mercoledì 6 dicembre 2017

Femminicidio, infanticidio .... la sindrome di Medea

Femminicidio, infanticidio …   la sindrome di Medea





entre sto scrivendo questo articolo, i mass media riportano in maniera incessante storie inaudite e raccapriccianti di omicidi tra le mura domestiche:
atti terribili, efferati, brutali spesso, per alcuni, del tutto incomprensibili. In questo periodo storico, o meglio, in questi ultimi tempi i casi di fanciulle smarrite che sopprimono con ferocia, in modo disumano e crudele i propri cuccioli sembrano essere aumentati rispetto al passato madri che si macchiano di un delitto infame e contro natura. Un'azione delittuosa ripugnante che si sta allargando a macchia d'olio, indistintamente in ogni parte del pianeta; un fenomeno globale che non fa sconti a nessuno, tutto il mondo - con modalità più o meno diverse - ne è coinvolto. 
 Le madri annegano, soffocano o gettano dalla finestra i propri figli, mentre i padri hanno la tendenza ad utilizzare metodi più aggressivi e più violenti, quali battere, schiacciare o pugnalare ... particolarmente allucinante in questo periodo è mettere, da parte di entrambi i genitori, droga in biberon per sedarli. Il progetto omicidiario è, spesso, messo in atto da donne relativamente giovani, immature, fragili, infelici, isolate, frustrate, lasciate sole in balia degli eventi. A prima “vista”, più che “malate” sono in preda ad uno stato di confusione e di turbamento profondo sempre però disturbate”, con un quadro clinico complesso ed invalidante



ono molti i fattori che intervengono in queste situazioni: ignoranza circa l'educazione dei figli, assenza di modelli ben definiti, maternità o paternità nell'adolescenza, mancanza di un partner o di un familiare di sostegno, stress causato dalla povertà. La maggior parte di questi carnefici condivide una storia psicologica simile e, da piccoli, questi genitori violenti - non hanno avuto scampo - si sono sentiti abbandonati, trascurati, incompresi, inappagati e biasimati; non si sono mai sentiti protetti, amati e accettati per quello che erano veramente.



anno ricevuto una lezione di vita in cui è stata
negata libertà, spontaneità, leggerezza, spensieratezza, gioia una fanciullezza interrotta, deviata ... non è stato permesso di vivere come bambini normali nel fantastico cortile del 'mulino bianco'. In molti casi sono stati loro stessi oggetto di violenza o di abuso, se non fisico, perlomeno di natura psicologica, sviluppando un sentimento di vergogna, indegnità, sgradevolezza e impotenza. Un rapporto primario infelice, senza stimoli, con poca attenzione e scarsa considerazione ... una vita intera persa a mendicare uno sguardo caloroso, ad elemosinare una carezza o un gesto affettuoso. Questa carenza affettiva li spingerà a cercare per tutta la vita un amore impossibile, idealizzato, irreale e 'fiabesco' … il nostro viaggio, nel bene e nel male, parte da lì. 



apita, spesso, che questi soggetti cerchino durante il loro cammino di vita - purtroppo trovandole - persone con problemi simili ai loro, e quando il nuovo rapporto non è più in grado di soddisfare quelle famose aspettative primordiali, i loro desideri e i loro bisogni psicologici, essi si sentiranno respinti, rifiutati, abbandonati, disorientati, smarriti, persi non soltanto nei rapporti affettivi, ma in ogni settore della vita: scolastico, lavorativo, sociale, culturale. In base a questi singolari vissuti, secondo il loro metro di valutazione, il loro modo di vedere le cose e le loro necessità emotive, i figli potrebbero compensare, diventare in qualche modo l'estrema risorsa per ottenere quel famoso amore (tanto desiderato e mai avuto intensamente cercato e mai trovato); ma se non viene “rispettata” per filo e per segno quella visione, quel modo di pensare, quelle attese del tutto irrealistiche, saranno i figli stessi a diventare a loro volta vittime di violenza inaudita. Tale atto, comunque, non sempre si realizza in ambienti socialmente degradati o economicamente difficili. Il gesto estremo viene spesso compiuto, secondo alcune accreditate ricerche, perlopiù da madri scolarizzate e appartenenti ad un contesto sociale più o meno agiato. Le condizioni economiche precarie, di profonda emarginazione e di ignoranza totale oramai, non solo non “interessano” più al grande pubblico - sempre alla ricerca di emozioni forti e assetato di novità - ma non fanno più notizia e, soprattutto, non aumentano la tiratura di alcuni giornali ci si concentra su una 'normalità' che, però, 'normalità' non è mai. La cronaca nera, infatti, enfatizza e ha particolare predilezione per avvenimenti che scaturiscono da situazioni di “normalità”, fa colpo, attira l'attenzione del lettore, lo inchioda più facilmente su quelle pagine con notizie drammatiche: fa più notizia


