lo fa sentire insicuro, goffo, inetto e continuamente sotto esame perché teme di rendersi ridicolo con qualche fantomatico gesto maldestro e sgraziato. Rossori improvvisi, tachicardia, la voce in cantina. Segnali corporei precisi, da interpretare come un linguaggio affascinante e particolarissimo. Arrossire non è altro che la manifestazione di una concentrazione di energia libidica nel volto e nel capo. Ben lungi dal potersi esprimere in un bacio o magari in una relazione aggressiva, confluisce tutto nella testa. E la pelle del viso avvampa, d’un rossore che svela, nostro malgrado, le nostre intime e segrete intenzioni. Anche la voce strozzata ci parla. Di un discorso che non vorremmo fare, una conversazione cui non vorremmo prendere parte, un aspetto di noi che non vorremmo svelare.

osì, le parole si fermano giusto sulla soglia della gola. Mani e gambe irrequiete. E’ il corpo che, più saggio di noi, ci vuole portare altrove lontani dalla situazione imbarazzante. La testa, invece, nega la possibilità di una salubre evasione. E il tremore è il risultato più logico di questa lotta interiore. Allora compaiono tic facciali e buffi gesti nervosi, tutto il corpo si ritrae, lo stomaco si contrae e si avverte un crescente senso di nausea, le mani tremano e sudano copiosamente, le gambe irrequiete si muovono incessantemente, una fastidiosa vampata di calore si impossessa del volto, il cuore rimbomba in ogni piccolo segmento del corpo, la bocca improvvisamente si asciuga e  le parole prendono forma in maniera confusa e pasticciata, le braccia si incrociano come segno di protezione o di resa… si ha la sensazione di non padroneggiare più le reazioni fisiche e di essere in balia degli eventi. Il solo pensiero di non essere all’altezza delle aspettative, di poter dire o commettere qualcosa di sbagliato lo spaventa terribilmente.


uesti soggetti sottovalutandosi, terrorizzati dall’idea di ogni nuova relazione, pur desiderandola, arrivano a rinchiudersi in se stessi, isolandosi e ripiegandosi ancora una volta sulla loro sensazione di incompetenza sociale. Il timido teme gli altri perché odia il confronto, li ritiene estremamente esigenti, critici, impossibili da accontentare e soddisfare. Lui stesso è diventato un giudice particolarmente severo; così la paura, i luoghi comuni, l’incertezza, la frenesia dipendono da ideali di perfezione, diktat, modelli sociali, spesso irraggiungibili, a cui deve aderire completamente: “Devo muovermi con grazia e stile”, “Devo parlare senza arrossire”, “Devo trovare argomenti originali”, “Devo dimostrare … essere … comportarmi”; condizionato da schemi mentali e blocchi emotivi; segue regole, si adegua rigidamente a qualcosa che non ha niente a che fare con lui.Sembra che in ogni rapporto rievochi un vecchio copione, un’antica paura, riapra di colpo una vecchia ferita affettiva: dal lontano passato, appare una vita povera di stimoli, piena di apprensione, insicurezza, rifiuti, indifferenza e timori. Un fenomeno conflittuale e di disagio spesso vissuto con una figura adulta distante, dalla personalità particolarmente ingombrante, schiacciante e incapace di valorizzare gli altri. Una terribile “ombra” giudicante che ha bloccato, soffocato, sepolto, inchiodato, spaventato, mai stimato, considerato ed incoraggiato. Un astuto manipolatore affettivo che si esprimeva attraverso derisione e severi giudizi di valore: “Tanto tu nella vita non concluderai mai niente… non ce la farai mai… sei troppo debole per farti spazio nella vita… non ti impegni a sufficienza … guarda invece tizio, caio e sempronio …  ci vuole coraggio e spina dorsale… Avrai tutto il tempo che vuoi per conoscere … ogni cosa a suo tempo … figlio mia la vita è dura!”; tutti “ritornelli” che, oltre ad ostacolare l’interazione col proprio ambiente e, quindi la vera conoscenza diretta della vita, rendono insicuri, predispongono alla solitudine, preparano una vita infelice e senza amore. La sensazione di non protezione e le  esperienze precoci di instabilità sono gli “ingredienti” che hanno minato in qualche modo la sicurezza e l’autostima del soggetto. Questo  timore eccessivo di inadeguatezza trasforma ogni piccolo rapporto interpersonale in una terribile sfida, soffoca la personalità e predispone ad un perenne imbarazzo.
Entrare in un negozio. Detesto andare a far compere. Sono così insicura che spesso non vedo nemmeno cosa sto guardando: la mia preoccupazione per quello che dovrò dire al commesso aumenta al punto da farmi dimenticare cosa dovevo chiedere. I timidi devono vincere il timore di essere guardati, di dover parlare con persone estranee, di essere al centro dell’attenzione. Per questo non riescono dire di no e si sentono obbligati a comprare qualcosa.


