mercoledì 6 novembre 2013

-ANSIA. Timidezza.


Timidezza  un disagio che condiziona la vita

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apita a tutti di sentirsi intimiditi ed imbarazzati in situazioni impegnative, nuove o inconsuete. La timidezza, quella occasionale, è una condizione del tutto normale, mentre quella permanente - caratterizzata da un senso di disagio che paralizza l’azione - è un tratto “patologico” della personalità legato a carenze affettive, scarsa autostima e a profondi sentimenti di inferiorità. E’ una condizione che ostacola lo sviluppo, impedisce di conoscere, vivere il proprio talento, toglie l’entusiasmo, rovina la vita quotidiana. L’obbligo che il timido si autoimpone di incontrare persone e situazioni fa sì che i suoi tentativi di socializzazione risultino sofisticati, maldestri e sempre fuori tempo. Il soggetto, quindi, man mano che passa il tempo, tende ad isolarsi, evita l’intimità ed ogni tipo di incontro sociale. Il timido sembra colpito da paralisi psichica, dominato da rossori e tremori, non osa mai, ipersensibile alla critica, perennemente terrorizzato dall’idea di rendersi ridicolo, teme costantemente l’umiliazione, la vergogna e il rifiuto. Sempre dotato di una eccessiva dose di insicurezza, oltre a nascondersi agli occhi altrui, vede in sé carenze e difetti inesistenti: un vero agnello tra lupi affamati.

n disagio che può portare a totale   sottomissione   o   ad incontrollabile aggressività. A volte, infatti, usando un atteggiamento di compensazione al proprio sentimento di inferiorità e al basso livello di autostima, reagisce a certe situazioni in maniera eccessiva ed impulsiva, adottando spesso comportamenti autoritari ed aggressivi. Poiché le occasioni sociali sono incubi da evitare ad ogni costo, il timido nei vari rapporti fa di tutto per non essere notato, assume un atteggiamento “trasparente”,  rannicchiato, con testa e collo completamente infossati sulle spalle; parla con voce strozzata e bassa, evita lo sguardo diretto, si rinchiude negli angoli con posture da vero contorsionista.


essere osservato dagli altri poi lo fa sentire insicuro, goffo, inetto e continuamente sotto esame perché teme di rendersi ridicolo con qualche fantomatico gesto maldestro e sgraziato. Rossori improvvisi, tachicardia, la voce in cantina. Segnali corporei precisi, da interpretare come un linguaggio affascinante e particolarissimo. Arrossire non è altro che la manifestazione di una concentrazione di energia libidica nel volto e nel capo. Ben lungi dal potersi esprimere in un bacio o magari in una relazione aggressiva, confluisce tutto nella testa. E la pelle del viso avvampa, d’un rossore che svela, nostro malgrado, le nostre intime e segrete intenzioni. Anche la voce strozzata ci parla. Di un discorso che non vorremmo fare, una conversazione cui non vorremmo prendere parte, un aspetto di noi che non vorremmo svelare.

osì, le parole si fermano giusto sulla soglia della gola. Mani e gambe irrequiete. E’ il corpo che, più saggio di noi, ci vuole portare altrove lontani dalla situazione imbarazzante. La testa, invece, nega la possibilità di una salubre evasione. E il tremore è il risultato più logico di questa lotta interiore. Allora compaiono tic facciali e buffi gesti nervosi, tutto il corpo si ritrae, lo stomaco si contrae e si avverte un crescente senso di nausea, le mani tremano e sudano copiosamente, le gambe irrequiete si muovono incessantemente, una fastidiosa vampata di calore si impossessa del volto, il cuore rimbomba in ogni piccolo segmento del corpo, la bocca improvvisamente si asciuga e  le parole prendono forma in maniera confusa e pasticciata, le braccia si incrociano come segno di protezione o di resa… si ha la sensazione di non padroneggiare più le reazioni fisiche e di essere in balia degli eventi. Il solo pensiero di non essere all’altezza delle aspettative, di poter dire o commettere qualcosa di sbagliato lo spaventa terribilmente.


