DIVORZIO
… quando i rapporti
finiscono
rriva un bel giorno che vivere insieme diventa un inferno. Una unione che sembrava indistruttibile poco alla volta o all’improvviso salta, crolla come un gigante d’argilla. I motivi possono essere tantissimi: tradimento, violenza, mancanza di entusiasmo e di passione, noia, incomprensione, difficoltà economiche, calo della libido. Il divorzio, anche se non fa più notizia, non riguarda esclusivamente il puro e semplice scioglimento del vincolo matrimoniale, ma coinvolge aspetti emotivi particolarmente dolorosi - difficili da gestire - quali ad esempio abbandono, distacco e separazione; l’addio innesca una infinità di problematiche psicologiche e pratiche (il tutto deve essere affrontato immediatamente). “Divorziare in allegria” è sicuramente uno slogan per qualche commedia popolare e, comunque, stando ai dati oggettivi è sicuramente una locuzione decisamente anacronistica. In questo fenomeno, se si presta attenzione, la vera sofferenza non si concretizza automaticamente con la separazione, ma l’infelicità era già presente quando la coppia, a se stessa e agli altri, si sforzava di dire “E’ tutto normale, tutto funziona alla meraviglia… tutto come prima”: il rapporto era già una prigione invisibile, un’atmosfera di perenne tensione, in breve un fenomeno di sofferenza per entrambi i coniugi.
on sempre la sofferenza è prerogativa per forza solo a chi sperimenta il sentimento di abbandono: anche chi lascia può portare il peso di questa rottura (senso di colpa, attaccarsi ai ricordi, cercare di mantenere a tutti i costi un rapporto di amicizia per rendere il distacco meno traumatico). La separazione porta sempre con sé tristezza, amarezza profonda, malinconia, dolore e perché no, anche paura.
Vivendo per molto tempo una vita di coppia si finisce per perdere di vista la propria individualità (perdita del lavoro, degli amici, interessi) e quando un membro della coppia si allontana ci si sente smarriti, come se si avesse perso una parte di se stessi (fenomeno ben evidenziato nella depressione). Il vero dolore comunque viene amplificato dalla resistenza, dallo sforzo di fare andare le cose diversamente, dal tentativo di cancellarlo: quando una storia è finita è finita. Non ci si rende conto che in questo modo la sofferenza la si fa diventare ancora più forte (tenere il cervello concentrato su quel unico pensiero non si fa altro che alimentarlo). l fingere un amore e un piacere che non si prova più è devastante ma soprattutto apre le porte silenziosamente alle malattie psicosomatiche. Se la storia è finita, è segno che l’alchimia dell’amore si era spenta da tempo. Se non ci si sente più attratti da qualcuno e il suo odore dà persino fastidio non ci sono dubbi: è finita. Inutile raccontarsi che ci si ama, che si è legati da tante cose: per quanto dorata sia una gabbia è sempre una gabbia. Quando si arriva a questo particolare rapporto, il divorzio - se veramente non si ha più niente da dire - diventa la soluzione ideale per porre fine definitivamente alla giostra di infelicità per uno o entrambi i partner. Se la convivenza è giunta a sfaldarsi, evidentemente significa che le cose non andavano poi così tanto bene: è l’occasione per uscire da una vita chiusa. Quando un matrimonio entra in crisi, l’unica possibilità è scoprire le cause e quindi vedere se è possibile salvarlo. L’esperienza, però, insegna che quando la coppia entra in crisi difficilmente i membri che la compongono sono in grado di comprendere in maniera lucida i motivi. In questa fase i motivi di sofferenza, i pericoli di ulteriore disorientamento e delusione sono tantissimi e, soprattutto, a portata di mano: certi legulei estemporanei pronti a far riappacificare ma in realtà sono concentrati solo sulla parcella, ciarlatani e fattucchiere che assicurano e prevedono l’avvicinamento della coppia, amici comprensivi e parenti serpenti che tentano di salvare dall’esterno qualcosa che non funziona più all’interno. Se la coppia non funziona per mancanza di “collante”, di elementi che la tengono insieme, è del tutto inutile ricorrere a strategie di qualunque tipo esse siano, nella convinzione che tutto bene o male si sistemerà. Appare evidente quindi che chi sceglie di divorziare lo fa non per capriccio ma prima di tutto per risolvere una situazione di sofferenza individuale ormai insopportabile.
