venerdì 27 febbraio 2015

-ADOLESCENZA. Il giovane collerico

Il giovane COLLERICO ...



efinizione. La collera trova radice nella parola greca “cholé”, che significa “bile”, anticamente veniva definita come un sentimento che si sviluppa tra cuore e fegato, l’organo nel quale, secondo la medicina cinese, reprimiamo lo sdegno e la stizza verso qualcosa o qualcuno di sgradito. La cultura ellenica, infatti, attribuiva la collera a una “agitazione di sangue bilioso che arriva rapidamente al cuore”, e non a caso ancora oggi nel linguaggio popolare si usano espressioni come “rodersi il fegato” e “farsi il sangue amaro”.  In pratica, è una violenta reazione alle contrarietà. Il sistema nervoso centrale e periferico, improvvisamente, può mobilitare tutte le forze aggressive del soggetto. Notevoli manifestazioni fisiche si accompagnano alla collera: diventano iperattive tutte le ghiandole a secrezione interna che favoriscono l’attività. I muscoli si bloccano, il viso si contrae, il sangue affluisce al cervello; l’individuo in questione viene preso da un bisogno irresistibile di picchiare, rompere, urlare


l risultato è che, invece di modificare la situazione frustrante, il soggetto può cadere in una crisi di nervi o essere vittima di una sincope; la collera spesso porta a svenimenti. Un temperamento impulsivo, influenzabile, irritabile favorisce le esplosioni emotive; un temperamento inibito le rende più rare e meno violente (il soggetto in questo caso può manifestare disturbi psicosomatici: mal di testa, gastrite, colite, asma, artrite, mal di schiena, disturbi dermatologici). In alcune malattie mentali la collera può assumere una violenza inaudita e diventare pericolosa, perché il soggetto è incapace di dominarla. La collera è senza dubbio una delle manifestazioni più frequenti nel giovane, e anche una di quelle che avvelenano il clima familiare e provocano nei genitori un’inquietudine circa l’avvenire mentale e sociale del loro bambino. Essa costituisce la brutale manifestazione di un senso di ostilità rivolto contro l’ambiente circostante, persone o cose. Essere in collera significa perdere il controllo delle proprie reazioni. Tale controllo è necessariamente meno solido nel bambino che nell’adulto. 


li eccessi di collera sono riscontrabili a tutte le età. Fin dalla nascita alcuni piccoli “demoni” vociferano e urlano; a quell’età, la collera va di pari passo con i movimenti del corpo: si tratta di vere e proprie crisi di soffocamento (urla fino a strangolarsi, diventa violaceo, perde la conoscenza)Nella maggior parte dei casi si tratterà di una sensazione di disagio, di freddo, di fame o di una posizione scomoda (mal di denti, indigestione, irritazione delle mucose, abbandono). Qualche volta si ha anche l’impressione che provi una gioia maligna nell’andare in collera, nel dar prova della sua potenza su coloro che lo circondano. Generalmente però questa situazione non va oltre i quattro o cinque anni. Il bambino maturando comprende il carattere ineluttabile delle esigenze e delle limitazioni.  A partire da una certa età fino alla pubertà, le collere saranno nella maggior parte dei casi provocate dal tentativo degli adulti di porre fine al gioco: questo deve cedere il posto al pasto o allo studio. Oppure potrà anche trattarsi della proibizione di andarsi a divertire con un compagno, o anche la proibizione di uscire di casa. A ciò si mescola spesso una specie di senso di ingiustizia e la collera verrà in tal caso generalmente rivolta contro qualche cosa (fratello, sorella).


