mercoledì 22 febbraio 2017

Psicosomatica... quando il malessere "decide" per noi



Psicosomatica  … quando il malessere “decide” per noi


a tempo, fin dall’antichità, si aveva sentore dell’influenza di alcuni fenomeni emozionali sull’organismo; l’individuo, in ogni caso, era  considerato una struttura funzionale inscindibile in cui, nel bene e nel male, nessuna parte poteva trovarsi isolata. La malattia, infatti, era una condizione profonda che coinvolgeva non soltanto l’organo colpito ma tutta la persona: stile di vita, atteggiamento mentale, equilibrio familiare, ambiente sociale e, non meno importante, l’alimentazione (adesso sappiamo che una alimentazione corretta crea una condizione leggermente alcalina nel sangue - con un pH 7,4 ca. - e, quindi, genera uno stato emotivo di gioia, gratitudine ed ottimismo, mentre una alimentazione scorretta determina uno stato acido del sangue - con un pH 6,5 ca. - causando uno stato emotivo di ira, rancore e pessimismo).

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ra ben noto, infatti, che se si procurava nell’individuo uno stato di benessere  - piacere, soddisfazione, gioia, gratificazione - durante una semplice o complessa malattia, la salute migliorava velocemente. In realtà, avevano intuito che l’elemento umano era determinante sia nell’ammalarsi sia nel processo di guarigione. Durante la diagnosi e la terapia, poi, separare il corpo dalla mente e dal contesto sociale non portava a niente di buono … la prognosi, il più delle volte, era sempre incerta e confusa, se non infausta. Avevano già capito che il malato per ‘riprendersi’ in mano la propria salute doveva stare con le persone care, con i veri amici, mangiare bene e bere vino buono: guai irritarlo o annoiarlo. Diversamente la sua sofferenza poteva avere il sopravento e, quindi, provocare ulteriori seri malesseri (stress: squilibrio biochimico e ormonale … oggi la scienza parla di abbassamento delle difese immunitarie). Non c’è bisogno comunque di scomodare i “vecchi” saggi, per verificare tale fenomeno, basta prestare attenzione al nostro corpo in certe situazioni emotive: se abbiamo timore o paura non sentiamo altro che un corpo “duro”, inflessibile, teso e contratto (chiuso, non disponibile, in balia degli squilibri ormonali), se invece siamo felici sentiamo un corpo “malleabile”, instancabile ed elettrizzante (aperto, disponibile a ricevere e a dare, in perfetto equilibrio ormonale) andrebbe in capo al mondo!
ià allora si avevano felici intuizioni e profonda consapevolezza che penosi, insistenti e continui stati d’animo potevano influire negativamente su certe funzioni come quella cutanea, digestiva e respiratoria. Attraverso una attenta e scrupolosa osservazione diretta avevano compreso, seppur in maniera grossolana, che ogni esperienza frustrante e sgradevole rendeva ogni stile di vita non solo negativo ma paralizzante e, a lungo andare, davvero invalidante. Due mondi non in contrapposizione ma che esprimevano la stessa realtà con modalità e linguaggi diversi: mentale e corporeo. Lo scopo principale dell’intervento terapeutico era quello di ristabilire l’armonia nell’individuo: equilibrio psicosomatico.