Il rapporto di coppia. Molte relazioni sono felici, solo all’inizio. Ma succede raramente che tutto proceda senza intoppi, mentre la vita e le situazioni si evolvono: la forza di un rapporto dipende dalla capacità di adattamento dei due partner. Non si può di affermare di conoscere il proprio partner fino al momento in cui le circostanze esistenziali ci mettono a confronto con le nostre risorse sia personali sia di coppia. Inoltre, bisogna precisare che la coppia “tipica” non esiste. Ognuno di noi è caratterizzato da possibilità e debolezza particolari, e il successo della coppia dipende molto dalla nostra capacità di riconoscerle e di trovare una conseguente forma di adattamento. Aspettarsi che il nostro partner incarni l’immagine che gli abbiamo attribuito provoca grandi tensioni nella coppia. La fragilità e la fallibilità umana restringono la possibilità di trovare un partner “perfetto” o di esserlo noi stessi. Se riusciremo ad amare senza condizioni, ad accettare le debolezze del nostro partner e a concentrarci sulle sue qualità, più probabilità avremo di risolvere qualsiasi problema. Costruire e nutrire un rapporto che duri tutta la vita richiede molta consapevolezza di sé o molto impegno. La capacità di dare e quella di ricevere, l’impegno di pervenire a equi compromessi, permetteranno di evitare sensi di colpa e risentimenti che potrebbero rovinare o distruggere il rapporto. Nessun rapporto, nemmeno il più felice, è privo di conflitti. E’ possibile risolverli più facilmente se si svilupperà una buona capacità di comunicazione. er poterlo fare si deve primo di tutto stabilire una solida base di comunicazione con il partner. E’ importante sentirsi liberi di esprimere le proprie preoccupazioni personali nel momento in cui sorgono, prima che si trasformino in problemi davvero importanti. Cercare di sviluppare un modo di pensare non pessimistico e, soprattutto, guardare realisticamente le situazione in maniera lucida prima che le discussioni comincino. Discutere le cose con calma. Cercare di usare empatia, capire il punto di vista del partner, in modo da facilitare la possibilità di un compromesso ragionevole. Non è soltanto ciò che si dice che influenza la capacità di comunicare: il tono di voce, l’espressione del viso (mutismi e silenzi esagerati e colpevolizzanti), i gesti e i movimenti costituiscono segnali non verbali e indizi che rivelano i veri sentimenti. Stare attenti con una certa sensibilità ai segnali di questo tipo trasmessi dal partner ed esprimersi con chiarezza, in modo da incoraggiare la comunicazione. Quando i problemi sembrano insormontabili, bisogna sempre ricordare che si ha sempre la possibilità di scelta tra azioni ed atteggiamenti che possono facilitare la gestione della situazione.
uando la fine di un rapporto
arriva, la mente si riempie immediatamente
di pensieri opprimenti, non lasciano scampo, di colpo ci si avvelena di
rimpianti e sensi di colpa inutili: “Se mi fossi
“svegliato” prima … Se non dicevo quelle frasi … Se non avessi fatto … Dovevo
assecondare quelle cose, valorizzarle di più … Dovevo essere più sensibile, più
presente … Segnarmi i momenti più importanti, essere più attento alle
ricorrenze … Se non avessi accettato quell’invito … FORSE, forse e forse,
chissà, saremmo ancora insieme” …
ma quanti più!!! … il pensiero rimane
lì, inchiodato sul partner … la “perdita” di una persona cara è sempre
un’esperienza straziante, un inferno che brucia lentamente ed inesorabilmente, un
tormento che ripiega su se stessi, una sofferenza sorda che disorienta, che
strappa non solo i capelli ma che azzera anche ogni certezza, smantella improvvisamente
i punti di riferimento più importanti, un dolore mentale diffuso che si
trasforma lentamente in un disagio fisico (le
difese si abbassano, i tratti depressivi fanno la loro comparsa, il rimuginare
continuo fa esplodere la testa, produce tensione alla bocca dello stomaco e
all’intestino, Morfeo diventa un tiranno … costringe a fare a botte tutta la
notte col lenzuola e cuscino): il mondo ci cade letteralmente addosso … lo
strazio e il rimorso per le cose “non fatte” in passato si impossessano della
nostra vita, inquinano, dominano, controllano e gestiscono il nostro vivere nel
tempo presente … allontanarsi, fuggire
dalla sofferenza, dal dolore è una reazione istintiva e ben motivata, più che
umana, per certi versi inevitabile, bisogna fare in fretta.