arlare in pubblico. Parlare davanti ad altre persone è la situazione più temuta in assoluto dai timidi, per i quali essere al centro dell’attenzione è il peggiore degli incubi. L’ansia da “esibizione” è proprio intollerabile e può produrre effetti inabilitanti quali sudorazione, rossore, tremore, balbuzie e incapacità di parlare, talvolta anche nausea. La paura che tutto questo possa accadere porta ad una perdita di lucidità: la mente si svuota per il terrore. E l’unico rimedio per molti consiste nel fuggire davanti al problema, cercando di evitare le situazioni di cui ci si deve esporre, con gravi conseguenze per lo sviluppo della carriera scolastica e professionale.

a toilette pubblica. Si chiama disuria, o sindrome della vescica inibita: familiare a molti timidi, è l’incapacità di urinare in un bagno pubblico, o in alcuni casi in casa d’altri o anche nella propria se è presente qualcuno. E’ più diffusa tra gli uomini, e si presenta con modalità differenti. Alcuni sono inibiti dalla presenza di estranei, ma non di amici o familiari, per altri è esattamente il contrario; per alcuni l’inibizione deriva dall’essere sentiti, per altri dall’essere visti. Alla radice di questa sindrome, vari fattori, tra cui la vergogna del proprio corpo, l’identificazione della minzione con la sessualità, l’ansia da impotenza e un senso di colpa che porta al desiderio di punizione.

tare al telefono. Evitano l’uso del telefono ogni volta che possono e nelle loro case c’è sempre la segreteria telefonica a fare da filtro verso l’esterno. Ciò che più temono tutti è di essere presi alla sprovvista senza avere nulla da dire, senza rispondere a “tono”. Sono timidi con la fobia della cornetta, quelli che paventano silenzi imbarazzati e imbarazzanti, l’incapacità di sostenere una conversazione “come si deve”.  C’è la preoccupazione di inviare un segnale di debolezza e di inadeguatezza, senza poter verificare “de visu” le reazioni dell’interlocutore.

cchi negli occhi. Per molti timidi guardare qualcuno negli occhi è un’impresa insostenibile. Per altri l’ansia nasce invece quando si è guardati. La preoccupazione è come rispondere allo sguardo altrui e come controllare il proprio, perché si è consapevoli che il contatto oculare ha un ruolo nei rapporti sociali e che lo sguardo diretto ha una connotazione positiva di chiarezza e sincerità. La paura del linguaggio degli occhi ha significati diversi per uomini e donne. I primi temono di apparire minacciosi e aggressivi, incontrollati o “strani”. Le seconde sono invece più preoccupate di trasmettere messaggi non voluti di seduzione o di disponibilità sessuale.

angiare al ristorante. In genere non riescono a mangiare al ristorante, ma talvolta succede anche a casa in presenza di ospiti. L’essere osservati dagli altri li fa sentire sotto esame e ciò che li blocca, perché li terrorizza, è la paura di rendersi ridicoli con gesti goffi: rovesciare il cibo, mancare la bocca, mandare il boccone di traverso, non riuscire a deglutire, soffocare o vomitare. Molto spesso l’umiliazione che si prova in casi del genere, porta ad escogitare strategie complicate: dalla scelta del ristorante, informale e poco affollato, al cibo, che deve essere semplice e facile da mangiarsi.

 per finire … un goccino. Si comincia a bere un bicchierino prima di andare a una cena o a un impegno importante, per la sensazione di benessere e sicurezza che l’alcol trasmette. E’ così, per l’illusione di spazzare via quella paura degli altri che li opprime, che molto spesso comincia il rapporto privilegiato dei timidi con il bicchiere. E in effetti basse dosi di alcol agiscono sulle aree del cervello che controllano il comportamento, per cui chi beve si sente più libero e si comporta in modo “sciolto”. L’alcol libera nel cervello dei neurotrasmettitori che inibiscono l’ansia, producendo una sensazione di benessere sociale e di rilassamento.  
l problema è che con il passare del tempo le dosi di alcolici aumentano gradatamente e cresce la tolleranza nei confronti dei suoi effetti, che diventano l’unico mezzo per combattere la timidezza, l’ansia che ne deriva, la paura della solitudine. Così l’alcol a lungo andare, interferisce con il processo psicologico che dovrebbe portare ad affrontare le proprie ansie e paure mano a mano che si presentano. Il problema è molto presente anche tra gli adolescenti: è provato il maggior ricorso a sostanze psicoattive da parte dei timidi. Sono soprattutto i maschi - anche se le femmine attualmente se la cavano molto bene – estremamente timidi che tendono a fare abuso di alcol. Non bisogna mai dimenticare che l’alcol dà coraggio ma è solo in …  prestito.

