mercoledì 26 ottobre 2016

Stress … come affrontare i cambiamenti


Stress come affrontare i cambiamenti


a vita è davvero complessa e, soprattutto, non fa "sconti" a nessuno. Le persone che amiamo si ammalano e muoiono. Il denaro finisce. I suicidi tra i giovani aumentano. Il consumo di droghe tra gli adolescenti è a dir poco esagerato. Le aziende falliscono. I licenziamenti sono frequenti. I matrimoni vanno a rotoli. Il mondo cambia oggi con estrema rapidità. Viviamo dunque in una cultura provvisoria, imprevedibile, incerta sul domani.

ueste esperienze mettono veramente a dura prova ed è normale che le persone che si trovano in tali situazioni si sentano tristi, ansiose, adirate, deluse, avvilite, distrutte o incapaci di affrontare le normali incombenze della vita di ogni giorno. Quando parliamo di stress indichiamo dunque uno sforzo che l’organismo deve compiere per far fronte a nuove esigenze e, quindi, adattarsi ai relativi cambiamenti (il tutto sostenuto dagli ormoni di adrenalina e di cortisolo). Tutti eventi, comunque, che creano uno stato di maggiore attivazione da parte dell’organismo rispetto alla norma, come risposta di adattamento a situazioni e contesti percepiti come problematici e pericolosi. La reazione negativa a una situazione stressante spesso consiste in un’esagerazione del suo significato e delle sue implicazioni  per il futuro: nella rottura di una relazione amorosa si vede decretata la definitiva impossibilità di sposarsi, una bocciatura significa non diplomarsi mai, un semplice dolorino alla schiena significa paralisi totale. Lo stress è innanzitutto un penoso stato di allerta silenzioso; la persona sente la presenza di pericoli - reali o immaginati, ma vissuti soggettivamente sempre come ‘veri’ - che mettono a rischio non tanto l’incolumità fisica personale o quella dei propri cari, quanto il suo equilibrio psicoemotivo. Se, infatti, esiste, uno stress naturale causato da una minaccia, per esempio, di una grave malattia, la maggior parte delle fonti di stress ‘patologico’ sono: la paura del giudizio, la paura degli imprevisti, il timore di non farcela, che le cose vadano male. 

ullo sfondo, il terrore di un disastro economico, di una separazione, di una perdita importante. Lo stress si esprime di solito attraverso sintomi psichici come ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi ossessivi-compulsivi, tic, oppure fisici come tensione muscolare, cefalea, gastrite, ipertensione, colite, dermatite, tachicardia, obesità, stanchezza cronica (abbassamento delle difese immunitarie). Anche se gravità, durata e sintomatologia di questo disturbo sono apparentemente minori rispetto ad altri disagi emotivi, a volte subentrano complicazioni importanti come il ricorso, da non sottovalutare mai, a sostanze psicoattive per gestire il malessere in atto (alcol, gioco d’azzardo); i sintomi possono persistere per mesi, essere molto disturbanti, dolorosi, autodistruttivi, interferire pesantemente nella vita di una persona o nella sua capacità di seguire con costanza e precisione il programma terapeutico prescritto. I soggetti, infatti, affetti da stress sono spesso talmente angosciati e storditi da non essere in grado di cercare aiuto.

lcuni di loro appaiono insolitamente calmi, il che porta amici e familiari a credere erroneamente che abbiano superato le difficoltà ‘esistenziali’. Non va mai dimenticato che tale malessere causa  una profonda sofferenza, interferisce con la capacità di lavorare, di studiare e, soprattutto, ostacola la vita sociale.  Le persone che hanno a che fare con questo scomodo compagno di viaggio sono disorientate, dominate da una disperazione esistenziale, sono perennemente tesi, non provano gioia né interesse per gli eventi circostanti, hanno perso ogni speranza e tutto sembra tingersi di colori cupi, nella mente, poi, si affollano pensieri catastrofici, mentre il fisico è provato da un senso di stanchezza diffusa. Farsi aiutare non solo è auspicabile per vivere in armonia con gli altri ma, soprattutto, per la propria salute … RICORDA, chiedere aiuto non è debolezza o vigliaccheria ma sempre un atto di grande coraggio, libertà e autonomia. 

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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
  



 Bonipozzi dott. Claudio Tel.  349.1050551 
 E mail: bonipozzi@libero.it

lunedì 17 ottobre 2016

Le scelte giuste ...

- Le "SCELTE" giuste ...



