TIMIDEZZA … un disagio che condiziona la vita
apita a tutti di sentirsi intimiditi ed imbarazzati in situazioni impegnative, nuove o inconsuete. La timidezza, quella occasionale, è una condizione del tutto normale, mentre quella permanente - caratterizzata da un senso di disagio che paralizza l’azione - è un tratto “patologico” della personalità legato a carenze affettive, scarsa autostima e a profondi sentimenti di inferiorità. E’ una condizione che, fin dal suo esordio, ostacola lo sviluppo, impedisce di conoscere, di evolvere, di imporsi, di vivere il proprio talento e le proprie potenzialità, toglie l’entusiasmo, rovina lentamente la vita quotidiana. L’obbligo che il timido si autoimpone di incontrare persone o situazioni fa sì che i suoi tentativi di socializzazione risultino sofisticati, maldestri e sempre fuori tempo … difficili e anacronistici. Il soggetto, quindi, man mano che passa il tempo, tende ad isolarsi, evita l’intimità ed ogni tipo di incontro sociale.
l timido sembra colpito da paralisi psichica, dominato da
rossori e tremori, non osa mai; ipersensibile alla critica,
perennemente terrorizzato dall’idea di rendersi ridicolo, teme
costantemente l’umiliazione, il rifiuto e la vergogna. La vergogna,
per intenderci, è un'emozione, un turbamento che prende corpo dentro
di noi quando riteniamo che certi nostri comportamenti e desideri -
passati, presenti o futuri - sono percepiti come riprovevoli o
profondamente in contrasto con la nostra coscienza (fenomeno che
si sviluppa attraverso rapporti con il proprio ambiente …
all'esterno del soggetto … una situazione che
cambia o cessa quando si pensa che gli altri hanno modificato
opinione o giudizio nei nostri confronti). Sempre dotato di una
eccessiva dose di insicurezza, oltre a nascondersi agli occhi altrui,
vede in sé carenze e difetti inesistenti: un vero agnello tra
lupi affamati. Un disagio che può portare a totale sottomissione
o ad incontrollabile aggressività (frustrazione =
aggressività). A volte, usando un atteggiamento di
compensazione al proprio sentimento di inferiorità e al basso
livello di autostima, reagisce a certe situazioni in maniera
eccessiva ed impulsiva, adottando spesso comportamenti autoritari ed
aggressivi.
oiché le occasioni sociali sono incubi da evitare ad
ogni costo, il timido nei vari rapporti fa di tutto per non essere
notato, assume un atteggiamento “trasparente”,
“rannicchiato”, con testa e collo
completamente infossati sulle spalle; parla con voce strozzata e
bassa, evita lo sguardo diretto, si rinchiude negli angoli con
posture da vero contorsionista (Giuseppe, invece, come vedremo ha
uno sguardo diretto, deciso, fiero, curioso). L’essere
osservato dagli altri poi lo fa sentire ancora più insicuro, goffo,
inetto e continuamente sotto esame perché teme di rendersi ridicolo
con qualche fantomatico gesto mal coordinato, maldestro o sgraziato
(caratteristiche che mancano nel modo di esprimersi di Giuseppe).
Rossori improvvisi, tachicardia, la voce con suono flebile … un
soggetto che ha la sensazione di essere collocato nel “ripostiglio”
o in “cantina”, mai in prima fila. Segnali corporei
precisi, da interpretare come un linguaggio curioso, affascinante e
particolarissimo.
rrossire non è altro che la manifestazione di una
concentrazione di energia libidica nel volto e nel capo ... il
flusso sanguigno confluisce copiosamente nella testa. E la pelle del
viso avvampa, d’un rossore che svela, nostro malgrado, le nostre
intime e segrete intenzioni. Anche la voce strozzata ci parla di un
discorso che non vorremmo fare, una conversazione cui non vorremmo
prendere parte, un aspetto di noi che non vorremmo svelare. Così, le
parole si fermano giusto sulla soglia della gola ... si blocca nella
sala di smistamento; sbiancare invece significa scarsa energia. Cosa
succede nel corpo e nella mente?