COSA FARE Il primo passo è quello di essere più flessibili e tolleranti con se stessi. Tutto ciò che è malleabile, morbido e fluido, trasforma e sviluppa la vita, mentre ciò che è rigido, inflessibile blocca ed “avvizzisce” ogni cosa vitale. Essere “sciolti” aiuterà  ad eliminare la sensazione di “goffaggine” prima che degeneri in “patologia”. Attraverso massaggi psicosomatici, rilassamento, e visualizzazioni si possono sciogliere gradatamente la tensione e la rigidità legate a questo vissuto emotivo che limita l’immaginazione e lo spazio di libero movimento. Alzare, poi, il livello di autostima è fondamentale perché fa sentire bene con se stessi, al comando della propria vita, pieni di risorse e creativi.

oiché il sentimento di inferiorità è un terreno fertile per la depressione sarà importante “lavorare” sulla consapevolezza del legame tra pensieri e stati emotivi, che si modificano e variano di intensità grazie all’influenza reciproca. E’ una strategia che permette di controllare ed integrare pensieri ed emozioni, così da modificare in maniera più vantaggiosa il “comportamento” nelle relazioni interpersonali. Gli altri giudicano? Giudicherebbero ugualmente, anche se “andasse tutto bene… anche quando si è quasi perfetti”, anzi forse di più! Provaci, si può vincere da soli o, in casi più gravi, con l’aiuto di un professionista qualificato, su la testa… non fare il timido!



imidezza nei bambini.  Secondo la mia esperienza clinica, un buon 25% dei ragazzi (più maschi che femmine, perché avvertono in maniera schiacciante il giudizio dell’adulto e il peso di vivere secondo un modello prestabilito ... alla femmina nella nostra cultura è concessa una più vasta gamma di reazioni emotive) che si rivolgono ad una psicoterapia presenta serie difficoltà relazionali (linea ovviamente di tendenza, non reale). L’elemento fondamentale di questa richiesta  è proprio la timidezza.  Spesso, la timidezza esprime una condizione esistenziale momentanea, legata alla difficoltà di trovare un’identità solida. In questi casi intervenire è davvero superfluo, se non addirittura dannoso. La timidezza sfocia nella patologia quando dà sintomi di scarso adattamento sociale, distinguendosi così da profonda ansia e depressione. I segnali?

nsicurezza, difficoltà di articolazione del linguaggio, problemi scolastici gravi e ritardo nello sviluppo intellettivo. Ma anche un comportamento aggressivo, può essere una valvola di sfogo per esprimere il disagio. In ogni caso, un’attenzione sensibile e costante verso i figli e un intervento tempestivo sono la chiave per risolvere il problema. La timidezza non è sempre un male silenzioso. Spesso si esprime con il linguaggio della malattia. O, persino, della devianza, in età preadolescenziale. L’asma, ad esempio, insorge solitamente intorno a tre o quattro anni, come richiesta di attenzione e di coccole di un genitore distante. Si accompagna, soprattutto nell’età prescolare, ad un vissuto di isolamento. Ed esprime un bisogno di contenimento che il bambino non comunica, per paura di un rifiuto.

tipsi e diarrea presentano una chiara matrice simbolica: l’intestino trattiene e rilascia in maniera irrazionale, testimoniando la difficoltà del ragazzo a porre se stesso in relazione con il mondo. Quando la timidezza soffoca l’aggressività, non è raro rilevare problemi digestivi. E in alcuni casi, persino ulcera. Stessa eziologia anche per i problemi dermatologici, croce di molti preadolescenti: le difficoltà di relazione esplodono sulla pelle, che delimita simbolicamente lo spazio interno in funzione del (temuto) contatto con gli altri. E quando timidezza ed aggressività convivono?  L’associazione di timidezza e aggressività, alcuni studi lo confermano, può essere un fattore di rischio per le “dipendenze” … l’abuso di sostanze stupefacenti.