ra è il figlio maggiore che protesta perché al piccolo si concede tutto; ora sarà questi a ritenersi parte lesa perché si fa una differenza fra i due e lo si esclude da un certo divertimento.  Già in questa fase compaiono i diversi comportamenti collerici che ritroveremo nell’adolescente e, perché non dirlo, anche nell’adulto. Nell’uno la collera sarà franca, unita a un pestar di piedi, a ingiurie, qualche volta alla distruzione degli oggetti; nell’altro, invece, si manifesterà in tono minore ed egli si limiterà a mugugnare in un angusto cantuccio; un altro ancora, non manifesterà reazioni tranne un improvviso pallore al viso, un’increspatura delle labbra. Il momento più difficile in cui le collere sono più frequenti e più violente è quello della fase di opposizione (due – tre anni). E’ proprio il periodo in cui il bimbo conquista duramente un nuovo livello di indipendenza. Egli ha un bel voler essere indipendente: dipende, proprio per la sua immaturità fisiologica, dagli altri. E va in collera tanto contro le proprie debolezze, quanto contro l’autorità altrui. Nel soggetto normale, il senso della realtà serve da freno. Da adulti, non cediamo tanto facilmente ai nostri sbalzi d’umore. Ma basta che qualcosa intervenga a disturbare il nostro meccanismo cerebrale, la fatica, lo stress, una malattia (si è più polemici quando si ha una patologia!), ed ecco che quel controllo perde ogni efficacia.

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COSA FARE. Non esistono ricette magiche, ogni situazione richiede una sua specifica valutazione, non solo in funzione del presente ma anche del futuro. Nel bambino collerico vi è una parte di temperamento che non è eliminabile a colpo sicuro. Egli esplode: è il suo modo di reagire. E’ forse interessante ricercare perché nella nostra società facciamo tanta fatica a sopportare la collera e le grida. Essendo istintivo, l’urlo di collera ci fa paura e costituisce per noi il segno di una fragilità emotiva. Per un determinato verso, la nostra reazione, la nostra tensione di fronte alla collera del giovane può farci riflettere sull’impressione che noi stessi diamo al bambino quando gridiamo, quando anche noi andiamo in collera. Questa riflessione può indurci a una maggiore comprensione nei nostri rapporti reciproci.  Non bisogna cercare di spezzare a ogni costo la rivolta al suo sorgere … può accadere che un bambino, i cui moti di collera siano stati soffocati, divenga poi un depresso, un ansioso e privo di difese.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel.349.1050551 –  0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it

giovedì 19 febbraio 2015

-COPPIA. Divorzio.


DIVORZIO … quando i rapporti finiscono


rriva un bel giorno che vivere insieme diventa un inferno. Una unione che sembrava indistruttibile poco alla volta o all’improvviso salta, crolla come un gigante d’argilla. I motivi possono essere tantissimi: tradimento, violenza, mancanza di entusiasmo e di passione, noia, incomprensione, difficoltà economiche, calo della libido. I
l divorzio, anche se non fa più notizia, non riguarda esclusivamente il puro e semplice scioglimento del vincolo matrimoniale, ma coinvolge aspetti emotivi particolarmente dolorosi - difficili da gestire - quali ad esempio abbandono, distacco e separazione; l’addio innesca una infinità di problematiche psicologiche e pratiche (il tutto deve essere affrontato immediatamente). Divorziare in allegria” è sicuramente uno slogan per qualche commedia popolare e, comunque, stando ai dati oggettivi è sicuramente una locuzione decisamente anacronistica. In questo fenomeno, se si presta attenzione, la vera sofferenza non si concretizza automaticamente con la separazione, ma l’infelicità era già presente quando la coppia, a se stessa e agli altri, si sforzava di dire “E’ tutto normale, tutto funziona alla meraviglia… tutto come prima”: il rapporto era già una prigione invisibile, un’atmosfera di perenne tensione, in breve un fenomeno di sofferenza per entrambi i coniugi

on sempre la sofferenza è prerogativa per forza solo a chi sperimenta il sentimento di abbandono: anche chi lascia può portare il peso di questa rottura (senso di colpa, attaccarsi ai ricordi, cercare di mantenere a tutti i costi un rapporto di amicizia per rendere il distacco meno traumatico). La separazione porta sempre con sé tristezza, amarezza profonda, malinconia, dolore e perché no, anche paura.
Risultati immagini per DIVORZIO NIE DIPINTIVivendo per molto tempo una vita di coppia si finisce per perdere di vista la propria individualità (perdita del lavoro, degli amici, interessi) e quando un membro della coppia si allontana ci si sente smarriti, come se si avesse perso una parte di se stessi (fenomeno ben evidenziato nella  depressione). Il vero dolore comunque viene amplificato dalla resistenza, dallo sforzo di fare andare le cose diversamente, dal tentativo di cancellarlo: quando una storia è finita è finita. Non ci si rende conto che in questo modo la sofferenza la si fa diventare ancora più forte (tenere il cervello concentrato su quel unico pensiero non si fa altro che alimentarlo). 