ani
e gambe irrequiete. E’ il corpo che, più
saggio di noi, ci vuole portare altrove lontani dalla situazione
imbarazzante. La testa, invece, nega la possibilità di una salubre
evasione; il tremore è il risultato più logico di questa lotta
interiore. Allora compaiono tic facciali e buffi gesti nervosi, tutto
il corpo si ritrae, lo stomaco si contrae (accidenti, l'ulcera
comincia a farsi sentire) e si avverte un crescente senso di
nausea, le mani tremano e sudano copiosamente, le gambe irrequiete si
muovono incessantemente, una fastidiosa vampata di calore si
impossessa del volto, il cuore rimbomba in ogni piccolo segmento del
corpo, la bocca improvvisamente si asciuga e le parole prendono forma
in maniera confusa e pasticciata, le braccia si incrociano come segno
di blocco, di protezione o di resa… si
ha la sensazione di non padroneggiare più le reazioni fisiche e di
essere in balia degli eventi. Il
solo pensiero di non essere all’altezza delle aspettative, di poter
dire o commettere qualcosa di sbagliato spaventa terribilmente.
uesti soggetti sottovalutandosi, terrorizzati dall’idea di ogni
nuova relazione, pur desiderandola, arrivano a rinchiudersi in se
stessi, isolandosi e ripiegandosi ancora una volta sulla loro
sensazione di incompetenza sociale. Il timido teme gli altri perché
odia il confronto, li ritiene estremamente esigenti, critici,
impossibili da accontentare e soddisfare. Lui stesso è diventato un
giudice particolarmente severo. La paura, i luoghi comuni,
l’incertezza, la frenesia dipendono da ideali di perfezione,
diktat, modelli sociali, spesso irraggiungibili, a cui deve aderire
completamente: “Devo
muovermi con grazia e stile”, “Devo parlare senza arrossire”,
“Devo trovare argomenti originali”, “Devo dimostrare … fare …
essere … comportarmi”; condizionato da
schemi mentali e blocchi emotivi, segue rigide regole, si adegua
inflessibilmente a qualcosa che non ha niente a che fare con lui.
Sembra che in ogni rapporto rievochi un vecchio copione, un
fastidioso ritornello, un’antica paura, riapra di colpo una vecchia
ferita affettiva: dal
lontano passato, si presenta un terribile scenario, appare una vita
inquietante, povera di stimoli, piena di apprensione, insicurezza,
rifiuti, indifferenza e timori.
n fenomeno conflittuale e di disagio spesso vissuto con una figura
di riferimento distante, dalla personalità particolarmente
ingombrante, schiacciante e incapace di valorizzare gli altri. Una
terribile “ombra” giudicante che ha bloccato,
soffocato, sepolto, inchiodato, spaventato, mai stimato, considerato
ed incoraggiato. Un astuto manipolatore affettivo che si esprimeva
attraverso derisione e severi giudizi di valore: “Tanto
tu nella vita non concluderai mai niente… non ce la farai mai…
non diventerai mai come Tizio (o
cosa ancora più gravissima come tuo fratello o tua sorella … un
confronto diabolico, malsano, devastante a livello emotivo)
… sei troppo debole per farti spazio nella vita… non ti impegni a
sufficienza … guarda invece tizio, caio e sempronio… ci vuole
coraggio e spina dorsale… Avrai tutto il tempo che vuoi per
conoscere (blocco)
…
ogni cosa a suo tempo… figlio mia la vita è un inferno … proprio
dura” (si
insegnano aspettative drammatiche);
tutti “ritornelli” e modi di pensare
che, oltre ad ostacolare l’interazione col proprio ambiente - e
quindi la vera conoscenza diretta della vita - rendono insicuri,
predispongono alla solitudine, preparano una vita infelice e senza
amore (consigli che, come vedremo più avanti, sono statti
formulati a ruota libera da quel birbaccione del prof. “Keating”
(.).
La sensazione di non protezione e le esperienze precoci di
instabilità sono gli “ingredienti” che hanno
minato in qualche modo la sicurezza e l’autostima del soggetto.