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OSA FARE. Innanzitutto, evitare comportamenti errati, come quello di etichettare il bambino con definizioni improprie. Dargli del timido è decisamente sbagliato: magari il piccolo è solo poco socievole, a volte con la sua ritrosia esprime un’antipatia istintiva  per qualcuno … si rischia di etichettarlo, di farlo identificare in quella parola - immagine. Per di più si corre il rischio che il bambino si comporti da timido per non tradire le aspettative di un genitore che lo considera tale, finendo così per eleggere la timidezza a unica modalità di rapporto con gli altri (o come alibi: tanto io sono così quindi non posso …). In secondo luogo, se proprio di timidezza si tratta, è bene utilizzare il gioco per risolvere il problema. Tanto meno poi si “medicalizza” il piccolo (ti porto dal dottore, dalla dottoressa, dallo specialista …), tanto più facilmente si uscirà dal problema. In questo modo è possibile evitare che nel bambino si instauri un sentimento di inferiorità che sarebbe molto controproducente.
Se soffri non rimandare, 
non rinviare un affettuoso e genuino sostegno:
l’aiuto deve essere chiesto quando serve realmente!
 … altrimenti puoi cronicizzare e soffrire inutilmente in silenzio. Se, poi, ti ritrovi continuamente inchiodato al dolore forse è davvero il momento di farti aiutare, di mettere fine ai tuoi patimenti reali o immaginari, non è un gesto di debolezza ma di grande forza.

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

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mercoledì 2 ottobre 2013

-ANSIA. Stare meglio.


Alcune   Riflessioni  su come stare meglio




a prima cosa da fare, quando si soffre di un particolare disagio emotivo, è quella di cercare di assumere il controllo della situazione, anziché subirla: sedersi al posto di guida e decidere dove si vuole andare.
Sapere equivale a potere, diceva quel famoso saggio; cercare sempre di documentarsi, informarsi e di imparare il più possibile sul proprio disagio. Riconoscere e trattare i problemi emotivi al loro esordio, prima che possano diventare uno stile di vita e un proprio modo di pensare, comporta vantaggi notevoli; è molto più facile domare le fiamme prima che il fuoco diventi un incendio. Molti problemi emotivi rispondono in maniera più veloce e completa se il programma terapeutico è intrapreso nelle fasi iniziali del decorso, prima che i sintomi siano diventati per il soggetto, e per il suo cervello, un modus vivendi. Una terapia tempestiva riduce anche il rischio di successive ricadute e migliora nel complesso la qualità di vita del soggetto. Decidere di differire una richiesta di aiuto può essere una tentazione, ma il più delle volte è una cattiva idea, a meno che la sintomatologia non sia leggera, legata a una condizione transitoria e, soprattutto, di breve durata. L’impegno per cercare di rimanere aggiornati dev’essere costante e in forma continuativa. E’ sempre buona cosa cercare di conoscersi meglio. Gli individui, spesso, sono dotati di un grande spirito di osservazione per quanto riguarda tutto ciò che li circonda eccetto, ovviamente, se stessi. Una buona conoscenza di se stessi è un fattore indispensabile per cercare di migliorarsi, e succede facilmente di trovarsi davanti a ampie, complesse zone oscure quando si guarda l’unico oggetto che non si riesce mai a distinguere chiaramente: se stessi. 

isogna cercare con calma di imparare di più sui propri comportamenti caratteristici, su quello che piace o non piace, sui punti di forza, le debolezze, le inclinazioni, le attitudini, i pregiudizi e le varie paure; per completare e rendere più vantaggioso questo quadro introspettivo può essere d’aiuto verificarlo con una persona affidabile con cui si è in profonda sintonia (che non critichi e non esprima mai giudizi di valore). Un altro aspetto importante è essere seguiti da un professionista capace e competente, in grado di capire i problemi e a porli nella giusta prospettiva. Se questo rapporto iniziale non soddisfa le proprie aspettative è giusto sceglierne un altro. Questo non significa che il professionista sia incapace o sia un ciarlatano, ma può essere che non abbia esperienza nel trattare quel problema clinico specifico a lui sottoposto. Nessuno è in grado di garantire che le varie strategie terapeutiche funzionino. La buona riuscita dipende sempre dalla natura del problema, dalla cronicità, dalle terapie scelte, dalle capacità dello specialista e, soprattutto, dall’impegno assunto dal soggetto che chiede aiuto.
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Se un individuo si avvicina alla terapia con la convinzione che nessuno possa realmente aiutarlo o che tutti i professionisti siano “pizzicagnoli”, la guarigione è tutt’altro che certa. Non si tratta di far prevalere la suggestione ma semplicemente stimolare l’individuo, attraverso la realizzazione di metodiche terapeutiche, ad impegnarsi e partecipare attivamente al processo di guarigione sempre con un senso critico genuino e non con un sentimento oppositivo del tutto ingiustificato e pregiudiziale (per esperienze negative passate: ogni intervento è sempre unico!)

