lunedì 30 gennaio 2017

Turbe dell'apparato digerente ....


                       
Turbe  dell’ Apparato  Digerente   e la sua chiave di lettura


l cibo è vitale per l’organismo, ne è la fonte di energia; ma per poter essere utilizzato dalle cellule ha bisogno di venire decomposto in piccole molecole tramite la digestione. Gli organi che sono deputati a questi processi formano l’apparato digerente. Per qualsiasi animale il “boccone” è realmente il cibo, la preda, che gli serve per sfamarsi e sopravvivere; ma per l’uomo, oltre ad un significato reale, esso può assumere un linguaggio simbolico quale un oggetto desiderato che sfugge di mano, la casa che non si riesce a trovare, i soldi per arrivare a fine mese, la reputazione sul lavoro, così via (… i “bocconi amari” in qualche modo sono sempre presenti). L’essere umano, in realtà, non manda giù soltanto il pane, egli inghiottisce anche un’umiliazione, la delusione per la sua mancata promozione, una perdita finanziaria, una colpa. 


tranamente, lo stomaco si comporta come se dovesse realmente digerire tutto ciò, come se stesse di fronte all’ingestione di un pasto. Produce il suo acido gastrico, che in questo caso è un acido non  necessario, il quale col tempo può attaccare la sua mucosa (ulcera gastrica e duodenale). In pratica, “lo stomaco mangia se stesso”. Chi soffre di stomaco si riconosce subito già dal suo aspetto esteriore. Egli difficilmente è grasso, mai corpulento, slanciato; il più delle volte è sottile, pallido. E’ una persona che prende (troppo) sul serio le cose della vita (… anche i dettagli). E’ nervoso, sensibile, facilmente irritabile. Si preoccupa dentro di sé, si dedica al lavoro più degli altri, cerca successo, affermazione e riconoscimento. Se molti presentano questi tratti in comune, esistono però delle eccezioni, delle personalità atipiche che esulano da questo schema. Per comprendere esattamente questa affezione è necessario fare un passo indietro: immedesimarsi nella sfera di esperienza del lattante.  Le basi per tale disturbo, infatti, risalgono  alla prima fanciullezza. L’essere nutrito significa per il lattante più dell’essere saziato. E’ il primo “possesso” che egli incorpora in se stesso. Il problema del “possesso” è dunque inizialmente accoppiato all’assunzione di cibo e resta misteriosamente la stessa cosa anche nella vita adulta. L’acquisizione del “possesso”, nel suo significato più ampio, crea una soddisfazione così profonda come la prova il lattante quando si è riempito di latte.


on il fatto di essere nutrito, il lattante sperimenta nel contempo anche un senso di protezione, cura nei suoi confronti, amorevoli attenzioni. In lui, dunque, anche la fame viene placata in base all’amore. E questo rapporto (oltre ad essere le fondamenta) continua ad esistere anche nella vita futura. Il lattante che è privato del suo “possesso”, che riceve troppo poco nutrimento, che prova troppo poco amore, griderà, morderà, si agiterà. In futuro questo “mettersi in guardia” assumerà altre forme:  potrà essere inibito nel settore cibo – sessualità – possesso. Ciò che non ha ricevuto in età evolutiva, vuole ora ottenerlo mediante una superattività, una particolare prestazione, con un intenso impegno nella vita. Le sconfitte lo colpiscono più duramente che gli altri. Egli se ne ammala nel più vero senso della parola e il fatto che il punto in cui si ripercuotono tali differenze sia l’organo della digestione appare del tutto logico, secondo tali idee – modello, schemi mentali, ecc. (è determinante l’atteggiamento psichico).


a ricerca psicosomatica, comunque, ha ampiamente dimostrato la natura alquanto specifica delle emozioni che svolgono un ruolo significativo nello sviluppo dei disturbi gastrointestinali e alimentari. Esse, infatti, sono accentrate soprattutto sul desiderio di sicurezza e di protezione. Oltre al comportamento alimentare, anche il sistema digestivo è estremamente adatto a riflettere somaticamente problemi di sicurezza e di protezione; il cibo rappresenta la forma primaria di “possesso” per assicurare l’esistenza, mentre la digestione è la prima di tutte le forme di “gestione” e di utilizzo di una cosa acquisita. Con lo sviluppo della personalità, con la maturazione delle qualità fisiche ed emotive e l’emergere della consapevolezza, queste tendenze di base si evolvono in maniera estremamente complessa: l’espiazione può venire espressa dal rifiuto di mangiare, la colpa o la ribellione dal vomito. Il legame tra l’amore e il cibo è presente, come già accennato,  fin dalla nascita, quando succhiare il latte è associato al calore del corpo materno, al sentirsi abbracciati, sorretti (… si succhia insieme al latte le emozioni e gli stati d’animo della madre: accettazione, rifiuto, disponibilità, ecc.). Quando il rapporto si sviluppa in un modo non completamente amorevole possono nascere associazioni dolorose tra il nutrimento e la paura o addirittura la sensazione di non essere  accettato.