Questo timore eccessivo di inadeguatezza trasforma ogni piccolo
rapporto interpersonale in una terribile sfida, soffoca la
personalità e predispone ad un perenne imbarazzo.
cco
i luoghi dove ci si trova sotto la lente di ingrandimento ... sotto
esame ... sotto processo. Il
timido, come è già stato sottolineato, sogna la solitudine come il
naufrago la sua isola felice. Perché è proprio nelle “occasioni
mondane” che l’imbarazzo e le difficoltà diventano
insopportabili. Entrare
in un negozio.
Detesto - mi diceva Serena sempre più avvilita - andare a
far compere; sono così insicura che spesso non vedo nemmeno cosa sto
guardando: la mia preoccupazione per quello che dovrò dire al
commesso aumenta al punto da farmi dimenticare cosa devo chiedere.
I timidi devono vincere il timore di essere guardati, di dover
parlare con persone estranee, di essere al centro dell’attenzione.
Per questo non riescono dire di no e si sentono obbligati a comprare
qualcosa.
arlare
in pubblico.
Parlare davanti ad altre persone è la situazione più temuta in
assoluto dai timidi, per i quali essere al centro dell’attenzione è
il peggiore degli incubi. L’ansia da “esibizione”
è proprio intollerabile e può produrre effetti fisici inabilitanti
quali sudorazione, rossore, tremore, balbuzie e incapacità di
parlare, talvolta anche nausea. La paura che tutto questo
possa accadere porta ad una perdita di lucidità: la mente si
svuota per il terrore, il cervello non ha più idee. E l’unico
rimedio per molti consiste nel fuggire davanti al problema, cercando
di evitare le situazioni di cui ci si deve esporre, con gravi
conseguenze per lo sviluppo della carriera scolastica e
professionale.
a
toilette pubblica.
Si chiama disuria, o sindrome della vescica inibita: familiare a
molti timidi; è l’incapacità di urinare in un bagno pubblico, o
in alcuni casi in casa d’altri o anche nella propria se è presente
qualcuno. E’ più diffusa tra gli uomini, e si presenta con
modalità differenti. Alcuni sono inibiti dalla presenza di estranei,
ma non di amici o familiari, per altri è esattamente il contrario;
per alcuni l’inibizione deriva dall’essere sentiti, per altri
dall’essere visti. Alla radice di questa sindrome, ci sono vari
fattori, tra cui la vergogna del proprio corpo, l’identificazione
della minzione con la sessualità, l’ansia da impotenza e un senso
di colpa che porta al desiderio di punizione.
tare
al telefono.
Evitano l’uso del telefono ogni volta che possono e nelle loro case
c’è sempre la segreteria telefonica a fare da filtro verso
l’esterno. Ciò che più temono tutti è di essere presi alla
sprovvista senza avere nulla da dire, senza rispondere a “tono”.
Sono timidi con la fobia della cornetta, quelli che paventano silenzi
imbarazzati e l’incapacità di sostenere una conversazione “come
si deve”. C’è la preoccupazione di inviare un segnale di
debolezza o di inadeguatezza, senza poter verificare “de visu” le
reazioni dell’interlocutore.
cchi
negli occhi.
Per molti timidi guardare qualcuno negli occhi è un’impresa
insostenibile. Per altri l’ansia nasce invece quando si è
guardati. La preoccupazione è come rispondere allo sguardo altrui e
come controllare il proprio, perché si è consapevoli che il
contatto oculare ha un ruolo nei rapporti sociali e che lo sguardo
diretto ha una connotazione positiva di chiarezza e sincerità.
La paura del linguaggio degli occhi ha significati diversi per uomini
e donne. I primi temono di apparire minacciosi e aggressivi,
incontrollati o “strani”. Le seconde sono invece
più preoccupate di trasmettere messaggi non voluti di seduzione o di
disponibilità sessuale.
angiare
al ristorante.
In genere non riescono a mangiare al ristorante, ma talvolta succede
anche a casa in presenza di ospiti. L’essere osservati dagli altri
li fa sentire sotto esame e ciò che li blocca, perché li
terrorizza, è la paura di rendersi ridicoli con gesti goffi:
rovesciare il cibo, mancare la bocca, mandare il boccone di
traverso, di essere rumorosi, non riuscire a deglutire, soffocare o
vomitare. Molto spesso l’umiliazione che si prova in casi del
genere, porta ad escogitare strategie complicate: dalla scelta del
ristorante, informale e poco affollato, al cibo, che deve essere
semplice e facile da mangiarsi.
