Le Chiese che curano … brevi
frammenti di un caso clinico 'particolare'
Introduzione
onostante
il termine depressione venga sempre più spesso usato nel linguaggio
comune per ridicolizzare alcune “debolezze”, raccontare momenti
imbarazzanti, mettere in risalto situazione buffe, esagerare su
alcuni comportamenti umani stravaganti, sembra mantenga, comunque, nel tempo, il
suo significato drammatico, inquietante e minaccioso. Il tentativo di
annullare, negare, esorcizzare o semplicemente allontanare dalla
mente tale disagio, attraverso rappresentazioni e caricature
umoristiche, pare non abbia alcun effetto benefico; pur essendo, il
più delle volte, un messaggio ironico, tale da conferire una certa
connotazione di ridicolo, non raggiunge mai un tono distensivo e
rassicurante; nemmeno con una punta di sarcasmo genuino, si riesce ad
“oscurare”, raggirare questo tema angosciante; impossibile
portare alcun abbellimento alla sua forma e ai suoi tratti
antipatici; nessuna modifica benevola al suo carattere tragico e
misterioso … qualsiasi “addobbo” rimane scarno ed inutile!!! La
sua atmosfera conturbante viene percepita in tutta la sua
drammaticità non solo da chi, in prima linea, si occupa dei disagi
emotivi, ma anche da chiunque si trovi nelle sue immediate vicinanze
... nel suo suo raggio d'azione. Anche
all'individuo più insensibile e distratto, non può sfuggire quel
suo atteggiamento assente ed indolente, quel drammatico sguardo
spento, smarrito e di totale indifferenza che sfocia lentamente in
prostrazione e disinteresse per se stesso e gli altri …
freddezza che non perdona, raggela anche a
distanza considerevole! Si ha a che fare con una condizione
psicofisica scadente, per nulla vitale, che allarma e si fa sentire
con forza anche nei giorni migliori, crea imbarazzo, tristezza,
disagio ed inquietudine … collera, senso di
colpa e vergogna invadono ogni cosa, sono sempre di casa.

vvicinarsi a questa sofferenza, infatti, significa molto spesso
sperimentare sentimenti di delusione, frustrazione ed impotenza. Tale
stato emotivo è dovuto principalmente alla recrudescenza improvvisa
e violenta dei tratti depressivi e, soprattutto, alla difficoltà di
“smuovere” il soggetto dalle sue posizioni, convinzioni, blocchi
mentali e secchi dinieghi: il suo non fare e i
suoi continui rifiuti sono davvero proverbiali. Lo scopo
principale, comunque, di questo lavoro non è quello di riproporre
una nuova versione o definizione di questo complesso ed oscuro
malessere psicofisico - altri lo hanno già fatto in modo esauriente
e brillante - ma solamente narrare una “storia” umana senza mai
cadere nel banale o sconfinare nel territorio del grottesco ... né
nascondersi dietro inopportuni toni moralistici. Un racconto per
certi versi piuttosto “comune” ma, nel contempo, originale,
intenso, coinvolgente ed appassionante: un'esperienza
di vita personale meravigliosa, illuminante e con un finale davvero
sorprendente. Un caso clinico in cui il desiderio, il
muoversi, la ricerca e nuovi interessi hanno scardinato completamente
apatia, pigrizia ed immobilismo; un modo di agire che ha assunto, in
ambito terapeutico, un ruolo dominante e di sprone per gestire il
tormento esistenziale, uscire dalle sabbie mobili emotive, dal tunnel
della sofferenza e dal tradimento affettivo.
a vicenda ebbe origine
da una esperienza vissuta direttamente dal personaggio principale di
nome Olao ... una commedia sperimentata sul lettino dello
psicoanalista direbbe ancora una volta il personaggio surreale di
Woody Allen! Olao raccontò, durante il nostro consueto incontro
settimanale, di aver sperimentato all'interno di un grande edificio,
che in passato fu luogo di culto religioso, strane e profonde
sensazioni psicofisiche. Da questa “elettrizzante” esperienza,
vissuta direttamente durante un breve reportage fotografico nella
città di Ferrara, emerse il desiderio di approfondire alcuni
interessi e allargare la sua avventura sia a livello tecnico sia a
livello emotivo; ovvero, effettuare una ricerca su questi immobili
misteriosi, antichi e ben strutturati, straordinariamente semplici,
senza tempo, in cui il vecchio e il nuovo rendevano quel territorio
pulito ed affidabile ... un'area protetta e sicura era solito dire.
Al suo interno Olao si sentiva un gigante, eroe, potente, forte,
fermo, deciso, risoluto, energico: al riparo da
ogni “turbolenza” affettiva. Un luogo, a suo dire, quieto
e tranquillo che diffondeva calma e serenità, emanava una luce
calda, gradevole e rispettosa; il tutto accompagnato da una
sensazione di pace e libertà, che invitava a riflettere, ad agire, a
prendere posizione, ad essere incredibilmente attivo ed energico.


acque così la grande avventura. L'entusiasmo nel proporre il
censimento di tutte le chiese sconsacrate - che in passato avevano
avuto un preciso cambiamento di destinazione d'uso - fu immediato per
entrambi. La bozza del programma coinvolse con gioia, da subito, i
due attori principali della storia ed occupò, da quel preciso
istante, buona parte degli incontri settimanali fino alla completa
realizzazione del progetto. Piano piano, quindi, in base alle
conoscenze e alle abilità personali possedute, furono assegnati a
tavolino i compiti, i ruoli, i vari incarichi che ognuno in piena
autonomia, ma in perfetta sinergia, doveva realizzare:
a me il compito di redigere tutta la parte teorica, ad Olao invece la
ricerca delle chiese sconsacrate con relativa produzione fotografica
… un reportage che documentasse tutti
gli edifici sconsacrati e ristrutturati nel capoluogo ferrarese.
L'incontro con tali edifici, certamente insoliti, non fu per Olao un
puro e semplice risveglio dell'interesse religioso, ma come vedremo
più avanti nella descrizione dettagliata del progetto, il
significato simbolico e le azioni collegate a tale esperienza, al di
là della devozione, erano di natura emotiva, stimolanti sia a livello percettivo sia a
livello psicologico ... luoghi, a suo dire, “fantastici” ed
“esaltanti”. Un'area che offriva silenzio, pace, serenità e
sicurezza: tutti elementi indispensabili per
cominciare a mettere ordine in casa sua … riflettere per una buona
e profonda ristrutturazione cognitiva.
l progetto, incontro
dopo incontro, prendeva forma, era diventato un enorme faro che
illuminava ogni “angolo” della mente, creava una psiche lucida, produceva
energia utile per modificare convinzioni e pensieri disfunzionali più
o meno consapevoli; tutto ciò, comunque, lentamente, senza trombe e
tamburi, sgretolava, corrodeva e portava cambiamenti importanti alla
severa sindrome depressiva di Olao. La chiesa non solo simboleggia
pace, maturazione ed evoluzione interiore, ma diventa in quel
frangente un suo posto speciale, un luogo sicuro dove rifugiarsi e
riflettere in silenzio; assicura un momento di quiete, offre
tranquillità, sicurezza e protezione. Nel linguaggio simbolico tale
struttura architettonica, infatti, rappresenta l'archetipo della
Grande Madre (immagini primordiali
fondamentali depositate nell'inconscio collettivo che riguardano la
“nutrizione”, protezione e tolleranza; è il simbolo della vita e
della trasformazione, tutto ciò che viene trasmesso in modo benevolo
o ostile e che può favorire oppure ostacolare la crescita di ognuno
di noi). Una madre che, in questo caso specifico, differisce
completamente dalla madre reale. Ed è appunto attraverso questa
esperienza che viene riveduta e ristrutturata l'immagine della
propria figura di riferimento biologica, per certi versi, non sempre
sensibile e protettiva nei suoi confronti. Processo, d'altronde,
indispensabile per poter raggiungere una discreta autostima, fiducia
in se stessi, maturità e, soprattutto, fare scelte giuste senza
scendere a compromessi … sviluppare un
preciso stile di vita libero e completamente autonomo, utile per
uscire da quel malessere che lo tormentava fin dai primi 'passi'
esistenziali ... dall'infanzia.