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Le “scelte” giuste ...



nterrompere un rapporto in crisi o tenere duro? Coi familiari, essere severi o tolleranti? Cambiare attività o “restare lì”? In amore, in ufficio, con i figli, di fronte a situazioni più o meno complicate, volenti o nolenti, scegliere tra diverse linee di condotta è inevitabile. Nessuna persona, sana o bloccata che sia, può sottrarsi al processo decisionale. Tutti i giorni la vita impone la necessità di compiere delle scelte. La scelta, comunque la si veda, è sempre espressione di libertà. Ogni decisione può risultare faticosa e dolorosa: se si segue una possibilità, se ne deve abbandonare un’altra. Di solito, quando il malessere controlla la vita, si sceglie la cosa peggiore: rimandare… alle calende greche. Una vita “serena” non presuppone la capacità di non sbagliare mai, ma quella di prendere una strada anziché un’altra. In pratica, l’incapacità di scegliere non è semplicemente una disinvolta e spassionata analisi delle alternative. E’ un fenomeno che coinvolge molto di più del proprio essere, il proprio mondo emotivo; la propria capacità nel trovare delle soddisfazioni è in gioco. Nei fatti l’immagine autentica di se stessi è in ballo. Si è soddisfatti di se stessi quando si è fiduciosi, e ci si considera deboli, impotenti, e minacciati quando il potere decisionale è annullato. 

pesso una quantità di seccature giunge ad infastidire il soggetto quando è dominato da questo stato di indecisione: irritabilità, insonnia e la semplice capacità di disfarsi di pochi problemi. L’opposto dell’incertezza è l’assenza di paura. Fiducia, sicurezza, certezza, convinzione non sono affatto associate con le condizione di questo turbamento emotivo. E’ il peso dell’incertezza che deteriora il proprio modo di vedere in alcune importanti biforcazioni della propria strada. Quando l’incertezza è dominante viene ostacolata non solo la crescita emotiva che porta ad innumerevoli insuccessi - soprattutto a livello interpersonale - ma crea dei presupposti per una cattiva condizione di salute psicosomatica. Spesso, la maggior parte delle vittime coinvolte in questo fenomeno non è consapevole del “veleno” in esso contenuto, anche se può essere cosciente della paralisi e dei sintomi che ne derivano. Il soggetto è calato in una dimensione di estraneità e di incertezza, ha la sensazione di essere fuori luogo, ma soprattutto, di essere perennemente a disagio, in “prestito”, in “affitto” in casa sua. Un atteggiamento di “stallo” determina sempre sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia, amarezza e disperazione senza rimedio. Certe scelte, senza rendersene conto, oltre a non far dormire, possono complicare in maniera esagerata la vita (la morale condiziona … mentre i preconcetti rallentano, bloccano, deviano). Ancor più difficile è fare delle scelte solide e positive in uno stato di disperazione, tensione o di grande agitazione. 

i sono situazioni, poi, in cui si deve agire con la massima solerzia e con coraggio perché non c’è molto tempo, ma anche “riposarsi sopra”, quando si devono prendere decisioni importanti, non è del tutto sbagliato. Decisioni come ad esempio matrimonio, convivere o rompere un rapporto devono essere sempre ponderate: l’arte di conoscere le persone e se stessi in relazione con gli altri richiede più tempo e molta attenzione (… soprattutto se si è confusi). Il successo in ogni settore teso verso conquiste che partono da scelte libere - in linea con la propria natura - che riflettono quello che l’individuo effettivamente è, i suoi valori reali, è un buon punto di partenza per rendere la vita più soddisfacente. Battaglie vinte in sintonia con la propria vera natura sono un terreno fertile per giungere alla felicità e farsi una “flebo” di autostima. Al contrario, conquiste derivanti puramente da un atteggiamento di aggressività compulsiva (bisogno di dominare gli altri), dall’obbedienza conformista ai dettami culturali e sociali, o da un bisogno di trionfo vendicativo (sentimento di vendetta… la testa piena di rancori rende confusi, produce incertezza e la sensazione di sbagliare sempre tutto) lasciano un senso di vuoto, di sbandamento, di tristezza e di povertà interiore, nonostante l’apparente grandezza della conquista. Ma perché è così difficile decidere, trovare le risposte? Sembra facile, ma come si fa a decidere? Quale “oracolo” ascoltare? Di fronte a certe situazioni complicate qual è la vera strada? All’origine di tale fenomeno ci possono essere molte cause come la paura di sbagliare, una importante fragilità emotiva, la mancanza di fiducia e conoscenza di se stessi, l’ansia, lo stress e, soprattutto, la bassa autostima (quella purtroppo è come il prezzemolo, non manca mai!). Queste condizioni emotive avvolgono e permeano quasi tutti gli aspetti della vita, ma sono particolarmente deleteri nel processo decisionale. 