uesti soggetti sottovalutandosi, terrorizzati dall’idea di ogni nuova relazione, pur desiderandola, arrivano a rinchiudersi in se stessi, isolandosi e ripiegandosi ancora una volta sulla loro sensazione di incompetenza sociale. Il timido teme gli altri perché odia il confronto, li ritiene estremamente esigenti, critici, impossibili da accontentare e soddisfare. Lui stesso è diventato un giudice particolarmente severo; così la paura, i luoghi comuni, l’incertezza, la frenesia dipendono da ideali di perfezione, diktat, modelli sociali, spesso irraggiungibili, a cui deve aderire completamente: “Devo muovermi con grazia e stile”, “Devo parlare senza arrossire”, “Devo trovare argomenti originali”, “Devo dimostrare … essere … comportarmi”; condizionato da schemi mentali e blocchi emotivi; segue regole, si adegua rigidamente a qualcosa che non ha niente a che fare con lui.Sembra che in ogni rapporto rievochi un vecchio copione, un’antica paura, riapra di colpo una vecchia ferita affettiva: dal lontano passato, appare una vita povera di stimoli, piena di apprensione, insicurezza, rifiuti, indifferenza e timori. Un fenomeno conflittuale e di disagio spesso vissuto con una figura adulta distante, dalla personalità particolarmente ingombrante, schiacciante e incapace di valorizzare gli altri. Una terribile “ombra” giudicante che ha bloccato, soffocato, sepolto, inchiodato, spaventato, mai stimato, considerato ed incoraggiato. Un astuto manipolatore affettivo che si esprimeva attraverso derisione e severi giudizi di valore: “Tanto tu nella vita non concluderai mai niente… non ce la farai mai… sei troppo debole per farti spazio nella vita… non ti impegni a sufficienza … guarda invece tizio, caio e sempronio …  ci vuole coraggio e spina dorsale… Avrai tutto il tempo che vuoi per conoscere … ogni cosa a suo tempo … figlio mia la vita è dura!”; tutti “ritornelli” che, oltre ad ostacolare l’interazione col proprio ambiente e, quindi la vera conoscenza diretta della vita, rendono insicuri, predispongono alla solitudine, preparano una vita infelice e senza amore. La sensazione di non protezione e le  esperienze precoci di instabilità sono gli “ingredienti” che hanno minato in qualche modo la sicurezza e l’autostima del soggetto. Questo  timore eccessivo di inadeguatezza trasforma ogni piccolo rapporto interpersonale in una terribile sfida, soffoca la personalità e predispone ad un perenne imbarazzo.
Entrare in un negozio. Detesto andare a far compere. Sono così insicura che spesso non vedo nemmeno cosa sto guardando: la mia preoccupazione per quello che dovrò dire al commesso aumenta al punto da farmi dimenticare cosa dovevo chiedere. I timidi devono vincere il timore di essere guardati, di dover parlare con persone estranee, di essere al centro dell’attenzione. Per questo non riescono dire di no e si sentono obbligati a comprare qualcosa.


arlare in pubblico. Parlare davanti ad altre persone è la situazione più temuta in assoluto dai timidi, per i quali essere al centro dell’attenzione è il peggiore degli incubi. L’ansia da “esibizione” è proprio intollerabile e può produrre effetti inabilitanti quali sudorazione, rossore, tremore, balbuzie e incapacità di parlare, talvolta anche nausea. La paura che tutto questo possa accadere porta ad una perdita di lucidità: la mente si svuota per il terrore. E l’unico rimedio per molti consiste nel fuggire davanti al problema, cercando di evitare le situazioni di cui ci si deve esporre, con gravi conseguenze per lo sviluppo della carriera scolastica e professionale.

a toilette pubblica. Si chiama disuria, o sindrome della vescica inibita: familiare a molti timidi, è l’incapacità di urinare in un bagno pubblico, o in alcuni casi in casa d’altri o anche nella propria se è presente qualcuno. E’ più diffusa tra gli uomini, e si presenta con modalità differenti. Alcuni sono inibiti dalla presenza di estranei, ma non di amici o familiari, per altri è esattamente il contrario; per alcuni l’inibizione deriva dall’essere sentiti, per altri dall’essere visti. Alla radice di questa sindrome, vari fattori, tra cui la vergogna del proprio corpo, l’identificazione della minzione con la sessualità, l’ansia da impotenza e un senso di colpa che porta al desiderio di punizione.