n modo diverso di agire, di
pensare e di guardare le cose, rievocare gli eventi della sua storia
personale con più lucidità, consapevolezza, armonia e maturità; di
essere lì, in quel preciso istante, presente a se stesso, di sentire
con tutti i sensi, di sviluppare la capacità di avere ben presente i
termini e i “contorni” dei suoi conflitti, in modo tale da
prendere decisioni importanti, impostare buone strategie, puntare su
una lunga vita di gioia e serenità, mettere in atto scelte coscienti
e, soprattutto, realizzare mete di valore con entusiasmo e
soddisfazione … sentire qualcosa di forte e di buono in ogni azione
quotidiana. Un modo per prendere le distanze da
quello sconforto profondo, dirigersi verso quei segnali che danno
piacere e fanno “scegliere” la minore sofferenza possibile,
spingono ad orientarsi verso un dolore inferiore. Senza cadere
mai nella tentazione di barare, perché sappiamo bene quanto ogni
cambiamento di rotta sia difficile da realizzare, non solo sia
complicato da mettere in atto senza strumenti idonei o confusi, ma
possa anche terrorizzare, essere vissuto come estraneo a se stessi,
drammatico, doloroso e angosciante. Olao è
riuscito a mettere ordine dentro se stesso, ad invertire la rotta, ha
preso in quel preciso frangente decisioni “giuste” e fatto scelte
importanti … ha saputo “sfrondare”
i rami secchi, eliminare con successo il superfluo, snellire i suoi
rapporti complicati e difficili.
ttraverso questa sua
passione fotografica è riuscito ad individuare, ad entrare in
contatto con un mondo disordinato e con poche speranze di “salvezza”
… con il suo vero problema centrale. E' stato in grado di mettere a
fuoco quel malessere, quelle dinamiche e quei meccanismi di difesa
che da tempo lo tormentavano e non gli permettevano di vivere una
vita tranquilla e di buona qualità. Ha saputo muoversi, riconoscere
e vagliare tutti i percorsi agibili al fine di ottenere un
cambiamento del suo stato emotivo in meglio, più vantaggioso e
gratificante … maneggiare con disinvoltura il suo tormento. Con i
suoi gesti coscienti e strategie mirate, si è avvicinato ad un
discreto benessere, ad una qualità di vita accettabile, libera ed
autonoma. E' riuscito ad imbrigliare con
impegno ogni gesto malsano, dare indicazioni precise alla sua mente,
anziché lasciarla girovagare fra incertezze e mete indistinte
… destinazioni che in quello stato, da soli, è impossibile
raggiungere. Si rientra in “sala”, direbbe ancora qualcuno! Il
teatro ha ripreso il suo spettacolo, a funzionare regolarmente
attraverso la “rinascita” di un attore che si era perso, che
aveva smarrito il copione esistenziale, rimasto per troppo tempo
lontano dalla scena reale … ha ritrovato finalmente il suo vero
talento, la sua possente voce, il suo ruolo specifico, il suo
vestiario che lo rende più libero, vero e armonioso … scoprire
finalmente la gioia di vivere, di affermarsi e di prendere decisioni.
Il suo sguardo smarrito oramai è solo un piccolo ricordo, appartiene
ad una “comparsa”, ad un “figurante” che non ha più voce in
capitolo … anche se, di tanto in tanto, si presente sul palco:
senza ambizione e voglia di protagonismo però!!! … non per riprendersi il
suo vecchio posto, ma perché fa parte della vita; l'esistenza ci
educa a contemplare ogni cosa come unica, a guardare il mondo dritto
negli occhi, a percepire la realtà in modo diverso da come la "vediamo" noi e soprattutto
capire che tutto cambia, che ogni forma di vita ha un proprio
movimento ... che la difesa dal dolore stimola sempre la ricerca del
piacere … ci insegna a rialzarci, a ripulirci, a vivere in
sintonia e nel rispetto di noi stessi e del mondo intero.
UN
PO' DI STORIA.


el
corso dei secoli la depressione è stata affrontata e definita in
vari modi, a seconda del clima scientifico e culturale dominante del
momento. Ippocrate,
medico greco nato nel 460 a.c. e morto nel 377 a.c. si oppose con
fermezza alla concezione magica e religiosa della malattia, “curata”
a quell'epoca solo da sacerdoti di poco conto e fattucchiere
minacciose. Con il suo “giuramento”
non solo liberò la popolazione dalla stregoneria, ma fu anche il
primo “scienziato”
a regolamentare la professione dell'arte medica. Prese le distanze
dalla filosofia e stabilì che la medicina non fosse solo una
professione con 'rigide'
basi scientifiche ed esercitata da persone di “cultura”
specifica, ma pretese anche che le malattie fossero spiegate e
gestite in maniera razionale … secondo
rigorose regole, uno studio continuo e sistematico;
ogni problema di natura fisica, secondo il suo punto di vista, era
dovuto a qualche difficoltà interna all'organismo, mai per cause
esterne. Egli riteneva che la salute dell'essere umano dipendesse
dall'equilibrio dei quattro umori contenuti nell'organismo: sangue,
flegma, bile gialla e bile nera.
L'aumento di quest'ultimo elemento fluido e freddo - ovvero
una produzione eccessiva di bile da parte della milza
- era la causa dello stato depressivo. A questo “squilibrio”
dette il nome di 'Melanconia':
traducendo dal greco, infatti, si ha melas
nero
e cholè
bile.
Le sue ricerche avevano evidenziato, già all'epoca, profili
psicologici legati a patologie ben precise e piuttosto gravi; un Io
debole, un Super – Io pretenzioso, eccessiva sensibilità ai
cambiamenti ed una emotività bloccata, ad esempio, sono tutti tratti
depressivi di cui il tumore costituisce, a suo dire, la massima
espressione più grave. Sono affermazioni forti che vanno passate
sempre a setaccio, ma non si può certo negare che fosse una persona
- visti i tempi - dotata di un grande ingegno penetrante, una mente
brillante, creativa e ricca di immaginazione. Non bisogna
dimenticare, inoltre, considerato il periodo storico in cui viveva,
la sua frase proverbiale, ancora oggi di attualità e di grande
valore scientifico: “Lasciate
che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo”.


ristotele
nato il 384 a.c. e morto nel 322 a.c., con le sue ricerche - pur
essendo estranee al rigore scientifico -
sollevarono la questione del rapporto stretto tra “melanconia” e
creatività, tema che desta, ancora oggi, un vivace dibattito a
livello culturale e scientifico; mise in evidenza che molti artisti,
poeti, filosofi e leader politici soffrivano di questo male più
frequentemente della gente comune; sosteneva, infatti, che il modo di
fare depressivo, pur provocando prestazioni particolari e fuori dal
comune in vari settori della conoscenza e dell'agire, apparteneva di
diritto al mondo della genialità umana: follia
ed estro erano parte integrante, a suo dire, dello stato melanconico;
e, ancora, non ci sarà mai un grande ingegno senza un pizzico di
follia … tutti gli uomini straordinari, pur avendo tratti ben
precisi come umore ballerino, instabilità, alto rischio di suicidio,
hanno un qualcosa di melanconico ... ingegno creativo e talento,
pertanto, vivono in un territorio invisibile, al confine con la
salute e la follia.

on
E.
Kraepelin,
invece, psichiatra tedesco nato nel 1856 e morto nel 1926, lo studio
della malattia mentale ebbe un taglio decisamente positivista. I suoi
studi erano rivolti a classificare i disturbi psichici basati su
criteri clinici oggettivi. Nelle sue ricerche iniziali cercò di
dimostrare che i disturbi mentali erano di origine organica:
disfunzione
metabolica, endocrina e disposizione ereditaria.
Il suo maggior apporto al disagio psichico fu quello di aver
classificato magistralmente le malattie mentali. Principalmente, egli
raggruppò i vari disturbi psichici in tre categorie: demenza
precoce, parafrenia e psicosi maniaco
depressiva.
Il sistema di classificazione Kraepeliniano è tuttora, pur essendo
per certi versi obsoleto, mantenuto ed utilizzato a fini diagnostici,
in alcuni ambienti scientifici.

er
S.
Freud,
invece, fondatore della psicoanalisi nato nel 1856 e morto nel 1939,
lo stato melanconico risulta simile al sentimento di lutto, in quanto
ciascuno di questi fenomeni psichici si manifesta attraverso il
ritiro sociale, apatia, auto - esclusione dal mondo esterno,
isolamento e rifiuto totale di ogni forma di relazione. Freud
sostenne, inoltre, che la causa principale della melanconia è da
attribuire ad un cattivo e malsano rapporto con alcune figure di
riferimento importanti, risalenti nell'infanzia; a suo dire siamo
tutti dei sopravvissuti a scontri ambientali e a complessi conflitti
con personaggi particolarmente significativi. E'
sempre una perdita, più o meno accettata ma mal superata, che può
provocare nel tempo tristezza, ira, disperazione, estrema sensibilità
al rifiuto e scarsa autostima …
ogni “conto” emotivo in sospeso, pertanto, si presenterà
inaspettatamente anche nei momenti di quiete, farà deragliare ogni
intenzione su un binario morto, metterà in discussione la fiducia in
se stessi e spegnerà ogni rapporto. I soggetti che non riescono ad
esprimere la loro collera o sono incapaci di affermare la loro
indipendenza spesso, per paura di avere a che fare ancora una volta
con quei brutti e fastidiosi sentimenti di un'epoca oramai lontana,
relativi al giudizio di valore, rifiuto o abbandono, possono auto
punirsi per questi impulsi “insopportabili” ed “inaccettabili”,
rivolgendo ogni istinto aggressivo verso se stessi ... sentimento
che, lentamente, farà germogliare lo stato melanconico. Il
punto di vista psicoanalitico ipotizza che il futuro depresso,
durante il suo percorso evolutivo, nello sviluppo della sua
personalità, abbia sperimentato a livello affettivo - con una figura
affettiva fondamentale - alcune ferite importanti, non ancora del
tutto rimarginate, come umiliazione, delusione, rifiuto, ingiustizia
o tradimento, e che l'esperienza depressiva adulta non sia altro che
una riattivazione, grosso modo, della situazione deludente infantile.