ome per tutti i malesseri di natura psicosomatica, la diagnosi è di primaria importanza, e questo è particolarmente valido nel caso dell’indecisione. Conoscere, individuare e capire perché si rimane al “palo” è fondamentale per vincere la battaglia contro l’indecisione e realizzare se stessi; è del tutto impossibile, infatti, combattere un nemico che non si vede e, ancor peggio, che non si conosce (non comprendere le origini, le cause e le declinazioni concrete di un fenomeno, non solo rende impotenti a livello risolutivo ma si amplifica nel tempo la produzione e la dimensione).
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COSA FARE.  Saper fare delle “buone” scelte può davvero cambiare la vita e farle sicuramente bene; è una qualità che si impara nel tempo “allenandosi” ad evitare gli errori più comuni. E’ molto importante - per ripulire il cervello da dubbi e indecisioni - comprendere la differenza che esiste tra scelte false e quelle vere. Ogni volta che ci si trova davanti ad una decisione, piccola o grande che sia, e non si sa bene come affrontarla sarà importante ridurre le parole e i pensieri: evitare la tentazione di parlare con il primo che si incontra. Evitare, insomma, di addentrarsi in un labirinto di dubbi e di pensieri: la mente nitida e leggera è sempre più efficace. 

n questo modo, “spurgando” il cervello da tutti quei pensieri inutili, che non servono assolutamente a nulla (mettendo a tacere interferenze interne ed esterne), la scelta giusta può prendere forma. No diventare pesanti e lamentosi, parlare poco e con una persona fidata (che sa ascoltare, non da consigli e non giudica… perché l’unica cosa di cui si ha realmente bisogno è di fare chiarezza dentro se stessi) è la cosa più saggia che si possa fare in questi frangenti. Per rendersi, poi, più liberi, autonomi ed efficaci nel decidere ci vuole sicuramente un buon addestramento. Molto spesso si fatica a fare scelte giuste perché si è terrorizzati che possa spiacere a qualcun altro. In questi particolari momenti risulta fondamentale rispolverare un “sano egoismo”. Se non si è allenati a questo amore per se stessi, cioè la capacità di tenere in primo piano le proprie esigenze, diventerà sempre più difficile prendere decisione giuste ed in linea con la propria natura. Si sarà sempre in balia dei giudizi della gente e non si sarà mai in grado di dire di “no” a tutti coloro che sono abituati a raggirare, a calpestare la libertà altrui o, ancor peggio, ad usare gli altri. Uno sguardo, poi, distaccato e un po’ più neutro, da soli o con l’aiuto di un esperto se il quadro clinico è complesso oppure quando ostacola completamente la vita, aiuterà a purificare la mente, ad essere più obiettivi, a ridurre l’ansia.

e sono ben chiari gli obiettivi si riuscirà a prendere decisioni vincenti… favorire soluzioni nuove, inaspettate e originali. Riassumendo. Ma sempre, comunque … al di là di “Cosa fare” è fondamentale fermarsi un attimo e con consapevolezza formulare questo pensiero: “E adesso tocca proprio a me”. È un pensiero un po’ fantasioso ma che porta al centro di se stessi. Una espressione che rappresenta la propria unicità perché, non dimentichiamolo mai, la vita è nostra (non degli altri), la felicità da conquistare dipende solo da noi. Saper fare scelte giuste può davvero cambiare la vita e farle bene. Altro non è che sapersi offrire il lato migliore delle cose, quindi una vita migliore. E’ umano quando non riusciamo a levare un ragno dal buco, non saper cosa fare, lasciarsi abbattere dallo sconforto, dal dubbio. Allora ogni volta che si pone una difficoltà, piccola o grande che sia, e non si sa come affrontarla è fondamentale ricordarsi di alcune strategie per attivare strumenti semplici e concreti attraverso i quali ci si avvicina in un modo nuovo al mondo delle soluzioni: Ridurre parole e pensieri. Prima di tutto evitare di addentrarsi in un labirinto di dubbi e pensieri. La mente leggera è decisamente più risolutiva ed efficace. No a lamenti, parlare poco e solo con una persona fidata, il cui ruolo è fare “da specchio”: mentre si parla, le parole aiuteranno a rappresentare la situazione in ogni prospettiva. Non è di un consiglio che si ha bisogno, ma di lasciar emergere le parole evitando che i dubbi ridondino in testa. 