gni nascita, comunque, può essere vissuta da alcune madri come un momento difficile, un ostacolo, una vera e propria tragedia esistenziale, un impedimento al proprio agire: può essere vissuta come una congiura, una potente “maledizione”. La piccola vittima - il più delle volte - non è mai desiderata o voluta; purtroppo, è capitata per leggerezza, immaturità e irresponsabilità. Alla base di questa azione diabolica spesso incontriamo madri con una dinamica relazionale e di convivenza difficile, con sentimenti contrastanti, legami complicati e conflittuali; una grande difficoltà emotiva a prendersi cura o di amare i propri figli: manifestare sentimenti (lo stato di 'salute' della mamma o delle sue reazioni è sempre in funzione dell'età della vittima). La madre, spesso, si sente impotente, frustrata, messa da parte, insicura, incapace di sviluppare efficaci, valide e mature relazioni con se stessa ed il bambino se non viene affiancata da esperti, supportata o aiutata da persone qualificate, sensibili e competenti, essendo già fragile, crolla, e con lei tutto quello che le sta attorno. Spesso terrorizzata - se non in un continuo stato di panico - al solo pensiero di non essere in grado di adempiere alle elementari funzioni materne, non riesce a soddisfare in maniera adeguata le proprie esigenze e quelle del piccolo; l'unico pensiero dominante in alcuni infanticidi, per quanto assurdo possa sembrare, è che solo la morte può evitare alla vittima il destino peggiore della morte stessa (vedasi stato depressivo). Solo in pochi casi esse si inseriscono in un chiaro contesto psicopatologico drammatico che testimonia gravi disturbi psicotici (psicosi reattiva post-partum). L'infanticidio non è un fenomeno raro - non appartiene esclusivamente a questo periodo storico - è sempre esistito in tutte le società e culture. La storia, infatti, ci tramanda racconti molto noti, brutali e inquietanti. 



er gli amanti della cultura classica non può certo sfuggire la tragedia di
Euripide; una madre (Medea) gelosa e vendicativa, uccide i suoi figli per rivalsa nei confronti del marito (Giasone) che l'aveva tradita e abbandonata. Si racconta, infatti, che Medea sopprime i figli come conseguenza del gesto abbandonico da parte di Giasone, che la ripudia per sposare Glauce. La donna annienta i propri figli con assoluta freddezza e determinazione, usandoli come arma per colpire il responsabile della sua solitudine, della sua inquietudine, del suo tormento e del suo profondo dolore. Un personaggio diabolico che colpisce brutalmente il più debole, lascia sgomenti perché si arroga il diritto del bene e del male, di vita o di morte, così come dà la vita la può anche togliere dal mito alla sindrome di Medea. 

Tornando a noi, non dobbiamo dimenticare che la nascita di un figlio, per alcune madri, è sempre una fase sociale e psicologica delicata e complessa, può essere vissuta con immensa gioia ma anche con inquietudine, smarrimento e disperazione senza via d'uscita; un grande calvario, una vita dove si concretizzano profonde paure, diffuse insoddisfazioni e infinite amarezze. 