a ecco che, improvvisamente,
quella melodia ci raggela il corpo e la mente, ci pietrifica di colpo, quella canzone
ci riporta a lui, quel film visto insieme che ci ha particolarmente divertiti stimola
la voglia di ritornare indietro, quel lungo viale alberato di tigli profumati rievoca
un tenero e caldo momento mano nella mano, certi luoghi, poi, oltre ad essere
un vero e proprio supplizio sono sempre più presenti e davvero inevitabili … quel
fantastico mangiare al cinese al lume di candela, leggeri, liberi, in silenzio,
presi dalla follia della passione, seduti all’aperto coccolati da una calda
brezza estiva, ritorna violentemente in scena portando un venticello di tristezza,
nostalgia, tenerezza e lacrime … e, ancora, pensare a quell’intimità - davanti
al televisore rannicchiati e dormire
abbracciati nel lettone - paralizza ogni attività, avvalora ancora di più quell’idea
devastante che non ci sarà più nessun altro nella propria vita, tutto è finito,
giuro e rigiuro che il cuore non batterà mai più … impossibile ritornare a
vivere normalmente. iflessi rallentati, umore incerto, una sofferenza
incredibile, un tormento senza sosta, un patimento davvero ingestibile …
terribile, terribile (questo è il dramma e il dolore che leggo negli occhi, nel
volto smarrito dei miei pazienti quando sperimentano un abbandono). Senza
quelle vecchie abitudini ci si sente persi, completamente vuoti, confusi, smarriti,
nulla attrae, niente interessa, tutto si rifiuta, si va completamente alla
deriva, è la fine! Lentamente lo spazio
di libero movimento si restringe: quel ristorantino tanto amato è da evitare,
quel film va nascosto, gli amici allontanati, quelle letture cestinate … affiorano
bizzarre paure, strane insicurezze e oscure incertezze … pian, piano prende corpo una profonda
delusione, la sensazione di avere sprecato troppo tempo in quel rapporto che
non meritava assolutamente tutto il nostro impegno e attenzione … si diventa
scontrosi, aggressivi, freddi, acidi, cattivi, ogni cosa perde importanza … non
si esce più, il processo di isolamento ha inizio, rabbia, rancore, pessimismo annullano
altre opportunità e occasioni, allontanano la possibilità di nuovi incontri, di
essere nuovamente inebriati da salutari passioni … chissà mai, forse, magari
più coinvolgenti e felici. MA le sue
passioni erano anche le tue passioni veramente? … MA era proprio fonte di benessere quel vivere?
… eravamo davvero felici, liberi, fiduciosi, indipendenti, naturali e
spontanei, oppure quel rapporto era diventato noioso, spento, senza fantasia, troppo
idealizzato e poco creativo, tenuto in piedi solo dalla routine e dall’abitudine,
in attesa di stimoli migliori e più coinvolgenti, sorretto solo dalla paura del
cambiamento?