iventare spettatori. Un’altra strategia efficace è quella di guardare se stessi come uno spettatore e non come un attore sul palcoscenico. Per fare la scelta giusta occorre per un po’… non decidere (a tutti i costi). Si è più lucidi quando si osserva un evento senza essere coinvolti in prima persona. Anche questa mossa sarà molto utile al conseguimento del risultato finale. Far parlare l’interiorità. Il terzo intervento colpisce il centro o, meglio, per usare un semplice eufemismo va dritto al “cuore” del problema. E’ il cuore, non la testa, che sa cosa serve alla propria felicità, che conosce il percorso giusto, la propria autorealizzazione. Il cuore, centro degli affetti, non può essere condizionato come la mente, lui batte al suo ritmo e non si è in grado di modificarlo. Pensare con il cuore significa far decidere a lui. Nutrire la propria autostima. Per rendersi più liberi, più autonomi ed efficaci nelle scelte ci vuole un po’ di allenamento. Spesso si è disorientati perché si teme che qualcuno, in base ad una eventuale scelta, possa essere ferito. In questi casi è utile riesumare un pizzico di egoismo: è un’ottima mossa per formare e nutrire le proprie decisioni rendendole sempre più lucide e autonome.

...  è lo    STUPORE    che ci ricarica!!!


Accanto alla LIBERTA’, però,
 ci deve essere sempre la RESPONSABILITA’, 
non in senso moralistico ma semplicemente imparare a decidere autonomamente, gestire il proprio benessere, essere attore principale della propria evoluzione (non mettere in mano la propria vita a qualcuno e qualcosa di esterno): la capacità di determinarsi … RICORDA, tutti 
abbiamo delle imperfezioni e ognuno, in maniera singolare, 
possiede contemporaneamente - con elementi più o meno
 dominanti - diversi tratti di personalità, non è necessario 
indossare l’abito in voga al momento, basta sfoggiare 
quello che hai nel tuo guardaroba, quello reale, 
più semplice, naturale e pieno di risorse … 
la CONSAPEVOLEZZA altro non è che essere 
coscienti delle cose che fanno sentire “sfasati” e quali, invece, nutrono l’autostima, fanno sentire bene, stimolano ad incontrare il mondo …  
ti aiutano a SEGUIRE, sempre, un ideale di AUTONOMIA …


ICORDA, come la mucca caccia via istintivamente con la coda la mosca sulla sua schiena, anche tu hai il diritto di opporti a tutte quelle aspettative altrui che non ti appartengono e che spesso ti senti costretto a seguire, quei vincoli che non fanno per te … quelle cose che ti spingono a sacrificare le tue inclinazioni naturali, le tue vere esigenze: prenditi il tuo spazio, segui i tuoi progetti, le tue priorità, esprimi le tue passioni … la tua unicità (non è difficile, con l’allenamento emergerà un senso di soddisfazione, di piacere e di libertà).


 Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – Tel. 0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

sabato 1 ottobre 2016

L’arte di ammalarsi con successo …



L'arte di ammalarsi con “successo” ...

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utti noi, dilettanti e non, tendiamo a confondere i sintomi della malattia con la malattia stessa, ma indubbiamente in realtà le due cose non si identificano affatto. E’ possibile avere una malattia, o diverse malattie, senza essere malati. Analogamente è possibile essere terribilmente malati senza avere alcuna malattia. La spiegazione di questo paradosso è che spesso interpretiamo culturalmente il fatto di essere malati come l’esperienza di una perdita di confort o magari di produttività. Durante un cambiamento di temperatura repentino è possibile sentirsi malati, a disagio ed improduttivi, senza la presenza di alcuna malattia. Il collega poco distante con la scrivania, ad esempio, con seri disagi emotivi, può essere la persona maggiormente a suo agio di tutto l’ufficio, pur essendo però completamente improduttivo. La comprensione del fatto che malattia e condizione del malato non sono la stessa cosa è fondamentale per riuscire a vivere con successo la malattia, specialmente con le malattie croniche e ricorrenti, perché quasi certamente si è molto meno malati di quanto si possa pensare.