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Colite


ermine generale che definisce tutti i disturbi del Colon caratterizzati da una infiammazione (si parla di enterocolite quando viene coinvolto l’intestino tenue); essi comportano forti diarree.
La maggior parte dei disturbi funzionali che coinvolgono l’apparato digerente accompagnano, solitamente, un malessere depressivo, delle delusioni e, il più delle volte, un’insoddisfazione cronica. Essi esprimono un sentimento di orizzonte chiuso, una chiara mancanza di speranza. Manifestano sovente anche una chiara preoccupazione ai confini con l’ipocondria: l’interno del corpo è vissuto come un qualcosa di “sbagliato” o, peggio ancora, di cattivo.
I soggetti che ne soffrono hanno spesso idee particolari su un regime di vita naturale e sul problema della defecazione e della digestione. Si tratta molto spesso di soggetti con personalità non uniforme ma tendenzialmente con  struttura dominante  compulsiva – ossessiva, con forti componenti masochistiche e tendenza depressiva.  Alcune ricerche hanno dimostrato che quando questo fenomeno si manifesta nel bambino ci si trova di fronte ad un rapporto con l’adulto disturbato: teme terribilmente la sua reazione. La paura si mescola al sentimento di collera,  tutto ciò porta, inevitabilmente, in quanto non ha la possibilità di potersi esprimere direttamente, a detestare la persona di cui si ha paura. Nell’adulto questa persona (… di cui aveva paura) viene sostituita con un individuo che rappresenta l’autorità (... partner, datore di lavoro, ecc.). Nel trattamento di questi disturbi si è dimostrato abbastanza soddisfacente il regime alimentare; quando questo è associato alla psicoterapia di sostegno e con metodiche distensive, la percentuale di successo appare assai più elevata. E’ particolarmente importante che l’individuo iperattivo impari che è possibile avere una vita attiva anche in uno stato di rilassamento. Il realtà si cercherà di alleviare il dolore e favorire la reintegrazione sociale.

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Stipsi (costipazione)


intestino crasso (Colon) svolge un ruolo di netturbino, di evacuatore. Trasporta e permette di eliminare le materie organiche che abbiamo ingerito e che non sono state assimilate. In tal modo evita all’organismo di intasarsi, di incrostarsi, di giungere a saturazione e, di conseguenza, di soffocare, di intossicarsi. E’ qui che si accumulano i residui del bolo alimentare. Il Colon è dunque il luogo in cui si svolge l’attività organica tra l’assimilazione e l’eliminazione. Esso ha dunque la capacità di eliminare ciò che è inutile. L’intestino crasso (Colon) contribuisce quindi ad una buona “respirazione” del corpo. Questo disturbo cronico (stipsi) si manifesta solitamente in soggetti con ansia e depressione che, nonostante l’apparente tranquillità, sono interiormente particolarmente tesi, abbattuti e hanno notevoli difficoltà nei rapporti interpersonali. A volte è collegata al fatto di trattenersi. Non ci esprimiamo per paura di disturbare, per paura di deludere, per paura di non piacere a qualcuno. Si potrebbe schematizzare il tutto con la frase: “Se faccio questa cosa e loro non sono d’accordo, forse mi criticheranno oppure, peggio, potrebbero rimproverarmi”. La paura di dispiacere a qualcuno è direttamente collegata alla paura di non essere amato, di venir abbandonato, per questo chiediamo a noi stessi di essere perfetti. La stipsi, quindi, può anche indicare che ci teniamo aggrappati a credenze che ci danno sicurezza.


n realtà, le tensioni e le sofferenze del Colon indicano che tratteniamo le cose, che impediamo loro di partire. Paura di fallire, di sbagliare, eccessiva riservatezza (timidezza) o di rifiuto di lasciar andare, di allentare, si manifestano mediante disturbi del Colon (costipazione, dolori, meteorismo, flatulenza, ecc.). Le malattie del Colon ci parlano anche della difficoltà a “cicatrizzare”, a dimenticare le esperienze negative, e l’acidità segnalerà spesso la presenza supplementare di una collera repressa e trattenuta. Poiché serve a eliminare, ad espellere quanto abbiamo ingerito (alimenti) e che non abbiamo assimilato, il Colon serve altresì a scaricare, a respingere le esperienze che non abbiamo ingerito (vissuto) e che non abbiamo accettato. Nel trattamento la dieta e l’educazione possono dare risultati molto buoni. Anche la terapia ipnotica si è dimostrata molto utile nel trattamento della stipsi cronica: soprattutto rende il paziente capace di “lasciarsi andare” e di adottare un atteggiamento più accomodante. I colloqui psicoterapeutici, inoltre, orientati al sintomo, danno a lungo termini buoni risultati.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un  valore educativo, non prescrittivo.

