Alcolismo
… è
molto di più del fatto di bere


’alcolismo, detto anche etilismo, è uno stato di dipendenza definito come l’insieme dei fenomeni patologici provocati dall’abuso di bevande alcoliche. Tale condizione assume caratteristiche di cronicità quando l’abitudine al consumo di bevande alcoliche si prolunga nel tempo, mentre acuta, se si riferisce alla semplice “ebbrezza” episodica. I fattori psicologici che “spingono” l’individuo ad assumere l’alcol in grandi quantità ed in modo continuativo sono: stato di tensione, difficoltà relazionali, sentimento di insicurezza, incapacità di autoaffermarsi e bisogno continuo di gratificazioni. L’uso di alcol comunque non è un fenomeno recente e non appartiene sicuramente a questo periodo storico. I nostri antenati, infatti, avevano scoperto – oltre gli effetti apparentemente benefici come forza e coraggio – molti metodi per produrre alcol e altre sostanze psicoattive, a cui veniva riconosciuto un valore spirituale tale da farne il centro di cerimonie religiose e riti di iniziazione sociale. Anche la medicina popolare utilizza da sempre questa sostanza per alleviare il dolore, sia fisico sia psicologico, per dare rilassamento, conforto e felicità, per migliorare le prestazioni e favorirne la socializzazione. Molte persone riescono a godere dell’effetto piacevole dell’alcol senza diventare dipendenti e sopportare conseguenze negative. Nella maggior parte dei casi, però, i consumatori di alcol da occasionali diventano abituali e, quando la dipendenza si è instaurata, ogni momento della giornata ruota attorno alla ricerca di questa sostanza; non appena gli effetti di una “dose” scompaiano inizia l’attesa spasmodica della successiva.
sintomi fisici e le conseguenze psicologiche sono gravi e gli effetti negativi coinvolgono l’intera società, oltre ovviamente il consumatore: aumentano gli incidenti d’auto e sul lavoro, i divorzi, i crimini e le violenze, calano la produttività e la coesione sociale. I soggetti che abusano di alcol difficilmente riescono ad ammetterlo; anzi, il più delle volte, lo negano anche di fronte all’evidenza dei fatti. Molto prima di danneggiare il fegato, l’alcol causa perdita della memoria e gastrite; i continui ritardi sul lavoro o le frequenti assenze per malattia portano al licenziamento; il vizio del bere è motivo di gravi problemi familiari, spesso di divorzio, e di comportamenti socialmente pericolosi come la guida in stato di ebbrezza. Quando si abusa di alcol la vita è dominata da dolorose contraddizioni e si impara a mentire, soprattutto, a se stessi. Si ama la famiglia ma si trascurano i doveri; non si chiede aiuto ma si ha il bisogno di qualcuno su cui contare; si assumono sostanze con la speranza di alleviare depressione, ansia e tristezza esistenziale che invece si fanno sentire ogni giorno di più, non appena sfuma l’effetto acuto dell’alcol; si lavora con accanimento ma non si riesce a concludere nulla di buono (…non c’è soddisfazione) provocando i malumori di capi e colleghi; si crede di trovare sicurezza e autostima in una sostanza che in realtà costringe a una forma di schiavitù terribile e, infine, si compiono sforzi davvero immani per uscire dal circolo vizioso in cui si è intrappolati e, ogni volta, poi … si ricade. La dipendenza da sostanze può essere fisica o psicologica. Quella fisica si instaura perché il cervello umano è dotato di uno straordinario sistema di adattamento: le cellule nervose, a contatto con una sostanza estranea si adattano ai suoi effetti e modificano gradualmente il numero, la configurazione e la sensibilità dei ricettori specifici. Un eccesso di sostanza all’inizio provoca un effetto intenso sulle cellule nervose, che si attenua con l’abitudine. uesto fenomeno detto “tolleranza”, è un meccanismo protettivo che permette al sistema nervoso di adattarsi alla sostanza; ma è anche il responsabile di quel comportamento tipico dell’etilista che lo spinge ad avere bisogno di quantità sempre maggiori della sostanza per ottenere il medesimo effetto, esponendo il cervello e il corpo a dosaggi altissimi e tossici. L’alcol, infatti, è una droga potente che anestetizza il cervello, mima gli effetti di sostanze naturalmente presenti in esso che danno benessere, rilassamento, piacere ed eccitazione. Nell’area corticale del cervello, l’alcol agisce come rilassante e frequentemente distorce la capacità di apprendimento, la memoria, il giudizio e il comportamento. Ma non ha un effetto devastante solo sul cervello. Tutte le cellule sono esposte agli effetti tossici dell’alcol, in particolar modo il fegato e i reni. Non devono essere esclusi comunque i rischi per molte altre patologie come il cancro e i disturbi mentali. Alcuni orientamenti scientifici hanno classificato i bevitori problematici in base a tre grandi tipologie: il bevitore compulsivo – fortemente esposto alla depressione che tende a produrre troppa istamina; il bevitore da sbronza del sabato sera – che può avere bassi livelli di istamina e alti livelli di rame; il bevitore ipoglicemico – che sostituisce lo zucchero con l’alcol.