intomi e segni. Quando si consulta uno specialista, lui cerca subito segni e sintomi della malattia. I  sintomi  sono sensazioni soggettive, ovvero quello sconforto che fa preoccupare a tal punto da spingere a ricorrere prima di tutto a un controllo. I sintomi più comuni sono il dolore, la dispnea (respiro corto), l’affaticamento, il prurito, le delusioni, le allucinazioni, gli stati ansiosi e la depressione. I segni della malattia, invece, sono fondamentalmente oggettivi; ossa rotte, tagli, esami clinici che esulano dalla norma, comportamenti strani. Il segno di malattia accompagna solitamente i sintomi, ma non sempre. Nel caso dei disagi emotivi, i segni del malessere possono essere costituiti da strani comportamenti o da cambiamenti nella chimica cerebrale; i sintomi possono essere la convinzione di cose che non sono vere (delusione), il modo di vedere, sentire o percepire cose che non esistono (allucinazioni). Quasi tutti noi siamo “tentati” ad evitare chiunque abbia questi sintomi. Ci spaventano perché non si adattano alla nostra idea comune di quello che dovrebbe essere la malattia. Sembrano minacciosi se non pericolosi. In effetti, la loro pericolosità può essere più o meno reale. Incontriamo anche una certa difficoltà ad accettare l’idea che questi soggetti, con problemi emotivi, siano realmente malati. Essi si presentano, a volte, come persone particolarmente a loro agio ma completamente improduttive (girano a vuoto). Individui del genere sono spesso considerati ‘parassiti’ e vengono trattati con una certa diffidenza o ostilità. I progressi nelle analisi cliniche, inoltre, delle malattie sollevano altri tipi di problemi. E’ facile comprendere che si è malati se si ha un forte dolore alle braccia o se il braccio appare chiaramente piegato in maniera innaturale. E’ ovviamente rotto. Ma che dire quando ci si sente bene, a proprio agio, e produttivi, ed eppure si ha un elettrocardiogramma che segnala una malattia cardiaca, una radiografia toracica che mostra la presenza di un carcinoma, un’analisi sanguigna che rivela il diabete mellito, od uno striscio che indica un cancro alla cervice? 

ome conseguenza viene detto di ricorrere immediatamente al medico e sottoporsi a cure che, per il momento, non sono completamente comprese. In queste circostanze i pazienti sono sottoposti a procedure mediche e chirurgiche radicali. Pochi, comunque, riescono ad adattarvisi senza difficoltà. In qualche modo c’è la necessità di sentirsi ammalati se qualcosa è fisicamente fuori posto, ed in questo tipo di situazioni molta gente comincia ad agire da malata semplicemente per comunicare la gravità della malattia di cui soffre. Lo sviluppo di un carcinoma è una condizione fisica che può minacciare la vita, ma altri non lo comprenderanno a meno che non ci si comporti da malato oltre ad avere i segni fisici della malattia.. Senza questa espressione culturale della malattia, il paziente con carcinoma deve affrontare una situazione potenzialmente devastante da solo. Un’altra situazione clinica può essere altrettanto stressante. È possibile ritrovarsi ad avere un sintomo di malattia ma senza alcun segno della malattia stessa, per esempio forti dolori alla parte inferiore della schiena senza un riscontro diagnostico … “scientifico”. Ci si sottopone continuamente a vari esami clinici senza fare una qualche scoperta positiva. Non c’è semplicemente ‘nessun motivo’ per quel fastidioso dolore.  Che cosa si può fare? Stringere i denti e sopportare aspettando finalmente un “qualcosa” che dimostrerà la presenza di un’anormalità fisica, fino a questo momento impossibile da rilevare. Se ciò accadesse, ci si ritroverà finalmente ufficialmente malati.

e ciò non accade, però, è possibile trovarsi in una situazione in cui la gente non crederà nemmeno che si è doloranti  o magari che tutto il malessere è solo nella testa. Sfortunatamente, il dolore senza un segno può portare all’allontanamento dal medico di fiducia e ad un affidamento crescente su cure meno tradizionali o perfino ciarlatanesche: si diventa facili prede delle fattucchiere. Quando ciò accade, è essenziale essere in contatto con specialisti ben preparati, comprensivi, tolleranti e flessibili … in grado di far sperimentare trattamenti diversi e, soprattutto, essere a fianco di chi, in quel frangente, è completamente disorientato. A dire il vero, la medicina non ha certo tutte le risposte. Ma se è per questo non le ha nemmeno l’altra ‘medicina’ o gruppo di improvvisati guaritori. Le situazioni in cui sono presenti sintomi o malattie incurabili, se incontrate dovrebbero essere affrontate con una certa maturità, e le limitazioni della cura dovrebbero essere mese subito in chiaro. Specialisti e pazienti potrebbero allora trovarsi in una situazione di armonia reciproca, cercando così di trovare la miglior sistemazione possibile dei sintomi e dei segni.


l quadro dei sintomi comuni, di seguito descritto, che avvertono sempre della presenza di una malattia può essere utile per la comprensione della natura della malattia stessa. La maggior parte di questi sintomi sono non - specifici; il fatto di provarli non ci rivela di quale malattia si tratta. Si limitano semplicemente ad avvertire della necessità di intervenire e, quindi, consultare professionisti qualificati.