Panico ... i segreti per farcela



Panico …  i segreti per farcela
                
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n po’ di storia. La parola panico viene dalla mitologia greca e più precisamente dal Dio Pan. Egli è una divinità molto antica dell’ Arcadia (regione della Grecia). Protettore delle greggi e dei pastori. E’ talmente brutto che sua madre, dopo la nascita, ne è così spaventata che fugge terrorizzata. Il padre Ermes (Dio della comunicazione), allora, lo prende affettuosamente e, avvolgendolo in una pelle di lepre, lo presenta agli altri dei che non appena lo vedono si danno, con contegno irrispettoso, a grandi risate. Questo Dio si presenta con un corpo villoso, naso schiacciato, capelli lunghissimi ed incolti, gambe, piedi, corna, orecchie e barba di caprone… e, come  se non bastasse, una enorme coda. Il suo aspetto incarna l’esuberante vitalità della natura, ma sicuramente simboleggia anche la sessualità brutale inesauribile e tutti gli istinti selvaggi. Abita monti e luoghi aspri, grotte e caverne. Frequenta solitamente le fonti dove si diletta per ore ed ore a suonare col suo virtuosissimo flauto. Nonostante l’aspetto, è una divinità vigorosa e giocosa: l’allegro compagno delle ninfe (Syrinx, Pitis, Eco e Eupheme) che danzano continuamente alla musica del suo prezioso flauto, innamorato ma respinto per la sua bruttezza (solo dopo varie peripezie avrà, finalmente, una vera e propria relazione con la ninfa Eupheme – eufemismo – da cui avrà un figlio: Critos).


olitamente amava riposare nelle prime ore del pomeriggio e, se molestato, lanciava un grido spaventoso che incuteva il “terrore panico”. Ai profanatori che lo scoprivano nel sonno portava una paura distruttrice e immobilizzante. In breve, ha la forza di far nascere il panico irrazionale non solo negli esseri umani ma anche negli animali, che si divertiva a sorprenderli in luoghi completamente deserti. Nell’antica Grecia il suo culto era molto diffuso; non esprimeva, comunque, nessun valore morale e sociale ma personificava semplicemente l’istinto. L’istinto, infatti, aspetto naturale ma soprattutto oscuro, evita con “astuzia” il controllo della volontà così come si verifica nell’episodio panico da cui la persona, paradossalmente, vuole sfuggire attraverso i rituali di evitamento… è l’istinto, quindi, che si oppone con rabbia ad una vita condotta in una direzione sbagliata. Il panico avrebbe questo senso: l’episodio devastante è la rivolta dell’istinto, che si diffonde in modo drammatico in tutta la persona quando essa non ascolta le proprie esigenze i propri desideri, quindi non è in grado, a volte non consapevole, di scegliere autonomamente la propria strada.



l ritratto: la persona a rischio di DAP solitamente si presenta in modo impeccabile e, a suo dire, perfetto. E’ convinto di non sbagliare mai, segue e si fida esclusivamente delle sue stesse convinzioni. Appare sempre sicuro di sé e, stranamente, sa sempre quello che desidera, deve e può fare. Si dimostra intollerante verso chi fa errori o chi trasgredisce le regole. Ma soprattutto diventa polemico verso coloro che la pensano diversamente.


on sa mettersi in seconda posizione … è sempre lui che conduce il gioco e tiene tutto sotto controllo, un individuo insomma tutto di un” pezzo”…non cede mai. In realtà, purtroppo, è un gigante d’argilla: risulta particolarmente dipendente e fragile, necessita di tante rassicurazioni per continuare il suo ruolo (compensatorio) rigido ed inflessibile.


he cos’è
… i sintomi.
La situazione panica è una esagerazione della normale reazione del corpo alla paura. I suoi effetti sul corpo e sulla mente sono devastanti. L’adrenalina – ormone secreto dalle ghiandole surrenali, che agisce sulla circolazione, la respirazione e il metabolismo – che viene normalmente prodotta quando è necessario agire, immessa nel circolo sanguigno in eccesso, determina un insieme di sensazioni sgradevoli ed un intollerabile livello di paura e di continua “attesa”. Di solito questo disagio si manifesta con un’improvvisa esplosione di intensa apprensione, paura e terrore. Il Disturbo di Attacchi di Panico (DAP: chiamato familiarmente dagli esperti) sorge in modo inaspettato, spesso senza che sia possibile individuare eventi scatenanti, raggiungendo la tensione massima nel giro di pochi minuti. A dire il vero la paura non è affatto immotivata e senza senso ma deriva da ragionamenti precisi (esagerati e assolutizzati) che trasformano situazioni apparentemente innocue, per la maggior parte degli individui, in fenomeno estremamente pericoloso per la persona stessa. Tale manifestazione, solitamente, si esaurisce del tutto in mezz’ora circa, ma a volte la sua intensità rende la persona senza forze anche per interi giorni. Chi ne è colpito accusa forti palpitazioni, tachicardia, vertigini, tremori a piccole o grandi scosse, sudorazione eccessiva, parestesie (formicolii alle mani e ai piedi) paura di perdere il controllo, di impazzire, alterazione della nozione del tempo, di irrealtà, diarrea, senso di svenimento, irritabilità, incapacità di controllare l’eloquio, atti incontrollati, dispnea, fame d’aria con sensazione di soffocamento che prende il petto.