uò essere il prodotto di un grande amore infinito, di una passione esagerata, di un desiderio intenso, ma anche di un vuoto immenso e di una profonda solitudine. Tale nascita può riattivare nella neo mamma relazioni, esperienze, ricordi, fantasmi emotivi e vissuti drammatici con le proprie figure di riferimento: ambiente familiare d'origine. E così la realtà attuale non viene più vista per quella che è, ma filtrata e deformata attraverso le proprie esperienze passate, i propri ricordi infantili (personalità, il proprio quadro clinico), attribuendole un significato minaccioso, crudele, di disgrazia, di tragedia o di sofferenza diffusa un malessere ingestibile ed interminabile. Il nucleo familiare, allora, non essendo più un “porto” sicuro e protettivo, diventa un luogo in cui si creano solo impegni, eccessive frustrazioni, infiniti doveri e troppe responsabilità. La maternità allora si scontra con la vera realtà, un'esperienza concreta che non ha niente a che fare con le fantasie e i raggiri del mondo economico, con quell'immagine fiabesca e pittoresca propinata dagli spot televisivi: brava madre, efficiente, saccente, preparata, alle prese con una attenta e sofisticata alimentazione “biologica”, un pannolino anallergico, unguenti miracolosi e profumati. Questa è una fase sociale che non solo richiede responsabilità e maturità ma, in alcuni casi, necessita di un supporto culturale valido e di un sostegno concreto. Riconoscere in anticipo i fattori di rischio e cogliere le varie richieste di aiuto con un certo anticipo non solo è fondamentale, ma doveroso per una corretta profilassi e cura prevenire e seguire attentamente sempre con mille occhi questo singolare momento sociale complesso e delicato. Bisogna tenere ben presente che, il più delle volte, tale evento non appare mai come un fulmine a ciel sereno; sono fenomeni che non arrivano all'improvviso, ma sono SEMPRE preceduti da pensieri strani, bizzarri e confusi: sia di autosoppressione sia di infanticidio. 


olti sono i segnali di cedimento e di pericolo: irrequietezze, confusione, aggressività, reazioni ingestibili, urla esagerate verso il piccolo, minacciarlo, strattonarlo, colpirlo ripetutamente con rabbia e con l'intento di fargli male, ignorarlo, allontanarsi da lui se piange o è in pericolo. Anche alcune idee psicotiche (delirio) possono essere preziosi segnali o utili indizi: non é mio figlio quello lì qualcuno vuole portarmelo via o fargli del male è l'incarnazione di un Santo o di un Demone. Queste persone, purtroppo, come per tutti i disagi emotivi, non avendo mai una chiara consapevolezza della loro sofferenza, non chiederanno per nessun motivo un aiuto diretto; se il sostegno verrà “supplicato”, lo chiederanno con un loro codice preciso, a volte in maniera sfumata e incomprensibile ... un aiuto che difficilmente troveranno in modo solerte e adeguato, in questa società fredda e assente, di “grande” e confusa civiltà, dei potenti G 7 e dei G 20, in questa globalizzazione senza identità. Un fenomeno, comunque, che vale per tutti i disagi emotivi, in quanto questi soggetti sono talmente confusi e disturbati che non si rendono conto della loro sofferenza, della loro esistenza condotta a stenti, fatta di vuoti e senza vitalità. Può anche essere difficile per i familiari ammettere a loro stessi o ad altri che i propri cari sono pericolosi, sono a rischio di un atto inconsulto, incontrollabile. 



a per quanto ardua possa essere la soluzione del problema, il pericolo è troppo grande per sottovalutarlo, per non ascoltarlo o, peggio ancora, chiudere gli occhi, girarsi dall'altra parte: ignorare importanti segnali d'allarme ... bisbigliati, mascherati, nascosti. Accertamenti e cure sono essenziali. In ogni caso il trattamento (anche TSO se necessario) è sempre rivolto a recuperare la speranza, la fiducia e la lucidità, ridare il piacere nelle piccole cose per affrontare il futuro autonomamente, la vita in maniera reale, più vantaggiosa e serena. Qualunque sia il problema è importane capire che la vita, in mezzo a tante difficoltà, può anche essere ricca di soddisfazioni  coraggio, nessuno è colpevole, cerchiamo aiuto e andiamo avanti!



a violenza, purtroppo, come abbiamo visto, non si ferma sulle strade principali delle grandi metropoli. Pare che un terzo degli omicidi avvenga all'interno del nucleo familiare. Un altro fenomeno raccapricciate e drammatico di violenza domestica è l'uxoricidio ovvero, traducendolo in un linguaggio più moderno, femminicidio: soppressione della “moglie”. Un delitto a sfondo passionale che distrugge l'oggetto principale del grande amore; la vittima designata diventa una preda e, nel contempo, proprietà esclusiva dell'altro: tu sei solo mia e se non lo vuoi essere non sarai di nessuno, hai capito bene, RICORDATELO!!! 