Dolore. Il dolore è il sintomo che noi tutti associamo all’idea di essere malati od alla necessità di cure mediche. In generale, più intenso viene percepito il dolore e più seriamente viene considerata la malattia da medici e pazienti. Il dolore viene quasi sempre percepito come invalidante e pericoloso. A differenza di molte altre sensazioni (udito, gusto, vista) il dolore non può essere condiviso dall’esaminatore. La quantità di dolore provata viene strettamente valutata dal paziente, e solitamente non esiste nessun sistema per un medico per confermare la presenza o l’assenza di un dolore. La ricerca dei sintomi per evitare il dolore ha giocato un ruolo fondamentale nella nostra evoluzione. Fin dai tempi antichi, siamo andati alla ricerca di sistemi per affrontare il dolore e le situazioni che possono produrlo. Il concetto di dolore come segnale di pericolo è talmente instillato in noi che la sua presenza in quantità anche piccole ed innocenti innesca massicce reazioni fisiologiche che pervadono tutto il nostro sistema nervoso. In alcune situazioni il dolore viene percepito solo quando abbiamo scoperto che un determinato evento è pericoloso. Un esempio triste e frequente è costituito dal paziente in fase terminale del cancro che non “sente” dolore fino a quando non viene formulata la diagnosi (L.Dudley  - E.WelKe). Per il resto della vita del paziente il dolore può diventare una componente costante. In questa situazione il dolore simboleggia la natura del pericolo, e ricorda a coloro che circondano il paziente che le sue condizioni sono critiche. Troppo spesso il dolore è il solo mezzo di comunicazione aperto ai pazienti in fase terminale. Solitamente per un paziente in fase terminale non è possibile discutere con altri la sua paura di morire; una tale condizione allontana la gente (medici, infermieri, famiglia, amici) e lascia il paziente a doversela cavare da solo. In contrasto con una nozione comune secondo cui maggiore è il dolore e peggiori sono le condizioni della malattia o della ferita, molti elementi indicano che l’intensità del dolore dipende in gran parte dalle condizioni sociali di chi lo prova. Uomini feriti seriamente in combattimento spesso provano un dolore minimo o addirittura nullo. Individui che soffrono di ferite analoghe in un incidente automobilistico, in cui l’auto viene distrutta per colpa di qualcuno probabilmente ubriaco, sentiranno dolore intensissimo. In questo caso il senso di essere feriti è intensificato dall’ingiustizia della situazione. Le vittime degli incidenti automobilistici sono ferite sia emotivamente sia fisicamente, ed il dolore conseguente, date le stesse ferite, è notevolmente più intenso di quello provocato dalle ferite sul campo di battaglia. Il dolore costituisce un problema dalla portata molto ampia quando diventa cronico, indipendentemente dalla causa che l’ha originato. Il dolore può produrre una fusione complicata di emozioni negative e cambiamenti fisici. Questi elementi si manifestano poi spesso come depressione, rabbia, problemi cardiaci e respiratori e cambiamenti gastrointestinali. Il dolore può anche ricollegarsi con un distretto corporeo, e/o  produrre danni ai tessuti (tensione, contrazione, infiammazione e lesione).