Al di là dei vari orientamenti scientifici ci sono alcuni elementi
che accomunano questi soggetti: non
riescono ad evitare pensieri negativi, hanno aspettative e standard
ideali non realistici per quanto riguarda le proprie prestazioni,
oppure dipendono eccessivamente dagli altri.
Essendo stati delusi, e avendo compiuto una serie di scelte “sicure”
ma poco gratificanti nel corso della loro vita, questi individui
possono ritrovarsi a vivere situazioni che danno loro poco
entusiasmo, niente gioia e nemmeno un briciolo di soddisfazione;
potrebbero far la differenza e aumentare il disagio, per esempio, un
lavoro senza alcuna prospettiva, un partner di cui non si è
innamorati o magari schiaccianti da responsabilità familiari e
sociali. La terapia freudiana aiuta i pazienti a identificare,
affrontare e controllare alcune ferite affettive come perdita,
frustrazione, abbandono o rifiuto ... tutti quei “rigurgiti”
affettivi del passato mai digeriti completamente che, se creano
apprensione e tormento, vanno “neutralizzati”. Questa metodica
terapeutica cerca di placare il tormento emotivo mirando ad una
migliore integrazione della personalità … aiuta a gestire le
proprie emozioni, attraverso una serie di precise strategie
relazionali e simboliche, a fortificare l'intera organizzazione
psichica.

ltri
autori, invece, continuano a classificare tale stato patologico in
depressione
endogena
(che ha origine internamente) e in depressone
reattiva
(fenomeno episodico passeggero in cui il soggetto ha difficoltà ad
accettare una certa situazione o evento esterno). Anche se per
ragioni espositive queste due condizioni emotive sono tenute
distinte, a livello clinico, tuttavia, non esiste una netta linea di
demarcazione. Infatti, certi disturbi peculiari dell'umore, della
motricità, del pensiero possono manifestarsi in modo piuttosto
violento sia nella depressione endogena sia nella depressione
reattiva. Una persona colpita, ad esempio, da un lutto che non
migliori o non riprenda una vita “normale” entro un certo periodo
di tempo (2 mesi circa per alcuni studiosi), che inizi a manifestare
sensi di colpa, disistima o sensazione di inutilità, che sviluppi
improvvisamente deliri - allucinazioni oppure che mediti
l'autosoppressione, può sprofondare in una forte depressione grave e
aver bisogno di terapia farmacologica immediata. La mancanza di
rapporti affettivi stabili, le relazioni tormentate possono aumentare
la predisposizione a gravi tratti depressivi. Tutti coloro che stanno
affrontando una relazione sentimentale difficile, una crisi
matrimoniale, sono più vulnerabili, hanno una probabilità maggiore
di essere coinvolti in tale malessere psicofisico rispetto a quelli
che vivono un legame forte e felice; anche i rapporti familiari
aggressivi, violenti, ambivalenti, sviluppati sul rifiuto o
sull'estrema dipendenza possono creare una predisposizione alla
depressione. Lo stato depressivo endogeno, comunque, è legato non
solo alla presenza di una alterazione delle funzioni psichiche e
relazionali, ma anche ad un cambiamento biochimico importante:
ormonale
e biologico.
E' una condizione psicofisica spesso durevole e senz'altro dolorosa.
Con la sindrome depressiva endogena, si intende - oltre alla
predisposizione ereditaria - un gruppo di comportamenti
particolarmente gravi che se raggiungono un certo livello e frequenza
determinano una rottura psichica importante, esperienze deliranti
davvero invalidanti: stati
psicotici.
Anche se è difficile intervenire, perché il soggetto il più delle
volte rifiuta di farsi aiutare, una educazione attenta e oculata gli
permetterà di “lottare” contro questo malessere che rischia di
aggravarsi se l'ambiente circostante asseconda o favorisce la sua
“pigrizia” naturale. Nella depressione
reattiva,
invece, dovuta a cause esterne, la prognosi risulta meno grave; è il
risultato di una reazione eccessivamente prolungata ad avvenimenti
spiacevoli e luttuosi.

n
enorme contributo nella interpretazione e definizione della
depressione viene fornito da S. Arieti e J. Bemporad con il libro “La
depressione grave e lieve”.
Gli autori sostengono che lo stato depressivo è determinato da
fattori psicologici anziché organici, pur non escludendo la
compresenza di fenomeni biochimici. Lo spessore scientifico
dell'opera è caratterizzato, oltre all'introduzione di una nuova
terminologia, dalle singolari proposte terapeutiche. Sostanzialmente
dividono la depressione
in lieve o grave.
Al primo gruppo appartengono quei pazienti che hanno un po' di
consapevolezza del loro disagio e possono ancora lottare con tutte le
loro forze per liberarsi da quella morsa infernale, da quello stato
di apatia, disperazione e disinteresse per ogni cosa della vita e,
soprattutto, non disdegnano, seppur a determinate condizioni, un
aiuto esterno. Sono, pertanto consapevoli che tale condizione - non
trovandosi nell'area psicotica - ostacola ogni attività quotidiana,
limita l'apprendimento, azzera i rapporti sociali e compromette
completamente il mondo affettivo e lavorativo. Nelle depressioni
lievi,
inoltre, vengono descritti quegli stati emotivi espressi attraverso
l'umore particolarmente ballerino, tristezza, malessere psicosomatico
diffuso oppure una estrema sensibilità affettiva ad eventi
ambientali di poco conto. Nell'altro gruppo, gli autori, hanno
indicato una serie di sintomi piuttosto gravi. Fondamentalmente i
disturbi più caratteristici sono i seguenti: alterazione
del pensiero, perdita di interesse verso ogni cosa, senso di
disperazione, difficoltà a concentrarsi, scoramento … un soggetto
completamente dipendente, in balia degli eventi e ripiegato
completamente su se stesso.
A
livello di pensiero si riscontra un tipo di disturbo ipocondriaco,
ossessivo e fobico.
Mentre dal punto di vista motorio sono stati evidenziati movimenti
estremamente lenti ed i rapporti interpersonali bloccati, quasi
inesistenti. Tuttavia, oltre a questi disturbi si possono
manifestare, anche se non sempre in maniera prevalente, esperienze di
allucinazioni e quadri deliranti vissuti in situazioni
particolarmente frustranti.

er A.Lowen, pioniere della tecnica terapeutica denominata Bioenergetica,
il problema depressivo è riconducibile ad un calo energetico; parla
di un corpo spento, senza vitalità, fermo, statico, ed incapace di
reagire a piccole stimolazioni esterne. La terapia Bioenergetica, a
differenza di altri orientamenti scientifici, ha una concezione
olistica della depressione. Infatti, l'approccio terapeutico non è
basato esclusivamente sul versante psicologico, ma anche su quello
somatico. Chi scrive applica l'ipnosi con discreti risultati sempre
che, dall'altra parte, ci sia ancora qualche barlume di speranza ...
disponibilità a farsi aiutare. Il trattamento della depressione,
pertanto, avverrà contemporaneamente su due piani: a
livello psichico con l'analisi e la ristrutturazione del vissuto,
mentre a livello organico con specifici esercizi fisici.
Lowen sostiene che una persona diventa depressa perché in un
particolare momento del suo sviluppo è stata privata di particolari
attenzioni. Tutti coloro che nelle prime fasi evolutive sono stati
limitati, annullati o “schiacciati”, spinti forzatamente
all'autonomia senza avere le fondamenta psichiche solide, non hanno
avuto sufficientemente supporto o cure materne, “rischieranno”
in futuro di sviluppare una particolare struttura caratteriale
chiamata “orale”. Ed
è appunto durante la formazione di questo particolare carattere che,
secondo, l'autore, viene messo a dimora il “germe” della
depressione, si prepara un terreno arido e poco fertile … una vita
buia ed infelice.