i ha l’impressione vivida di non riuscire a respirare e, quindi, la paura di morire. La paura sicuramente, è bene ricordare, ha un significato positivo per l’essere umano, in quanto l’aiuta a prevenire e a fronteggiare i pericoli esterni, mentre l’attacco di panico non è scatenato da un pericolo oggettivo, reale e circostante, ma da un pericolo interno, quindi non protegge, ma limita, blocca: per la paura di morire ci “costringiamo” a non vivere. In realtà, come già accennato, non sono, certamente, gli eventi esterni a scatenare episodi di paura, ma quello che si pensa di essi, in particolar modo le valutazioni fatte circa l’eventuale capacità di saperli fronteggiare (ansia anticipatoria). La reazione di paura, quindi, è dovuta a processi cognitivi di valutazione e anticipazione degli eventi che accompagnano costantemente e guidano il comportamento.

In un istante il cuore prende a battere forte, all’improvviso travolge corpo e mente
la testa gira, le braccia formicolano, dominano i sudori freddi. Manca l’aria, sembra di soffocare. E’ una sensazione drammatica, violenta… in quei momenti pare di impazzire; come se si stesse perdendo completamente il controllo, ma la cosa più drammatica è che resta la paura che da un momento all’altro possa succedere di nuovo … possa nuovamente verificarsi l’episodio invalidante; dopo il ripetersi dei primi attacchi si comincia a vivere costantemente nell’attesa ansiosa di un altro eventuale attacco. Si tenderà, quindi, ad evitare (e selezionare) tutti  i luoghi e le situazioni  in cui si è sperimentato il primo attacco (evitamento fobico).


n molti casi si sviluppa preoccupazione per la propria salute e il terrore di avere gravi malattie (ipocondria). Spesso, inoltre, è esplicita la richiesta di aiuto e contemporaneamente una forte dipendenza da un’altra persona che diviene l’inseparabile accompagnatore del soggetto che teme di uscire da solo (il fatto è particolarmente curioso in quanto frequentemente l’accompagnatore scelto non ha strumenti terapeutici o particolari conoscenze per intervenire nel caso si verifichi un attacco). Il DAP è imprevedibile, coglie all’improvviso e distrugge in un attimo tutte le certezze e le abitudini, gettando la persona in un profondo ed infernale abisso… a livello analogico, può essere interpretato come un grande segnale  di pericolo: indica che la vita è stata spinta in un binario “morto”, sbagliato o che si sta viaggiando  “contromano” nel percorso della nostra esistenza (magari una vita sentimentale non del tutto soddisfacente e appagante).


Cosa fare … ipotesi di intervento. Le persone con DAP necessitano spesso – soprattutto coloro che presentano disturbi di personalità – di una combinazione di terapia farmacologia e di psicoterapia. Tuttavia, alcuni dati particolarmente curiosi su questo malessere riguardano le percentuali piuttosto alte di risposta al placebo. Dopo la somministrazione del placebo si è riscontrato un grande miglioramento suggerendo, quindi, l’influenza psicologica in tale malessere, grazie proprio a questa sostanza, oppure la sicurezza può derivare dalla certezza di avere in tasca un Xanax (ansiolitico).


oiché in queste persone l’esame di realtà è completamente conservato, tranne naturalmente nell’episodio acuto, e sono in grado di sviluppare un buon rapporto terapeutico, di consapevolezza e di rielaborazione delle problematiche di fondo è possibile applicare una terapia ad orientamento psicosomatico, psicodinamico oppure cognitivo – comportamentale. L’intervento terapeutico, comunque, verrà sempre attivato dopo la codificazione della diagnosi specifica nell’ambito del quale si manifesta il DAP ( Agorafobia, Claustrofobia, ecc.).
Durante una crisi improvvisa è importante: inalare poca aria, rallentare il ritmo respiratorio e respirare in modo superficiale;
parlarne (cercare un aiuto non è un segno di debolezza) con un'altra persona  (preferibilmente esperta): comunicando ciò che si prova è possibile essere realmente informati su ciò che fisiologicamente accade nell’organismo durante uno di questi attacchi.

Alcune metodiche terapeutiche come ad esempio il massaggio (psicosomatico) può aiutare a rilasciare ed equilibrare le tensioni del corpo. Ridurre, quindi, ansia e tensione permetterà di mantenere il corpo perfettamente rilassato. Anche l’ipnosi può produrre una risposta particolarmente positiva a breve termine. Può essere indubbiamente d’aiuto durante il lavoro sui vari aspetti profondi del disturbo: il contributo maggiore deriva dal fatto che attraverso questo metodo si impara a gestire, in modo autonomo, ansia e attacchi di panico. Usando questa ed altre tecniche di gestione (ad orientamento olistico) non solo si sarà in grado di conoscere e comprendere i vari meccanismi sottostanti ma anche di controllare e prevenire il ritorno del disturbo.



Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
 E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un  valore educativo, non prescrittivo.


sabato 28 gennaio 2017

Sessualità … un mondo di gioia e di dolore


Sessualità    un mondo  di gioia e di dolore

er alcuni orientamenti scientifici la sessualità viene descritta come una potente energia vitale e multiforme, che accompagna l’essere umano per tutto l’arco della sua vita: dall’infanzia alla vecchiaia. Questo “vigore” psicofisico, in realtà, non solo ha le sue radici nell’istinto, ma è anche connesso al mondo delle emozioni, delle sensazioni corporee, dell’aggressività, degli effetti e delle fantasie.  L’uomo ha, al pari degli animali, numerosi “impulsi” radicati nella sua organizzazione somatica; tra questi ricordiamo i più importanti e pressanti come la fame, la sete e la sessualità. L’obiettivo di questi “impulsi” fisiologici è l’eliminazione delle tensioni che provengono dalle fonti somatiche e specialmente da quelle chimiche endogene. In ultima analisi, queste caratteristiche fisiologiche sono ciò che generalmente consente sia agli uomini sia agli animali di vivere, vale a dire di porsi in relazione con l’ambiente in modo da soddisfare i suoi bisogni. 

er l’uomo, al contrario di quanto avviene per gli animali, il “come” di questa relazione non è stabilito. La sola condizione che è comune a tutti gli uomini relativamente a questo “come” è che essi possono produrre solamente in quanto essere sociali; vale a dire che non solo la soddisfazione della sessualità, ma anche quella di tutti i bisogni indispensabili alla vite richiede che l’uomo entri in rapporti sociali con altri uomini. A volte accade che l’individuo deve rinunciare, vivendo insieme agli altri in società, alla soddisfazione di certi impulsi a favore dell’intera comunità.  La sessualità dunque non è solo un fenomeno biologico, non è solo sesso, soprattutto se per sesso si intende esclusivamente l’attività sessuale adulta. In questi termini, la sessualità evoca un qualche cosa di naturale, di istintivo e, quindi, di “immodificabile”. In ogni società la sfera sessuale è stata condizionata da dispositivi di esortazione e di interdizione. Tuttavia, i codici che presiedono alla definizione delle legittimità o meno variano decisamente a seconda del periodo storico con cui si fa riferimento (… la sessualità è condizionata da principi che regolano la vita sociale e culturale… un comportamento “trasgressivo” in un certo contesto culturale può rientrare perfettamente nella norma in riferimento ad altre situazioni culturali). Nella Grecia classica, ad esempio, i rapporti di omofilia tra maschi adulti e adolescenti erano considerati, dal punto di vista sociale, indispensabili per introdurre la nuova generazione in un diverso ceto e ruolo sociale. Lo stesso comportamento sarà considerato, dalla morale cristiana, peccato della carne; successivamente la medicina positivista non scherzava e lo inserisce in un quadro clinico patologico (malattia)

iò che appare, quindi, non è tanto il sistema di regole e di proibizioni quanto le necessità di imporre, di stabilire e far valere, in ambito sessuale, un controllo normativo. Questo controllo può essere di matrice sociale, per promuovere condotte “legittime” e a reprimere comportamenti “trasgressivi”, in modo particolare quelli che, per la loro visibilità pubblica, degenerano in turbamento della coscienza. Si tratta, in ogni caso, di favorire l’integrazione della sessualità in una identità socialmente accettata e culturalmente valorizzata. Per concludere questa breve esposizione storica, possiamo affermare che una visione storica della sessualità non può prescindere dal considerare gli ambiti di intervento e dal riconoscere che sono differenti, pur con molte commistioni, gli agenti sociali che li hanno concretamente realizzati. Dalla parte delle coercizioni troviamo: legislatori, giudici, poliziotti, ma anche altre figure professionali quali medici e psichiatri. Da quella dell’esortazione: sacerdoti, moralisti, insegnanti e, più recentemente, psicoanalisti e sessuologi. In una zona intermedia la famiglia, delegata tanto al contenimento delle azioni quanto alla sorveglianza delle istituzioni e alla prevenzione delle inclinazioni. Questi operatori hanno elaborato, ciascuno nella propria sfera d’azione di competenza, discorsi specialistici di grande efficacia. Nel primo caso si tratterà di codici civili e penali, di norme giuridiche, di prescrizioni sanitarie. Nel secondo di una precettistica morale, religiosa, psicologica e pedagogica (… a volte più che  un grande sapere, che giustifica la ricerca della verità, era una strategia di potere). Attraverso questo controllo, l’energia sessuale viene sublimata, sottratta al corpo e alla gestione individuale e orientata con ingiunzioni esplicite o implicite, verso fini collettivi e risultati socialmente utili (… dovrebbe). Nonostante questi “interventi”, comunque, la sessualità rimane, per certi aspetti, un ambito privato di intimità, una sorgente segreta di desiderio e di piacere, una produzione personalissima di fantasia e di sogni. 


