Disturbi della condotta alimentare (DCA) ...
una voglia esagerata di dolcezza e d’amore
li essere umani mangiano per vivere. Ma la cosa non è sempre così semplice ed evidente. Per gran parte della storia dell’umanità - e ancora oggi in molte regioni del mondo - gli uomini hanno dovuto lottare per procurarsi il cibo. In questo periodo storico, invece, col 'benessere', vero o virtuale, con una vasta scelta di proposte alimentari a disposizione, l’alimentazione disordinata ed eccessiva è diventata - nel bene o nel male - un grave problema sanitario. Paradossalmente, mentre il peso corporeo medio è aumentato, la ricerca della linea si è ormai trasformata in una vera e propria ossessione. In una società in cui “più snello” è sinonimo di “migliore”, chiunque non sia in perfetta forma può sentirsi a disagio, se non un emarginato, a volte un perfetto fallito. Molte persone, in particolar modo le giovani donne in soprappeso, si vergognano del loro aspetto oppure, sopraffatte da una sensazione di inadeguatezza, si convincono che sarebbero più felici, più attraenti o più realizzate in un corpo più magro … una silhouette alla Twiggy per intenderci. Sebbene compaiono in costante aumento, i comportamenti alimentari anomali e scorretti, non sono una peculiarità del mondo globale, della nostra epoca; i disturbi della condotta alimentare (DCA) non sono un fenomeno esclusivo di questo periodo storico. Anche se i criteri diagnostici per la bulimia nervosa (BN) non sono stati formulati fino al 1979, alcuni documenti antichi ci confermano che l'abbuffata era un comportamento frequente in alcune culture e civiltà classiche. Il primo resoconto documentato di un comportamento simile alla bulimia nervosa è stato registrato nell'Anabasi di Senofonte, circa nel 370 a.C. Anche gli antichi romani non scherzavano, si rimpinzavano di cibo nel corso di colossali banchetti per poi provocarsi volutamente, davanti a tutti i commensali, il vomito a più riprese, oppure quando era possibile - non c'era l'urgenza - utilizzavano un apposito settore confortevole, silenzioso, appartato e profumato denominato “vomitorium”. Non a caso l'aggettivo 'luculliano' si riferisce ai ricchi banchetti, ormai proverbiali, di Lucio Licinio Lucullo, uomo politico romano dell'ultima repubblica. Per secoli “osservanti” e “devoti” di entrambi i sessi - per motivi religiosi - hanno digiunato con l’intento di 'purificarsi'. Tornando ai tempi nostri, fin dalla prima infanzia l'intero processo digestivo ha una ricca espressività emotiva che va dal valore simbolico del cibo e delle feci, all'indubbia influenza degli stati emotivi acuti e cronici sulla funzionalità di tale processo nutritivo; un atto biologico che a volte può essere trascurato, controllato da forzature e imposizioni oppure dominato da troppa “leggerezza”. La prima funzione emotiva, infatti, percepita dal piccolo è la fame: essa si placa con l'assunzione del cibo ed è seguita dal soddisfacente senso di sazietà, intimamente connesso con la sensazione di sentirsi al sicuro, protetto e, non meno importante, amato.
nche il loro comportamento sociale ne è interessato:
essi
infatti prediligono rapporti, lavori e svaghi tranquilli e sicuri,
senza tanti 'scossoni';
rimangono perennemente dietro le quinte, sono disposti a rinunciare
persino al successo personale per un'entrata
più sicura,
lineare
e
regolare;
diventano trasparenti, fanno tutto il possibile per non mettersi in
mostra, rifiutano i piaceri della vita
… non
solo quelli della buona tavola, ma anche quelli del vivere con gli
altri in maniera libera, autonoma e spontanea.
Nel
loro comportamento essi sembrano sempre domandare qualcosa, in modo
remissivo
e persino aggressivo;
danno veramente l'impressione di “succhiare”
ovunque tutto il possibile, chiedono e insistono … dei
veri
insaziabili
“vampiri”.
ICORDA, privazione o eccesso sono due facce della stessa medaglia, predispongono sempre a debolezza d'animo e conflitto, non facilitano la vita, ma la danneggiano; non avendo costruito basi solide, una valida autonomia, una buona autostima e una discreta sicurezza inciampano per un nonnulla, rimangono in stallo, completamente in balia degli eventi: hanno bisogno di un continuo sostegno, una robusta 'stampella' su cui appoggiarsi in ogni momento della loro esistenza. Esempi patologici del simbolismo del cibo sono il vomito psicogeno come rifiuto di una realtà sgradita, la stitichezza come simbolo di trattenere, non dare, di avarizia e infine di eccessi contrari dell'alimentazione: anoressia e bulimia. Il vomito, infatti, è un disturbo piuttosto frequente nei bambini che rifiutano la situazione scolastica: vomitano tutte le mattine tranne la domenica. Ciò rappresenta il simbolismo, facilmente coglibile, di “rigettare” una situazione sgradita. Ma il rigetto è a livello inconscio; cioè il bambino vomita non perché non gli piaccia andare a scuola, ma perché la situazione scolastica viene vissuta come un abbandono da parte della famiglia (a volte distratta) la quale priverebbe così il bambino della propria presenza rassicuratrice per “punirlo” di qualche colpa (fenomeno non sempre reale, ma vissuto come momento del tutto fantasioso da parte del piccolo).
ale presunta punizione si realizza in maniera per così dire
dantesca e cioè collegata al contenuto della colpa: il
vomito nervoso simbolizza la restituzione di colpose fantasie
incorporate.