enomeno che, più tardi, viene ripreso e descritto in maniera brillante da C.G.Jung con il concetto di sincronicità: ciò che avviene nel corpo si verifica, nello stesso tempo, anche a livello psichico con un atteggiamento mentale simile al malessere organico. Il corpo è un evento sincronico in cui si considera l’uomo come espressione della simultaneità psicofisica (mente – organismo). Se ad esempio soffriamo di gastrite non solo ci brucia lo stomaco ma avremo a livello psichico, comportamenti e atteggiamenti mentali di natura “corrosiva” e di non disponibilità ad “accogliere” il mondo. Fenomeni silenziosi e impalpabili - ma sempre attuali anche ai giorni nostri - che, spesso, nascono e si acutizzano in situazioni di malessere relazionale diffuso (molto evidente in questo periodo sociale difficile, conflittuale e di transizione), e migliorano nel momento in cui le circostanze diventano più serene o favorevoli. 
ggi proprio come duemila anni fa - attraverso il corpo - la malattia parla in maniera inequivocabile dell’individuo, dei suoi vissuti quotidiani, dei suoi pensieri e, soprattutto, dei suoi desideri e delle sue passioni … dei suoi veri bisogni, a volte, inascoltati. Il corpo, allora, esprime questa “confusione”, si fa carico del disagio profondo: dolori, sensi di colpa, delusioni, paure, insoddisfazioni, rifiuti, umiliazioni, abbandoni, tradimenti, ingiustizie, che lentamente, pian piano, si fanno “corpo”. Un involucro che nel prendere direttamente in consegna il disagio interiore, perde improvvisamente il suo equilibrio bio – chimico nel tentativo generoso di garantire e tutelare, a modo suo, il benessere psichico. La visione della malattia, quindi, per la psicosomatica è globale: l’organo è parte integrante di un tutto. Dice in realtà che non è possibile comprendere la complessità umana se non la si esamina nella sua totalità: corpo e mente. Questo orientamento scientifico non si limita ad eliminare i “sintomi” ma si pone come obiettivo quello di “educare” l’individuo ad uno stile di vita il più possibile armonioso con se stesso ed il mondo circostante. Nel quotidiano e, soprattutto, nella malattia, nonostante la nebbia del sarcasmo e dell’incredulità si sia diradata e non ci sono più dubbi sull’unicità e simbiosi armonica mente – corpo,  poco si parla del nostro mondo interiore, di quanto può influire uno stile di vita sulle somatizzazioni ma, soprattutto, delle potenti difese che il cervello possiede nella risoluzione dei vari malesseri se non è “schiacciato” dalle cianfrusaglie, da un senso di impotenza diffuso, da una condizione esistenziale insoddisfacente e dagli stati d’animo fastidiosi protratti nel tempo. 
TTENZIONE però, non si tratta di responsabilità diretta, di un giudizio di valore, ma di avere consapevolezza delle condizioni fisiche, dei vari atteggiamenti mentali e delle abitudini senza più passioni … per superare certi momenti difficili.. La conoscenza, comunque, per buona che sia, non vale nulla se non messa in pratica da soli o sempre con l’aiuto di esperti. C’è una bella locuzione ferrarese (a me piace pensare che lo sia per sentirmi, ora, un po’ campanilista) Non rimandiamo all’indomani ciò che si deve fare oggi … il corpo, non dimentichiamolo, con le sue meravigliose cellule, vive sempre il tempo presente.

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Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
 E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi e terapia specifica.