oiché la sessualità concorre in grande misura alla definizione di sé (… identità personale: garanzia di potersi sentire donna o uomo) dei legami familiari e dei rapporti sociali è, difficile che la cultura (… potere) non cerchi di condizionarla attraverso controlli più o meno espliciti, affidati prioritariamente all’istituzione familiare e scolastica. Oggi il “controllo” della sessualità non è più un grosso problema, con la generale propensione al consumo anche la sessualità si è resa disponibile per forme e per consumo. Oggi esiste il consumo sessuale proprio come esiste quello dell’alcol, della droga, delle sigarette, ecc. Questa liberazione della sessualità nella società dei consumi diviene un’occasione per la manipolazione del tempo libero, non diversamente da come è oggi manipolato tutto il tempo libero della gente. L’uomo di oggi crede di poter disporre liberamente del suo tempo libero, di poter fare ciò che vuole; ma in realtà non si rende conto di essere bombardato da innumerevoli messaggi che lo vogliono persuadere: “questo buono”,  “questo è bello”, “fa questo”, “questo te lo puoi permettere”, “questo ti fa bene” e via dicendo. La sessualità è compresa tra questi. A volte l’uomo contemporaneo è un po’ confuso, ha la coscienza della libertà, ma in realtà, il più delle volte, è soggetto a ogni tipo di manipolazioni che gli tolgono la libertà; a volte pensa di avere la coscienza pulita, ma in realtà si sente sotto un’infinità di aspetti colpevole, solo che non è consapevole. Crede di essere felice, ma se guardiamo appena sotto la superficie troviamo una gran quantità di depressione cronica e una buona quota di infelicità. La sessualità non “consumistica”, invece, si realizza in un autentico rapporto di comunicazione  e di gioco; la scelta del partner, la relazione umana con il proprio compagno o compagna finché  questa relazione si struttura in modo creativo, spontaneo e fondata su un libero gioco, sono alla base di una vita sessuale autentica (… che non ha niente a che fare con quella libertina, solo di scarica). La sessualità costretta in un ghetto, chiusa nel guscio di un rapporto coatto  non è più relazione umana libera e mette in crisi il sentimento di identità. L’amore spontaneo rafforza l’autostima la dipendenza, invece, crea uno sfaldamento, spezzettamento del sé e, soprattutto,  disistima.



a sessualità “difficile. La tradizione medica organicistica ci ha “educato” a una catalogazione empirica tanto minuziosa nella descrizione quanto carente nei significati profondi: eiaculazione precoce, impotenza erettiva, anorgasmia, vaginismo, frigidità, e così via. Queste “etichette” basate sul sintomo, sul disturbo manifesto, sono ancora oggi molto diffuse sia nel linguaggio comune che nell’ambito medico, o anche in tutti quei tipi di psicoterapia rivolti esclusivamente alla eliminazione del sintomo. E, purtroppo, bisogna riconoscere che i più tenaci sostenitori di un approccio sintomatico sono proprio coloro che avvertono questo malessere, i quali vorrebbero, a tutti i costi, essere liberati da un disturbo senza sapere niente delle loro “difficoltà” profonde. 
ueste classificazioni hanno dal punto di vista terapeutico, un valore molto limitato, sia perché è risaputo che uno stesso sintomo può dipendere da cause diverse, sia perché, all’opposto uno stesso disagio può esprimersi in una vasta gamma di sintomi. Un uomo, infatti, che non ha avuto la possibilità di “formarsi” su un valido modello maschile paterno, che  ha avuto una madre frustrata e sola, avrà probabilmente difficoltà a riconoscere se stesso come “maschio” o continuerà a sentirsi insicuro come un bambino che teme sempre di essere “catturato” dal soffocante amore materno. Questa situazione, molto comune e banale, potrà tradursi, a seconda del carattere dell’uomo e delle varie vicissitudini della sua vita, in un’impotenza più o meno profonda, in un’organizzazione omosessuale compensatoria, o anche nelle scelte di una compagna modesta o inibita, la quale, non obbligandolo a troppo vivaci confronti con se stesso e con la sessualità femminile, potrà consentirgli una facciata  di  tradizionale ”normalità” monogama ed eterosessuale. Un altro semplice caso potrebbe essere quello di una giovane donna, vivace ed intelligente, che ha conquistato a fatica la sua autonomia intellettuale e la sua autostima nel mondo del lavoro, la quale può sentire a livelli profondi i suoi impulsi di passività e di regressione come minaccia. La conseguenza di tale fenomeno potrà essere un comportamento apparentemente disinvolto e disinibito, con tante “conquiste” sessuali. 