l fingere un amore e un piacere che non si prova più è devastante ma soprattutto apre le porte silenziosamente alle malattie psicosomatiche. Se la storia è finita, è segno che l’alchimia dell’amore si era spenta da tempo. Se non ci si sente più attratti da qualcuno e il suo odore dà persino fastidio non ci sono dubbi: è finita. Inutile raccontarsi che ci si ama, che si è legati da tante cose: per quanto dorata sia una gabbia è sempre una gabbia. Quando si arriva a questo particolare rapporto, il divorzio - se veramente non si ha più niente da dire -  diventa la soluzione ideale per porre fine definitivamente alla giostra di infelicità per uno o entrambi i partner. Se la convivenza è giunta a sfaldarsi, evidentemente significa che le cose non andavano poi così tanto bene: è l’occasione per uscire da una vita chiusa. Quando un matrimonio entra in crisi, l’unica possibilità è scoprire le cause e quindi vedere se è possibile salvarlo. L’esperienza, però, insegna che quando la coppia entra in crisi difficilmente i membri che la compongono sono in grado di comprendere in maniera lucida i motivi. In questa fase i motivi di sofferenza, i pericoli di ulteriore disorientamento e delusione sono tantissimi e, soprattutto, a portata di mano: certi legulei estemporanei pronti a far riappacificare ma in realtà sono concentrati solo sulla parcella, ciarlatani e fattucchiere che assicurano e prevedono l’avvicinamento della coppia, amici comprensivi e parenti serpenti che tentano di salvare dall’esterno qualcosa che non funziona più all’interno. Se la coppia non funziona per mancanza di “collante”, di elementi che la tengono insieme, è del tutto inutile ricorrere a strategie di qualunque tipo esse siano, nella convinzione che tutto bene o male si sistemerà.  Appare evidente quindi che chi sceglie di divorziare lo fa non per capriccio ma prima di tutto per risolvere una situazione di sofferenza individuale ormai insopportabile.

Risultati immagini per divorzio nei dipintiIl rapporto di coppia. Molte relazioni sono felici, solo all’inizio. Ma succede raramente che tutto proceda senza intoppi, mentre la vita e le situazioni si evolvono: la forza di un rapporto dipende dalla capacità di adattamento dei due partner. Non si può di affermare di conoscere il proprio partner fino al momento in cui le circostanze esistenziali ci mettono a confronto con le nostre risorse sia personali sia di coppia. Inoltre, bisogna precisare che la coppia “tipica” non esiste. Ognuno di noi è caratterizzato da possibilità e debolezza particolari, e il successo della coppia dipende molto dalla nostra capacità di riconoscerle e di trovare una conseguente forma di adattamento. Aspettarsi che il nostro partner incarni l’immagine che gli abbiamo attribuito provoca grandi tensioni nella coppia. La fragilità e la fallibilità umana restringono la possibilità di trovare un partner “perfetto” o di esserlo noi stessi. Se riusciremo ad amare senza condizioni, ad accettare le debolezze del nostro partner e a concentrarci sulle sue qualità, più probabilità avremo di risolvere qualsiasi problema. Costruire e nutrire un rapporto che duri tutta la vita richiede molta consapevolezza di sé o molto impegno. La capacità di dare e quella di ricevere, l’impegno di pervenire a equi compromessi, permetteranno di evitare sensi di colpa e risentimenti che potrebbero rovinare o distruggere il rapporto. Nessun rapporto, nemmeno il più felice, è privo di conflitti. E’ possibile risolverli più facilmente se si svilupperà una buona capacità di comunicazione. 