a
dipendenza psicologica, invece, consiste nella perdita del controllo
sull’utilizzo della sostanza, cioè nel cercare di porsi dei limiti
senza riuscirvi. Numerose
teorie cercano di spiegare le ragioni per cui questa dipendenza
induce in un individuo la coazione a bere. Molti etilisti sono
persone ipersensibili, forse troppo sensibili, con grandi difficoltà
a sostenere le frustrazioni della vita e di imporsi l’autodisciplina
necessaria a smettere di bere. Quasi tutti soffrono di un profondo
complesso di inferiorità che cercano di anestetizzare con l’alcol.
Un’altra spiegazione può essere quella di evadere la realtà piena
di conflitti e tensioni. Mentre per la maggior parte delle persone,
chi più chi meno, accettano la responsabilità della vita, alcuni
vogliono fuggirle, credono, di non avere la determinazione
sufficiente per superarle. Si considerano, a torto, “differenti”. Vi
sono molti modi per evadere dalla realtà e all’ansia. Alcuni
giocano, altri vanno a donne, altri ancora si masturbano in modo
compulsivo e ci sono infine quelli che usano l’alcol. Il
motivo sottostante è, tuttavia, sempre lo stesso: anestetizzare, o
almeno alleviare in qualche modo, il dolore prodotto dalle
vicissitudini personali.

debiti, un rapporto infelice, la convinzione di un fallimento
professionale, la solitudine, la sensazione di non essere
considerasti o amati, una malattia sono altrettanto alibi per
giustificare questa diabolica abitudine. E’ un suicidio
lento, parziale, un “avvelenamento” del corpo e della mente,
perché non si riesce a riconoscere il vero motivo che sta alla base
del senso di sconfitta, della disperazione. La dipendenza dalle
bevande alcoliche diventa paradossalmente il compromesso tra il
desiderio di vivere e quello di morire: troppo terrorizzato per
morire e troppo spaventato per vivere. Un’altra
spiegazione di questa dipendenza psicologica è che l’alcol libera
le inibizioni. Abbiamo
tutti delle emozioni, un mondo istintivo che ci piacerebbe sfogare,
ma non riusciamo perché alcuni “vincoli” non ce lo permettono
(il lettore attento avrà capito sicuramente che non si tratta di
realizzare atti “vandalici” contro la società ma semplicemente
di dare corso ai sentimenti!). L’alcol
agisce da stimolante, libera l’individuo dal peso delle
preoccupazioni e delle paure, allevia i suoi sentimenti di
inferiorità e debolezza, permette di accantonare inibizioni e
autocensure che normalmente bloccano i sentimenti, scioglie la
lingua, rende un timido un perfetto dongiovanni; gli dà la scusa per
essere espansivo, spiritoso e, perché no, un perfetto
romanticone. Se
si viene respinti, la nostra mente è formidabile nel conservare
l’autostima, può sempre dare la colpa al “bicchiere in più”
(questo è un comune meccanismo ossessivo compulsivo presente anche
in chi frequenta fattucchiere e cartomanti, non si dice forse, quando
le previsioni sono negative, ma tanto è un gioco!).

OSA FARE. Ippocrate scriveva: “Si beve per alleviare paura e terrore”. Purtroppo chi ricerca il benessere in una sostanza - anche se apparentemente dà una sensazione di forza e coraggio - è destinato ad aggravare anziché alleviare il proprio malessere, a causa proprio dei sintomi psicosomatici connessi all’assunzione continua di alcol. Gli effetti comportamentali prodotti dall’alcol mimano fedelmente i sintomi riscontrabili in chi soffre di disagi emotivi che non fanno uso di sostanze alcoliche, perché il cervello presenta sempre le stesse modalità di alterazione: depressione, ansia, delirio, allucinazioni.
l bevitore problematico, attraverso l’alcol cerca di cambiare la sua vita, di trasformare la sua esistenza e di superare una profonda insicurezza relazionale. In questo modo l’alcol diventa lo strumento, purtroppo inadeguato in quanto illusorio, per sciogliere tutte quelle inibizioni che hanno favorito, nel corso degli anni, l’incomunicabilità con il mondo circostante.