,
per finire, un
goccino.
Si comincia a bere un bicchierino prima di andare a una cena o a un
impegno importante, per la sensazione di benessere e sicurezza che
l’alcol trasmette. E' così - per l’illusione di spazzare via
quella paura degli altri che li opprime - che molto spesso
comincia il rapporto privilegiato dei timidi con il bicchiere. E in
effetti basse dosi di alcol agiscono sulle aree del cervello che
controllano il comportamento, per cui chi beve si sente più libero e
si comporta in modo “sciolto”. L’alcol libera nel
cervello dei neurotrasmettitori che, momentaneamente, inibiscono
l’ansia, producendo una sensazione di benessere sociale e di
rilassamento. Il problema è che con il passare del tempo le dosi di
queste sostanze psicoattive aumentano gradatamente e cresce la
tolleranza nei confronti dei suoi effetti, che diventano l’unico
mezzo per combattere la timidezza ... l’ansia che ne deriva, la
paura della solitudine.
osì l’alcol a lungo andare, interferisce
con il processo psicologico che dovrebbe portare ad affrontare le
proprie ansie e paure mano a mano che si presentano. Il problema è
molto presente anche tra gli adolescenti: è provato il maggior
ricorso a sostanze psicoattive da parte dei timidi. Sono
soprattutto i maschi - anche se le femmine attualmente se la
cavano molto bene - estremamente timidi che tendono a fare abuso
di alcol. Non bisogna mai dimenticare che l’alcol dà coraggio ma è
solo in prestito… prima o poi chiede indietro
tutti gli interessi ... di pagare prima o poi il “dazio”: sia a
livello fisico sia a livello psichico.
Cosa
fare. Il primo passo è quello di essere
più flessibili e tolleranti con se stessi. Potrebbe essere banale,
ma non ci sono dubbi: tutto ciò che è malleabile, morbido e
fluido, trasforma e sviluppa la vita, mentre ciò che è rigido,
inflessibile blocca ed “avvizzisce” ogni
cosa vitale. Essere “sciolti” aiuterà ad
eliminare la sensazione di “goffaggine” prima che
degeneri in un quadro clinico importante. Attraverso massaggi
psicosomatici, rilassamento, e visualizzazioni si possono sciogliere
gradatamente la tensione e la rigidità legate a questo vissuto
emotivo che limita l’immaginazione e lo spazio di libero movimento.
Alzare, poi, il livello di autostima è fondamentale perché fa
sentire bene con se stessi, al comando della propria vita, pieni di
risorse e creativi.
oiché il sentimento di inferiorità è un
terreno fertile per la depressione sarà importante
“lavorare” sulla consapevolezza del legame tra
pensieri e stati emotivi, che si modificano e variano di intensità
grazie all’influenza reciproca. E’ una strategia che permette di
controllare ed integrare pensieri ed emozioni, così da modificare in
maniera più vantaggiosa il “comportamento” nelle
relazioni interpersonali. Gli
altri giudicano? Giudicherebbero ugualmente, anche se “andasse
tutto bene… anche quando si è quasi perfetti”,
anzi forse di più! Provaci, si può vincere da soli o, in casi più
gravi, con l’aiuto di un professionista qualificato … dai,
su la testa … non fare il timido!