er poterlo fare si deve primo di tutto stabilire una solida base di comunicazione con il partner. E’ importante sentirsi liberi di esprimere le proprie preoccupazioni personali nel momento in cui sorgono, prima che si trasformino in problemi davvero importanti. Cercare di sviluppare un modo di pensare non pessimistico e, soprattutto, guardare realisticamente le situazione in maniera lucida prima che le discussioni comincino. Discutere le cose con calma. Cercare di usare empatia, capire il punto di vista del partner, in modo da facilitare la possibilità di un compromesso ragionevole. Non è soltanto ciò che si dice che  influenza la capacità di comunicare: il tono di voce, l’espressione del viso (mutismi e silenzi esagerati e colpevolizzanti), i gesti e i movimenti costituiscono segnali non verbali e indizi che rivelano i veri sentimenti. Stare attenti con una certa sensibilità ai segnali di questo tipo trasmessi dal partner ed esprimersi con chiarezza, in modo da incoraggiare la comunicazione. Quando i problemi sembrano insormontabili, bisogna sempre ricordare che si ha sempre la possibilità di scelta tra azioni ed atteggiamenti che possono facilitare la gestione della situazione.

uando la fine di un rapporto arriva,  la mente si riempie immediatamente di pensieri opprimenti, non lasciano scampo, di colpo ci si avvelena di rimpianti e sensi di colpa inutili: “Se mi fossi “svegliato” prima … Se non dicevo quelle frasi … Se non avessi fatto … Dovevo assecondare quelle cose, valorizzarle di più … Dovevo essere più sensibile, più presente … Segnarmi i momenti più importanti, essere più attento alle ricorrenze … Se non avessi accettato quell’invito … FORSE, forse e forse, chissà, saremmo ancora insieme” ma quanti più!!! …  il pensiero rimane lì, inchiodato sul partner … la “perdita” di una persona cara è sempre un’esperienza straziante, un inferno che brucia lentamente ed inesorabilmente, un tormento che ripiega su se stessi, una sofferenza sorda che disorienta, che strappa non solo i capelli ma che azzera anche ogni certezza, smantella improvvisamente i punti di riferimento più importanti, un dolore mentale diffuso che si trasforma lentamente in un disagio fisico (le difese si abbassano, i tratti depressivi fanno la loro comparsa, il rimuginare continuo fa esplodere la testa, produce tensione alla bocca dello stomaco e all’intestino, Morfeo diventa un tiranno … costringe a fare a botte tutta la notte col lenzuola e cuscino): il mondo ci cade letteralmente addosso … lo strazio e il rimorso per le cose “non fatte” in passato si impossessano della nostra vita, inquinano, dominano, controllano e gestiscono il nostro vivere nel tempo presente …  allontanarsi, fuggire dalla sofferenza, dal dolore è una reazione istintiva e ben motivata, più che umana, per certi versi inevitabile, bisogna fare in fretta.

a ecco che, improvvisamente, quella melodia ci raggela il corpo e la mente, ci pietrifica di colpo, quella canzone ci riporta a lui, quel film visto insieme che ci ha particolarmente divertiti stimola la voglia di ritornare indietro, quel lungo viale alberato di tigli profumati rievoca un tenero e caldo momento mano nella mano, certi luoghi, poi, oltre ad essere un vero e proprio supplizio sono sempre più presenti e davvero inevitabili … quel fantastico mangiare al cinese al lume di candela, leggeri, liberi, in silenzio, presi dalla follia della passione, seduti all’aperto coccolati da una calda brezza estiva, ritorna violentemente in scena portando un venticello di tristezza, nostalgia, tenerezza e lacrime … e, ancora, pensare a quell’intimità - davanti al televisore rannicchiati  e dormire abbracciati nel lettone - paralizza ogni attività, avvalora ancora di più quell’idea devastante che non ci sarà più nessun altro nella propria vita, tutto è finito, giuro e rigiuro che il cuore non batterà mai più … impossibile ritornare a vivere normalmente. 