L’alcol comunque è e non potrà mai essere uno strumento di felicità. Questa sensazione illusoria di forza, coraggio, felicità e gioia - oltre ad evitare il contatto con i conflitti esistenziali irrisolti - viene trasformata, una volta sfumati gli effetti alcolici, in paura, senso di colpa, isolamento, tristezza, rimorsi. Ecco allora il bisogno di bere nuovamente per coprire quel profondo malessere, per sfuggire ad una realtà deludente … a prezzo di una ulteriore “punizione”.
on l’inebriarsi, infatti, si crea una condizione transitoria di esaltazione, quello che sta intorno “scompare”. Ma quando l’effetto finisce, il bevitore problematico si sente ancora più impotente e più incompreso di prima, a tal punto che è spinto a ricorrere nuovamente all’alcol con una frequenza e una quantità sempre crescenti. La dipendenza da sostanze in genere dura molti anni, con fasi di remissioni e continue ricadute. Non bisogna, però, perdere le speranze: disintossicarsi è possibile, la sobrietà è un obiettivo reale e raggiungibile, molti ne sono usciti con successo. Il primo passo è, ovviamente, ammettere di avere un problema, poi è necessario “impegnarsi” per venirne fuori (senza delegare la risoluzione a qualcosa, qualcuno…). Il mondo allora apparirà sotto una nuova luce, sarà grandioso liberarsi della dipendenza. Gli alti e bassi che caratterizzano l’andamento della dipendenza da alcol sono simili a quelli di ogni altra patologia cronica. Non ci si dovrebbe sorprendere né mostrare disappunto davanti a una ricaduta: è controproducente parlare di fallimento morale ogni volta che un etilista ha un “ripensamento” o un piccolo cedimento. Esistono, comunque, molti tipi di cura per l’etilismo (si tratta sempre di metodi che, ovviamente, efficaci per alcuni, non lo sono per altri). Alcune scuole di pensiero chiedono (anche chi scrive ritiene utile questa strategia) che l’individuo esamini se stesso e sia “responsabile” nel farlo. Questo è il metodo che più di ogni altro ha dato buoni risultati. L’analisi transazionale agisce sul comportamento, la psicoterapia tradizionale ricerca le radici della dipendenza e del significato simbolico della “bottiglia”, la medicina allopatica prescrive spesso farmaci che, il più delle volte, provocano il vomito quando si ingerisce l’alcol.
Anche l’ipnosi è uno strumento che può essere molto utile nel vincere l’etilismo, specie se usata in combinazione con un programma terapeutico ben preciso e, ovviamente, coordinato da una persona qualificata. Altre scuole “organiciste”, invece, sostengono che la dipendenza da alcol ha molto a che fare con gli squilibri biochimici. I tipi ad alta produzione di istamina sono particolarmente inclini all’alcol e possono in genere tollerarlo bene. Un’ampia percentuale di bevitori sono forti produttori di istamina: usano l’alcol come un lento suicidio. Il bevitore da sbronza occasionale ha più probabilmente bassi livelli di istamina. In stretta relazione con l’alcol, molti ipoglicemici diventano dipendenti dall’alcol invece che dello zucchero. Ed è pratica comune degli etilisti, quando non possono bere, usano larghe dosi di zucchero in sua vece. Identificare quali di questi fattori svolga una parte importante nella dipendenza fornisce un indizio su come modificare la “nutrizione” per ridurre il desiderio. Leggere queste righe, comunque, non è sufficiente per risolvere un problema di dipendenza; lo scopo è quello di riconoscere o ammettere che tale drammatico problema c’è e, soprattutto, avere informazioni utili; tutto ciò rappresenta un primo, importante passo sulla lunga e difficile strada della guarigione. Non bisogna mai dimenticare che un consumo moderato, se di buona qualità, può essere un elemento di benessere, mentre delegare agli alcolici la risoluzione dei conflitti porta inevitabilmente all’infelicità. er cui è sempre indispensabile scegliere e selezionare cosa bere - anche da un punto di vista organolettico - sia il tipo di “liquido” sia la qualità, perché in questo modo è possibile gustare la sostanza e cogliere quegli aspetti piacevoli (odore e sapore) che ci permettono di “dominare” la bevanda anziché essere “inghiottiti” da essa (perché anche questo appartiene ai piaceri della vita). Un altro aspetto importante, per contrastare l’assunzione di alcolici, è quello di riflettere sulle cose che ci fanno realmente star bene - mettere a fuoco le sorgenti di piacere - senza ricorrere a quel meccanismo automatico del bicchierino per riprendere “quota”. L’alcol, inoltre, a lungo andare, cerca di strutturare in modo automatico e ripetitivo lo stile di vita, tutto ruota attorno al rituale del bere: la cena, comprare la “sostanza”, l’occasione per bere qualcosa … Per stroncare questa modalità reattiva, quindi, è spesso indispensabile introdurre elementi innovativi (nella propria esistenza) in modo tale da stimolare nuove scelte e nuovi comportamenti.