IMIDEZZA
nei BAMBINI. Nonostante
la super tecnologia e l'eccessiva libertà di questo grandioso
periodo storico, la timidezza nei bambini è un fenomeno ancora molto
diffuso; una condizione emotiva che rende difficile la loro
integrazione sociale. Secondo la mia esperienza clinica diretta, un
buon 25% dei ragazzi che si rivolgono ad una psicoterapia presenta
serie difficoltà relazionali (più maschi che femmine, perché
avvertono in maniera schiacciante il giudizio dell’adulto e il peso
di vivere secondo un modello prestabilito; alla femmina nella nostra
cultura è concessa - credo non ancora per molto - una più vasta
gamma di reazioni emotive). L’elemento fondamentale di questa
richiesta è proprio la timidezza. Spesso, la timidezza esprime una
condizione esistenziale momentanea, legata alla difficoltà di
trovare un’identità solida. In questi casi intervenire è davvero
superfluo, se non addirittura dannoso. La timidezza sfocia nella
patologia quando è un fenomeno continuo e dà sintomi di scarso
adattamento sociale, distinguendosi così da profonda ansia e
depressione.
segnali. Insicurezza, difficoltà di
articolazione del linguaggio, problemi scolastici gravi e ritardo
nello sviluppo intellettivo. Ma anche un comportamento aggressivo,
può essere una valvola di sfogo per esprimere il disagio. In ogni
caso, un’attenzione sensibile e costante verso i figli, e un
intervento tempestivo sono la chiave per risolvere il problema. La
timidezza non è sempre un male silenzioso. Spesso si esprime con il
linguaggio della malattia. O, persino, della devianza, in età
preadolescenziale. L’asma, ad esempio, insorge
solitamente intorno a tre o quattro anni, come richiesta di calore,
attenzione e di coccole di un genitore distante. Si accompagna,
soprattutto nell’età prescolare, ad un vissuto di isolamento. Ed
esprime un bisogno di contenimento che il bambino non comunica, per
paura di un rifiuto.
tipsi
e diarrea
presentano una chiara matrice simbolica: l’intestino
trattiene e rilascia in base a certi tratti emotivi, testimoniando la
difficoltà del ragazzo a porre se stesso in relazione con il mondo
circostante.
Quando la timidezza soffoca l’aggressività, non è raro rilevare
problemi digestivi. E in
alcuni casi, persino ulcera. Stessa eziologia anche per
i problemi dermatologici,
croce di molti preadolescenti: le difficoltà di relazione
esplodono sulla pelle, che delimita simbolicamente lo spazio interno
in funzione del contatto con gli altri (temuto). E quando
timidezza ed aggressività convivono? L’associazione di
timidezza e aggressività, alcuni studi lo confermano, può essere un
fattore di rischio per le “dipendenze”, atteggiamenti,
comportamenti futuri … l’abuso di sostanze stupefacenti.
osa
fare. Innanzitutto, evitare comportamenti
errati, come quello di etichettare il bambino con definizioni
improprie. Dargli del timido è decisamente sbagliato: magari il
piccolo è solo poco socievole, a volte con la sua ritrosia esprime
un’antipatia istintiva per qualcuno… si rischia di
etichettarlo, di farlo identificare in quella parola – immagine
(rendere una cosa permanente che invece è solo momentanea). Per
di più si corre il rischio che il bambino si comporti da timido per
non tradire le aspettative di un genitore che lo considera tale,
finendo così per eleggere la timidezza a uno stile di vita, a
un'unica modalità di rapporto con gli altri (o come alibi: tanto
io sono così quindi non posso fare, andare, sbigare ...). In
secondo luogo, se proprio di timidezza si tratta, è bene utilizzare
il gioco per risolvere il problema. Tanto meno poi si “medicalizza”
il piccolo, tanto più facilmente si uscirà dal problema (ti
porto dal dottore, dalla dottoressa, dallo specialista…). In
questo modo è possibile evitare che nel bambino si instauri un
sentimento di inferiorità che sarebbe molto controproducente.
ONCLUSIONI
… e un po' di mitologia. E'
importante ricordare che la mente di ogni fanciullo è plasmata non
solo dai genitori (primi garanti dell'educazione), ma anche
dai vari incontri sociali: in particolar modo dagli “educatori”.
Il potere di questi ultimi non deve mai essere sottovalutato perché
sono personaggi che possono fare il buono o il cattivo tempo nella
psiche del giovane: portare sereno ma
anche un maltempo devastante. Non
allarmiamoci: ci
sono genitori “meravigliosi” e insegnanti “stupendi”,
davvero “capaci” ... fortunato è chi li incontra.