tare al telefono. Evitano l’uso del telefono ogni volta che possono e nelle loro case c’è sempre la segreteria telefonica a fare da filtro verso l’esterno. Ciò che più temono tutti è di essere presi alla sprovvista senza avere nulla da dire, senza rispondere a “tono”. Sono timidi con la fobia della cornetta, quelli che paventano silenzi imbarazzati e imbarazzanti, l’incapacità di sostenere una conversazione “come si deve”.  C’è la preoccupazione di inviare un segnale di debolezza e di inadeguatezza, senza poter verificare “de visu” le reazioni dell’interlocutore.

cchi negli occhi. Per molti timidi guardare qualcuno negli occhi è un’impresa insostenibile. Per altri l’ansia nasce invece quando si è guardati. La preoccupazione è come rispondere allo sguardo altrui e come controllare il proprio, perché si è consapevoli che il contatto oculare ha un ruolo nei rapporti sociali e che lo sguardo diretto ha una connotazione positiva di chiarezza e sincerità. La paura del linguaggio degli occhi ha significati diversi per uomini e donne. I primi temono di apparire minacciosi e aggressivi, incontrollati o “strani”. Le seconde sono invece più preoccupate di trasmettere messaggi non voluti di seduzione o di disponibilità sessuale.

angiare al ristorante. In genere non riescono a mangiare al ristorante, ma talvolta succede anche a casa in presenza di ospiti. L’essere osservati dagli altri li fa sentire sotto esame e ciò che li blocca, perché li terrorizza, è la paura di rendersi ridicoli con gesti goffi: rovesciare il cibo, mancare la bocca, mandare il boccone di traverso, non riuscire a deglutire, soffocare o vomitare. Molto spesso l’umiliazione che si prova in casi del genere, porta ad escogitare strategie complicate: dalla scelta del ristorante, informale e poco affollato, al cibo, che deve essere semplice e facile da mangiarsi.

 per finire … un goccino. Si comincia a bere un bicchierino prima di andare a una cena o a un impegno importante, per la sensazione di benessere e sicurezza che l’alcol trasmette. E’ così, per l’illusione di spazzare via quella paura degli altri che li opprime, che molto spesso comincia il rapporto privilegiato dei timidi con il bicchiere. E in effetti basse dosi di alcol agiscono sulle aree del cervello che controllano il comportamento, per cui chi beve si sente più libero e si comporta in modo “sciolto”. L’alcol libera nel cervello dei neurotrasmettitori che inibiscono l’ansia, producendo una sensazione di benessere sociale e di rilassamento.  
l problema è che con il passare del tempo le dosi di alcolici aumentano gradatamente e cresce la tolleranza nei confronti dei suoi effetti, che diventano l’unico mezzo per combattere la timidezza, l’ansia che ne deriva, la paura della solitudine. Così l’alcol a lungo andare, interferisce con il processo psicologico che dovrebbe portare ad affrontare le proprie ansie e paure mano a mano che si presentano. Il problema è molto presente anche tra gli adolescenti: è provato il maggior ricorso a sostanze psicoattive da parte dei timidi. Sono soprattutto i maschi - anche se le femmine attualmente se la cavano molto bene – estremamente timidi che tendono a fare abuso di alcol. Non bisogna mai dimenticare che l’alcol dà coraggio ma è solo in …  prestito.

COSA FARE Il primo passo è quello di essere più flessibili e tolleranti con se stessi. Tutto ciò che è malleabile, morbido e fluido, trasforma e sviluppa la vita, mentre ciò che è rigido, inflessibile blocca ed “avvizzisce” ogni cosa vitale. Essere “sciolti” aiuterà  ad eliminare la sensazione di “goffaggine” prima che degeneri in “patologia”. Attraverso massaggi psicosomatici, rilassamento, e visualizzazioni si possono sciogliere gradatamente la tensione e la rigidità legate a questo vissuto emotivo che limita l’immaginazione e lo spazio di libero movimento. Alzare, poi, il livello di autostima è fondamentale perché fa sentire bene con se stessi, al comando della propria vita, pieni di risorse e creativi.