cenari sconcertanti messi in opera da soggetti violenti, crudeli e con un umore piuttosto ballerino: ex partner che negano o rifiutano di essere tali ... di non contare più, di passare in seconda posizione di essere stati messi fuori dal gioco amoroso. Ma è davvero amore? Io direi proprio di no. Per quanto ci si sforzi a comprendere questa “violenta passione”, non potrà mai essere considerata - in nessun caso - una relazione di buona qualità o il frutto di una 'sana' gelosia. Ma per capire meglio e mettere un po' di luce su questa complessa tragedia umana, dobbiamo partire da lontano ... da molto lontano. Orbene, non c'è dubbio che due persone non si scelgono mai a caso (vedasi l'articolo "la coppia che scoppia"). Ci sono ogni volta elementi inconsci che fanno sì che quei due soggetti si incontrino e, avvenga o non avvenga, il colpo di fulmine, si innamorino e si mettano insieme formino un focolare più o meno caloroso (un incontro 'criminale' come amava definirlo Baudelaire). E' vero, infatti, che gli opposti si attraggono, specialmente nella giostra dell'amore: molti scelgono un partner dalle caratteristiche comportamentali diverse e complementari alle proprie, e poi magari litigano una vita intera per l'incapacità di tollerare quelle differenze che, all'inizio dei giochi, avevano stimolato l'attrazione e fatto apprezzare quell'amore, già nelle prime fasi difettoso, se non “folle”


el rapporto complementare - soggetti che presentano tratti psicologici diversi - si parte già con il piede sbagliato: il tutto si regge non sull'autonomia e la libertà individuale, ma su una forma di dipendenza patologica si ha bisogno dell'altro per completarsi non si è mai in grado di scegliere e decidere liberamente. Dentro ciascuno di noi ci sono delle immagini, delle credenze, delle valenze che ci spingono verso una persona anziché verso un'altra: si trova nell'altro ciò di cui si è carenti. E' fin troppo banale e facile risalire - sempre restando saldamente con i piedi per terra - a quei rapporti che il piccolo ebbe con le proprie figure di riferimento: il bambino con la mamma e la bambina con il babbo, cioè a quel famoso e tanto criticato triangolo relazionale chiamato complesso di edipo, dove si formò quella scintilla che poi farà scattare il desiderio, la passione 'adulta' verso l'altro quelle profonde radici psicologiche infantili, prodotte dall'esperienza diretta con l'altro, che faranno il bello o il cattivo tempo nei futuri rapporti ... relazione affettiva e amorosa sana o malata; antichi conflitti che il soggetto proietterà successivamente, sulle situazioni attuali e che gli impediranno di affrontarle con sicurezza, piacere, gratificazione affettiva. I modi di reagire da adulti, di reagire alla vita, sono sempre il prodotto delle nostre esperienze precoci, delle nostre relazioni con gli altri; del “ruolo primario” con la figura di accudimento, spesso, tutt'altro che felice. Alcuni frequentemente hanno alle spalle una storia infantile di invadenza, di privazione, di delusione, di svalutazione o di abusi psicologici esperienze che sconvolgeranno relazioni e influenzeranno i vari comportamenti futuri in maniera indelebile per tutta la vita.

ATTENZIONE, però, anche certi atteggiamenti cone un eccessivo permissivismo, troppa disponibilità o esagerata attenzione possono nuocere, fare dei seri danni, ostacolare il libero movimento del fanciullo e renderlo fragile, timoroso e insicuro. 



aria era una mamma molto insicura e apprensiva verso il figlio Giulio: guai giocare a pallone perché si suda e si prende il raffreddore, ci si ammala; imparare ad andare il bicicletta non se ne parla proprio perchè può cadere e rompersi una gamba (Giulio ha imparato ad andare in biciletta a tredici anni, vestito da 'palombaro' con la tuta antigraffio in agosto); non può frequentare gli amichetti, perchè sono tutti maleducati, aggressivi e violenti possono influenzarlo e portarlo sulla cattiva strada. Doveva mangiare, per educazione e rispetto, alla stessa ora e sempre le stesse cose. Ora Giulio ha venticinque anni con una depressione importante, si trova solo, in compagnia di sconfitte e fallimenti ... isolato completamente dal mondo reale sociale affettivo e scolasticoha paura della gente non è riuscito a sviluppare in maniera naturale le sue difese “immunitarie”. 