sabato 18 febbraio 2017

Rendimento scolastico


Rendimento   scolastico

olti ragazzi presentano difficoltà nel rendimento scolastico o nell’integrazione sociale. I problemi possono derivare da molte cause: incompatibilità fra il temperamento del bambino (bagaglio genetico) e le richieste della scuola, turbe del comportamento di altra origine (cerebropatia, disturbi mentali, ecc.), un ritardo nello sviluppo del linguaggio o dell’apprendimento della lettura e dell’aritmetica. Quest’ultimo tipo di problema è stato oggetto di particolare attenzione in varie ricerche negli ultimi anni. In passato, queste difficoltà di apprendimento erano imputate a disturbi di ordine emotivo. Oggi sappiamo che molti di questi casi hanno una base biologica in ritardi o altri disturbi della maturazione delle strutture neurofisiologiche necessarie all’apprendimento della lettura o dell’aritmetica. Stando così le cose, un qualche trattamento rieducativo diventa la terapia d’elezione. Un discorso a parte merita il quadro clinico che va sotto il nome di iperattività a causa degli abusi di questa diagnosi, specialmente nell’ambiente scolastico. Il ragazzo iperattivo presenta una condizione di “svantaggio, a differenza di quello che ha per temperamento un alto livello di attività, il quale si colloca semplicemente ad uno degli estremi nella gamma di variazione di un tratto temperamentale. E’ importante quindi distinguere fra le due situazioni, che possono apparire simili per molti aspetti: sia l’iperattivo propriamente detto che l’altro presentano un’attività motoria vivace e abbondante, entrambi possono diventare nervosi ed irrequieti se costretti all’immobilità per esempio, se a scuola devono restare fermi nel banco per ore intere. Ma ci sono alcune differenze cruciali: il bambino iperattivo, solitamente,  passa continuamente da un’attività all’altra, senza portarne a termine nessuna, ha difficoltà a mantenere a lungo l’attenzione e si lascia facilmente distrarre mentre un “normale” temperamento con alto livello di attività non comporta questi problemi di disorganizzazione ed instabilità. 
ati questi sintomi del bambino iperattivo, il manuale diagnostico suggerisce la definizione “turbe dell’attenzione, partendo dall’ipotesi che l’attività disorganizzata dipenda dall’incapacità di mantenere a lungo l’attenzione. Quello che, purtroppo, è successo in molte scuole è che l’etichetta di “iperattività è stata applicata indiscriminatamente a tutti i bambini irrequieti e agitati in classe. Un bambino può essere irrequieto per le ragioni più varie: può annoiarsi con un insegnante che non riesce a interessarlo e stimolarlo a sufficienza; può stare in ansia per altri motivi; può semplicemente avere per temperamento un alto livello di attività.  Troppi bambini  sono definiti “iperattivi” perché danno noia in classe. A questo punto i genitori sono invitati a portarlo dallo specialista per un’eventuale “prescrizioni” (fenomeno che, attualmente, sta diventando particolarmente di moda anche in Italia). E a volte, purtroppo, lo specialista di fronte a una descrizione esagerata dei sintomi da parte dei genitori e dell’insegnante, può lasciarsi influenzare … dare seguito alla richiesta. 
n questo caso l’intervento “estemporaneo” il più delle volte risulta inutile o addirittura dannoso, perché le vere cause del problema rimangono del tutto trascurate. Un bambino, comunque, che presenta un serio problema scolastico merita di essere portato immediatamente all’attenzione di uno specialista competente, in modo da poter avviare senza indugi gli eventuali interventi che si rilevassero necessari. Un intervento precoce può prevenire le molte conseguenze disastrose che possono nascere nel corso degli anni dall’effetto cumulato dalle difficoltà scolastiche. Genitori e insegnanti devono collaborare per assicurare un adeguato intervento diagnostico e terapeutico. E’ bene, però, sempre riflettere sui vari consigli specialistici impartiti senza una valutazione completa delle possibili cause, non necessariamente emotive, ma spesso legate a questioni di temperamento o di funzionalità cerebrale.

Uno dei disturbi maggiormente rilevati dagli insegnanti,
caratterizzato da agitazione sia livello motorio sia psichico, è l’instabilità psicomotoria. Può avere due origini principali: fisica, quando è connessa a immaturità neurofisiologica; psichica, invece, quando esprime un eccesso di emotività. 
Tuttavia, spesso le due
 cause sono concomitanti 
ed interdipendenti.


l comportamento del fanciullo “instabile” è caratterizzato da mancanza di continuità nell’esercizio fisico ed intellettuale e da una estrema labilità nell’attenzione, mentre l’immaginazione può essere molto attiva e fervida. Egli non riesce a star fermo, ad applicarsi con continuità, per cui passa incessantemente da una cosa all’altra. L’instabilità può essere anche accompagnata da turbolenza e aggressività ed una estrema variabilità nell’umore che può cambiare bruscamente dall’allegria all’irascibilità.