A tale struttura appartengono individui con caratteristiche psichiche
e fisiche ben precise. Fisicamente il carattere orale è
tendenzialmente di statura alta e molto magro, con pressione bassa e
scarso sviluppo muscolare … non a caso questi individui
ironicamente sono etichettati con “nati stanchi”. Dal punto di
vista psicologico, invece, hanno notevole difficoltà ad accettare la
realtà, sono incapaci di esprimere sentimenti aggressivi, amano
essere considerati, messi al centro dell'attenzione e, soprattutto,
parlare di se stessi; si sentono inutili, insufficienti, nutrono un
odio disperato per il proprio aspetto fisico e mentale, e per i
propri simili. Non sentono alcuna vibrazione, nessun desiderio e,
soprattutto, vivono a stenti, a malapena, non avvertono più
l'esigenza fisiologica di sopravvivere, di fare progetti; non
intravedono nelle pieghe del tempo nessuna schiarita … nessun
obiettivo che merita un impegno di “lotta”. Lo stile depressivo
toglie il sorriso, si muove con grande “astuzia" nel quotidiano,
serpeggia e diffonde senza sosta il suo clima cupo e drammatico, si
“aggiorna” continuamente adattandosi ai mutamenti del tempo, si
nutre senza sosta di: apatia, pessimismo, inquietudine, delusione,
incertezza, solitudine, illusioni perdute … dei nostri dubbi,
debolezze e fragilità!!!
l
di là dei vari orientamenti scientifici - che nel loro ambito di
intervento terapeutico possono raggiungere sicuramente risultati
straordinari - con la parola depressione si
intende, nell’uso comune, quel particolare stato dell’umore
ballerino che con varie sfumature è detto anche tristezza,
abbattimento, astenia, amarezza, avvilimento, sconforto, pessimismo e
disperazione. E'
senza alcun dubbio un fenomeno universale e profondamente umano. Ogni
persona, in un qualche momento della sua vita, dall’infanzia fino
all’età più avanzata, può sentirsi triste, priva di slancio e
incapace di provare piacere (anedonia).
Questo stato, man mano che aumenta di intensità, inghiotte ogni
cosa, le luci si spengono, tutto intorno non resta che il buio
assoluto; qualcuno, ad esempio,
può
trovarsi
improvvisamente solo ed isolato, può escludersi da ogni cosa che si
muove, ritirandosi in silenzio da ogni rapporto interpersonale e
lasciando in sospeso progetti importanti; altri, invece, sono alle
prese con piccoli fastidi, banali contrattempi e bloccati da modeste
aspettative disattese, sembrano persino tormentati dagli affetti,
terrorizzati da una semplice ed ingenua carezza senza sapere il vero
motivo … rinunciano completamente alla vita sociale ed affettiva
senza avere la più pallida idea di quello che realmente sta
succedendo dentro e fuori di loro … la vita è bloccata, si ferma
completamente!!!
ueste sensazioni psicofisiche
fastidiose, penose e dolorose possono durare un tempo breve, spesso
solo poche ore, altre volte un'intera giornata, per i più sfortunati
qualche mese. Quando tale condizione si dissolve, la persona può
sentirsi incredibilmente sollevata, avvertire una piacevole
sensazione di leggerezza ... in
preda ad una forte eccitazione
(funzionamento
bipolare … un personaggio che conosce solo i due estremi
dell'emotività: oscilla tra tristezza e euforia).
Se siamo presi dall'ansia, tendiamo a darci tanto da fare senza
concludere assolutamente nulla; manifestazioni come frenesia,
irrequietezza e iperattività sono sempre pronte a sollecitare una
ricerca continua di un qualcosa che non arriva mai … che
non si trova da nessuna parte
(perché
non esiste nella realtà),
mentre nei casi più gravi di depressione passiamo molto tempo
seduti, fermi, bloccati, immobili come una statua, fissando il vuoto:
siamo
stanchi, abbiamo voglia di dormire, non reagiamo per nessuna ragione
alle sollecitazioni dell’ambiente esterno ... non distinguiamo più
i “colori”, il mondo diventa opaco, gira in bianco e nero ... le
cose buone e belle che ci stimolavano un tempo scompaiono
improvvisamente dal nostro raggio d'azione. Agiamo
al rallentatore, come se il nostro corpo fosse anestetizzato.
Può capitare a tutti, comunque, sporadicamente di sentirsi un po'
giù di corda, di umore triste, abbattuti e svogliati, e non sapere
il perché.
olto
spesso però si è depressi per qualche motivo preciso; per alcuni,
può essere un qualcosa, anche banale, che risveglia improvvisamente
antiche vicende assopite, connesse ad esperienze di abbandono,
rifiuto, scarsa considerazione e poca solidarietà;
per
altri, invece, sono decisivi alcuni gesti innocenti, ma di grande ed
esagerata carica affettiva, come ad esempio una risposta sgarbata da
parte di una persona considerata importante, un compleanno scordato,
un insuccesso scolastico o professionale, il timore di perdere il
lavoro, il distacco da un luogo familiare, un calo improvviso di
autostima, un ruolo sociale impegnativo da raggiungere, il fallimento
di un progetto che da tempo abbiamo perseguito … sogni, scopi e
speranze sono inquilini scomodi, allontanati volutamente, sfrattati
da tempo, non esistono più, “forse”, sono solo un vago ricordo;
un'attesa inquieta che ci lascia una fastidiosa sensazione di amaro
in bocca, ci tormenta, ci tiene sulle spine, in sospeso, non ci
lascia in pace nemmeno un attimo ... scuola difficile, lavoro
impegnativo, salute cagionevole, affetti complicati, indefiniti e
deludenti che al momento non ci sostengono affatto, possono
ulteriormente boicottare il nostro equilibrio, remare contro
l'armonia psicosomatica, confondere la stabilità e mettere
all'angolo ogni tipo di tranquillità e pace.
Tutti
questi vissuti relazionali provocano stati emotivi che il linguaggio
popolare chiama, appunto, malinconia, apprensione, vaga tristezza,
umore nero, inquietudine, delusione e dispiacere.
La solidarietà degli altri o la partecipazione alla vita sociale con
un certo impegno aiutano a superare più attivamente questi momenti
drammatici. In genere chi ha una maggiore ricchezza di interessi
nella vita riesce a sollevarsi da terra con una certa rapidità, ad
uscire più facilmente dal “pozzo
nero”
dell'inquietudine… da
quello stato apatico contraddistinto da disinteresse e da un calo
importante di motivazione;
sicuramente, chi può beneficiare ancora di rapporti sereni, si
trova in una situazione privilegiata ed è in grado di trovare con
maggior facilità buone compensazioni e a riprendersi più
velocemente in mano la sua vita. Nell’epoca
attuale in cui tutto cambia con grande rapidità, che ci fa vivere in
una cultura provvisoria, imprevedibile ed incerta sul domani, la
sofferenza depressiva è estremamente diffusa.
on
sempre, fortunatamente, questo stato raggiunge le forme di un quadro
clinico grave; si
manifesta, comunque, con una certa instabilità emotiva, sofferenza,
disagio, malessere diffuso, incapacità di agire e di provare gioia:
diventiamo
apatici e indolenti, incapaci di realizzare nemmeno le cose più
elementari di cui un tempo magari ci si vantava e rallegrava ...
erano fonte di autostima, per non dire una vera punta d'orgoglio …
ma ora guai mettersi in luce, in bella vista, prendere iniziative,
potremmo avere delle brutte sorprese, scoprire di non essere
all'altezza nel realizzare certe cose, incapaci di concludere quei
vecchi progetti da tempo in stand by, di mancare in qualcosa, di
essere “imperfetti” … rischiare un completo fallimento in tutti
i sensi …
meglio rinunciare e differire ogni cosa ancora una volta.
Si cercherà volutamente, quindi, di evitare i vari confronti perché
c'è il rischio di attivare - proprio per questo timore di sconfitta
piuttosto marcato - antiche vicende affettive dolorose: conflitti
interpersonali, minacce, senso di abbandono e profonde delusioni.
iamo
sempre tristi e scoraggiati, ci mettiamo persino a gridare senza
motivo,
a
discutere da soli, a richiamare all'ordine anche i pensieri più
normali, mettere in riga in modo severo la nostra mente già
tormentata e infelice, a dura critica gesti semplici, banali,
innocenti ed insignificanti, a rigida censura ogni tentativo di
libertà.
Privarci
continuamente di ogni cosa certamente non aiuta: ci deprime ancora di
più.
Possiamo sentirci tagliati fuori dalla possibilità di una
soddisfazione, e più ci sentiamo calpestati meno facciamo per
ottenerla. Una donna che sente che il marito non l’ama -
ma che probabilmente le vuole bene ma non sa esprimere il suo
sentimento con quel codice affettivo appropriato che lei desidera o
vorrebbe -
soffre di un continuo senso di privazione che la porterà, se tale
convinzione persevera, verso tratti depressivi importanti. Anche
la noia che spesso è confusa con la fatica, conduce alla
depressione.