e il presente ci opprime, ci
ritiriamo nel passato, nei “bei vecchi tempi”. La fantasia, come l’alcol e i
tranquillanti, addolcisce i “mille turbamenti naturali cui la carne è esposta”
… il mondo dell’immaginario costa davvero poco, il suo prezzo quotidiano è più
che ragionevole. Il trucco, naturalmente, è di impedirle di sfuggirci dalle
mani. Farlo ci insegnerà molto di ciò che essa è: ma che cos’è, da dove salta fuori
e come riconoscerla. Sebbene un esame della fantasia possa essere fatto in
maniera veramente facile e possa esserci estremamente utile, la nostra
inclinazione e l’atteggiamento principale in questo periodo storico è di non
studiarla. C’erano tempi, precedenti nella nostra storia, in cui vivevamo in
modo diverso e in un mondo dominato dal mito e della superstizione. Anche la
religione esercitava una più forte e forse più fondamentale influenza di quanto
faccia oggi. Il mondo come lo vediamo adesso. È proprio diverso. Esso è
descritto dalla scienza. E’ un mondo spiegato dai principi tecnologici, dai
filosofi materialistici, dai criteri oggettivi. Non ci preoccupa più, come ci
preoccupava una volta … ogni cosa viene passata a setaccio dalla fisica
nucleare. ei fatti, anche le considerazioni morali che una volta ci inibivano
col “terrore dell’inferno e la speranza del paradiso”, sono state rimpiazzate
dal nostro adattamento totalmente realistico. In breve siamo tutti dei perfetti
realisti. Ma quando siamo affascinati, presi (molto spesso) dai sentimenti cosa
succede? Che cos’è allora questo
fenomeno che chiamiamo fantasia? Che cos’è questo processo con il quale ci
intratteniamo in pensieri che, come alcuni filosofi hanno stabilito, non
derivano dalla testimonianza della realtà e rimangono subordinati al piacere di
un principio libero? D’accordo con il dizionario possiamo dire, per il
momento, che la fantasia è una creatività fittizia, un immaginare il compimento
di un desiderio come in un sogno, in un’immaginazione, in una fantasticheria.
In breve la fantasia è un insieme di pensieri che vagano liberamente, dissimili
da quelli che sono volti intenzionalmente alla risoluzione di un problema il
cui procedere costituisce l’atto di pensare. Perché ci lasciamo andare alle
fantasticherie quando sappiamo che mancano di una relazione evidente con la
realtà in termini di effetto causale? Impariamo persino duramente, attraverso
la disillusione, che la fantasia è inefficace. Non possiamo cambiare nulla con
i nostri sogni. Eppure ci sono molte ragioni per fantasticare. La prima è che
cominciamo a vivere senza comprendere per niente la realtà. Per un bambino il
mondo, infatti, è un grosso, ronzante, confusionario posto. Per le prime sei
settimane circa, un bambino non può nemmeno vedere. Il mondo gli sembra vago,
ombroso e minaccioso. Gli occorrono alcuni anni prima di imparare a regolare il
senso della profondità attraverso tentativi ed errori che lo fanno inciampare
negli oggetti. La sua comprensione del mondo fisico comincia ad evolversi
progressivamente … ogni cosa inanimata che lo circonda, per lui, è vivente … un
fenomeno che rende più facile distaccarsi dalla realtà; sviluppare fantasie. nche noi adulti, se ci pensiamo un attimo, ci rendiamo conto che dal punto di
vista intellettuale siamo nel migliore dei casi radicati nella realtà
parzialmente. E ciò ci lascia pronti per staccarci dalla realtà ed immergerci
nella fantasia. Ad esempio, ci sono ancora molte cose nel mondo intorno a noi
che non comprendiamo. La natura umana è fondamentalmente un insieme di
contraddizioni. Vogliamo essere liberi, ma c’è conforto e compagnia
nell’uniformità. Vogliamo affermare noi stessi, ma la disapprovazione degli
altri è minacciosa. Vogliamo essere in buona saluta, ricchi, astuti, ma lavorare