osa fare. Per quanto riguarda la prevenzione, è utile considerare attentamente i due aspetti, affettivo e motorio, e assicurare al fanciullo la soddisfazione dei bisogni ad essi relativi. In primo luogo, ci si dovrà assicurare che il bambino viva in un clima sereno in cui si senta sicuro: si dovrà pertanto prestare particolare attenzione ai cambiamenti a qualsiasi situazione e che possa generare ansia (cambio di scuola, separazione dei genitori, nascita di fratelli, lutti, ecc.). In secondo luogo, si dovrà consentire al bambino sufficiente attività fisica attraverso la ginnastica e lo sport. Inoltre particolarmente utili per favorire un buon coordinamento motorio – sempre compromesso nei casi di instabilità – sono gli esercizi ritmici che promuovono l’agilità, il controllo muscolare, l’armonia dei movimenti e, al tempo stesso, aiutano a distendersi. Il movimento può anche divenire un mezzo di espressione e di piacere che sensibilizza positivamente il fanciullo circa il proprio corpo, spesso avvertito da chi tende all’instabilità come qualcosa di estraneo e di goffo.

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Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
 E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi e terapia specifica.

mercoledì 15 febbraio 2017

La Tentazione Estrema ... il suicidio adolescenziale


                             
La Tentazione Estrema  … il suicidio adolescenziale 
                           

a seconda metà del ventesimo secolo vede svilupparsi, in tutti i paesi industrializzati e non, un fenomeno a dir poco inquietante: un numero sempre crescente di giovani mette la propria vita a repentaglio, e questo in proporzioni mai raggiunte. Tale gesto, in alcune aree geografiche supera gli incidenti stradali come numero di decessi annuali (gli incidenti stradali e il suicidio rappresentano oggi le due cause principali di morte giovanile). Questa situazione paradossale colpisce e disorienta tanto più in quanto contrasta nettamente e dolorosamente con la felice considerazione secondo cui, in questo “fantastico” periodo storico, il confort materiale e le aspettative di vita non hanno mai conosciuto un simile benessere (progresso)
gni suicidio o tentato suicidio è sicuramente espressione di una vicenda drammatica che si concretizza sulla scena di una profonda disperazione interiore. Il dramma del suicidio adolescenziale, sempre complesso ed enigmatico, oltre a sfuggire in gran parte alla coscienza stessa del soggetto, si intreccia e si presta continuamente a svariate spiegazioni: fattori personali, familiari, malattia, precarietà delle condizioni sociali - che in questo particolare non mancano - perdite affettive, convinzione di essere trascurati o abbandonati, percezione di un’immagine alterata di sé nello sguardo altrui. Anche comportamenti patologici, però, rigorosamente connessi fra loro come etilismo, tossicomania, bulimia e anoressia, possono essere una ulteriore tentazione all’azione estrema. Nonostante vi siano diverse ipotesi interpretative, un’infinità di moventi possibili, rimane sempre, in ogni caso, impossibile identificare a posteriori una causa scatenante univoca. E’ bene comunque precisare, proprio per evitare preconcetti particolarmente diffusi, che nessun fenomeno sociale (o psichico) preso singolarmente (isolatamente) può rendere conto o spiegare completamente tale comportamento autosoppressivo . Infatti, un evento doloroso può rappresentare, come in qualsiasi altra persona, un fattore scatenante o aggravante, ma mai la causa esclusiva di un gesto suicida. Ciò che deve essere preso in esame sono le dinamiche globali di un mondo  psico – sociale (specifiche di questa età non solo di sofferenza ma anche di sviluppo) pieno di conflitti ed in continua trasformazione. La cosa certa è che prima di passare all’atto, come ogni essere umano in pericolo, il giovane lancia segnali di sconforto (anche di rottura: fuga, nervosismo con esplosioni improvvise, insonnia, violenza, ubriachezza) difficile quasi sempre, purtroppo, da decodificare. Il segnale (non completamente esplicito, a volte veramente incomprensibile) è sempre mascherato perché  il giovane teme in maniera esagerata la critica, magari di non essere capito completamente da parte di un adulto e, quindi, deriso o addirittura di essere considerato pazzo. Lo sviluppo e l’estendersi, pertanto, di questi segnali indicano non la certezza ma, sicuramente, un alto rischio di passaggio all’atto. 
apere comunque che una certa inquietudine e profondi sconvolgimenti psicofisici danno vita ad una adolescenza movimentata non significa per questo che certe sofferenze non possano essere contenute, superate e risolte. Contrariamente a quello che si pensa, proprio perché è un processo evolutivo anche costruttivo e non solo di sofferenza, molti giovani in crisi riescono (a volte da soli, altre volte con i genitori oppure con un esperto che conosca perfettamente le dinamiche emotive dell’adolescente) ad uscire “rinforzati” da tale situazione di smarrimento. Un altro aspetto significativo negli adolescenti che tentano il suicidio – pur essendo sempre un atto patologico – è quello di non appartenere ad un quadro clinico particolarmente grave. E’ raro, infatti, trovare la vera “follia psicotica”; è presente, sicuramente, un meccanismo psichico morboso privo, però, di analogie con il disturbo mentale. E’ indubbio, comunque, che molti di essi presentano - più frequentemente di quanto in genere non si pensi - disturbi accentuati di natura ansiosa e depressiva da richiedere, a volte, immediate cure specialistiche. Tali condizioni tuttavia, molto spesso, vengono sottovalutate (non sempre sono percepite come segnali d’allarme che precedono la crisi) ed etichettate grossolanamente come momenti passeggeri stressanti piuttosto che angosce e sentimenti depressivi profondi. Questo atteggiamento non solo è dannoso per la reale presa di coscienza di questo problema ma, soprattutto, perché esclude un adeguato e tempestivo consulto medico – psicologico.