Presi dalla morsa del non fare, dall'incapacità di prendere possesso
del nostro vero ruolo, dalla scontentezza infinita e da una
insoddisfazione cronica, cominciamo a sentire che la vita ci sta
passando sopra, ci sfiora, ci solletica, lasciando il deserto intorno
a noi; siamo
immersi in un'atmosfera cupa, buia e piena di mistero, intrappolati,
senza via d'uscita, in una fitta ragnatela scura e soffocante.
Prestiamo meno attenzione alle cose perché, nella nostra attività
sempre uguale, si richiede meno attenzione e concentrazione.
Cominciamo a perdere di vista ciò che potrebbe darci una spinta,
farci sentire bene, stimolare quel fantastico sentimento di
soddisfazione anche se transitorio; così
la nostra depressione ci allontana dalla realtà, può sostituirsi
alla gioia di vivere, prendere la sua posizione nel quotidiano con
forza, diffondersi velocemente calpestando ogni iniziativa, progetto
e, soprattutto, soffocando ogni tentativo di “protesta”.
Oltre alla “chiusura”
con ogni attività, sono evidenziabili, in questo quadro clinico, una
serie di disagi fisici particolarmente significativi, a volte seri e
molto invalidanti: stanchezza,
problemi respiratori e digestivi, misteriose malattie della pelle,
insonnia, inappetenza, stipsi, mal di testa, mestruazioni irregolari
e palpitazioni. Il
mondo fisico si “infetta” proprio nel tentativo generoso di
proteggere e sostenere il benessere mentale.
i
sono infatti una gran varietà di disturbi fisici connessi
direttamente alla tragedia emotiva depressiva;
scopriamo
un corpo “nobile” ed “altruista” che improvvisamente cerca di
raggiungere la sua completezza (corpo - mente), la sua veste
migliore, per assicurare e garantire una maggior funzionalità
all'intero organismo; cerca
con tutte le sue energie a disposizione di gestire il malessere
psichico attraverso un'opera straordinaria di equilibrio
psicosomatico; supportare una mente che viene boicottata da certi
vissuti antichi e tradita da esperienze passate: uno stato
confusionale legato a quel famoso gesto del “dare” e del
“ricevere”.
Chi soffre di questo malessere è tormentato da forti sensi di colpa,
si rimprovera costantemente di qualcosa che non ha mai fatto e cerca
continuamente di riscattarsi, di “rimettere”
a
posto tutte quelle cose che ritiene possano essere sbagliate o degne
di un forte rimprovero ... ma che cosa dovrà mai ordinare e
correggere?
In esso il sentimento di aggressività non è rivolto all’esterno,
ma bensì verso se stesso. Il depresso, quindi, cerca di evitare
tutto ciò di cui non ha l’approvazione generale e nasconde di
conseguenza i propri impulsi aggressivi attraverso una condotta
“impeccabile”:
indossa la maschera di un personaggio immacolato, senza macchia e
senza paura.
Esiste, inoltre, in questo disagio un problema serio ed invalidante,
che immobilizza completamente ogni gesto, qualsiasi altra cosa:
quello
della responsabilità.
La paura di assumersi delle responsabilità - non
nel senso del merito o punizione, fortuna o sfortuna, giustizia o
ingiustizia oppure della colpa, ma semplicemente di poter scegliere e
di decidere liberamente -
prende corpo, in particolar modo, quando si devono affrontare cose
nuove, ci si scontra con una nuova fase evolutiva della propria vita,
come ad esempio entrare nel mondo del lavoro, fidanzamento,
matrimonio, la nascita di un figlio.
uai mettersi di traverso, pensarla in maniera diversa, con occhio
critico e giudicante … saranno guai, meglio non reagire, conviene
lasciar correre, non intromettersi, si rischia inutilmente e sempre
troppo!
Tutto ciò crea però dipendenza: devono
per forza maggiore appoggiarsi su altre persone.
Nel disagio depressivo si è in balìa degli altri e di ogni cosa
possa offrire sostegno o protezione; si
teme
di aggredire l’oggetto da cui si dipende e, quindi, ci si vede
costretti a non manifestare mai apertamente l'aggressività,
esprimere il proprio punto di vista, la propria opinione, compresa
quella piccola “protesta in grigio” in cui bisogna, per restare
in piedi, mantenere le distanze da ogni cosa; in questo modo è
facile autoaggredirsi e chinare la testa, se poi azioniamo
volutamente, in ogni cosa che facciamo, il freno a mano, non si
prenderanno mai posizioni, decisioni personali … ci si renderà
“inattivi” ora e per “sempre”. Quando
costruiamo la nostra sicurezza e autostima solo su pochi punti
esterni a noi stessi (famiglia,
lavoro, partner)
diventa particolarmente facile sperimentare esperienze depressive se
uno di questi elementi viene a mancare o scomparire improvvisamente.
La
depressione scaturisce anche da una “storia” chiusa tra routine
ed infantilismo.
Nella menopausa quando gli estrogeni (ormoni
femminili)
diminuiscono e, quindi, aumentano gli ormoni maschili (testosterone);
si verifica, in chiave psicosomatica, una perdita di “territorio”,
della capacità di “creare”: appare così un fastidioso senso di
colpa, di impotenza ...
il
dubbio di non essere più importanti e al centro dell'attenzione …
ci
si colpevolizza inutilmente … si pensa di essere sbagliati,
inutili, di poco valore.
Quando
invece c’è un aumento degli ormoni femminili rispetto a quelli
maschili ci sarà una depressione maniacale o isterica; essendo però
un mondo tumultuoso, ma coerente, lo stesso meccanismo, lo troviamo,
in senso inverso, nell'altra identità di genere.
a
perché ci deprimiamo? Perché vediamo ogni cosa con un atteggiamento
teso e pessimistico? Perché siamo sempre in attesa che qualcuno ci
approvi? Perché siamo così scostanti ed impazienti da creare
continui scontri e conflitti con il mondo intero? Perché, nella
stessa circostanza, reagiamo in maniera passiva mentre il collega
risolve la questione urlando semplicemente? Perché
il senso di fallimento, una carenza affettiva, la mancanza di
attenzione, la perdita di qualcuno o di qualcosa devono affliggerci
così tanto? Perché la depressione? Perché non l’indifferenza o
l’ira? Perché non ignorare ogni cosa e mandare tutti al diavolo, a
quel paese? Perché non urlare, gridare, mettere tutto a soqquadro?
Semplice … direbbe qualcuno. Perché
la perdita reale che stiamo vivendo è la perdita di un qualcosa
dentro di noi, piuttosto che qualcosa intorno a noi; come quella
persona è stata vissuta, percepita, considerata, costruita,
introiettata: in che modo ha preso forma ed importanza dentro di noi
… cosa ha rappresentato per la nostra sopravvivenza, felicità
compresa.
Se
qualcuno, ad esempio, mi ruba la borsa mi darà sicuramente una noia
incredibile e parecchio fastidio; non ci sono dubbi, reagirò a tale
sopruso con un forte sentimento di rabbia e aperta ostilità per
l'ingiustizia subita; ciò che mi è stato sottratto, comunque,
pensandoci bene, credo sia un qualcosa di 'poco' conto, per certi
versi una sciocchezza, una cosa che potrò sostituire probabilmente
abbastanza in fretta oppure compensare facilmente a seconda delle mie
reali risorse; ma, attenzione, chi insozza o mi priva del mio nome fa
un danno enorme, a volte irreparabile, crea un qualcosa di molto
sgradevole, spiacevole e doloroso; agisce sul mio aspetto, identità
e sul mio onore, mi toglie spazio d'azione, autorità e potere … mi
mette all'angolo, può annullare, danneggiare o confondere la mia
idea di libertà, sciupare la mia preziosa ed unica immagine … mi
sminuisce, manda in frantumi tutta la mia autostima … in ultima
analisi mi sento, incompiuto ed inadeguato. "Inciamperò" in un complesso senso di inferiorità che, consolidato nel tempo, mi porterà a chinare sempre la testa,
a non prendere mai posizioni, a non far valere mai, per nessun
motivo, le mie ragioni e opinioni … mi
troverò improvvisamente fragile, insicuro, decisamente poco
intraprendente, diffidente, rinunciatario e pessimista
… la mia vita sarà in penombra, sempre diversa da quella che
desidero veramente, caratterizzata da un modo di fare confuso,
incerto, da un continuo e frustrante rimandare: “vedrò, farò,
cercherò, andrò”. Questo
è quanto accade nella depressione.
a
perdita reale è quella della stima di se stessi!!!