Mentre nell'anoressia il soggetto non può assumere il cibo per un
senso di colpa già avvertito, nel caso del vomito nervoso egli è
costretto a “restituire”
il cibo ingerito per un senso di colpa legato all'ingestione stessa
(vedasi
il significato simbolico del cibo: buono, cattivo …).
Quando la gente vede un neonato portarsi alla bocca tutto ciò che
gli capita a portata di mano, dice che “sta
mettendo su i denti”
e che si massaggia le gengive. La spiegazione, pur avendo una
parvenza di verità, è abbastanza puerile. La bocca è, per il
neonato, una zona erogena (e
NON SOLO per lui),
una parte del corpo cioè che, comunque stimolata o toccata, suscita
piacevoli sensazioni; ed è fin troppo ovvio che il piccolo ricorra
volentieri a questa sollecitazione così come ciascuno di noi fa di
tutto per concedersi qualunque cosa che lo soddisfi e gli piaccia. Da
questa tendenza, infatti, deriva l'abitudine ad esprimersi oralmente:
il
piccolo, privo di altre forme di espressione quale ad esempio quella
verbale, ci dice subito se una cosa gli piace o meno, leccandola e
tentando di ingerirla nel primo caso, sputandola e mordendola nel
secondo.
gli prova un senso di sicurezza, si sente accettato e amato. Così l'essere alimentato e l'essere amato vengono ad essere intimamente connessi nella sfera dell'esperienza e tali rimangono per tutta la vita. Ma se al lattante viene negato il cibo, quindi il seno non gli viene più offerto a sufficienza o elargito in maniera troppo sbrigativa egli reagisce con l'atto di mordere (seno cattivo). La frustrazione risveglia dunque impulsi aggressivi. Chi soffre di DCA è inibito, proprio nel campo relativo ai rapporti tra cibo, amore e possesso. Egli non sa maneggiare ciò che possiede, e non ne valuta correttamente la portata, né la conquista né la necessaria rinuncia a tempo opportuno. Afferma di essere estremamente moderato nei riguardi di se stesso e di essere invece spesso e volentieri prodigo con gli altri, talvolta persino in maniera esagerata. In verità però egli tende fortemente al guadagno e al possesso, anche se non lo sa, e spesso è pure inconsciamente aggressivo. Pertanto, dato che essere amato ed essere nutrito formano in tutti gli individui un unico indissolubile complesso, dietro ai desideri di possesso nascosti e non realizzati, si cela, in definitiva, un profondo desiderio di affetto e di protezione.
proprio perché non vogliamo farci mancare proprio nulla, come accade
per la maggior parte dei disturbi emotivi, anche il contesto
culturale gioca un ruolo significativo: chi
vive in una società industrializzata viene continuamente bombardato
da messaggi che sottolineano, specie per le donne, l’importanza di
una linea perfetta, essenziale non solo per la bellezza fisica, ma
anche per raggiungere il successo in campo professionale, economico e
sentimentale … per essere apprezzati, accettati e considerati.
La maggior parte delle persone è in grado di regolarsi
nell’alimentazione senza difficoltà. Molte persone mantengono un
peso più o meno stabile anche senza particolari controlli sulla
dieta, basandosi solo sul proprio appetito (i
neuroni dell'ipotalamo sono stimolati dalla leptina).
Il problema è che l’appetito non è automaticamente regolato come
lo sono il bisogno di bere
o di respirare.
Se non respiriamo adeguatamente moriamo in pochi minuti; se non
assumiamo adeguate quantità di liquidi moriamo in pochi giorni; ci
vogliono invece settimane e settimane per morire di fame.
Questo minor controllo sul comportamento alimentare è causa, in
situazioni estreme, di anoressia,
bulimia,
ortoressia
(attenzione
esagerata alle regole alimentari),
pica (ingestione
di sostanze non nutritive ... fenomeno molto diffuso nell'infanzia o
nei disturbi psicotici)
e obesità.
Non esistono disturbi emotivi analoghi - se
non a livello analogico
- rispetto alla regolazione del respiro o all’assunzione di liquidi
perché queste funzioni sono di importanza vitale e non presentano
margine di tolleranza.
ere
e mangiare, lo si ricorda ancora una volta, assicurano il nutrimento,
il soddisfacimento del bisogno del cibo, ma ritualizzano anche, ad un
livello simbolico, le prime relazioni oggettuali
(stadio
orale direbbero gli psicoanalisti).
Tale nozione di pasto e i vari rituali connessi implicano una
dimensione culturale e relazionale: legame
e momento di riunione della famiglia, simbolo di divisione, di
comunione, ma anche di festa.