osa fare. L’incomunicabilità, il malessere, l’estraneità del proprio corpo, i rapporti conflittuali in famiglia sono stati d’animo cui tutti gli adolescenti, in misura più o meno intensa, volenti o nolenti sperimentano, inevitabilmente, durante il loro percorso evolutivo. Ma in alcuni casi, purtroppo, la strada travagliata verso quella età definita “adulta” conosce anche comportamenti lesivi ed autolesivi, che vanno dalle fughe, le condotte violente, la tossicodipendenza fino alla tentazione estrema di togliersi la vita. Gli stessi adulti, il più delle volte assistono impotenti ed increduli a questi drammatici lenti naufragi, senza sapere come affrontare il problema che, per nessuna ragione, si dovrebbe drammatizzare ma nemmeno banalizzarlo. In questo modo è necessario mettere a fuoco (discutere) le dinamiche interpersonali senza eccessive ed inutili colpevolizzazioni: ascoltare senza esprimere giudizi di valore e nemmeno esercitare volontà di censura, ma nemmeno una eccessiva e distruttiva condiscendenza. In breve, valutare con estrema lucidità la possibilità di un intervento personale o la necessità di un intervento qualificato e specialistico. In presenza di manifestazioni particolarmente drammatiche, gli adulti non devono rimanere inerti. 
essun ragazzo in difficoltà sarà sorpreso (o rifiuterà) se gli si comunica l’inquietudine suscitata dal suo comportamento o dalle sue parole. Esplorare i fattori critici, le origini, evidenziare i segnali d’allarme che precedono le crisi, illustrare le tipiche reazioni dell’ambiente familiare non può far altro che stimolare nuovi modelli di relazione, instaurare un nuovo clima di confidenza comunicativa e salutare distanza. Una problematica complessa come quella del suicidio adolescenziale non può accontentarsi di risposte semplicistiche. Il compito principale, pertanto, sarà quello di “accompagnare” (condurre) l’adolescente a scoprire (cogliere) il significato della sua drammatica sofferenza: si possono trovare soluzioni solo su ciò che si è compreso. In questo modo, sapere di che cosa si soffre non soltanto placa l’angoscia che ne deriva, ma soprattutto fornisce efficaci alternative alla rassegnazione e alla disperazione.