Con la sottrazione di denaro, di una perdita, di qualche opportunità
o in tutti quei casi in cui venga a mancare qualcosa di materiale
anche importante, ci sentiamo certamente frustrati, meno adeguati,
forse infastiditi e arrabbiati, ma non depressi nel vero senso della
parola. Con la perdita di una persona cara, invece, una importante
parte dentro di noi se ne va a causa del nostro investimento emotivo
idealizzato; tutto
ciò infatti si è sviluppato
attraverso
il processo di identificazione, il meccanismo di interiorizzazione e
a causa di una profonda “dipendenza” che si è creata nel tempo
con quella persona “speciale”, considerata cruciale, importante
per la nostra sopravvivenza. Per
capire veramente come si arriva a sviluppare certi problemi emotivi,
bisogna risalire fino agli inizi della vita, osservare attentamente i
principali percorsi evolutivi e analizzare i guasti che si sono
verificati lungo il percorso; in breve, come si sono fronteggiati e
superati i vari tranelli, i pericoli del mondo sociale … in che
modo ne siamo usciti, quali sono stati i vari esiti possibili.
L'inadeguatezza
delle cure da parte della figura materna può provocare, come più
volte sottolineato, un'eccessiva vulnerabilità di fronte
all'angoscia e compromettere lo sviluppo delle difese … preparare
il terreno ad accogliere i semi della psicopatologia.
Cosa rappresenta veramente per noi quel nucleo familiare?
i siamo
sentiti bene, protetti, valorizzati, al sicuro oppure abbiamo avuto
la sensazione di essere stati di troppo, sbagliati e difettosi con i
nostri interlocutori? Siamo poi sicuri di non esserci mai sentiti
responsabili di quelle carenze affettive mai date nel giusto
dosaggio? Dentro di noi non covava, forse, la convinzione che se
avevamo ricevuto poco era perché non eravamo degni di meritarci
qualcosa di più … consolidata l'idea che non eravamo degni
d'amore? Se siamo stati rifiutati, abbandonati e poco considerati non
ci siamo mai sentiti davvero un po' responsabili? … pensato che
era tutta colpa nostra, perché eravamo sbagliati, difettosi, poco
buoni e per nulla perfetti? … non la pensavamo davvero in questo
modo? Domande inutili, che molto probabilmente non avranno, al
momento, nessuna risposta perché buona parte delle sensazioni
relative alle nostre esperienze di vita sono state represse, rimaste
inconsce. Una
cosa comunque è certa, con noi portiamo sempre un bagaglio emotivo -
anche se a volte tossico - originale unico ed imprescindibile;
siamo portatori, nel bene o nel male, di scontri – incontri, di
tutte quelle vicende precoci insolite che hanno influenzato il nostro
pensiero e stile di vita; ogni cosa che abbiamo imparato o rifiutato
attraverso il rapporto con gli altri è depositato dentro di noi:
sensazioni, giudizi di valore, schemi mentali, paure, timori,
aspettative deluse, atteggiamenti, modi di reagire, gelosie, rancori
… ogni cosa ben amalgamata, pronta ad esplodere da un momento
all'altro … non si sfugge mai a questa eredità “maledetta”! Il
guaio sta nel fatto che la nostra depressione spesso è
sproporzionata alla perdita che ci sembra di subire.
iò induce a
credere fermamente che la stima che avevamo di noi stessi non era
completamente radicata, ben salda nel nostro cuore e nella nostra
mente. Quello
che è stato imitato, “copiato” nell'altro non ha subito una vera
e propria trasformazione personale, una adeguata rielaborazione
mentale in modo tale da creare una organizzazione multifattoriale
propria e, quindi, non ci ha permesso di muoverci liberamente, di
fare scelte in maniera spontanea, autonoma e libera. Alcune
persone comunque, per il loro vissuto, per le complesse privazioni
precedenti e alcune caratteristiche innate, sono più predisposte
alla depressione di altre. Possiamo infatti sentirci depressi senza
un motivo razionale preciso o a cause non sempre facilmente
identificabili. Spero
non me ne vogliate per questo mio modo di insistere, ma ancora una
volta l'elemento fondamentale è l'autostima.
La stima di noi stessi è il fulcro o, meglio, il centro di gravità
su cui poggia l'equilibrio emotivo, la forza e la nostra capacità di
fare, scegliere e decidere. Alcuni hanno avuto la sfortuna di
incontrare figure fredde, tossiche, scostanti, assenti che
etichettavano, inviavano segnali contraddittori e raccapriccianti, di
come eravamo realmente considerati: non amabili e degni di stima, non
meritevoli di ricevere affetto e amore … perché non conformi al
“modello” proposto o desiderato. Con
questo modo di interagire ci si annulla, si abbassa l'autostima e ci
si predispone alla depressione … la vita allora viene pilotata non
più dal soggetto stesso, ma dall'ambiente circostante … ci si
modella, senza alcuna consapevolezza, sulle aspettative altrui.
gli
cerca costantemente e con una certa insistenza l’approvazione,
l'elogio, la giustificazione, l'ammirazione, la considerazione e
l’amore degli altri. E' stato addestrato ad essere affamato di
palco, riflettori, attenzioni e complimenti. Sembra proprio che di
questo malanno fisico e psichico non ne possa più fare a meno; sarà
alla ricerca continua di affetto e di amori perfetti, perché solo se
li trova come li ha immaginati potrà riscattarsi, diventare
“completo”, ribellarsi da quella convinzione di non meritare
nulla, cercherà di compensare quell'affetto remoto tanto desiderato,
ma mai somministrato nel modo giusto; la realtà, però, fa il suo
corso, a volte è capricciosa, imprevedibile e dura, non guarda in
faccia a nessuno: sarà
destinato ad accumulare un'altra delusione perché non esiste in
nessun luogo del mondo un amore puro, perfetto e senza difetto, senza
un dare e un ricevere adulto … continuerà a mendicare, ad
elemosinare amore, a supplicare uno sguardo dolce, a chiedere una
tenerezza, un abbraccio e un sorriso sincero, cercare gesti tra la
folla che lo possano rassicurare
… ma non troverà mai nulla di quello che immagina, di come ha
impostato dentro di sé il suo amore romantico … rimarrà, ancora
una volta, con un senso di vuoto perché la sua ricerca continua
appartiene al mondo delle fiabe ... non esiste; è proprio in questo
legame distorto tra idealizzare, desiderare e ricevere che germoglia
il dolore depressivo.
uesti individui, comunque, vivono nella
tristezza più totale, stanno affrontando qualcosa di molto
spiacevole, drammatico e doloroso: uno stato di sofferenza
psicofisica che non accenna a calmarsi, dissolversi, scomparire
completamente, lasciare un po' di pace e tranquillità … non lascia
scampo, nemmeno un piccolo spiraglio di luce che possa far nascere un
filo di speranza. Sono disorientati, hanno perso letteralmente la
gioia di vivere. Un
buon cibo, alcuni amici vivaci, un compagno seducente e tanti altri
aspetti piacevoli della vita non hanno alcuna presa, non riescono a
smuoverli, risvegliare nessuna fede, fantasia ed interesse.
Questi soggetti, purtroppo, non riescono più a progettare, a
concentrarsi sul lavoro o a compiere il proprio “dovere” … si
trovano di notte soli, con il cuore in mano e le orbite piene di
lacrime, rigirandosi nel letto fino al mattino con gli occhi
sbarrati. Il velo melanconico si posa sul loro mondo come una nebbia
fitta e grigia della pianura padana in piena estate ... “istiga”
una fastidiosa sensazione di profonda tristezza, apatia e di assoluta
disperazione. Pochi,
però, di questi soggetti chiedono aiuto.
Uno dei motivi principali può essere ricercato nel fatto che molti
non considerano tale stato emotivo come un disturbo o una vera
malattia che non può essere trascurata, ma trattata sempre, con la
massima solerzia, da mani esperte e qualificate. Paragonare comunque
la normale tristezza o svogliatezza a tratti depressivi importanti
equivale paragonare un banale raffreddore al Covid – 19.
n
operaio, ad esempio, che viene licenziato può sentirsi disorientato,
momentaneamente un fallito, avere un bisogno improvviso di isolarsi,
di non voler vedere nessuno per qualche settimana. Un giornalista a
cui sta morendo un familiare, se ha a che fare con un capo redattore
insensibile che lo sbatte in prima linea, può faticare a trattenere
le lacrime in diretta televisiva. Entrambi hanno tratti depressivi,
ma non appartengono ad un quadro clinico depressivo, cioè non
soffrono di un disturbo mentale grave. Se tale fenomeno persiste,
comunque, deve essere sempre tenuto nella dovuta considerazione:
sotto un giusto controllo … lo sappiamo con certezza, il tempo
purtroppo non è sempre galantuomo, non cura tutti i mali!; se poi la
chiusura in se stessi o gli attacchi di tristezza perseverano, si
fanno più intensi, peggiorano nel tempo, è possibile che questi
soggetti sviluppino tratti depressivi cronici, si abbia una
importante degenerazione patologica. Dal punto di vista neurologico
il malessere depressivo non va mai sottovalutato, è reale, doloroso
ed il più delle volte invalidante quanto un qualsiasi problema
fisico. Nessuno, dico nessuno è troppo piccolo o troppo avanti con
l'età, troppo fortunato o troppo simpatico, troppo importante o
troppo sicuro di sé per non essere “baciato” dalla depressione.