Un processo in cui le emozioni hanno un ruolo fondamentale, nel bene
e nel male. Molti problemi legati all’alimentazione non sono veri
disturbi mentali, sebbene chi ne soffra possa avere conseguenze
emotive e possa trarre giovamento da una psicoterapia. Gli
adolescenti e i giovani mostrano spesso varie e strane forme di
comportamento alimentare, che includono diete frequenti, abbuffate e
vomito per evitare di ingrassare. Questi comportamenti che sono molto
più comuni dei veri e propri disturbi dell’alimentazione, non sono
quadri
clinici importanti
ma aumentano il rischio di sviluppare abitudini alimentari più
pericolose e possono essere le prime avvisaglie di problemi
potenzialmente gravi, per cui non devono mai essere, per
nessuna ragione, sottovalutati o
ignorati. Il rifiuto del cibo ha - è
bene sottolinearlo
- serie motivazioni patologiche e spesso deliranti (sitiofobia).
’anoressia
nervosa
(AN)
fu identificata per la prima volta oltre un secolo fa, da un medico
inglese (Richard
Morton) che
la descrisse come un disturbo caratterizzato da uno stato di inedia
(forma
più estrema di malnutrizione)
imputabile
ad una costante ricerca della magrezza ideale. Sono
soggetti che si negano il cibo, pesano pochissimo, si lasciano
praticamente morire di fame; sono indeboliti dalla fame, presentano
uno sguardo vacuo, rifiutano il cibo per paura di diventare grassi e
gonfi come un “pallone”, nonostante abbiano, in realtà, un
aspetto di chi sia appena uscito da un campo di battaglia o di
concentramento; un cibo vissuto come minaccioso per il senso di sé,
di identità e di autonomia.
Nello specchio irrealistico e distorto della loro immaginazione si
vedono grassi o flaccidi (i
distretti corporei presi di mira sono braccia e gambe ... anche il
naso per alcuni non scherza),
anche nel caso in cui abbiano un peso normale o siano addirittura
sotto peso. Sono individui che perseguono un solo obiettivo nella
loro vita, quello di essere
magri, trascurando
tutto il resto
... gli
stimoli che la vita può offrire
e
riservare
ad
ogni essere umano.
Una
tragedia che assume un valore enorme e prende il sopravvento su ogni
altra cosa, compresi salute,
sopravvivenza, sesso e bellezza fisica.
n'attenta osservazione qualificata mostra che gli impulsi aggressivi
- possessivi
come l'invidia
e
la
gelosia
sono tra i fattori più importanti di questo disturbo. Se
questi impulsi vengono negati dalla coscienza, possono portare ad una
grave inibizione dell'assunzione del cibo.
Da qui il passo è breve. E' facile capire che - proprio
perché il mangiare crea soddisfazione
- il senso di colpa può disturbare l'appetito a tal punto che il
soggetto non si concederà il piacere di saziarsi. Questo concetto
può essere più chiaro pensando che il digiuno, in certi ambienti
religiosi, è una diffusa e severa formula
di penitenza.
Altro elemento psicologico comune a questi soggetti è una inconscia
reazione
di dispetto;
in questo caso l'anoressico si comporta come il bambino imbronciato
che si rifiuta di mangiare per obbligare le figure di riferimento a
concedergli particolari attenzioni e per vederli preoccupati. E'
fondamentale riconoscere, in anticipo, i segni e i sintomi d'esordio
di tale patologia per poter intervenire con un trattamento tempestivo
ed adeguato, prevenire le terribile conseguenze che fino a poco tempo
fa avevano un esito nefasto. Quando familiari o amici si rendono
conto del dramma siamo, se non in salita, solo a metà strada; queste
persone sembrano non accorgersi che il loro corpo si sta
“sciogliendo”,
“scomparendo”,
“annullando”
completamente e non ha alcun valore quello che segnalano bilancia e
il calo di centimetri in “vita”
... quasi sempre,
davvero impressionante.
'inizio è da ricercarsi in genere in una “normale”,
ingenua ed innocente dieta che sfugge letteralmente al controllo; una
situazione che evolve verso rigide restrizioni caloriche e attività
fisica intensa e prolungata. Inizialmente è difficile, anche per i
più esperti, stabilire il confine tra la ricerca ossessiva della
bellezza e un disturbo alimentare di questa portata, specialmente in
questo singolare periodo storico che idealizza all'esasperazione un
corpo 'affilato'
e ben 'asciutto';
in particolare per adolescenti, che spesso sognano successo o
professioni in cui la magrezza ossessiva rappresenta una condizione
imprescindibile …
emergere, sfondare, affermarsi, raggiungere il successo e la fama a
scapito della 'dimensione' corporea.
Raggiungere
un ideale di vita impossibile, un'immagine di sé talmente perfetta
che diventa difficile vivere una vita reale e concreta.
TTENZIONE,
non si cercano colpevoli,
un'attenta
e
oculata
riflessione
non serve per condannare qualcuno, non abbiamo bisogno di capri
espiatori, ma per avere un quadro clinico chiaro della situazione,
conoscere il più possibile il fenomeno in atto, le sue complesse
dinamiche e, quindi, per poter intervenire con solerzia e la massima
professionalità. MAI avallare comunque violenze, gesti distruttivi o
giustificare comportamenti lesivi verso altri, nessuna riduzione di
“PENA” ma sempre rispetto per chi soffre … da ogni parte!!!
ale
disturbo può essere anche una risposta ad una perdita personale, una
scarsa autostima oppure un sintomo di una personalità narcisistica.
a sfida cui ci troviamo di fronte, dunque, è quella di accrescere le nostre capacità nell'aiutare la persona a cambiare la propria visione su se stessa, opinione che può avere fin dalla prima infanzia. Col passare degli anni queste concezioni di sé, avvertite a livello profondo, probabilmente sono ripetutamente rinforzate sia dai genitori sia da altre persone che hanno detto a questi individui con problemi che sono “bambini cattivi”, nonché da un insuccesso inconsciamente motivato in svariati campi della propria vita. Il soggetto, comunque, che “perde l'appetito” e per conseguenza dimagrisce è spesso soltanto affamato emotivamente (ha bisogno di un sincero amore, una buona attenzione, una genuina, onesta e spontanea considerazione).
l sintomo abbastanza comune dell'astenia è molto spesso causato da
un conflitto emotivo che consuma tanta energia da lasciarne ben poca
a disposizione di una normale attività … anche
di alimentarsi!