Ricordiamolo ancora una volta:
NO
permissivismo,
ma comprensione e fermezza, MAI
derisione. MAI
saltargli addosso o aggredirlo solo perché ha fatto scelte che non
combaciano con le nostre che, in fondo in fondo, vorremmo fare per
lui ... solo perché il suo percorso di vita non coincide con il
nostro … aiutiamolo a diventare ciò che è realmente.
REPARIAMOCI
ad insegnare, ma anche ad apprendere e conoscere la sua
spensieratezza, il suo entusiasmo, la sua energia e, se non la
spegniamo, la sua voglia di vivere ... il suo meraviglioso mondo
“incantato”.
E
ANCORA,
ascoltare senza esprimere giudizi di valore, esercitare volontà di
censura, ma nemmeno una eccessiva e distruttiva condiscendenza …
oppure quelle frasi colpevolizzanti che non portano da nessuna parte
“Te l'avevo pur detto che quella cosa non si doveva fare” …
comprensione ma, soprattutto, fermezza e determinazione.
na
buona parte del nostro “destino”, della nostra felicità, oltre
all'impronta genetica, è nelle loro mani.
Una preziosa conferma di quanto affermato ci viene da
un racconto antico, a me molto caro per la sua freschezza narrativa:
il mito di Pigmalione.
Pigmalione
era un giovane leggendario amante dell'arte, ma anche il re
di Cipro. Non era conosciuto come Sovrano, ma come abile scultore in
tutta la Grecia. Il troppo amore per l'arte lo fece diventare un
proverbiale scapolo: una passione che lo allontanò più volte dal
matrimonio. Vivendo con questa grande passione ebbe, un bel
giorno, una felice ispirazione, realizzò un suo grandissimo sogno:
scolpì, in un candido avorio, una bellissima statua; una
figura femminile talmente bella da non temere rivali; nemmeno quelle
in carne ed ossa potevano competere con questa grande, meravigliosa e
maestosa opera.
na fanciulla graziosa, con perfette forme e
straordinarie sembianze umane, di cui era impossibile non nutrire
attenzione, affetto, qualche sentimento … e così avvenne,
Pigmalione cadde nella trappola dell'amore (oggi diremmo
agalmatofilia: amore per una statua … una parafilia che comporta
attrazione sessuale per oggetti inanimati). Era talmente
infatuato e attratto dalle sue prosperose forme che negò
completamente la realtà; dimenticò infatti che la sua opera era un
pezzo di marmo: un semplice “manufatto”. La vestiva di tessuti
incantevoli, rari e preziosi, la riempiva di tenerezze, la colmava di
regali e di profumi, la coccolava, la abbracciava, la baciava
continuamente e le sussurrava dolci paroline d'amore come se fosse
reale; era convinto che la statua ricambiasse queste sue effusioni
solo perché riscontrava, dopo ogni gesto affettuoso, segni sul suo
corpo … profondi lividi (non poteva essere diversamente
considerato l'oggetto d'amore!).
vvilito, frustrato,
disorientato, confuso e spinto dalla bramosia d'amore vero volle
renderla viva, e così si rivolse ad Afrodite affinché realizzasse
questo suo profondo desiderio. La Dea sensibile a questa supplica e a
questa sua esagerata passione esaudì la richiesta. Afrodite non
esitò, incalzata da quella sincera e insistente preghiera, trasformò
la statua in una bellissima fanciulla in carne ed ossa: infuse la
vita a quella singolare opera. Pigmalione la chiamò Galatea, la
sposò ed ebbe un figlio di nome Pafo … e così vissero felici e
contenti per sempre (questa bellissima storia, per chi la vuole
approfondire, si trova nel poema “Le Metamorfosi” di P. Ovidio
Nasone).
Si
tratta di una forma di “suggestione”
che può influenzare o condizionare profondamente atteggiamenti,
comportamenti, schemi mentali e modi di pensare; un fenomeno che può
attivarsi silenziosamente in ogni rapporto umano: familiare,
sociale, lavorativo;
noi però questo concetto lo collochiamo in un settore della vita ben
preciso: nell'ambito
educativo.