ppure al contrario, un’ostinata frigidità. Infatti l’impossibilità di consentirsi un orgasmo esprime spesso la paura di “frantumarsi”, di non poter reggere lo sconvolgimento emotivo e la perdita di controllo che questo “punto culminante” del piacere comporta (… orgasmo). Molto spesso un’anorgasmia maschile (… mancanza di orgasmo sessuale) deriva da una situazione emotiva in cui c’è l’impossibilità di lasciarsi andare. Inoltre, per molti uomini la fantasia inconscia della vagina è quello di un luogo infido e misterioso, pieno di fascino e di desideri, ma anche irto di pericoli, per cui la penetrazione (… a livello di sensazioni, di atteggiamenti, di convinzioni ecc.) sarebbe vissuta come il rischio di essere “inglobati”, riassorbiti per sempre in questa immagine femminile soverchiante. Sappiamo tuttavia che di eiaculazione precoce soffrono anche i maschi omosessuali e questo mostra con grande evidenza che il vero problema non è la vagina, ma la paura del rapporto. 
è anche da notare che è difficile definire in tempi reali quando una eiaculazione è “precoce”: più che la rapidità conta infatti il senso del piacere, di esperienza compiuta in coppia. Se non ci si limita ai “tratti esteriori”, è veramente sorprendente constatare, da un punto di vista clinico, quali perfetti incastri di patologie e di difese riescano a organizzare le coppie, e come gli esseri umani siano capaci di trovarsi e di scegliersi (… inconsciamente) secondo le loro più segrete  resistenze. Un esempio classico è quando una donna comincia ad accettare il suo corpo e la sua sessualità (… che fino ad allora presentava problemi di frigidità e vaginismo), si può notare come il marito, che fino a quel momento sembrava di “sano” appetito sessuale e che non mancava di sottolineare il sacrificio che la reticenza della moglie gli imponeva, cominci a sua volta a reagire con difficoltà di erezione o di penetrazione di fronte al “risveglio” (… sessuale) della donna. Come è possibile  dedurre da questo esempio (reale), il problema è sempre del rapporto. Un altro argomento delicato, difficile da definire e controverso nell’ambito sessuale, è l’aggressività (nel senso di andare verso…). Per arrivare al partner, veramente all’altro, è necessario una “buona” dose di aggressività. 

ià nel primo rapporto della vita, che è quello alimentare, affinché un bambino abbia voglia di nutrirsi non sono necessari solo l’accoglimento e la tenerezza della madre. E’ indispensabile anche che nel bambino emerga l’aspetto impulsivo del bisogno e la possibilità di manifestarlo senza paura e senza la sensazione che l’altro ne venga aggredito e distrutto. Così, spesso siamo noi stessi a reprimere i nostri bisogni e i nostri desideri verso gli altri per il timore che siano “eccessivi” e “distruttivi”. Alla base di tante situazioni di impotenza e frigidità c’è proprio la paura di far spazio a questa quota “non ostile”, aggressiva e sana della sessualità. La paura e il senso di colpa (inconsce)  sono il peggiore degli afrodisiaci. Per vivere è necessario un impulso ad andar “fuori”,  ad avere voglia di conoscere, voglia di prendere, di dare, ci vuole insomma una spinta verso l’esterno che comporti curiosità e interesse. L’aggressività non è soltanto un fenomeno dell’atto sessuale ma è anche un atteggiamento verso la vita, un bisogno di trasformare l’altro, di raggiungerlo davvero, fa parte di un modo sano di cercare. 

ui, ovviamente, non si intendono comportamenti aggressivi, prepotenti e predatori, che nascondono sempre la paura dell’altro e che, quindi, si esprimono difensivamente nel bisogno coatto di mantenere un controllo, ma semplicemente nel vivere appieno, in maniera spontanea e creativa i bisogni e le sensazioni della sessualità (… nel massimo rispetto dell’altro). Una vita sessuale, quindi, elementare ma completa, basata sulla gratificazione dei più basilari bisogni emozionali e corporei.



ei meandri della sessualità
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  In senso tecnico e particolarmente rigido, si dovrebbe definire “perversione” qualunque comportamento sessuale adulto in cui non sia in primo piano l’accoppiamento genitale eterosessuale con finalità riproduttive. Ma sicuramente con una definizione così rigida, per un fenomeno così complesso,  nessuno di noi potrebbe (“sentirsi al sicuro”) essere esente dal sospetto di “perversione”. Come è noto, una delle più clamorose affermazioni della psicoanalisi è che il primo “perverso polimorfo” è proprio il bambino