Ma cosa si può fare per eliminare queste fastidiose e dolorose
“impronte” del passato? E’ bene ricordare che ogni pensiero, anche se
doloroso, è l’unico strumento rimasto - assieme a rimpianti, lamenti e sensi di
colpa - che ci permette di rimanere ancorati, in contatto, legati con quella
cosa tanto desiderata o con quella determinata persona tanto “amata” … ecco
perché risulta difficile rinunciarci … il non pensarci significherebbe troncare
quell’esperienza in maniera definitiva e, quindi, ci si ritroverebbe ancora più
confusi, più soli, più lacerati, più abbandonati. Più noi ci ribelliamo, più ci
opponiamo con forza alla sofferenza e più, però, attraverso la produzione degli
ormoni dello stress, la rendiamo importante, attiva e viva. Sarà utile, in
questo particolare frangente, per contrastate questo infinito patimento anche
biochimico, essere presenti a se stessi, SENTIRE e GUSTARE lentamente, senza
fretta, quello che si sta facendo realmente … riscoprire, attivare i sensi,
entrare in contatto con le nostre vere sensazioni.
uardare pian piano le cose
da un’altra angolatura, con uno sguardo diverso: unica possibilità di ritornare
a far germogliare la nostra vita … provare piacere nel vivere le piccole cose,
magari con lui non era possibile, perché erano banalizzate, ridicolizzate,
etichettate come capricci infantili oppure soffocate per il quieto vivere. Creati nuovi spazi, luoghi diversi, solo tuoi,
evita di fare le stesse cose, gli stessi percorsi, così potrai ricevere nuovi
stimoli … Sono tante le sensazioni utili, che fanno riemergere, possono
risvegliare lucidità, desideri e la voglia di fare, ritornare con gli altri …
soprattutto, star bene con se stessi, non in funzione a quello che si farà o
chi si incontrerà: ma SOLO e SOLO per se
stessi ORA, in questo momento … indossare un abito che ci fa sentire bene e
sicuri, un profumo che ci solleva l’umore, mangiare anche tutte quelle cose che
prima per ‘l’alito pesante’ o perché non facevano snob non si potevano assaggiare
… premiarsi e premiarsi gradualmente … FARE e FARE ancora, iscriversi a corsi …
l’importante che siano tutte cose desiderate e “sentite” … qualunque cosa che
si mette in cantiere va bene basta che sia rivolta a “coccolare” e “curare” la
propria anima … RICORDA, ognuno di noi è unico e speciale, l’amore
e la felicità sono risorse inesauribili … infinite!

Vademecum per contenere i danni e la sofferenza
Smettere di ripensare continuamente al passato perché scatta il senso di colpa. Ancorarsi ad un tempo pieno di ricordi negativi (risentimento, rimorso, rimpianti) significa ritagliare un pezzo del passato, isolarlo dalla tenebrosa massa del passato, e farlo rivivere nell’attualità; il passato è passato non lo si può più modificare: è un tempo in cui si annida la disistima e l’infelicità. E’ importante usare parole univoche, chiare e precise nell’addio: se si è ambigui o possibilisti il partner potrebbe aggrapparsi ad elementi inesistenti o intravedere la possibilità di ripacificarsi e quindi non avere la consapevolezza che tutto è finito (è importante prendere atto che la coppia non esiste più). Anche rivedersi frequentemente può essere controproducente: si mescola il dolore e fa aumentare la dipendenza. Non isolarsi: è nel momento dell’abbandono che si ha soprattutto bisogno di un sostegno, di essere ascoltati (gli eroi solitari sono destinati ad incancrenirsi e vivere nella sofferenza). figli del divorzio. I bambini, dopo il divorzio, possono regredire, diventare irritabili e dipendenti. Alcuni si sentono soli, depressi ed abbandonati, sviluppano malattie e incontrano difficoltà nei rapporti di amicizia. Altri invece, per far fronte a questo malessere, fanno esperienza di droga, alcol e sesso. Molto spesso, dopo la separazione, i genitori hanno notevole difficoltà ad accettare la relazione tra il figlio che amano e il coniuge che hanno smesso di amare. Quello che importa è non litigare in presenza del figlio, usare sempre la massima sincerità e, soprattutto, non usarlo come arma per la battaglia in corso. E’ necessario rassicurarli che entrambi i genitori, nonostante la rottura, continueranno ad amarli: il benessere dei figli dipende da quanto un padre e una madre sono disposti a lavorare insieme in maniera costruttiva.
NB. Le
informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo
articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico
di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la
diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore
educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – 0532.476055
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