oiché il sentimento di inferiorità è un terreno fertile per la depressione sarà importante “lavorare” sulla consapevolezza del legame tra pensieri e stati emotivi, che si modificano e variano di intensità grazie all’influenza reciproca. E’ una strategia che permette di controllare ed integrare pensieri ed emozioni, così da modificare in maniera più vantaggiosa il “comportamento” nelle relazioni interpersonali. Gli altri giudicano? Giudicherebbero ugualmente, anche se “andasse tutto bene… anche quando si è quasi perfetti”, anzi forse di più! Provaci, si può vincere da soli o, in casi più gravi, con l’aiuto di un professionista qualificato, su la testa… non fare il timido!



imidezza nei bambini.  Secondo la mia esperienza clinica, un buon 25% dei ragazzi (più maschi che femmine, perché avvertono in maniera schiacciante il giudizio dell’adulto e il peso di vivere secondo un modello prestabilito ... alla femmina nella nostra cultura è concessa una più vasta gamma di reazioni emotive) che si rivolgono ad una psicoterapia presenta serie difficoltà relazionali (linea ovviamente di tendenza, non reale). L’elemento fondamentale di questa richiesta  è proprio la timidezza.  Spesso, la timidezza esprime una condizione esistenziale momentanea, legata alla difficoltà di trovare un’identità solida. In questi casi intervenire è davvero superfluo, se non addirittura dannoso. La timidezza sfocia nella patologia quando dà sintomi di scarso adattamento sociale, distinguendosi così da profonda ansia e depressione. I segnali?

nsicurezza, difficoltà di articolazione del linguaggio, problemi scolastici gravi e ritardo nello sviluppo intellettivo. Ma anche un comportamento aggressivo, può essere una valvola di sfogo per esprimere il disagio. In ogni caso, un’attenzione sensibile e costante verso i figli e un intervento tempestivo sono la chiave per risolvere il problema. La timidezza non è sempre un male silenzioso. Spesso si esprime con il linguaggio della malattia. O, persino, della devianza, in età preadolescenziale. L’asma, ad esempio, insorge solitamente intorno a tre o quattro anni, come richiesta di attenzione e di coccole di un genitore distante. Si accompagna, soprattutto nell’età prescolare, ad un vissuto di isolamento. Ed esprime un bisogno di contenimento che il bambino non comunica, per paura di un rifiuto.

tipsi e diarrea presentano una chiara matrice simbolica: l’intestino trattiene e rilascia in maniera irrazionale, testimoniando la difficoltà del ragazzo a porre se stesso in relazione con il mondo. Quando la timidezza soffoca l’aggressività, non è raro rilevare problemi digestivi. E in alcuni casi, persino ulcera. Stessa eziologia anche per i problemi dermatologici, croce di molti preadolescenti: le difficoltà di relazione esplodono sulla pelle, che delimita simbolicamente lo spazio interno in funzione del (temuto) contatto con gli altri. E quando timidezza ed aggressività convivono?  L’associazione di timidezza e aggressività, alcuni studi lo confermano, può essere un fattore di rischio per le “dipendenze” … l’abuso di sostanze stupefacenti.

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OSA FARE. Innanzitutto, evitare comportamenti errati, come quello di etichettare il bambino con definizioni improprie. Dargli del timido è decisamente sbagliato: magari il piccolo è solo poco socievole, a volte con la sua ritrosia esprime un’antipatia istintiva  per qualcuno … si rischia di etichettarlo, di farlo identificare in quella parola - immagine. Per di più si corre il rischio che il bambino si comporti da timido per non tradire le aspettative di un genitore che lo considera tale, finendo così per eleggere la timidezza a unica modalità di rapporto con gli altri (o come alibi: tanto io sono così quindi non posso …). In secondo luogo, se proprio di timidezza si tratta, è bene utilizzare il gioco per risolvere il problema. Tanto meno poi si “medicalizza” il piccolo (ti porto dal dottore, dalla dottoressa, dallo specialista …), tanto più facilmente si uscirà dal problema. In questo modo è possibile evitare che nel bambino si instauri un sentimento di inferiorità che sarebbe molto controproducente.
Se soffri non rimandare, 
non rinviare un affettuoso e genuino sostegno:
l’aiuto deve essere chiesto quando serve realmente!
 … altrimenti puoi cronicizzare e soffrire inutilmente in silenzio. Se, poi, ti ritrovi continuamente inchiodato al dolore forse è davvero il momento di farti aiutare, di mettere fine ai tuoi patimenti reali o immaginari, non è un gesto di debolezza ma di grande forza.

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

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