iflessi rallentati, umore incerto, una sofferenza incredibile, un tormento senza sosta, un patimento davvero ingestibile … terribile, terribile (questo è il dramma e il dolore che leggo negli occhi, nel volto smarrito dei miei pazienti quando sperimentano un abbandono). Senza quelle vecchie abitudini ci si sente persi, completamente vuoti, confusi, smarriti, nulla attrae, niente interessa, tutto si rifiuta, si va completamente alla deriva, è la fine!  Lentamente lo spazio di libero movimento si restringe: quel ristorantino tanto amato è da evitare, quel film va nascosto, gli amici allontanati, quelle letture cestinate … affiorano bizzarre paure, strane insicurezze e oscure incertezze  … pian, piano prende corpo una profonda delusione, la sensazione di avere sprecato troppo tempo in quel rapporto che non meritava assolutamente tutto il nostro impegno e attenzione … si diventa scontrosi, aggressivi, freddi, acidi, cattivi, ogni cosa perde importanza … non si esce più, il processo di isolamento ha inizio, rabbia, rancore, pessimismo annullano altre opportunità e occasioni, allontanano la possibilità di nuovi incontri, di essere nuovamente inebriati da salutari passioni … chissà mai, forse, magari più coinvolgenti e felici. MA le sue passioni erano anche le tue passioni veramente? …  MA era proprio fonte di benessere quel vivere? … eravamo davvero felici, liberi, fiduciosi, indipendenti, naturali e spontanei, oppure quel rapporto era diventato noioso, spento, senza fantasia, troppo idealizzato e poco creativo, tenuto in piedi solo dalla routine e dall’abitudine, in attesa di stimoli migliori e più coinvolgenti, sorretto solo dalla paura del cambiamento?
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Ma cosa si può fare per eliminare queste fastidiose e dolorose “impronte” del passato?  E’ bene ricordare che ogni pensiero, anche se doloroso, è l’unico strumento rimasto - assieme a rimpianti, lamenti e sensi di colpa - che ci permette di rimanere ancorati, in contatto, legati con quella cosa tanto desiderata o con quella determinata persona tanto “amata” … ecco perché risulta difficile rinunciarci … il non pensarci significherebbe troncare quell’esperienza in maniera definitiva e, quindi, ci si ritroverebbe ancora più confusi, più soli, più lacerati, più abbandonati. Più noi ci ribelliamo, più ci opponiamo con forza alla sofferenza e più, però, attraverso la produzione degli ormoni dello stress, la rendiamo importante, attiva e viva. Sarà utile, in questo particolare frangente, per contrastate questo infinito patimento anche biochimico, essere presenti a se stessi, SENTIRE e GUSTARE lentamente, senza fretta, quello che si sta facendo realmente … riscoprire, attivare i sensi, entrare in contatto con le nostre vere sensazioni. 

uardare pian piano le cose da un’altra angolatura, con uno sguardo diverso: unica possibilità di ritornare a far germogliare la nostra vita … provare piacere nel vivere le piccole cose, magari con lui non era possibile, perché erano banalizzate, ridicolizzate, etichettate come capricci infantili oppure soffocate per il quieto vivere.  Creati nuovi spazi, luoghi diversi, solo tuoi, evita di fare le stesse cose, gli stessi percorsi, così potrai ricevere nuovi stimoli … Sono tante le sensazioni utili, che fanno riemergere, possono risvegliare lucidità, desideri e la voglia di fare, ritornare con gli altri … soprattutto, star bene con se stessi, non in funzione a quello che si farà o chi si incontrerà: ma SOLO  e SOLO per se stessi ORA, in questo momento … indossare un abito che ci fa sentire bene e sicuri, un profumo che ci solleva l’umore, mangiare anche tutte quelle cose che prima per ‘l’alito pesante’ o perché non facevano snob non si potevano assaggiare … premiarsi e premiarsi gradualmente … FARE e FARE ancora, iscriversi a corsi … l’importante che siano tutte cose desiderate e “sentite” … qualunque cosa che si mette in cantiere va bene basta che sia rivolta a “coccolare” e “curare” la propria anima    RICORDA, ognuno di noi è unico e speciale, l’amore e la felicità sono risorse inesauribili … infinite!