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Dispnea. La dispnea è un sintomo comune in molti pazienti che soffrono o meno di malattie polmonari. La sua identificazione si basa sul giudizio soggettivo del paziente, e generalmente non è definibile in termini di gas sanguigni od anormalità nella ventilazione. I pazienti forniscono descrizioni diverse della dispnea, ma l’elemento generale è quello di sensazioni sgradevoli che insorgono nel petto (sterno) o nei bronchi, interpretate come interferenze con la normale funzione della respirazione. Il paziente si sente sfinito, senza fiato, e sente che non riesce ad inalare una quantità sufficiente di aria. Alcuni pazienti provano una dispnea molto acuta accompagnata a cambiamenti strutturali minimi o nulli del loro sistema cardiocircolatorio, mentre altri pazienti  provano una dispnea acuta, o nessuna forma di dispnea, con cambiamenti strutturali acuti. La dispnea viene spesso sperimentata dalle persone sane e normali durante sforzi esagerati o momenti caratterizzati da emozioni particolarmente intense. Quando si studiano nei dettagli soggetti ‘predisposti’ agli attacchi di dispnea, si scopre che tale fenomeno è collegato sia con le emozioni che connotano l’attivazione sia con quelle che connotano la non - attivazione. Nel caso di emozioni non-attivanti quali la depressione, la dispnea è associata con una ventilazione diminuita, o iperventilazione. Con emozioni orientate verso l’azione quali rabbia e ansietà, la dispnea è presente in associazione con l’iperpnea o iperventilazione (ventilazione accresciuta). Così la dispnea è associata sia alla ventilazione accresciuta sia a quella diminuita. Come sintomo di malattia, la dispnea rimane molto contraddittoria. Sia le persone sane sia i pazienti che soffrono di malattie cardiopolmonari la provano. Ma non tutti i pazienti con problemi cardiopolmonari la soffrono, e può essere innescata da un aumento o da una diminuzione relativa della ventilazione. La miglior spiegazione di questo fatto è che la dispnea è un sintomo imparato; dipende dalle esperienze passate, e dalla lezione che ci hanno impartito. Eventi quali il trattenere il fiato o piangere troppo durante l’infanzia, disturbi cardiaci, reazioni allergiche, ed infezioni bronchiali portano evidentemente a reazioni fisiologiche che vengono percepite come esperienze minacciose nelle quali si presenta la dispnea. In altre parole, coloro che soffrono di attacchi  di dispnea sono ipersensibili ai cambiamenti nel loro sistema cardiopolmonare. Provano una specie di crisi ‘psicosomatica’, un cortocircuito respiratorio. Altri individui ignorano questi cambiamenti e quindi non soffriranno i sintomi di dispnea. E, come per molti altri sintomi di malattie, le reazioni emotive alla dispnea spesso innescano una reazione a catena che origina un numero di attacchi sempre crescenti. Da qui possiamo trarre qualche informazione utile ma sconcertante. Il sintomo comune dispnea è indipendente dalla malattia, si perpetua autonomamente, ed è una reazione condizionata. Siccome la dispnea è associata al pericolo in due soli sistemi organici, non viene generalmente riconosciuta un sintomo di pericolo come il dolore. Quindi se si prova la dispnea è possibile, come accade spesso nei disagi emotivi, sentirsi accusare di simulazione. Coloro che ci stanno accanto spesso non comprenderanno i motivi che ostacolano la capacità di lavorare o di giocare; perciò, come spesso sottolineato, è possibile trovare molte difficoltà nelle relazioni sociali a meno che la propria dispnea non diventi abbastanza seria da portare gli altri a considerarla davvero dolorosa.

rurito. Il prurito è una sensazione limitata dell’epidermide. Viene solitamente definito come il bisogno di grattarsi, ed indica la presenza di danni sulla superficie più esterna dell’epidermide. E’ un sintomo che dice qualcosa di specifico a proposito della regione in cui esiste il problema, e fornisce anche qualche indicazione sul problema stesso. Il prurito è diverso dal solletico, che rappresenta una risposta ad uno stimolo all’epidermide. Il prurito sembra trasmesso da alcune tra le stesse fibre nervose che trasmettono il dolore, ed in effetti un prurito molto intenso può essere doloroso al massimo. Può essere provocato da un gran numero di malattie che agiscono direttamente od indirettamente sulla pelle. Per esempio, si può avere il prurito perché l’epidermide è stata esposta ad una sostanza chimica tossica quali detersivi o sostanze chimiche in generale. Oppure si può avere il prurito perché l’epidermide è stata esposta ad un elevato livello di prodotti di rifiuto presenti nel sangue, risultato quindi di una insufficienza renale.

atica. La fatica è un altro sintomo non-specifico che porta sempre a ricercare un aiuto professionale. Spesso punta verso la depressione, la sensazione di averne abbastanza dei problemi della vita per un bel po’. La stanchezza può indicare anche altre malattie. La fatica è presente spesso quando il corpo è sottoposto a qualche infezione, o ha un livello ridotto di ormoni “attivanti”. La fatica può accompagnare qualsiasi squilibrio nella produzione biochimica delle sostanze nutritive o dell’ossigeno nel sangue, o la rimozione di materiali di rifiuto.

llucinazioni.  Spesso il sistema nervoso centrale ‘inventa’ sensazioni e ce le fa provare: visioni, rumori, sensazioni od odori che in realtà non esistono. La cosa sembra verificarsi quando non si presta attenzione all’ambiente circostante, o si soffre di qualche patologia che isola il cervello dalle sensazioni provenienti dal mondo reale. Privato di quelle sensazioni che gli permettono di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, il cervello si riempie di cose che si pensa potrebbero o dovrebbero esistere. Combinazioni di pericolo, solitudine e affaticamento possono innescare tremende e bizzarre  allucinazioni.