Spesso una tensione intrapsichica inconscia si può esprimere
mediante una tensione muscolare
che
provoca alcuni dolori sì da far pensare ad una nevralgia atipica
(nel
tessuto liscio o striato).
L'anoressia precoce, inoltre, nella prima infanzia, non
d'origine ipofisaria,
può essere uno dei primi segni di autismo e di una grave psicosi
infantile. Sono sempre di casa - comunque
la si veda la cosa -
i conflitti nello sviluppo e nella maturazione sessuale. L'anoressia
solitamente si presenta nelle adolescenti che incontrano difficoltà
nell'accettarsi come “figure”
sessuali.
Infatti, l'anoressia evidenzia una regressione in fase prepuberale,
sia psicologicamente sia fisiologicamente. Tale disturbo, pertanto,
può essere non solo un tentativo maldestro di gestire questi campi
emotivi minati, ma può avere anche la funzione di “risolvere”
i conflitti adolescenziali, quali la formazione
dell'identità, gli impulsi sessuali e la separazione dalla famiglia.
Sono presenti, come abbiamo appena visto, un senso diffuso di
inadeguatezza e di bassa autostima, che si pensa siano un precursore
dei disturbi della condotta alimentare. Si ritiene che il problema
prenda forma nella prima infanzia, quando i bambini crescono
soddisfacendo i bisogni di genitori distratti o concentrati troppo su
loro stessi e ignorino i propri bisogni che neanche i loro genitori
considerano. Ciò che si sviluppa in queste famiglie ossessionate
dall'aspetto esteriore è una persona pre
– anoressica,
con un falso sé, preoccupata di essere “la
miglior bambina del mondo”.
TTENZIONE, questa analisi concettuale non è un complotto contro la famiglia, nessuno vuole incolpare i punti di riferimento; ciononostante conoscere tali dinamiche è fondamentale per trovare soluzioni, per mettere in atto una corretta, vantaggiosa e tempestiva terapia; certe famiglie, infatti, hanno un'alta frequenza di depressione, alcolismo e disturbi della condotta alimentare rispetto alle altre. Mostrano modalità distruttive e ipercritichismo verso il futuro anoressico (emotività espressa negativa), collusione tra genitori e figli, preoccupazione esagerata per peso ed aspetto fisico. Le modalità di abuso sessuale e di coinvolgimento fisico e psicologico, e altre forme di violazione del “confine personale” e l'iperintrusività sono state più volte citate quali fattori coinvolti nel malessere in questione … nella patologia appena descritta. Gli anoressici sono pazienti particolarmente difficili da trattare; negano sempre il grave rischio che corrono non alimentandosi e molto difficilmente cercano aiuto spontaneamente. Nelle forme più gravi tale disturbo alimentare rappresenta una vera e propria emergenza sia medica sia psicologica. Il decesso in genere sopraggiunge per scompenso funzionale in più organi o grave squilibrio dovuti al deperimento organico.
onostante la mancanza e
la cattiva alimentazione troviamo, spesso, steatosi epatica (fegato
grasso),
dovuta allo squilibrio dei vari organi emuntori: una
disfunzione che può essere, in breve tempo, letale.
Il rifiuto del cibo in questi individui è deciso, vigoroso, così
come lo è il terrore per le calorie: oppongono
una robusta barricata, una solida opposizione, una forte resistenza e
non accettano per nessuna ragione, l'idea di desistere dal digiuno.
E' tempo sprecato, se non inutile, anche a far leva sul fatto che
stanno mettendo in serio pericolo la loro stessa vita. La ripresa
dell'alimentazione deve essere graduale, molto cauta all'inizio,
meglio se in forma liquida; è una strategia vantaggiosa anche se
temporanea, messa in atto solo per poco tempo. Interventi psico
- educativi,
sempre indispensabili, prevedono che il soggetto sia messo a
confronto con le sue idee riguardo il cibo e al peso corporeo,
fornendo in alternativa idee più “digeribili”;
l'intervento
psicologico, nonostante la decisa e netta opposizione, non deve mai
mancare;
dovrà indagare i conflitti, le difficoltà e i problemi non
direttamente espressi, ma che sono sempre alla base di questa
drastica riduzione alimentare. Trattare
questo disturbo alimentare cronico è davvero difficile, perché si
tratta di indurre il soggetto a fare esattamente la cosa che teme di
più: aumentare
la cintura di qualche foro o indossare una taglia in più.
ualunque iniziativa o cosa si faccia a livello terapeutico deve,
comunque, iniziare con un “contratto”
responsabile e vincolante: un
accordo che, senza nessuna forzatura, prevede nel tempo un lieve
incremento di peso.