Si tratta, in realtà, di una “profezia”
in cui le persone di un certo ambiente (in
questo caso studenti)
tendono a conformarsi all'immagine di altri individui che hanno di
loro (docenti):
sia
nel positivo sia nel negativo.
Facciamo un
esempio pratico.
olto tempo fa venni “interpellato” (in
qualità di presidente dell'associazione Panic Anxiety Disorder
Center),
da una istituzione scolastica rodigina, per un consulto; per
esprimere un parere su una questione di natura relazionale: una
situazione apparentemente banale, ma piuttosto delicata.
L'oggetto di indagine era un giovane, chiamiamolo per comodità
Giuseppe; considerato, per alcuni addetti ai lavori, teppista (prima
etichetta),
scontroso, ribelle, maleducato, poco rispettoso e violento … era
proprio così? Mah.
Un giovane
che, a dire il vero, per il suo abbigliamento,
modo di fare, atteggiamento spavaldo e sicurezza sfrontata, non
brillava certamente di efficienza, vivacità e simpatia (vestiario
un po' alla Fonzie di happy days per intenderci:
giubbotto di pelle, stivaletti di cuoio, capelli nero corvino … e
l'immancabile scooter anche in inverno).
Alto, magro, pelle sottile e bianca, scarsa energia, quasi denutrito.
Un contrasto di colori che, a prima vista, rendevano il suo aspetto
ancora più inquietante.
onostante questa sua immagine 'lugubre'
si
muoveva in maniera armoniosa, coordinata, decisa e sicura; lo sguardo
era diretto e sincero di chi vuole conoscere, avere contatti, non di
sfida o di chi cerca 'rogne', ma di chi è disponibile a scendere a
compromessi.
Per
farla breve, cosa è accaduto tra Giuseppe e l'istituzione
scolastica?
Quali
sono state le dinamiche che hanno favorito lo scontro con un docente
in particolare?
Sembra che durante le presentazioni del primo giorno di scuola,
proprio per l'abbigliamento di Giuseppe, un docente gli abbia detto:
“Tu
con quel vestiario, se non lo cambi, qui dentro - anzi con me - non
farai molta strada”.
Suggerimenti di questo tipo, a detta di alcuni compagni, con tonalità
diverse, ma con lo stesso contenuto denigratorio, scontroso,
rifiutante e giudicante, si sono protratti per quasi tutta la metà
dell'anno scolastico. Un inizio con il piede sbagliato direbbe
qualcuno; i soliti ben informati direbbero che quel modo di fare non
aveva proprio nulla di educativo, lontano mille miglia da quella
sensibilità educativa proposta dalla famosa Maria Montessori. Lo
sguardo di sottecchi, poi, di entrambi, aveva spento completamente la
comunicazione già al suo inizio. Un pregiudizio che, oltre alle
numerose etichette denigratorie, costò molto caro a Giuseppe; fu
dipinto come un personaggio poco
credibile, incapace, attacca briga, incostante, scontroso, lento a
livello di ideazione ... insomma non molto “sveglio” … un
parassita (copiava);
un quadro, per certi versi infamante, che si diffuse velocemente e
condizionò altre “menti raffinate”.
lcuni benpensanti, per fortuna pochi, inneggiavano anche i loro bei
tempi passati in cui c'era “questo” e “quell'altro”: più
rispetto e devozione;
altri invece sussurravano con rabbia e fermezza la magica sberla come
momento formativo ed educativo … soluzione adatta ad ogni
situazione, per ogni cosa, che non ha mai fatto male a nessuno.
Tutte queste perle di saggezza - accompagnate
sempre da un paralizzante sguardo indagatore
- erano consolidate dal fatto che Giuseppe non veniva coinvolto
nell'attività scolastica con la continuità e la frequenza con cui
venivano interpellati i suoi compagni; lo si escludeva volutamente
dall'interrogazione (tanto
è un 'imbecille' … tempo perso!)