ccorre che s’instauri, fra specialista e paziente, una collaborazione di tipo creativo, basata sulla solidarietà, ma anche sull’accettazione di un impegno a comprendere in profondità e poi a correggere le compensazioni artificiose e controproducenti, costruendo in tal modo un nuovo “stile di vita”. Chi ha sofferto per anni in silenzio, attraverso il percorso collaborativo e lavorando seriamente, può scoprire dentro di sé potenzialità e capacità che non avrebbe mai sospettato di possedere. Attraverso questo cammino, responsabile e creativo, che porterà alla guarigione, questi soggetti possono imparare a vivere e a relazionarsi in maniera più gratificante, ritrovare l’autostima, la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi, scoprire che hanno delle grandi potenzialità e, soprattutto, le risorse per  prendere le decisioni giuste. Anche se c’è la tendenza a guardare con sospetto o addirittura con insufficienza chi soffre di un disagio emotivo, è bene sottolineare che non è un “lebbroso”,  tanto meno un debole o un incapace, semplicemente non affronta i suoi problemi in maniera corretta e vantaggiosa (non si è mai responsabili della malattia ma del proprio comportamento). L’intervento terapeutico è rivolto a cambiare il modo in cui un individuo sente, pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri così che possa scoprire e perseguire nuovi obiettivi, conquistare una consapevolezza diversa riguardo al comportamento e acquisire nuove capacità reattive agli eventi.





l “senso” della sofferenza psichica. Non sempre il senso di malessere si accompagna a quella tendenza autocritica ed introspettiva che produce nella coscienza dell’individuo quella avvilente sensazione di subordinazione in presenza d’altri che è poi il più noto sintomo del complesso di inferiorità. Può mancare allora in conseguenza il senso di una sofferenza realmente vissuta per quanto non possa affatto dirsi che la persona in questione goda di benessere psichico. Spesso il ‘portatore’ del complesso di inferiorità assume un atteggiamento espansivo, apertamente vanaglorioso e prepotente che sembra riprodurre caricaturalmente il comportamento remoto del bimbo esibizionista e capriccioso di un tempo. L’autocritica è in questi casi, di norma, inibita. L’individuo sembra, paradossalmente, non accorgersi di essere a disagio o di soffrire sembrerebbe anzi voler dimostrare di essere felicissimo. Non registra, neppure come sfumatura, l’infantilismo insito nel suo comportamento. L’andatura aggressiva che lo porta ad avere sempre ragione per forza rende il soggetto annebbiato dall’impressione di essere più forte e, quindi, per associazione, ‘il più grande’ di essere adulto.





iassumendo. L’ansia è uno stato di incertezza, di allarme, di oppressione, di smarrimento, di rimorsi, di dubbi, di scoraggiamento, di dipendenza, di senso di inferiorità, di perdita di autostima … una forma attenuata di angoscia persistente.

Risultati immagini per ansia nei dipintiAngoscia: si manifesta come un’ansia inquieta ed opprimente, uno stato di apprensione per “qualche cosa” che potrebbe succedere, in una tensione vaga che sgomenta e alla quale non possiamo dare un nome preciso, vissuta, come qualsiasi emozione, sia sul piano psicologico (ansia) sia sul piano somatico (angoscia) … spesso collegata con niente di immediatamente percepibile ed esprimibile, è in un certo senso angoscia del nulla o, più esattamente, angoscia del niente. C’è sempre una sproporzione tra l’intensità dell’angoscia ed il suo oggetto. Il soggetto è completamente preso da uno stato di ansia che gli impedisce di far fronte alle sue occupazioni. L’angoscia si accompagna a un senso di smarrimento, di assoluta impotenza, con reazioni neurovegetative rapide dello stress (difficoltà di respirazione, variazione del polso, pallore, insonnia, vertigini, rilasciamento o contrazione dei muscoli del corpo).