Se non si interviene nel modo giusto, la compulsione
a ridurre le quantità di cibo e a perdere peso si aggrava sempre più
fino a diventare irresistibile. Da soli non possono imporsi di
mangiare di più o di non esagerare con l'attività ginnica. Solo se
sottoposti a una terapia adeguata, questi individui possono acquisire
abitudini alimentari corrette e tecniche pratiche per affrontare i
loro delicati problemi: gestire
il loro destino in maniera libera e autonoma ... se tale situazione,
ovviamente, non è ancora gestita o controllata da un
grave
quadro clinico psicotico.
Esiste tuttavia una forma di 'autoterapia'
iniziale estremamente utile che può dare sicurezza,
sollievo
e conforto,
avere una visione complessiva al di là della situazione in atto,
mettere a fuoco come stanno realmente le cose (distogliere
l'attenzione ossessiva sul cibo):
tenere
un
diario.
E' come la storia del 'malato
grave',
se noi lo lasciamo concentrato sul disagio, avvolto completamente nel
male, nella sofferenza con lo stesso clima e gli stessi “argomenti”
con cui è stata prodotta la malattia non svilupperà mai un'apertura
verso nuovi pensieri e schemi mentali, non lascerà mai la “cosa”
che lo spaventa di più, non abbandonerà mai i soliti riferimenti,
non cambierà prospettiva, non darà mai spazio alle sue vere
potenzialità, alle sue infinite risorse, al potere curativo delle
immagini e ai desideri autentici che salvano: tirerà
i remi in barca,
entrerà
in uno stato di accettazione della patologia in cui consoliderà, nel
tempo, la convinzione che tutto è perduto, non ci sarà più nulla
da fare … il bicchiere mezzo vuoto divorerà lentamente la sua
vita, governerà completamente la sua esistenza.
ul diario, pertanto, si possono annotare anche, in modo dettagliato,
il cibo consumato e il comportamento alimentare in atto; diventa
utile, se non terapeutica, la piena consapevolezza del disturbo e di
quanto cibo si introduce, nonché idee e opinioni riguardo
all'alimentazione e al peso, cercare di capire cosa sentono e che
cosa pensano: cominciare a guardare quello che sta intorno;
fondamentale
sarà tenere sotto controllo l'idealismo ossessivo.
Inizialmente questi soggetti trovano ogni cosa impossibile,
estremamente difficile, ma con il passare del tempo affinano buone
strategie e capacità di approfondimento sempre maggiore; bisogna
stimolare il desidero di esistere, sicuramente non facile per chi ha
perso il GUSTO della vita, ma con pazienza e senza fretta si possono
raggiungere traguardi insperati.
La
terapia comunque opportuna e più efficace sembra essere quella di
tipo empatico e basata sulla realtà; incoraggia il soggetto ad avere
una visione più ampia della situazione, a riflettere, esaminare,
confrontare le diverse distorsioni e i temi invalidanti sopra
indicati. Le sedute psicoterapeutiche hanno inizialmente una cadenza
mono
– settimanale.
Il trattamento deve essere basato su una valutazione completa che
include l'esame dello stato fisico, psicologico e comportamentale,
delle comorbilità psichiche e delle dinamiche familiari.
on solo è
necessario, ma fondamentale un lavoro a rete, in equipe
multidisciplinari. Il trattamento include: normalizzazione
del peso, riduzione dei sintomi con terapia cognitivo -
comportamentale, terapia individuale e familiare e interventi
psicofarmacologici in alcuni casi piuttosto delicati. Senza
dubbio l'approccio ottimale, considerata la gravità del fenomeno,
riunisce pragmaticamente tutte queste diverse metodiche terapeutiche.
Il
trattamento deve essere corretto in base alla fase di motivazione e
al desiderio di cambiamento del paziente; non
può essere diversamente, la riuscita dipende sempre dai giocatori in
campo:
da una parte è consigliata una buona professionalità (da
sola non è mai vittoriosa)
e dall'altra è gradita una discreta, se non indispensabile,
disponibilità … la
voglia di cambiare non deve mai mancare non solo per questo
malessere, ma per tutte le patologie sia acute sia croniche, perché
spinge ad aprirsi al nuovo, modificare lo sguardo sulle cose, a
stimolare le risorse per un reale cambiamento.
'obeso
ingrassa perché mangia troppo, e mangia troppo perché, a suo dire,
“ha
sempre fame”.
Ma spesso si tratta di “fame
d'affetto”
… sono
soggetti,
quasi
sempre,
orfani
d'amore.
Per
alcuni, ogni volta che mangiano, è come se stessero ancora
“poppando”, rievocando quei momenti difficili, quelle sensazioni
di solitudine, quei bocconi amari, “duri”, deludenti, insipidi,
sbrigativi, che possono ancora oggi ferire;
può
essere un cibo dolce, caldo, offerto con tenerezza - gustoso, non
'riscaldato' - che coinvolge e rassicura oppure freddo, gelido, avaro
di tenerezza, senza affetto e amore
… un
cibo che crea un 'vuoto' e fa sentire sempre affamati anche dopo
aver mangiato come un bue.