oppure al primo tentennamento gli si toglieva la parola passandola ad
un altro (tanto
non ha studiato); una
profezia che si autoavvera in campo … i tentativi di demolizione
erano visibili a tutti, un vero e proprio calvario! Cinque ore di
lezioni alla settimana vissute da Giuseppe in una snervante allerta,
come se qualcuno lo aspettasse al varco da un momento all'altro;
attimi di tormento, colmi di delusioni e mortificazioni che
provocavano solo astio, confusione ed indecisione; ignorato, lasciato
solo, teso e su di giri, con il suo pieno di adrenalina quotidiano,
non poteva andare molto lontano; finalmente arrivò la “conferma”
delle sue capacità cognitive, ipotizzate dal “famoso” professor
“Keating”(.).
i Giuseppe, infatti, se ne parlò, in maniera più dettagliata, nello scrutinio del primo trimestre. “Vedete è come vi dicevo io da tempo: E' uno scapestrato che non vale nulla, in quella testa non c'è niente di buono, nulla da recuperare, deve andare per la sua strada … è tutto tempo sprecato e soldi buttati al vento … sono due braccia rubate al mondo del lavoro” … l'unica nota positiva è che non disturbava, rimaneva in silenzio, guardava ed ascoltava. Credo non sia necessario proseguire, ma solo aggiungere che Giuseppe - se alcuni docenti, sensibili alla situazione, non avessero fatto le mosse giuste - rischiava di diventare veramente un buono a nulla o un “ciuco” patentato … e tutto questo per che cosa: una banale suggestione e un ingiusto pregiudizio. Fortunatamente Giuseppe aveva (ha) una mente brillante e come tutti i “caratteri orali” ha acquisito, negli anni, un buon livello di competenza cognitiva, una discreta lucidità e, soprattutto, una buona fluidità verbale. Dimenticavo, l' “ignorantone” si è poi laureato a pieni voti (una laurea importante e di grande responsabilità … ora ha in mano la vita di altre persone). Vedendolo ancora, di tanto in tanto, non indossa più quel vestiario tenebroso e bizzarro; non indossa abiti lussuosi o griffati, nemmeno troppo vistosi o trasandati, ma di uno stile inconfondibile a lui tanto caro, del tutto “normale”: sportivo, casual, libero come è la sua natura, la sua vera identità che fin da quando si chiamava Giuseppe cercava di costruirsela in piena autonomia, in maniera unica e originale ... è un sopravvissuto a verdetti improvvisati e senza storia, a vari tentativi maldestri di piegare la passione, l'originalità e l'esuberanza giovanile, sfuggito al controllo di un personaggio freddo, severo, profondamente tormentato e in conflitto con se stesso, che non sapeva ascoltare e che odiava in maniera incredibile i cambiamenti, i mutamenti, le trasformazioni della vita; ha rischiato di vedersi calpestare la sua dignità per colpa di modelli educativi e mentali rigidi, logori, anacronistici... in fondo, in fondo, Giuseppe cosa cercava - quello che vogliano tutti gli adolescenti, se non sono schiacciati o umiliati - di tutelare, in piena libertà, la sua vita privata senza danneggiare quella degli altri. E' andata bene ... tante belle cose Giuseppe!
(.)
L'attimo
fuggente
è una pellicola cinematografica
del
1989 diretta da Peter Weir
e
con protagonista Robin Williams. Uno
strepitoso R. Williams che interpreta il formidabile professor
Keating.
Una delle frasi più belle: chiamatemi professor Keating o se siete
un po' più audaci, "O
Capitano,
mio
Capitano".
Bellissimo!!! Se vi capita a tiro, guardatelo … un “attimo
fuggente” che aiuta a riflettere, a prendere le distanze da modelli
mentali logori, banali e stratificati da antichi modi di pensare ...
insegna a prendere il volo, a cavarsela e superare i vari ostacoli
quotidiani, a navigare tra i vortici della vita
ma,
soprattutto, un invito - sempre, ma sempre nel rispetto dell'altro - a non farsi “ingabbiare”.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo, pertanto, ha un valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
Interessata all'argomento in quanto persona problematica e costantemente in crisi mi sono imbattuta in questo articolo meraviglioso!..letto tutto d'un fiato...suggestivo.... Che dire? La teoria non fa una piega...in pratica invece....quanto è dura!!!!..........Grazie per questo piacevole quarto d'ora.
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