i è in attesa di qualcosa di drammatico o di troppo impegnativo. Una condizione, comunque, comune ad ogni essere umano … difficoltà a rilassarsi e concentrarsi. Un fenomeno caratterizzato da continua tensione, irrequietezza, affaticabilità,  irritabilità, apprensione, dubbio e pessimismo. Ecco alcune espressioni, a volte davvero bizzarre, con cui l’ansioso si esprime: “Mi manca l’aria”, “Non riesco a star fermo nemmeno un istante”, “Non riesco a deglutire … ho un nodo alla gola”, “Non riesco a concentrarmi”, “Non trovo pace in nessun posto”.  L’ansia non viene avvertita come uno stato che si subisce, ma vissuta nel più intimo di noi stessi, quasi incorporata al nostro “essere morale”. L’ansia può essere stimolante o paralizzante, può modificare le nostre difese attive - messe in atto per l’integrità psicologica - o invece segnalare alla nostra coscienza il sorgere di un profondo disordine. L’agitazione continua fisica e mentale prodotta dallo stato ansiogeno porta spesso all’insonnia, a frequenti risvegli notturni. L’ansia, quindi, domina l’individuo attraverso molti fantasmi, con infiniti effetti negativi, paralizzando le migliori riserve energetiche di cui dispone. L’ansia eccessiva compromette ogni cosa, dai rapporti sociali al lavoro, dal rapporto di coppia alla vita relazionale. In ogni momento importante, pur avendo discrete competenze e qualità, viene a mancare il respiro, aumenta il battito cardiaco, il viso si arrossa … tormentati da sudorazioni e tremori diffusi. Sono questi alcuni sintomi fisici dell’ansia che si manifestano nelle forme più acute con sudori, tremori e, soprattutto, mancanza di respiro. Per alcuni, l’ansia è il segno di una cattiva integrazione delle pulsioni inconsce.


ulsione: spinta a passare all’azione, essa proviene dall’Es (Es: designa la parte della vita psichica dalla quale provengono gli impulsi istintivi che obbediscono al principio del piacere. Forma la base dell’inconscio e non stabilisce alcuna relazione con il mondo esterno, ma soltanto con gli appetiti corporali …  struttura rivolta ad ottenere la soddisfazione dei bisogni pulsionali). L’Io, invece, principio della realtà (parte dello psichismo che è intermediaria tra l’inconscio e il mondo esterno; ha il compito di stabilire un ponte tra il Super – Io, cioè il sistema dei divieti e delle regole morali e l’Es), è molto spesso costretto a frenare le pulsioni. Se le rimuove in modo troppo severo ed assoluto nell’inconscio, c’è il pericolo che si crei un complesso (complesso: insieme di sentimenti più o meno contradditori, rimossi nell’inconscio. Si riferiscono ad una idea, ad un ricordo, la cui comparsa nell’Io cosciente provocherebbe un conflitto): la pulsione rimossa continua ad agire e attraverso strade indirette porta il soggetto a commettere azioni irrazionali senza che egli ne possa dare una spiegazione logica.

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Lansia segnala che l’Es si sente frustrato in un suo bisogno vitale o che vi è una minaccia del Super – Io, in seguito alla trasgressione di una interdizione morale insegnata. L’ansia è un’energia, una forza intelligente, un segnale importante che ci indica che stiamo facendo delle cose poco gratificanti e, soprattutto, che stiamo trascurando o che ci stiamo allontaniamo dal nostro vero benessere … dalla saggezza della vita. Si presenta, infatti, sul palcoscenico quando vogliamo sembrare diversi da quello che siamo realmente, tenere continuamente tutto sotto scacco, senza mai sbottare, la rabbia e, soprattutto, conservare ogni cosa nello stesso modo all’infinito, niente per certi soggetti deve mutare. Non dobbiamo dimenticare che chi soffre d’ansia è continuamente teso e sul posto di lavoro questo continuo stato di allerta influisce negativamente sui risultati, nei rapporti con i colleghi e i superiori. 


olitamente questi soggetti non ispirano fiducia, ma segnalano un continuo senso di insicurezza. Difficilmente riescono a promuovere un lavoro di gruppo e a gestire con successo compiti e responsabilità. Uscire dall’ansia, comunque, è possibile. Questa è la convinzione che deve sorreggere chi è alle prese con questo impegnativo disturbo emotivo. Non bastano le buone parole o gli incoraggiamenti per evitare un banale o complesso stato ansiogeno. La spiegazione razionale che in tale stato non ci sono pericoli o che non ha le dimensioni temute, non viene nemmeno ascoltata oppure potrà dare un leggero sollievo, ma non impedirà sicuramente al nodo alla gola, alle palpitazioni o alla tensione di ripresentarsi. Non solo inutile, ma anche dannoso. Deve essere, invece, sottolineato che colpi di spugna definitivi non sono possibili, ma che se si usano con costanza e convinzione tecniche appropriate è possibile controllare sia la componente psichica  sia quella fisica dell’ansia.