per ciò è troppo difficile. Vogliamo vivere in eterno, ma nessuno vuole
invecchiare. La contraddizione è il maggiore ingrediente del conflitto, e il
conflitto è una legge dentro di noi. Siamo continuamente in conflitto con
qualcosa, anche quando non ne siamo consapevoli. Frequentemente la nostra
coscienza è sopraffatta non dal conflitto in sé, ma dal suo inevitabile
vincitore, l’ANSIETA’. La timidezza, la paura, l’apprensività, la
preoccupazione, questo è quello che emerge o lascia alle spalle un conflitto
interiore. La vita è difficile; non ci va mai bene niente quando siamo in
conflitto con qualcosa. Oltre a tormentarci nell’intimo, ci tormentiamo anche
all’esterno lottando fra i nostri desideri e le difficoltà pratiche per
soddisfarli. Virtualmente ogni cosa che vogliamo è circondata da un muro, il
suo PREZZO. E la valuta non è costituita da euro o da centesimi. Quando non
abbiamo il “denaro” per pagare i nostri desideri, siamo frustrati. Questo ci
lascia con l’ansietà che deriva dal nostro struggimento interiore e con la
frustrazione che deriva dal nostro tormento esteriore. La combinazione conduce
a un senso di futilità; la realtà diventa qualcosa che deve essere evitato. E
noi la evitiamo. Abbiamo una notevole inventiva nel trovare stratagemmi, perché
l’essere umano ha una grande capacità di adattamento (nel bene e nel male). Una
delle cose che dobbiamo fare è di razionalizzare, proprio come fece la volpe
con l’uva acerba. i adattiamo attraverso una repressione. Ciò costituisce il
nostro modo di comportarci quando escludiamo dalla coscienza e dalle reali
espressioni fisiche un oggetto che ci spaventa o non ci piace. Rifiutiamo di
guardare ciò che non vogliamo vedere. Naturalmente facciamo ciò inconsciamente,
in maniera automatica. Qualche volta il rifiuto di guardare assume la forma
della dimenticanza. Dimenticare è un comune mezzo di repressione. Dimentichiamo
quello che non vogliamo ricordare. Dimentichiamo che abbiamo un appuntamento
con qualcuno che, infatti, non vogliamo vedere. O possiamo scendere a un
compromesso. Non vogliamo andare all’appuntamento, ma la realtà vuole che vi
andiamo. Da un lato avvertiamo i nostri obblighi sociali e gli affari, e
dall’altro sentiamo i nostri impulsi e le nostre esigenze … preferenze. Così
scegliamo il compromesso, andiamo un po’ più tardi. L’essere in ritardo è
un’espressione comune di un’incertezza che sentiamo come il risultato di un
tale conflitto. Un altro modo di rendere più accettabile la realtà è quello di
trasformare i nostri desideri in modalità di espressioni accettate dalla
società. Chiamiamo ciò sublimazione. Un bambino, ad esempio, che è educato allo
pulizia con costrizione, con minacce, con punizioni, può cadere in una
fissazione nella zona anale, cioè può restare con una costante preoccupazione nei
confronti di quella parte del corpo. Un irresistibile interesse rimane
concentrato su quella zona, su quell’oggetto. Che cosa può fare quando sarà
adulto? Se tutto va per il verso giusto,
può essere invogliato a diventare uno specialista di quella parte del corpo. Un
altro tipo di sublimazione prende la via dell’arte piuttosto che quella della
scienza. Un altro modo di uscire dalla realtà consiste nel giocare. I bambini
usano questo mezzo più di quanto facciano gli adulti. Se guardate i giochi dei
bambini, vedrete che essi sono costituiti da finzioni fantastiche. Infatti, uno
dei migliori modi di avvicinarsi alla psicologia evolutiva è di giocare con
loro, organizzando attentamente i giochi. Alcuni dei nostri sforzi per trattare le
difficoltà che abbiamo sono causa di sintomi. Così, anche il senso di
fallimento e la malattia qualche volta ci aiutano a smussare gli spigoli della
realtà.