Costituzione e genetica favoriscono l'aumento di peso ma non bastano
a provocarlo; le DISENDOCRINIE
ne sono più spesso l'effetto che non la causa, essendo il risultato
dello sforzo inabituale cui viene sottoposto l'intero metabolismo. In
realtà, la ragione più frequente e più importante dell'obesità è
- per
molte scuole di pensiero
- di natura psicologica (sistema
ormonale permettendo).
Si dice che un individuo - alcuni
detti popolari lo confermano
- si “affeziona”
ai piaceri della tavola -
e quindi tende ad ingrassare
- quando l'età,
la famiglia,
il lavoro
gli impediscono le soddisfazioni delle conquiste sentimentali,
economiche
o di carriera
… e
non meno importante
rinuncia
alla sessualità.
d è giusto. Come è giusto che i fidanzati siano individuati
immediatamente
-
da un buon occhio clinico -
perché perdono l'appetito. Se
stai con chi ami ti dimentichi di mangiare.
Vuoi
perdere qualche chilo di troppo, “innamorati” … la perdita di
peso, senza fatica, è garantita!!!
Se
stiamo con le persone giuste, che ci fanno star bene, la cintura si
restringe … il cambio del guardaroba è assicurato..
Amore e cibo si sostituiscono a vicenda. “Avvolgiamo”
in maniera spontanea e naturale di affetto un familiare obeso, ed
egli come d'incanto avrà, improvvisamente, meno bisogno di mangiare,
e comincerà a dimagrire. Provare per credere, diceva quel famoso
presentatore. Poiché nessuno di noi dimentica le esperienze più
emozionanti, è ben chiaro che il diverso modo in cui può essere
soddisfatto, nella primissima infanzia, il nostro erotismo
orale
influenza decisamente il successivo comportamento adulto.
e
persone affette da bulimia
nervosa (BN),
come
abbiamo visto nei precedenti articoli,
non
sono in grado di controllarsi nel mangiare, allo stesso modo in cui
l’alcolista non si controlla nel bere (vedasi
i vari articoli sulla “dipendenza”).
Abbuffate voraci si alternano a frenetici tentativi di eliminare le
calorie ingerite; il prezzo da pagare per essersi lasciati tentare
dal cibo è il vomito,
l’utilizzo di lassativi,
il digiuno
forzato
e l’esercizio
fisico
intenso. La
contraddizione insanabile alla base di questo comportamento consiste
da un lato nell’impossibilità assoluta di controllarsi
nell’alimentazione, dall’altro dal desiderio di controllare a
tutti i costi il proprio peso.
Quando la linea non rappresenta un grosso problema, questo modo
impulsivo e vorace di mangiare porta inevitabilmente all’obesità;
al contrario, se l’obiettivo prioritario è mantenere una linea
perfetta, ci si impegna in disperati tentativi di neutralizzare
l’effetto delle grandi mangiate per evitare l’aumento di peso: è
un circolo davvero vizioso.
La bulimia
è
un problema molto comune, specialmente fra le giovani donne dalla
pubertà ai vent’anni. Spesso comincia con i primi tentativi di
dieta per sbarazzarsi dei chili in più che ci si porta dietro
dall’infanzia; con il digiuno forzato lo scopo viene “presto”
raggiunto, rinforzando la motivazione a seguire.
i vuole poi poco
tempo per scoprire (da
soli o tramite amicizie)
il vomito e i lassativi come rimedio, o anche come punizione, per
ogni abbuffata: una
volta innescato, il ripetersi ciclico di questi comportamenti non
lascia spazio e tregua.
Vi sentite in colpa per quanto e come mangiate, e anche per quello
che fate dopo per contrastare gli effetti del cibo. Siete i primi a
disapprovare questo comportamento: sgattaiolate
furtivamente in bagno per procurarvi il vomito ma state sempre
attenti che nessuno vi scopra.
Il vostro problema è un segreto per tutti, anche per chi vi è più
vicino, arrivate anche ad evitare di fare nuove amicizie per paura
che il vostro segreto venga scoperto. I soggetti con questo disturbo
hanno ripetuti episodi di abbuffate, durante i quali consumano molto
rapidamente grandi quantità di cibo, perlopiù dolci, e smettono di
mangiare solo a causa di forti dolori addominali, della necessità di
dormire o di una interruzione.
Nel
tempo questi soggetti, molto “astuti”, hanno affinato abili
strategie per accelerare in pochi “colpi” l'eliminazione del cibo
introdotto:
all'inizio
mangiano alimenti ricchi di fibre (le
cose introdotte assorbendo acqua si gonfiano, creano una base, un
“fondo” nello stomaco,in modo tale che l'impasto compatto, ben
corposo, possa uscire più facilmente)
poi proteine, uova, pane e latticini. Chi
soffre di bulimia di ‘tipo
purging’
si
induce il vomito o assume lassativi (clisteri)
per alleviare i sensi di colpa e controllare il proprio peso. Chi
invece è affetto da bulimia di ‘tipo
nonpurging’
ricorre
ad altri mezzi, quali il digiuno e l’esercizio fisico eccessivo,
per compensare le abbuffate. La bulimia è molto più comune della
anoressia, benché i due disturbi spesso si sovrappongano. A
differenza dei soggetti affetti da anoressia, i bulimici tendono ad
avere un peso più o meno normale. Tuttavia, anche le complicanze
mediche di questo disturbo sono gravi e possono mettere a repentaglio
la vita del soggetto. La bulimia - 'alla
moda'
- o sperimentale è piuttosto diffusa tra alcuni gruppi di studenti
delle università e delle scuole superiori.