istendere il corpo per acquietare la mente. Il rilassamento non è una condizione naturale. Consiste infatti nel coniugare la concentrazione mentale con la distensione muscolare, vale a dire due condizioni che compaiono raramente insieme. Quando si è concentrati, si è decisamente tesi; all’opposto, il rilassamento muscolare è accompagnato spesso da una certa de - concentrazione. Esiste una grande quantità di metodi diversi per rilassarsi, ovvero portare equilibrio biochimico all’intero organismo. Essendo ipnologo credo che l’ipnosi sia una metodica terapeutica particolarmente utile per gestire lo stress.  I vantaggi del rilassamento sono:

- Favorisce il sonno;
- Non   ci   sono   rischi;
- Combatte   la   stanchezza;
- E’     senza   effetti   collaterali;
- Può    essere   praticato   da   tutti;
- Attenua     la  tensione   e   l’angoscia;
- Migliora     le   capacità   fisiche   e  mentali.

ipnosi medica viene usata, infatti, a fini sedativi, analgesici e anestetici, per certe affezioni psicosomatiche: disturbi del ritmo cardiaco, angoscia, ansia, asma, obesità, ulcera gastrointestinale, disturbi urinari, artrite, impotenza, frigidità, dermatosi .... più in generale, non meno importante, difficoltà di ordine conflittuale o esistenziale. E’ efficace contro certe nevrosi. Pur fugace e difficile da misurare, la realtà dei fenomeni ipnotici non è più contestata. Il trance, che può raggiungere vari gradi di profondità, comporta un rilassamento fisico completo. L’ipnosi, quindi, può indurre un rilassamento profondo e migliorare le condizioni biochimiche dell’organismo … benefici che, spesso, nessun altra tecnica distensiva porta.







oncludendo. Chiunque può trarre vantaggio da un rinnovato e periodico esame di se stesso. L’essere umano si lascia prendere troppo facilmente dall’abitudine, dalla routine …  così piano piano la sua sensibilità si affievolisce. E indipendentemente dal talento personale, sono pochi coloro che conservano un’attitudine a sentire vivamente le emozioni in modo davvero acuto da riconoscere se stessi e il loro prossimo con quella lucidità e chiarezza sufficiente per vivere la vita il più intensamente possibile. Il modo con cui giudichiamo diventa abitudinario, una noia incredibile: siamo sempre, o per almeno alcuni, quasi sempre giusti, onesti, leali, comprensivi: eppure, guarda un po’, non sempre felici. Di fatto, siamo spesso, intontiti, disorientati, infelici. Siamo indotti a darne la colpa alle circostanze spiacevoli della nostra esistenza, alla gente, ai colleghi, agli amici, al partner, ai luoghi e ai fatti che ci circondano. Ma forse qualcosa di noi, nel modo in cui valutiamo e reagiamo nelle opportunità che ci si presentano, “cospira” a renderci infelici. Esaminare questo qualcosa significa prendere in esame se stessi. Ma che fatica … certo per uno come me che ha fatto otto anni di analisi adleriana può essere semplice, ma credetemi sono dalla vostra parte, capisco che non è facile. Ma non come ci siamo esaminati ieri o il mese scorso!!!. L’introspezione deve essere di tipo diverso … per importanza e orientamento. Dopo tutto, abbiamo già vissuto con noi stessi e gli altri abbastanza a lungo da aver imparato un sacco di cose sia “buone” sia “cattive” … dobbiamo rendere la conoscenza effettivamente utilizzabile, agire in base a ciò che sappiamo. 