Uno dei mezzi più comuni a
portata di mano, quindi, per sfuggire alla realtà è la fantasia. Vi sono
quattro tipi di fantasia:
·
Sognare a occhi aperti, che è la forma pura;
·
Sognare nel sonno;
·
Pensare alle nostre aspirazioni;
· Interpretazioni erronee che coinvolgono errori
di
giudizio dominati dai nostri desideri e dalla nostra volontà.
utti questi tipi hanno
un’importante caratteristica comune, la volontà o il desiderio è il loro nucleo
principale. Ciò non di meno, essi differiscono in molti modi. Differiscono per
la quantità di consapevolezza che contengono, per la quantità di simbolismo
presente, differiscono nell’essere sistematici o casuali e negli effetti che
hanno sul nostro comportamento. La fantasia può avere aspetti buoni ma,
soprattutto, ci mette in contatto con le nostre risorse più profonde. La nostra
abilità di rompere con la realtà ci aiuta a migliorare la nostra intelligenza,
il nostro umore. Essa ha una funzione importante nell’inventiva. E’ un aspetto
dell’ispirazione. I sognatori possono mancare di spirito pratico ma sono
necessari, indispensabili. Il problema è quello di rendere la fantasia utile
piuttosto che dannosa per noi. Nel dissidio struggente tra fantasia e realtà
dobbiamo non deplorare i nostri desideri, ma imparare a valutarli in maniera
vantaggiosa, perché essi possono facilmente condurci tanto a pensieri
costruttivi quanto a pensieri poco pratici. Una volta che abbiamo valutato con
lucidità i nostri desideri, possiamo più facilmente determinare in quale
direzione la nostra fantasia deve condurci. Una indicazione importante nel fare
ciò è il modo in cui dobbiamo usare la parola ”se”, quella miccia che fa
esplodere il carico esplosivo della fantasia. La parola “se” permette al bambino
di fuggire dalla realtà e di fare le cose che vuole fare. Quando da adulti
usiamo il “se” in questo modo, e lo facciamo spesso, ci stiamo comportando allo
stesso modo, stiamo fuggendo la realtà. Gli adulti dicono: “Se avessi fatto … continuato … fossi
stato… se, se, e ancora se”. Le fantasie salutari non hanno soltanto un
certo grado di speranza in se stesse, hanno anche un elemento di realtà.
L’immaginazione serve per considerare, per catturare nuovamente, per valutare …
mantiene vivi. Mantiene una buona dose di piacere. In questo modo possiamo
tenere le nostre fantasie a un grado accettabile e rendere più facile il nostro
adattamento alla realtà. Invece di cominciare una dieta disastrosa, ad esempio,
possiamo tentare una ragionevole, graduale dieta, che comporterà minore
sofferenza e maggiore successo. obbiamo renderci conto del fatto che, finché viviamo, respiriamo e desideriamo. Come il respiro è l’inizio della
vita fisiologica, così il desiderio è l’inizio della vita psicologica. L’uomo
che non vuole nulla è morto, il desiderio spinge al movimento, è il trampolino
di ogni cosa che facciamo. Ma il desiderio si sovrappone ai nostri pensieri e
ai nostri sentimenti, offrendo ogni possibile grande opportunità al sogno a
occhi aperti, alla fantasia. Esso può sfuggire dalle mani a causa della
continua insoddisfazione, sempre in aumento nei confronti della realtà, ma
molto spesso mantiene vivi i nostri desideri, ciò è bene per noi, perché la
realtà è così dura che soltanto desiderando delle cose sempre più difficili
mettiamo alla prova la nostra possibilità di ottenerle. Quindi, in giusta
misura, le nostre fantasie probabilmente sono più benefiche che nocive. Diciamo
ad esempio, che è estremamente importante per la nostra salute mentale avere un
concetto adeguato di noi stessi. Ma se sbagliamo nel valutarci, è meglio che
sbagliamo in nostro favore piuttosto che denigrandoci. E’ meglio stare sulla
riva del fosso che caderci dentro. Così non dovremmo abbandonare le nostre
fantasie per la realtà … piuttosto
dovremmo lavorare per rendere la realtà più strettamente simile alle nostre
fantasie … se non la vuoi uccidere lasciala liberala, scappa dalla routine, non
fare sempre le stesse cose, i soliti discorsi, indossa un nuovo vestito,
incontra gente nuova, cambia ristorante.
NB. Le
informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo
articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico
di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la
diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore
educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – 0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it
Bell'articolo, complimenti
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