Non
temete, oggi vi sono buone notizia che provengono dal “male
oscuro”: esistono cure efficaci anche per migliorare situazioni
difficili … sofferenze che possono essere realmente combattute e
attenuate.
ttenzione, però, quanto prima questo quadro clinico viene
individuato, correttamente diagnosticato e curato, tanto prima ci si
mette con le spalle al sicuro; quanto
prima si inizia, tanto prima è possibile cominciare a sentirsi
meglio e cambiare vita … migliori saranno i risultati, i progetti e
le aspettative di vita a lungo termine.
Ma cosa succede veramente dentro di noi quando abbiamo a che fare con
un disagio emotivo?
Facciamo un esempio. Se io soffro di una qualche privazione o carenza
affettiva, mi metterò subito alla ricerca - per compensare questa
singolare mancanza - di un qualcosa che mi possa garantire sicurezza
e “tranquillità” a livello emotivo:
sorrisi, carezze, baci e abbracci … cercherò attenzione e
considerazione in ogni cosa che tocco.
Il mio pensiero - ogni volta che incontro qualcuno - sarà
strutturato in modo tale da cercare l'approvazione e i complimenti
dell'altro; l'obiettivo principale sarà quello di presentarmi
“bene”, non come penso che l'altro possa apprezzarmi, ma secondo
i miei parametri di giudizio acquisiti nel tempo … da qui un'altra
delusione perché siamo unici sia nel pensare sia nel valutare …
quello che piace a me non è detto che possa piacere anche
all'altro!!! Se allarghiamo il concetto è facile intuire che il mio
comportamento “forzato” diventa una difesa per mantenere in
equilibrio alcuni parametri emotivi acquisisti: sarà
rivolto ad ottenere più apprezzamenti e consensi possibili.
Se entro poi in una sala d'attesa piena di gente, tutti quegli occhi
mi metteranno a disagio e, quindi, mi difenderò come posso, con gli
strumenti che ho a disposizione; metterò in atto ciò che ho
appreso, cercherò di presentarmi come mi è stato insegnato a suo
tempo, dando corso - se ho avuto seri problemi evolutivi - a quei
fragili adattamenti in dotazione … sempre
nel rispetto delle “mie” radici e secondo quei sensori che si
sono sviluppati nel corso della mia vita.
lla fine, mi sembrerà di non essere mai stato in quella sala se non
attraverso la tensione accumulata, con il dubbio però di non essere
stato gradito o “piaciuto” ... i
miei pensieri, comunque, non erano lì con me, ma altrove … vivevo
in un mondo irreale, mi difendevo da una mia insicurezza, da
un'eventuale “offesa”.
In definitiva cosa è successo. Tormentato da dubbi, incertezze e
alla ricerca continua di apprezzamenti sono rimasto nell'angolo in
silenzio, alle prese con i miei tarli mentali, consumando inutilmente
energie preziose, togliendo forza e vitalità all'intero organismo:
non ho socializzato, non ho visto e sentito nulla, mi sono perso il
piacere di fare qualche conoscenza interessante, di scoprire cose
nuove e di sentire il calore dell'altro! Questo modo di agire verrà
attivato, con gradazioni diverse, in ogni relazione a seconda della
carenza affettiva indossata … progetti, lavoro, rapporti, ricordi,
affetti, sentimenti, sensazioni fisiche passeranno inevitabilmente
attraverso il setaccio delle nostre esperienze passate ... mediante
la nostra lente di ingrandimento sviluppatasi nel tempo.
Come
si costruisce la “ predisposizione”.

'
noto da tempo che le “attenzioni” materne verso il cucciolo
d'uomo se sono ben dosate e “somministrate”, non solo forniscono
uno scambio intimo, caloroso ed affettuoso, ma sono tanto
indispensabili al suo sviluppo armonioso, quanto l'aria, il bere, il
mangiare e le famose vitamine “ABC ...”.
Ma attenzione, non necessariamente deve essere solo la madre
biologica ad assicurarle: essa
è “sostituibile”.
Il piccolo per sopravvivere non ha bisogno solo di essere pulito e
nutrito, ma necessita di attenzione, tepore, palpazioni, baci,
abbracci e carezze. Gli
elementi fondamentali che tengono uniti i “pezzi” di ciascuno di
noi sono sempre, comunque la si giri, il rispetto, la tenerezza,
l'armonia e la dolcezza;
disponibilità,
continuità, costanza e stabilità
insieme, all'inizio, nel primo approccio affettivo, sono la garanzia,
la carta vincente per lo sviluppo di una personalità libera,
armoniosa ed indipendente; sono senz'altro risorse preziose che
assicurano un buon inizio e rendono la vita unica: mettono
in corpo vigore, energia, forza, equilibrio, autostima e un senso
profondo di sicurezza. Tutto
ciò non si impara con le parole, con i consigli e neppure seguendo
quella scuola di pensiero prestigiosa, rispettando rigorosamente
alcuni precisi punti di riferimento sociali o, magari, letture di
grandi esempi.
olo vivendo insieme - condividendo
l'esistenza quotidiana e interagendo a ogni avvenimento
- le figure di riferimento assolveranno alla loro funzione di
educatori e i figli diverranno a loro volta adulti in grado di
esserlo e di “superare”
ogni ostacolo che si presenterà nel corso della vita; questo
consentirà ai genitori di conoscerlo veramente in profondità, di
aiutarlo a superare i momenti difficili, di paura e di fragilità,
smantellare i vari condizionamenti e automatismi che influiscono
negativamente nelle scelte quotidiane. Con una “dote”
emotiva simile potranno assumersi, da adulti, le loro responsabilità,
sviluppare al momento giusto non solo la capacità d'amare e il
rispetto di se stessi e degli altri, ma soprattutto sentirsi sereni e
realizzati, essere naturali, spontanei e fiduciosi verso un mondo
circostante che cambia continuamente ... non
sempre accomodante, tollerante e compiacente.
Senza
insegnare niente a nessuno, è buona cosa conoscere bene, in
profondità - per prevenire le difficoltà del piccolo comprendendone
i suoi bisogni specifici - alcune dinamiche comportamentali,
relazionali e comunicative … analizzare con originale efficacia
alcuni suoi sentimenti dal punto di vista psicologico e sociale.
Per rispondere in modo “corretto”,
giorno dopo giorno, ai bisogni dei figli, è fondamentale
l'atteggiamento aperto e sincero delle figure di riferimento fin
dall'inizio: dalla
primissima infanzia, dai primi momenti, addirittura dai primi
“giorni” di vita del neonato.
Egli ha sempre e comunque bisogno di calore, comprensione,
attenzione, tenerezza, affetto e sostegno: le
preziose ed indispensabili 'vitamine' della crescita.
Ma egli ha anche bisogno di una atmosfera serena, di un territorio
tranquillo in cui esprimersi e al tempo stesso di un ambiente
“vivace”,
in continuo fermento, di libertà, di autorità, di lealtà, di
giustizia, di franchezza, di rapporti autentici, di protezione o,
meglio, di stabilità, fermezza e sicurezza, ha bisogno sempre, da
subito, di due figure fondamentali: di
una 'madre' e di un 'padre' … ogni esempio autorevole può
diventare una brillante fonte d'ispirazione che lascerà un'impronta
forte ed indelebile nel futuro adulto. La presenza dell'altro lo
rassicura, lo acquieta e, soprattutto, sa perfettamente che anche se
dovesse in qualche modo reagire non verrà mai abbandonato.
er
quanto una strada sia libera e in discesa, non si potrà mai e poi
mai allevare un cucciolo d'uomo senza difficoltà e problemi!!! Per
diventare adulti e restare in piedi anche nei momenti difficili,
dobbiamo apprendere, imparare, adattarci, socializzare, fare nostre
le regole del gioco e, nel contempo, rielaborare con i nostri criteri
operativi le direttive altrui.
Non ci sono sconti, tanto meno scorciatoie, è un percorso
obbligatorio se vogliamo costruire una buona, stabile e solida
“impalcatura”
emotiva. I conflitti svolgono una funzione estremamente importante a
livello formativo ed educativo a condizione però di saperli gestire,
superarli e soprattutto non farli diventare mai una guerra senza
quartiere. Il piccolo in ogni sua fase evolutiva si scontra con la
famiglia e con tutto ciò che è intorno a lui, entra in collisione
con dinamiche conflittuali distruttive e incontra ogni specie di
difficoltà. Tocca sempre all'adulto riconoscere le situazioni
complesse in atto, capire la ricchezza educativa che esse possono
determinare tanto per il bambino quanto per lui stesso …
comprendere,
quindi, i confini entro i quali è possibile muoversi per costruire
buon senso, speranza, gioia e felicità.