on questa espressione, in realtà, si intende indicare la disponibilità ad un “piacere” multiforme, privo di mete precise, estremamente variabili  e immaturo. Per comprendere completamente questa definizione si deve sgombrare, innanzitutto, il campo da ogni connotazione demoniaca  e riflettere che i comportamenti “pervertiti” sono solo forme immature di sessualità, nelle quali gli istinti non si sono ancora organizzati (… come la società richiede) nella ricerca del piacere finale genitale da condividere con un partner di sesso opposto al proprio. Un altro celebre aforisma freudiano è quello che recita: “i disagi emotivi sono il contrario delle perversioni”, in pratica il pervertito fa ciò che chi “soffre” desidera, rimuove e mantiene fuori dalla consapevolezza. Visti dall’esterno i “perversi”, per alcuni, sono considerati degli individui particolarmente “cattivi” che riescono a raggiungere paradisi sconosciuti di piaceri nuovi e strani. Invece,  è una persona che fa una fatica spaventosa per raggiungere quel poco di piacere che, attraverso vari espedienti, riesce a raggiungere. Egli è comunque estremamente condizionato e circoscritto a situazioni particolarmente rigide. 


ndarlo a misurare (piacere) non è possibile, ma l’esperienza clinica insegna che queste persone hanno un’estrema difficoltà ad avere accesso al piacere e che penano moltissimo per potersene consentire almeno una quota adeguata. E’ la obbligatorietà, la limitatezza e la ripetizione coatta di una sola componente sessuale che fa il “pervertito” non la gamma delle esperienze possibili. Che, per esempio, piacciano le scarpe (feticista), può essere una piacevole bizzarria, ma se piacciono sole le scarpe  scatta il problema. E se è bello compiacersi nel mostrarsi e nel guardare (esibizionismo, voyeurismo), spiacevole è invece non essere capaci di godere anche di altro. Va ricordato inoltre che la vera qualità perversa è quella di essere messa in  atto concretamente. Le fantasie con sfumature più o meno perverse, sono un evento decisamente più comune.


el rapporto con l’altro. La maggior parte delle persone durante l’atto sessuale hanno, parallelamente, anche un’attività fantastica: per alcuni questa attività fantasmatica è consapevole, anzi può essere stimolante, per altri invece rimane completamente “sconosciuta”. Spesso, però, accade di vivere queste fantasie con un grande senso di colpa o di inadeguatezza o, magari, come se fosse la “cartina tornasole” della mancata qualità del rapporto. Questo avviene tanto più spesso quanto più la fantasia è passibile di un giudizio esterno e moralistico, come nel caso di fantasie di amore di gruppo, atti sessuali originali, ecc. Ma è una sofferenza inutile e sbagliata. 


hi ha queste fantasie affioranti dovrebbe sapere che se paradossalmente si realizzassero, sarebbero inappaganti e frustranti (… non sarebbero fonte di piacere). Proprio perché di fantasie si tratta e non di desideri. Al contrario, si tratta di aspetti della sessualità che hanno spesso sfumature di “perversione”, ma che sono innocue e destinate a rimanere fantastiche e irrealizzate. Proprio per questa ragione è escluso che nella coppia ci siano queste “rivelazioni”. Una coppia può esprimersi con atti sessuali “spregiudicati”, però ha notevole difficoltà a confidarsi le immagini che accompagnano questi gesti. La fantasia appartiene al mondo del soggettivo per cui risulta doveroso, in questo ambito, rispettare l’altro nella sua area “privata”.  


e fantasie, inoltre, hanno un ruolo dominante nell’attività masturbatoria. In tale attività si verifica contemporaneamente una reale eccitazione corporea e una esperienza immaginaria. E’ particolarmente sorprendente, come una ripetuta eccitazione corporea accompagnata dalle più svariate fantasie sia ancora vincolata a convinzioni che il corpo si corrompa, si ammali, si rovini, si perda in qualche modo. E’ decisamente incredibile la quantità di scongiure che la fantasia popolare 
(… cecità, impotenza, convulsioni, ecc.) , con l’avallo più o meno esplicito della scienza e della cultura, ha connesso, per molto tempo, con la masturbazione. Nella nostra epoca più “illuminata” essa continua a mantenere questo alone di sciagura ed essere tuttora considerato vagamente un sintomo, specialmente negli adulti o, quanto meno, un segno di immaturità. La masturbazione in età adulta, a differenza di quella adolescenziale che caratterizza una fase evolutiva, può avere svariate funzioni. 

è quella che si realizza di tanto in tanto con il partner, e allora può essere interpretata come una delle tante piacevoli variazioni del gesto sessuale, e c’è invece quella che si concretizza come comportamento solitario, che si alterna al rapporto di coppia e che è molto più diffuso di quanto non si creda. E’ proprio in questo caso che è presente una forte carica sessuale legata a profonde fantasie molto segrete che, per quanto sopra esposto, non possono essere condivise con l’altro. Ma se qualche volta questa attività viene usata per difendersi dal rapporto e scaricare tensione in modo “solitario”, non vanno dimenticate anche le situazioni di ripiego imposte dalla mancanza di un partner.



Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un  valore educativo, non prescrittivo.