elusioni. Le delusioni sono pensieri che non sono ‘veri’. Per esempio, in alcune malattie la gente pensa di stare fin troppo bene o che qualcuno sta cercando di ucciderla. Queste malattie sono solitamente di natura emotiva, e dovrebbero essere valutate e curate da persone qualificate in questo settore. Sia le delusioni che le allucinazioni sono collegate a diversi quadri clinici: depressione, schizofrenia, psicosi manico depressiva, narcisismo, paranoie. Inoltre, qualsiasi condizione che altera in maniera significativa la struttura fisica e i neurotrasmettitori cerebrali può produrre questi sintomi, ed essi devono essere controllati sempre da specialisti prima che si possa dare il via ad un qualsiasi trattamento specifico.

Aggressività  … 

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Sono infiniti e, per certi versi, sconcertanti i dati accreditati che confermano l’esistenza di una relazione tra cambiamenti di vita, stress e malattia. La spiegazione fondamentale del motivo per cui i cambiamenti di vita producono le malattie è il fatto che tali cambiamenti richiedono all’individuo (organismo) uno sforzo di adattamento, oppure lo costringono a combattere un evento stressante. Alcuni individui mostrano un’abilità quasi inquietante ad esprimere comportamenti aggressivi, o meccanismi aggressivi, per affrontare i cambiamenti di vita; queste persone sembrano che non si ammalino “mai”

lcune persone si basano solo su un paio di comportamenti aggressivi ogni tanto, e sono perennemente ammalate. La maggior parte di noi si trova da qualche parte tra questi due estremi, in base al numero dei comportamenti aggressivi di cui ci serviamo. I comportamenti aggressivi comprendono le reazioni emotive (rabbia, tristezza, depressione), le abitudini personali (mangiare, fumare, attività fisiche, sessuali), le abitudini inconsce (morsicarsi le unghie, sospirare, tamburellare le dita). Dedicarsi coscientemente al proprio lavoro ed ai propri hobby è un comportamento aggressivo, così come lo è il tempo passato in famiglia. I comportamenti aggressivi possono essere dolorosi, specialmente se vengono manifestati abbastanza di rado. Se mangiare diventa un comportamento aggressivo primario, il probabile risultato è l’obesità. Nella nostra cultura l’uso dell’alcol e di altre droghe come meccanismi aggressivi ha creato, soprattutto tra i giovani, un problema di dimensioni epidemiche. Consideriamo un individuo il cui comportamento aggressivo primario è la paura, un soggetto che non sappia assolutamente come scendere a compromessi, arrendersi, intellettualizzare o ridere. Per quanto possa trovarsi in una condizione minima, come tutti gli altri dovrà affrontare almeno un centinaio di situazioni all’anno che richiedono un qualche tipo di reazione decisa. Una multa per eccesso di velocità, per esempio, od un ingorgo stradale che fa perdere molto tempo, o forse sentirsi dire che la camicia preferita è stata macchiata in lavanderia.


ome risultato, l’individuo succube della rabbia avrà una reazione “impassibile”, sempre uguale, anche quando la rabbia non sarà la reazione appropriata o vantaggiosa. Come risultato, la persona vittima della rabbia sarà sempre nei guai e troverà impossibile affrontare la vita. Una persona del genere avrà notevoli difficoltà a conservare un lavoro per molto tempo, a  mantenere strette relazioni interpersonali, o a essere positivamente inserito nella vita sociale. Come pazienti, individui di questo tipo non sono mai soddisfatti delle terapie; da studenti si ribellano contro gli insegnanti; da lavoratori sono perennemente infuriati con i superiori. Tutto e tutti li fanno andare su di giro. Nell’ambito di schemi di questo tipo, esistono persone che sanno solo reagire deprimendosi o abbandonando la lotta. A cavarsela particolarmente bene nella vita sono quelli che sanno rispondere a qualsiasi situazione scegliendo tra almeno una dozzina ed anche più comportamenti aggressivi. 


onoscono reazioni diverse allo stesso stimolo. Possono scegliere di reagire con rabbia, tristezza, risate e logica. Sanno quale comportamento ideale è richiesto da una determinata situazione. Sono proprio queste le persone capaci di affrontare un numero considerevole di cambiamenti di vita. La malattia stessa è sovente un comportamento aggressivo, e quando la malattia si verifica in un individuo che ha una certa povertà di altri comportamenti aggressivi su cui basarsi, la malattia diventa solitamente un comportamento dominante … a volte difficile da guarire o, magari, di rimettersi in piedi facilmente.

 


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 -  Tel. 0532.476055
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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un  valore educativo, non prescrittivo.