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lunedì 13 febbraio 2017

Problemi tiroidei ... la lettura psicosomatica



                          Problemi   tiroidei 
 la lettura psicosomatica


efinizione.
La tiroide è una ghiandola endocrina (le ghiandole endocrine - a differenza delle esocrine che versano le loro secrezioni nella superficie esterna del corpo - sono prive di un dotto escretore e mettono direttamente nel sangue gli ormoni, per questo agiscono velocemente sugli stati psichici e sulla coscienza. Le ghiandole del sistema endocrino sono: ipofisi, epifisi, tiroide, paratiroidi, surrenali, pancreas e gonadi) costituita da due lobi laterali (assomiglia ad una farfalla), collocata nella parte anteriore del collo, a destra e a sinistra della laringe. Il suo compito è quello di secernere due tipi di ormoni, sotto l’influsso di un ormone prodotto a sua volta dall’ipofisi anteriore, i cui effetti sono rivolti essenzialmente al controllo del metabolismo: la tiroxina e la triiodotironina, quest’ultima prodotta in concentrazione maggiore rispetto alla prima. Entrambe sono costituite da iodio (oltre ad avere un ruolo decisivo nei processi di crescita, regolano la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca, le funzioni respiratorie ed intestinali, aumentano la temperatura, potenziano incredibilmente l’aspetto vigile e l’attività intellettiva). La ghiandola endocrina tiroidea quindi  regola il metabolismo corporeo, questo significa che da essa dipende la velocità con cui si bruciano gli alimenti (alcuni possono mangiare ininterrottamente senza ingrassare, perché il loro organismo brucia immediatamente le sostanze). Quando il ritmo metabolico è troppo rapido, vi è una tendenza all’iperattività e agli scatti impulsivi
e invece il ritmo metabolico è troppo lento, si possono manifestare sintomi quali indolenza, pigrizia, senso di stanchezza, mancanza di voglia, obesità. La tiroide svolge anche un ruolo importante nella regolazione della temperatura corporea. Se abitualmente si hanno le estremità fredde può darsi che manchi lo iodio, necessario per mantenere in salute la ghiandola in questione. Se si ha la tendenza a mettere su peso con facilità, e risulta difficile perdere peso accumulato, forse il problema è proprio la mancanza di iodio. La funzionalità tiroidea dipende, infatti, dalla presenza di iodio (il fabbisogno è particolarmente elevato durante l’adolescenza perché si cresce rapidamente). Una carenza di tale minerale induce un calo della funzionalità tiroidea, caratterizzata da un aumento di peso, diminuzione dell’appetito, digestione faticosa, stitichezza, letargia, apatia. Talvolta, però, la tiroide è iperfunzionante. Ne risulta un aumento del tasso metabolico che porta quindi ad un calo di peso, all’aumento dell’appetito, ad una digestione più rapida; il ritmo cardiaco  e la pressione aumentano, e così con i tremori muscolari, il nervosismo: la persona tende a diventare aggressiva, eccitabile, apprensiva. Le attività mentali, il modo di parlare, lo stato dei capelli, delle unghie, della pelle e dei denti, tutto questo, il più delle volte, dipende dal buon funzionamento della ghiandola tiroide, e questa a sua volta ovviamente dipende dalla quantità di iodio che si assume quotidianamente con gli alimenti (lo iodio si trova in tutti gli alimenti che provengono dal mare o che crescono vicino ad esso). La tiroide funziona pressappoco come l’acceleratore di un’auto: accelera e rallenta l’attività dell’organismo (determina, istante per istante, una corretta velocità del metabolismo)
olto spesso, il vivere in modo torpido e sonnolente, oppure in maniera vibrante e carico di energia dipende, infatti, dall’ormone tiroideo. Man mano che passa il tempo inoltre la ghiandola spesso rallenta la sua attività. Le reazioni delle persone, infatti, che si trovano in quel periodo evolutivo della vita che corrisponde alla menopausa e all’andropausa mostrano cambiamenti addirittura stupefacenti. L’equilibrio ormonale pertanto si modifica e le persone sono messe di fronte a condizioni che fino ad allora non conoscevano. In sintesi, i disturbi tiroidei sono: l’ipotiroidismo (diminuzione di ormoni nel sangue: rallentamento delle funzioni organiche e debolezza cronica), l’ipertiroidismo (aumento della funzione, ipersecrezione degli ormoni tiroidei: metabolismo accelerato, tachicardia, sudorazione, insonnia, ipertensione, intolleranza alle temperature alte), le infiammazioni  ed i tumori.