e ragazzine che provano
a mangiare grandi quantità di cibo e a vomitare subito dopo, non
soffrono necessariamente di un disturbo emotivo; spesso queste
ragazze vomitano quello che mangiano per un periodo che può durare
da qualche mese a un anno e quindi smettono quando le loro condizioni
di vita o sociale cambiano. Per chi cerca un aiuto,
l'informazione,
la conoscenza
e
la psicoterapia
si
rivelano estremamente efficaci. La bulimia è piuttosto comune tra le
giovani donne; tra i giovani maschi questo disturbo fino a poco tempo
fa aveva un’incidenza pari a un quinto rispetto alle donne ora,
invece, stanno recuperando terreno abbastanza velocemente. L’età
media di insorgenza, per
alcuni “osservatori”,
è di diciotto anni;
il disturbo può manifestarsi tra i dodici e i trentacinque anni.
Le persone che da adolescenti soffrivano di obesità hanno maggiori
probabilità di sviluppare la bulimia in età adulta. La bulimia
solitamente si manifesta al termine di una dieta ferrea protrattasi
da alcune settimane fino a un anno o anche più a lungo e che può
avere avuto successo oppure no. Le diete molto rigide possono
influire sulla chimica
cerebrale
al
punto da scombussolare i normali meccanismi che regolano l’appetito
o la sazietà.
uesto semidigiuno scatena un’abbuffata, che a sua
volta porta all’eliminazione del cibo ingerito. Nel momento in cui
si rendono conto che il vomito riduce l'ansia
provocata
dalle abbuffate, queste persone smettono di temere tali episodi. In
questo caso le abbuffate diventano sempre più frequenti e più
gravi, fino a trasformarsi, con il passare del tempo, in un mezzo per
affrontare qualsiasi forma di infelicità
o di stress.
Tuttavia la chiave di questo disturbo non sta nel mangiare quanto nel
vomitare, poiché probabilmente queste persone eviterebbero di
mangiare troppo se non potessero vomitare dopo (ovviamente
per gestire il loro mondo affettivo ed emotivo attiverebbero altre
“compensazioni”).
Anche alcune anomalie biologiche possono avere un ruolo importante,
benché non sia chiaro se rappresentino una causa o una conseguenza
di questo disturbo. Poiché la bulimia, come l’anoressia, tende a
manifestarsi verso gli ultimi anni
dell’adolescenza,
può essere associata alle difficoltà derivanti dal passaggio
all’età adulta.
nche i conflitti familiari, sentirsi combattuti tra i due genitori, possono portare una giovane donna (o fanciullo) a sviluppare un comportamento bulimico. Il disturbo sembra inoltre essere associato allo stress, per esempio all’allontanamento da casa per motivi di studio o alla ricerca di un posto di lavoro. Sebbene quasi tutti i soggetti bulimici siano infelici e scoraggiati perché sentono di avere perso il controllo sul proprio comportamento alimentare, la bulimia può anche essere un sintomo di profonda depressione. Anche i disturbi d’ansia possono coesistere con la bulimia (attacchi di panico, fobie). Altri problemi osservati spesso nelle persone bulimiche includono l’abuso di alcol, la difficoltà a tollerare la frustrazione, problemi nei rapporti interpersonali e comportamenti impulsivi. Alcuni soggetti fanno uso di anfetamine o di farmaci da banco per ridurre l’appetito o perdere peso. Alcuni rubano cibo, capi di abbigliamento, gioielli o altri articoli oppure cedono all'impulso di procurarsi dei tagli (vedasi patomimia cutanea).
ra i
familiari dei soggetti bulimici si registra un’incidenza superiore
alla norma di depressione, alcolismo,
abuso di sostanze chimiche e obesità; la
maggior parte delle strategie e degli insegnamenti familiari
utilizzati per gestire il malessere emotivo sono quasi tutti
'sostegni esterni' che non aiutano ad irrobustire, a sviluppare
'anticorpi', a responsabilizzare, ad affrontare direttamente e con
decisione le difficoltà della vita in maniera autonoma … a
cavarsela da soli. La vita dei soggetti affetti da
questo disturbo ruota intorno al cibo. Sebbene abbiano generalmente
un peso normale, queste persone sono estremamente preoccupate per il
loro peso e tentano di tenerlo sotto controllo sottoponendosi a
diete, vomitando oppure usando lassativi e diuretici. Alternando le
abbuffate all’eliminazione del cibo ingerito, ingrassano e
dimagriscono ripetutamente di vari chili. La loro vita è dominata
dai conflitti derivanti dal cibo.
olte di queste persone non fanno
pasti regolari e non si sentono sazie alla fine di un pranzo normale.
Inoltre, preferiscono mangiare da sole in casa propria perché
provano vergogna e sensi di colpa. Il cibo è costantemente al
centro dei loro pensieri. In alcuni casi i soggetti bulimici
non vedono l’ora di uscire dal lavoro per correre a casa a
mangiare. Le abbuffate sono programmate con cura; qualsiasi cosa
interferisca con questi piani determina un estremo stato d’ansia
nel soggetto e prolunga ulteriormente il ciclo abbuffata
- vomito. Alcuni, solitamente, scelgono cibi
ipercalorici e dal sapore dolce, per esempio torte, gelati, pane
prodotti lattiero - caseari che possono essere trangugiati il più
rapidamente possibile senza dover masticare troppo a lungo.