a un punto di vista emotivo, siamo tutti dei giganti che dormono. Siamo in grado di capire i nostri bambini meglio di quanto sappiamo trattarli. Siamo perfino in grado di comprendere noi stessi meglio di quanto sappiano trattarci. La difficoltà sta nel fatto che eccediamo nell’esercitare troppo la “testa” anziché sentire ed agire. Comprendiamo quanto apprendiamo, ma ciò che apprendiamo ci rimane nella “zucca” anziché tradursi in comportamento. Lo scopo di questo BLOG, con tutte i suoi variegati articoli, a volte 'banali' altre volte 'farraginosi', è di aiutare a superare questo stato di cose. E’ mio convinzione che quanto più parleremo semplicemente di noi stessi tanto più ci sarà facile agire secondo ciò che diciamo. Dobbiamo, inoltre, avere la consapevolezza che per potere acquistare potere di azione, la nostra introspezione deve essere condotta da prospettive diverse. Anche se avremo visto poco più di quanto conosciamo già di noi stessi e degli altri, fiduciosamente giungeremo a valutare tutto quanto diversamente. Infine, l’importanza è fare qualcosa su noi stessi … fare qualcosa e farlo in modo vario. Ovviamente sarei in errore se mi rifiutassi di ammettere che molte cose che facciamo di solito danno di fatto soddisfazione. Esse meritano la ripetizione più del cambiamento. Nel preparare questo Blog, ad esempio, come nello scrivere qualsiasi articolo, si è trovato piacere nella partecipazione degli altri (pazienti, tecnici). L’esperienza clinica e l’assistenza informatica ha messo in contatto diverse persone, in una relazione davvero stimolante e soddisfacente. Lavorare con queste persone non solo ha migliorato questo ambizioso “progetto” ma ha aumentato soprattutto il contenuto e lo stimolo alla ricerca … il piacere di scrivere    ha stimolato la voglia di ripetere e ampliare questa esperienza. Sebbene ci si possa rallegrare di questi fantastici rapporti, anche quando sembrano scontati, il loro continuo rinnovarsi aumenta davvero la gioia ... la passione nel fare le cose.
Se soffri non rimandare, 
non rinviare un affettuoso e genuino sostegno: 
l’aiuto deve essere chiesto quando serve realmente!
 … altrimenti puoi cronicizzare e soffrire inutilmente in silenzio. Se, poi, ti ritrovi continuamente inchiodato al dolore forse è davvero il momento di farti aiutare, di mettere fine ai tuoi patimenti reali o immaginari, non è un gesto di debolezza ma di grande forza.
 




ICORDA, cerca di essere un po’ più egoista, prendi tutto ciò che puoi dalla tua vita, senza naturalmente essere lesivo verso altri … cerca di essere naturale, spontaneo e senza maschera, evita di vivere in funzione di qualcosa o di qualcuno perché primo o poi paghi ‘dazio’, PRENDI fin che puoi, divertiti, mangia cibi “buoni”, gustati  se lo desideri in compagnia o da solo, a cena o in un momento di relax, un buon bicchiere di vino o qualunque cosa che ti piaccia veramente … cerca di essere orgoglioso del tuo corpo, riconosci il suo valore gratificandolo con calorosi contatti, piacevoli sapori, gradevoli suoni, eccitanti visioni e intensi profumi … non smettere mai di “studiare”, INFORMATI continuamente, SAPPILO, noi impariamo anche dalle persone antipatiche ed odiose, prendi da loro quello che ti fa star bene e ricambiale con la tua naturalezza e spontaneità senza esprimere giudizi di valore verso te stesso o verso di loro … goditi le cose intorno, gustale lentamente attraverso i tuoi sensi … NON TEMERE, sono le sensazioni che ti mettono sulla strada giusta, ti permettono di scegliere, di sentirti bene e in solida salute: di vivere più a lungo … 


on lasciarti sfuggire niente, INVESTI sulla tua felicità personale, sulla salute, sul lavoro e, perché no, anche su una buona situazione finanziaria che meglio si confà col tuo stile di vita … partecipa attivamente al tuo benessere, NON lasciare la gestione della tua vita in mano alla ‘fortuna’ o alle ‘stelle’, NON avere paura, affronta anche le cose difficili, non temere le sfide complesse e sottili, perché nel tuo arsenale fisiologico hai parecchie armi potenti e complesse in grado di rispondere con saggezza al nemico, alla fine, altro non scoprirai che possiedi buoni contenuti mentali e, con stupore, una grande intelligenza e una fervida immaginazione (l’insicuro impiegherà un po’ di più di tempo a conoscere queste sue preziose e latenti qualità, ma con un costante allenamento raggiungerà il traguardo) … non lasciare MAI il compito di ‘aggiustare’ la tua esistenza  ad altri …la posta in gioco è davvero alta: la tua felicità! RICORDA, con un discreto divertimento, una giusta attenzione e una buona concentrazione non solo puoi raggiunge la massima efficienza, ma è anche possibile far pendere la bilancia verso di te, con le mosse giuste, CREDIMI, NON è difficile influenzare le avversità a tuo vantaggio.




NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - 0532.476055  – E mail: bonipozzi@libero.it