Il linguaggio psicosomatico
 

n aspetto particolarmente interessante dell’ipertiroidismo è che spesso si manifesta – o peggioraimprovvisamente a seguito di una forte emozione oppure in situazioni critiche (decessi, incidenti, separazioni – litigi – coinvolgimenti – conflitti familiari, perdita della figura protettiva, del lavoro e della casa). Si riscontra questo fenomeno in soggetti che hanno un stile di vita – mentale e fisicofrenetico (sentono poco la stanchezza e solo in casi estremi). I rapporti interpersonali sono tendenzialmente di breve durata e caratterizzati da brusche chiusure e riaperture. Si nota generalmente in queste persone la tendenza a correre “in avanti”, a bruciare la vita; un’esistenza vissuta in maniera frettolosa e caratterizzata da una forte ansietà. Troviamo questi soggetti, proprio per la loro frenesia, sempre pronti ad adempiere, anche in eccesso, ai loro compiti e doveri (il rallentamento provoca in loro angoscia). Sembra che le cause dello “stile ipertiroideo” siano da rintracciare nell’infanzia: è probabile che questi soggetti siano stati costretti a raggiungere una propria autonomia (crescere in fretta) per la quale non erano maturi per affrontare adeguatamente, senza l’appoggio delle figure di riferimento, le situazioni ed i compiti loro assegnati. In questi soggetti dunque c’è stata una spinta eccessiva alla responsabilità (un muro senza fondamenta!). 
n individuo che sviluppa ipertiroidismo è generalmente deluso perché non riesce a realizzare ciò che vuole, in questo modo sono sempre continuamente sottoposti ad un devastante stress emotivo (anche le piccole cose diventano insormontabili). A volte possono segnalare un desiderio di rivincita, di espansione, far vedere agli altri ciò di cui sono in grado di fare (ciò che valgono!)I soggetti ipotiroidei, invece, sono caratterizzati da un’immagine statica, apatica, l’eloquio diventa lento e monotono, indifferente: è come se intorno a loro non accadesse mai niente di interessante, di stimolante. Tutta questa sintomatologia inoltre, caratterizzata “dalla passività, dal non fare, dal perché mai continuare, tanto non ci riesco, nessuno può capirmi” è simile e rientra, per vari aspetti, inequivocabilmente nel quadro clinico depressivo. Infatti, come il depresso, essi sono ripiegati su  se stessi, riducono le attività al minimo indispensabile e lasciano “scorrere” le cose nella più profonda freddezza ed indifferenza. Queste persone non manifestano alcun interesse a partecipare alla battaglia della vita e non evidenziano nessun tipo di interesse nei suoi confronti. Gli occhi particolarmente stanchi ed incredibilmente infossati sono nettamente in contrasto con quelli accesi, pronti ad uscire dalle orbite (esoftalmo) dei soggetti ipertiroidei. 
a loro indolenza e la loro apatia - priva completamente di interessi - si oppongono decisamente all’iperattivismo degli altri. I soggetti ipotiroidei non muovono un passo. Gli altri si agitano senza mai raggiungere una meta. Questi estremi, questi due poli, paradossalmente, hanno in comune un tema: il posto nella vita. Tra la carenza in un caso, e l’eccesso nell’altro, si trovano entrambi a metà strada dalla vera vita  (la vera vita, per intenderci, non è solo quella della gratificazione, dell’entusiasmo, della soddisfazione e della gioiosità, ma anche quella del disagio emotivo, perché solo attraverso questa condizione molto spesso, ovviamente non in senso stoico, è possibile liberare la mente da cose stantie ed obsolete).




Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
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