Dobbiamo
cercare di adottare comportamenti più specifici a seconda dei
diversi momenti di sviluppo psicofisico e dei cambiamenti relazionali
frutto del suo interagire con l'ambiente circostante; attivare
quei mezzi educativi capaci di aiutare a stimolare ogni potenzialità
possibile, insegnargli il modo corretto di adattarsi e confrontarsi
con il mondo in continuo mutamento, cercando di rispettare se stesso
e gli altri;
dargli la possibilità di coltivare i suoi talenti, soccorrendolo nei
momenti di debolezza, nei periodi difficili, aiutandolo a capirli e a
superarli con una certa facilità. Il
bambino comincia la sua vita in modo disordinato, inizia i suoi primi
passi per tentativi ed errori; ogni suo gesto è guidato dall'istinto
di sopravvivenza; non lo sa, ma il suo massimo bisogno è
l'assistenza da parte degli altri e da tutto ciò dipende la sua
stessa sopravvivenza; la natura, infatti, ci ha messo a disposizione
un riflesso nervoso, chiamato dai tecnici nocicettivo,
un vero e proprio salva vita, una specie di allarme rosso utile per
segnalarci, tramite il dolore, un corpo debilitato e per
fronteggiare, attraverso la paura, i pericoli della vita che
incontriamo strada facendo.
uando
è avvolto dal tepore, da mani morbide e vellutate, e gradevoli
sensazioni il suo unico interesse è quello di raggiungere piena
soddisfazione
(mangiare,
bere, cercare sensazioni termiche gradevoli … caldo, freddo).
Il primo periodo esistenziale del fanciullo (0
– 4 aa.)
è uno dei momenti più importanti per la costruzione di una
personalità libera ed armoniosa. Questo è il periodo da cui
traggono origine disturbi emotivi piuttosto seri: psicotici,
borderline e narcisistici.
In questa fase evolutiva, il piccolo riceve stimoli fondamentali per
il suo futuro, ed inizia ad imitare;
cerca
di uguagliare o desiderare di superare qualcuno,
prende
su tantissime abitudini, buone o cattive: può diventare pauroso o
intraprendente, fiducioso o dissimulatore, brioso o triste. Risponde
ai nostri gesti, ai nostri sguardi, al tono delle nostre parole con
un certo interesse e curiosità.
A
seconda della situazione e del tipo di rapporto specifico con
l'adulto può cominciare a sviluppare precocemente un sentimento di
paura o di diffidenza nei riguardi dell'autorità; a volte si
pretende da lui - con
la minaccia altrimenti di fare ricorso a punizioni dure e severe
- un comportamento, a prescindere dall'età, da baronetto, un modo di
fare ineccepibile; il timore però di essere punito o di fare brutta
figura lascia in eredità un sistema psichico controllato, rigido e
severo (vedasi
Super - Io)
… una sensazione diffusa di vuoto, di dolore, di essere difettoso;
rimane quella indesiderata sensazione di essere inadatto, fatto male
o imperfetto, di aver commesso un “delitto” imperdonabile,
qualcosa di sbagliato ... un
fastidioso sentimento chiamato dai tecnici senso di colpa.
Rinuncia così a soddisfare i suoi bisogni primari e fondamentali a
causa di qualche ipotetica minaccia mal interiorizzata, di eventuali
ritorsioni non sempre però reali da parte delle figure di
riferimento; da tutto ciò arriva ben presto una scadente
valutazione, una brutta considerazione, un marchio infamante di se
stesso: di
non meritare nulla e di non essere adatto alla vita sociale;
si ritrova ben presto isolato, tormentato e avvelenato dal timore che
gli possa accadere qualcosa di drammatico, di essere improvvisamente
aggredito, rifiutato, insultato, giudicato male … di
poco valore ai propri occhi e a quelli degli altri. Questo
modo di agire, se non superato, lascerà sul tappeto parecchie
vittime, una notevole quantità di invalidi e non pochi feriti; si
prolungherà per tutta la vita influenzando carattere e
comportamento; tutto ciò si verificherà anche quando non esisterà
un pericolo reale o nessuno penserà male di noi; è
un'esperienza legata ad un'emozione autonoma, interiorizzata,
radicata in noi nel tempo; un vissuto che ha radici profonde in uno
stato d'animo di inferiorità, legato alla sensazione di
inadeguatezza, al timore di essere umiliati, aggrediti o puniti.
na simile realtà si concretizza attraverso rapporti e comportamenti
specifici. Se ad esempio gli proibiamo in modo sbrigativo e
definitivo, senza
le dovute spiegazioni,
di urlare perché la cosa ci esaspera o di non giocare per terra
perché si sporca, oppure vietare di
stare
con i suoi coetanei per evitare di contrarre l'influenza o il
morbillo, comincerà a spegnersi, diverrà triste e privo di slanci,
oppure al contrario - in
base al suo preciso temperamento -
piuttosto scontroso, riottoso e aggressivo.
Se
come un disco rotto continuiamo a ripetergli che è un debole, un
buono a nulla, che i suoi compagni o fratelli sono migliori di lui,
lo annulliamo rendendolo timido ed introverso.
Se
poi per costringerlo all'obbedienza più totale, lo minacciamo
attraverso un severo diktat di non amarlo più, di farlo portare via
dall'uomo nero o di mandarlo in collegio (adesso
non esiste più questa singolare minaccia, ma ai miei tempi ha fatto
tantissime 'vittime'),
otterremo un personaggio ansioso, sospettoso e diffidente nei
confronti del mondo intero. E
ancora, se ci troviamo di fronte ad un bambino piuttosto viziato e lo
preghiamo in modo superficiale di lasciarci lavorare, gli permettiamo
di interromperci continuamente, disturbare per molte volte di
seguito, lamentandoci e reagendo con insulti e minacce, ne faremo un
despota capriccioso, bizzarro ed instabile, ma anche ansioso e
inquieto per la mancanza da parte nostra di fermezza e autorità
… disciplina
che gli è necessaria, in quel preciso periodo evolutivo, come un
gustoso pasto quotidiano.
e
esistesse, comunque, un “buon” modo di agire che bastasse
apprendere e applicare pari pari le regole del “ben - essere”,
tutto sarebbe molto più semplice.
Ma le cose non stanno così; se da una parte, lo sviluppo di alcune
regole generali e lo studio scientifico dell'essere umano permettono
di chiarire meglio alcune dinamiche familiari e relazionali,
dall'altra ogni singolo caso continua a rimanere singolare perché
ciascun individuo è unico ed irripetibile, diverso dagli altri e,
soprattutto, perché la vita viene percepita sempre in modo
soggettivo, non guarda in faccia a nessuno, è come un rullo
compressore, ci trasforma incessantemente in base ai suoi continui
stimoli ambientali. L'educazione
è sempre complessa e, soprattutto un qualcosa di dinamico e
soggettivo; consiste forse in un certo senso nel modificarci -
genitori e figli nessuno escluso - poiché la “formazione” dei
genitori si arricchisce sempre di quella dei figli.
ggi
sappiamo che per aiutare il piccolo nei momenti difficili -
accompagnarlo nel suo sviluppo armonioso - bisogna assicurargli
rispetto, una adeguata libertà alle sue attività e nello stesso
tempo fargli sentire una certa sicurezza che in particolare deriva
dall'autorità che direttamente esercitiamo.
Attenzione, però, libertà e autorità, molto spesso a torto,
vengono contrapposte, come due modalità conflittuali, due metodi
educativi diversi tra loro e in contrapposizione. Niente di più
sbagliato!!! Si tratta
invece di due bisogni complementari ed indispensabili per il
fanciullo … in erba. Questi
due atteggiamenti possono dare, nel tempo, quando sono ben
equilibrati, buoni frutti, discrete soddisfazioni e ottimi risultati
a livello educativo. E' fondamentale che nel nucleo familiare vi sia
“autorità”, che la figura di riferimento si interessi non solo
delle sue infinite attività e definisca in modo univoco le regole
della sua esistenza, ma che sia anche contento nel vederlo vivace,
creativo e allegro … col tempo, il piccolo, si renderà conto che
se si comporta male anche i genitori saranno scontenti. Se
non vogliamo creare un personaggio subordinato, acritico,
completamente in balìa dei capricci del mondo e al volere degli
adulti, dobbiamo centellinare la disciplina e, soprattutto,
considerare attentamente sia l'età anagrafica sia lo stato mentale.
Ha bisogno
di muoversi in modo autonomo, esercitare la sua libertà entro
determinati spazi e norme; pertanto, aspetta le regole da noi come
fossero una piccola roccaforte costruita per la sua integrità e
sicurezza.