essuno potrà mai ridargli quello che ha perso. Mi dispiace Giulio … per non aver potuto fare di più. Ogni cucciolo, all'inizio, è sempre in uno stato esistenziale di dipendenza, di prematurità fisiologica, nasce con un equipaggiamento insufficiente per adattarsi attivamente all'ambiente (neotenia) ... questo ruolo è ricoperto, nei primi anni, dall'ambiente familiare del fanciullo. Se le figure di riferimento da cui dipende sono persone inaffidabili o male intenzionate, può soltanto scegliere se accettare quella realtà, e vivere in una cronica paura, oppure negarla; rimuovere il tutto con rabbia e ostilità, convincersi che la fonte di infelicità dipende “solo da lui” un senso di vuoto di cui non si ha nessuna consapevolezza, non si conosce l'origine; ecco perchè quando soffriamo non riusciamo a capire i motivi, le ragioni del malessere in atto. Un attaccamento iniziale “corretto”, attento e rispettoso, invece, attiverà e svilupperà nel fanciullo immagini, previsioni e aspettative positive non solo per quanto riguarda la soddisfazione dei suoi bisogni infantili, delle sue reali esigenze e necessità fisiche, ma saranno fondamentali anche per la sua sicurezza, autostima, serenità e fiducia nei confronti della madre e del mondo in generale (del femminile, del maschile ... della vita). Stili di vita e schemi mentali che verranno poi utilizzati nella scelta del partner, nella relazione amorosa futura: lavorativa, scolastica ... una 'perfetta' riproduzione - con l'aggiunta di un pò del nostro - dei primi rapporti infantili. La mancanza della fiducia di base, associata all'assenza di esperienze di amore con la figura materna o paterna, ha gravi implicazioni non soltanto per chi avrà un destino patologico, ma influenzerà tutti indistintamente ognuno di noi, chi più chi meno, si sentirà bloccato nel conoscere i segreti della vita, svilupperà inconsapevolmente il germe di quel rapporto difficile e malato sarà sempre sospettoso, diffidente, insicuro, titubante verso se stesso e gli altri. Il fatto di non essere stati amati e accettati per quello che si era realmente predispone ad una ferita narcisistica profonda, a un dolore intollerabile e spesso incolmabile. 


ueste ben note dinamiche relazionali creano nel piccolo il sentimento diffuso di essere cattivo, di essere difettoso, di non meritare nulla, si sente responsabile di aver allontanato una persona indispensabile ed 'affettuosa' e, quindi, di doversi impegnare con tutte le forze per evitare che la propria rabbia e ostilità provochi in futuro altri abbandoni, altri dolori il rischio è grosso e, quindi, molti - a loro insaputa - rinunceranno a vivere in maniera libera, spontanea ed autonoma. Fenomeno ben conosciuto di chi si occupa del disagio emotivo depressivo e che si riscontra, soprattutto, in quei soggetti che rimangono con un compagno violento, impulsivo e instabile, ritenendo che, se solo si comportassero in maniera “diversa”, se fossero migliori o più buoni, il partner cambierebbe, smetterebbe di maltrattarli di sopprimerli un'assurda convinzione, una eredità emotiva infantile che domina completamente la mente adulta. Ricordo perfettamente i racconti, il modo di pensare e i sensi di colpa di Teresa - in terapia per importanti tratti depressivi - quando il marito tornava a casa di notte ubriaco: “Sa dottore, se non passassi tutto quel tempo con il piccolo, fossi più attenta ai suoi desideri, più servizievole e disponibile alle sue richieste forse smetterebbe di bere, sarebbe meno violento nei miei confronti, più affettuoso chissà ... anche a lei il dubbio era rimasto! Consapevolezza, comunque, importante per iniziare un vero cambiamento emotivo. Un modo di pensare ed agire davvero drammatico e pericoloso che fa cambiare le carte in tavola: la vittima diventa il carnefice, responsabile del comportamento aggressivo e violento del partner davvero una bella beffa del rimosso; un atteggiamento che ostacola lo spazio di libero movimento, manda in frantumi l'autostima e annulla l'identità. 


ra Teresa sta bene e vive con Dario, suo figlio ormai grande ha incontrato un'altra persona: ama senza aspettarsi ricompense, sa quello che vuole e si fa rispettare. Individuando un suo percorso sano e consapevole è riuscita a smantellare quel circolo vizioso perverso e pericoloso ... da quel “chissà” ha cominciato a riflettere, a pensare solo a lei e al piccolo; finalmente ha scelto di vivere: si è seduta al posto di guida ... di vero comando. ATTENZIONE, però, non si cerca un capro espiatorio, non possiamo considerare colpevole qualcuno di certi fallimenti emotivi: non c'è colpa ... è stato ripetuto solo il grande copione della vita, oggi a me domani a te. Forse quella figura di riferimento non è stata preparata alla cooperazione; forse è stata oppressa e infelice nella sua vita infantile e poi in quella coniugale: è confusa e tormentata dalla sua situazione ... a volte inciampa nella disperazione e cade nello sconforto.