Un’abbuffata dura in media un’ora o due: quando
cominciano a mangiare, non sono più in grado di smettere.
In uno stato di estrema frenesia, cercano in continuazione altro cibo
e smettono solo a causa di interruzioni o perché non sono più in
grado fisicamente di mangiare. Al termine
dell’episodio, si sentono piene di vergogna, autocritiche e
depresse. L’eliminazione del cibo ingerito allevia i
dolori allo stomaco e spesso riduce il rimorso e l’angoscia.
Solitamente queste persone si infilano un dito in gola; alcune
imparano a vomitare a comando. Un numero più limitato di persone fa
uso di lassativi, e c’è chi può digiunare per un giorno intero
oppure impegnarsi in un’attività fisica estremamente intensa. La
bulimia può continuare a manifestarsi di tanto in tanto per vari
anni, con abbuffate che si alternano a periodi di alimentazione
regolare.
olitamente i soggetti bulimici hanno un
aspetto normale e un peso più o meno nella norma, sebbene anche le
persone snelle abbiano un addome pronunciato a causa delle frequenti
abbuffate. In linea generale queste persone conducono una vita
normale nonostante la bulimia, anche se nei casi estremi possono
dedicare tutto il loro tempo a programmare le abbuffate, ad
acquistare cibo e quindi mangiare e a eliminare il cibo ingerito; a
livello sociale, lavorativo e relazionale però si trovano in
difficoltà e si sentono sempre fuori posto. Spesso
sono i dentisti i primi ad individuare un caso di bulimia, in quanto
osservano danni ai denti e alle gengive, tra cui l’erosione dello
smalto dentario, causati dagli acidi gastrici contenuti nel vomito.
Altri segni medici della bulimia includono ipertrofia delle parotidi
(guance paffute), graffi e calli
sul dorso della mano (segno di Russell), dovuti allo
sfregamento della mano contro i denti mentre si induce il vomito.
Anche il fatto che il soggetto si scusi
durante o dopo un pasto per andare in toilette, dove si procura il
vomito, è un indizio significativo. I soggetti
bulimici possono arrivare a consumare più di 15.000 chilocalorie in
una singola abbuffata, ma ciò che causa i danni più gravi è la
successiva eliminazione di quanto si è ingerito.
li acidi gastrici
contenuti nel vomito irritano le gengive e corrodono lo smalto
dentario portando alla formazione di numerose cavità. Il
vomito ripetuto priva l’organismo di sostanze nutritive e liquidi
essenziali, il che provoca disidratazione e squilibri a livello degli
elettroliti. La deplezione potassica (ipokaliemia)
compromette la funzionalità del cuore e di altri muscoli e può
causare aritmie cardiache e, in alcuni casi, la morte improvvisa
(vedasi “La grande abbuffata”).
Altre complicanze includono spasmi muscolari alle mani e ai piedi,
palpitazioni, irritazione e sanguinamento dell’esofago e dello
stomaco e disturbi dell’apparato digerente. Molte persone credono
erroneamente che l’uso di lassativi o di diuretici acceleri la
perdita di peso e perciò fanno spesso uso di questi preparati. In
realtà l’assunzione di lassativi e di diuretici provoca una
ritenzione di liquidi di rimbalzo, prolungando così la sensazione di
gonfiore e rinforzando il ciclo di eliminazione del cibo ingerito.
L’abuso di lassativi comporta gravi complicazioni, tra cui stipsi
e prolasso del retto, nonché la rara condizione nota
con il nome di colon catartico,
che richiede un immediato intervento chirurgico. Anche nel caso in
cui sembrino avere un peso e una salute normali, i soggetti bulimici
possono soffrire degli effetti psicologici dell’inedia, che
includono cambiamenti di umore, affaticamento e depressione.
ra
queste persone si riscontra inoltre un’incidenza superiore alla
media di disturbi d’ansia, disturbi bipolari (sindrome maniaco –
depressiva, oligofrenia) e disturbi di personalità; hanno difficoltà
a livello sessuale o mostrano comportamenti impulsivi autodistruttivi
quali il taccheggio, la promiscuità e l’automutilazione.
La terapia della bulimia si realizza in varie fasi. La prima
fase enfatizza il controllo sull'alimentazione
attraverso tecniche comportamentali come l'automonitoraggio,
prevenzione della risposta (mangiare senza poter vomitare),
prescrizione di modalità alimentari regolari e misura di controllo
dello stimolo (evitare situazioni a rischio di abbuffata). In
questa fase “educativa” i soggetti sono informati
sulla nutrizione, sulla regolazione del peso e sugli effetti deleteri
della bulimia. La seconda fase
si focalizza sul tentativo di ristrutturare gli aspetti cognitivi
irrealistici (convinzioni e aspettative) e sviluppare metodi
di risoluzione dei problemi più efficaci. La terza
fase enfatizza il mantenimento dei “guadagni”
ponderali e della prevenzione della ricaduta con incontri settimanali
nel primo anno, quello più a rischio di ricaduta … tenere
sotto controllo recidive quando si è sotto stress.
NB.
Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo
articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio
medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per
qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto
ha un valore informativo ed educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
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