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Vademecum per contenere i danni e la sofferenza 

Smettere di ripensare continuamente al passato perché scatta il senso di colpa.  Ancorarsi ad un tempo pieno di ricordi negativi (risentimento, rimorso, rimpianti) significa ritagliare un pezzo del passato, isolarlo dalla tenebrosa massa del passato, e farlo rivivere nell’attualità; il passato è passato non lo si può più modificare: è un tempo in cui si annida la disistima e l’infelicità. E’ importante usare parole univoche, chiare e precise nell’addio: se si è ambigui o possibilisti il partner potrebbe aggrapparsi ad elementi inesistenti o intravedere la possibilità di ripacificarsi e quindi non avere la consapevolezza che tutto è finito (è importante prendere atto che la coppia non esiste più). Anche rivedersi frequentemente può essere controproducente: si mescola il dolore e fa aumentare la dipendenza. Non isolarsi: è nel momento dell’abbandono che si ha soprattutto bisogno di un sostegno, di essere ascoltati (gli eroi solitari sono destinati ad incancrenirsi e vivere nella sofferenza).

figli del divorzio. I bambini, dopo il divorzio, possono regredire, diventare irritabili e dipendenti. Alcuni si sentono soli, depressi ed abbandonati, sviluppano malattie e incontrano difficoltà nei rapporti di amicizia. Altri invece, per far fronte a questo malessere, fanno esperienza di droga, alcol e sesso. Molto spesso, dopo la separazione, i genitori hanno notevole difficoltà ad accettare la relazione tra il figlio che amano e il coniuge che hanno smesso di amare. Quello che importa è non litigare in presenza del figlio, usare sempre la massima sincerità  e, soprattutto,  non usarlo come arma per la battaglia in corso. E’ necessario rassicurarli che entrambi i genitori, nonostante la rottura, continueranno ad amarli: il benessere dei figli dipende da quanto un padre e una madre sono disposti a lavorare insieme in maniera costruttiva.



NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 –  0532.476055
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venerdì 13 febbraio 2015

-ADOLESCENZA. I problemi di mio figlio.


I problemi di mio  figlio  

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nche se ad alcuni genitori fa piacere pensare che l’adolescenza sia un’età beata e spensierata, le preoccupazioni giovanili, purtroppo, sono presenti e comuni in ogni periodo evolutivo. La natura dei malesseri e dei timori invalidanti, inoltre, cambia via via che i giovani crescono.
Qualunque sia la causa del disagio o dell’apprensione, c’è una netta differenza tra l’essere ansiosi e il soffrire di un disturbo d’ansia, un malessere decisamente più grave e duraturo. Un bambino fa visita ai nonni che abitano in un grande palazzo, sale sull’ascensore per raggiungere l’abitazione, improvvisamente comincia a tremare e a sudare, si sente soffocare e ha l’impressione di morire. Una fanciulla, per paura che succeda qualcosa di terribile andando a lezione di danza, non esce di più casa a meno che non sia accompagnata dal fratello più piccolo. Un adolescente, pur sapendo perfettamente ogni materia, è praticamente paralizzato dal terrore prima di ogni interrogazione. Un bravo studente universitario, per paura di volare, rinuncia di approfondire le lingue straniere in altri paesi. Sebbene tutti di tanto in tanto si sentano agitati, nervosi, irritabili o imbarazzati i soggetti sopra descritti devono affrontare qualcosa di molto più grave ed invalidante: i disturbi d’ansia. I disturbi d’ansia ad esempio - disagi mentali particolarmente diffusi tra i bambini e gli adulti -  includono: episodi di terrore improvviso e inspiegabili (attacchi di panico), paure ingiustificate per oggetti e situazioni particolari (fobie), una sofferenza cronica (GAD)