Questo, comunque, non deve MAI avallare, giustificare ogni azione umana, ma far riflettere sulla natura complessa del disagio emotivo, in modo tale che ognuno di noi, in base alle proprie risorse, competenze e capacità, possa tendere una mano a chi ne ha più bisogno.

Chi è lesivo in maniera così crudele verso gli altri non può beneficiare della 'condizionale' ... di attenuanti di “pena!!!; guai agire per rivalsa o per vendetta, ma per aiutarlo a trovare una sua dimensione, salvaguardare la sua vita, quella degli altri e, soprattutto, il “futuro”: quello dei figli. 

Il femminicidio non deve mai essere spiegato, né tanto meno scusato, come la conseguenza di un disagio mentale. La maggior parte degli episodi di violenza e delle aggressioni, più o meno riuscite, è finalizzata ha un preciso obiettivo: quello di vendetta, di annullare l'altro, di assumere un ruolo sociale o sessuale dominante, di essere superiore imporre il “grande“ potere maschile cercare di rimediare a quella famosa ed invalidante ferita narcisistica. E' un fenomeno complesso, difficile da arginare e prevenire perché, spesso, la vittima designata è scelta con cura, attraverso meccanismi relazionali perversi ... si trova in una posizione di svantaggio. Sono persone, spesso, con forti sensi di colpa e con grandi aspettative, che si lasciano facilmente influenzare; rimangono - nonostante l'evidente brutalità - con un partner violento e impulsivo (vedasi Teresa). Il birbaccione, comunque, non è sempre facile da individuare perché, all'inizio, appare disponibile, premuroso, comprensivo, altruista, apparentemente ben intenzionato: un lupo mimetizzato da agnello. 


i sono molte avvisaglie utili per riconoscere se si corrono dei rischi o pericoli con il proprio partner. La cosa più evidente è che il carnefice tende, nel nome del rapporto, ad annullare e schiacciare lentamente la personalità del partner … sa sempre tutto e cosa fare per il benessere dell'altro. Urlare, nullificare, minacciare, mortificare, offendere, rompere il mobilio sono tutti comportamenti distruttivi, mai isolati sempre segnali di inaudita violenza. Quella rabbia che il bambino ha dovuto, a suo tempo, rimuovere per sopravvivere, si è evoluta: è 'ritornata' e proiettata con la forza di un adulto. Un soggetto sempre in guardia, attento a non farsi controllare, dominare pronto ad aggredire per non ripetere quella famosa sofferenza infantile di frustrazione, violenza e sottomissione fenomeno troppo doloroso per riviverlo ... uno stile di vita orientato alla competizione, impostato a dominare, vincere e superare gli altri. Questo fine è il risultato dell'educazione ricevuta nella prima infanzia, di messaggi contraddittori, delle rivalità e delle lotte competitive di figli che non si sono mai sentiti parte integrante della loro famiglia sentiti in una vera casa casa con tanto di focolare. Possiamo liberarci di questi svantaggi soltanto attraverso una sana educazione; aggiungendo al tutto 'ingredienti' genuini e legami di buona qualità basati sul contatto, ascolto, sostegno, attenzione, fiducia e accettazione dell'altromai un'eccessiva permissività, ma un'attenta e affettuosa fermezza. All'inizio del nostro viaggio esistenziale non vogliamo poi molto: essere considerati, rispettati e accettati per quello che siamo e non per quello si vorrebbe che fossimo. Se vogliamo fare del bene e rendere felici i nostri figli dobbiamo fare solo una cosa: occuparci veramente e seriamente di loro  

osservarli e comprenderli in modo tale che possano trovare la loro strada, la loro vera unicità, ovvero, stimolare la conoscenza ... favorire ogni slancio libero e autonomo, ma sempre nel rispetto della  persona, delle regole e dell'altro.


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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un valore educativo, non prescrittivo.


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