utte queste inquietudini (paura, ansia, fobia) possono presentarsi molto presto, prolungarsi più o meno a lungo fino all’adolescenza o a un’età adulta. Quando il bambino, dopo aver raggiunto la capacità di ricordare, acquista quella di prevedere (senso del futuro, dell’avvenire), la paura può assumere una forma di apprensione che è sostanzialmente un timore diffuso vissuto anticipatamente: tale è la paura prima degli esami. Più tardi ancora, la ragione, la comprensione razionale degli oggetti e delle situazioni, il senso del ridicolo, possono trasformare le reazioni di spavento: ci sono bambini ed adolescenti che ridono delle loro paure; altri non osano esternarle, le tengono per sé, le interiorizzano o le trasformano. Tali sono i ragazzi timidi, inibiti, quelli che non hanno paura di nulla di preciso ma allo stesso tempo di tutto, quelli che nutrono inquietudini di ordine metafisico, che hanno paura della propria ombra. Infine, non bisogna dimenticare che è spesso nel momento della pubertà che paure antiche, fobie scomparse, possono riapparire insidiosamente e proprio sotto forme assai vaghe di inquietudine, di ansia diffusa, di inibizioni. Il giovane ha un modo di pensare che è molto diverso dall’adulto e, certamente, le sue paure appaiono strane e incomprensibili. Per queste ragioni, egli tende a generalizzare: la paura del padre autoritario, ad esempio, può essere trasferita su tutti coloro che indossano una divisa (la divisa nell’immaginario collettivo rappresenta l’autorità). 

Risultati immagini per fantasia nei dipintiA volte da un vecchio avvenimento che lo aveva terrorizzato, tratterà solo un dettaglio: in una notte di luna piena ha provato uno spavento e ora ha paura della luna. Spesso è scomparso anche il ricordo dell’oggetto ch’egli aveva associato a uno spavento ma quell’oggetto continua a provocare la paura. Questa può subire anche una trasformazione: il bambino che da piccolo avrà presentato delle angosce connesse alla alimentazione (frequenti cambiamenti di cibo, prolungata attesa dei pasti, clima di grande tensione durante i pasti) potrà in seguito diventare ansioso prima dei pasti e rifiutarsi di mangiare (anoressia)


n altro, in cui sarà stata immediatamente repressa ogni velleità di mostrarsi alquanto aggressivo, non oserà manifestare coraggio quando richiesto: la proibizione di essere aggressivo, cattivo, si confonderà con una proibizione di mostrare la propria forza e il bambino rimarrà timido e diventerà pauroso. Cosa fare. Prevenire l’inquietudine significa in primo luogo evitare le occasioni di creare l’ansia, poi saper rassicurare il ragazzo e infine mai impiegare la paura come mezzo educativo. Evitare le occasioni e saper rassicurare significa preparare sempre gradatamente il bambino alle nuove situazioni (mai sostituirsi a lui!). L’educazione è come una serie di svezzamenti in cui il giovane deve poter accettare, in base alle proprie capacità cognitive, le nuove costrizioni: prepararlo in un clima di fiducia, anche di calma, affinché non abbia paura di diventare adulto e sappia superare le sue difficoltà, le sue paure, la sua timidezza. Evitare di usare la paura come mezzo educativo, significa eliminare la minaccia immaginaria: l’uomo nero, lo stanzino buio, il cane cattivo che può tutto divorare. 


on bisogna usarla come forma di ricatto: “Non dirmi che avrai paura di farlo”, oppure: “Guarda, lui non ha paura di farlo”. Questi atteggiamenti a volte possono non avere gravi conseguenze, ma non possiamo mai sapere quale eco possano suscitare nel bambino queste parole, quali antiche angosce esse possano risvegliare in lui (insicurezza, incertezza, disistima). Se da una parte non bisogna dimenticare che le paure costituiscono spesso una spia di incidenti banali e benigni dell’educazione, dall’altra esse rischiano a volte di sfociare in turbe durature del carattere: timidezza, chiusura in se stessi, inquietudine per tutto; e soprattutto non bisogna dimenticare che in circostanze sfavorevoli possono essere l’inizio di turbe più gravi (depressione, fobie, dipendenze, disturbi alimentari). In definitiva, è quindi l’atteggiamento di comprensione e di sollecitudine da parte degli adulti che nella maggior parte dei casi potrà evitare determinate difficoltà, facendo scomparire alcuni segni anomali laddove si manifestano, mentre è invece necessario  prendere la decisione di consultare uno specialista nei casi più difficili. E’ sempre meglio prevenire che curare.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
 

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