Infanzia e adolescenza, un mondo complesso ...
sono davvero fasi evolutive difficili?
sistono
intere biblioteche di libri sull'adolescenza e quasi tutti trattano
l’argomento come se questa fase evolutiva fosse caratterizzata da
una profonda crisi che potrebbe stravolgere completamente il
carattere del giovane. Ci sono molti pericoli nell'adolescenza, non
lo si può negare, ma non è vero che essa può modificare ex
novo
la
personalità del fanciullo: lo
mette
semplicemente di fronte a nuove dinamiche, responsabilità e tante
sfide interessanti.
Egli sente che si sta avvicinando un momento cruciale della vita e
possono rivelarsi, nel suo stile di vita, errori che fino ad allora
erano passati inosservati: già
presenti comunque e un occhio clinico esperto avrebbe potuto
percepirli da tempo.
Ora, però, aumentano di importanza e non possono essere ignorati …
non
ci si può girare dall'altra parte.
Per quasi tutti i fanciulli, l’adolescenza significa soprattutto
una cosa piuttosto semplice: dimostrare
che non si è più “piccoli” e, soprattutto, sbandierare il
diritto di un posta a tavola con gli adulti.
Un
periodo caratterizzato da una travolgente eccitazione, frenesia e da
una profonda agitazione psicomotoria che assume significati
differenti non solo in base alle complesse caratteristiche
fisiologiche del fanciullo, ma anche secondo il tipo di cultura e del
gruppo sociale di appartenenza. Generalmente
riteniamo che per allevare i figli non vi sia bisogno d'imparare
qualcosa e che basti un po' di allenamento o di buonsenso.
Non
ne sono sicuro …
il
buon senso di una persona non è certo che corrisponda sempre a
quello di un'altra.
Tuttavia, per non peccare di assolutismo, guardiamoci attorno,
constatiamo che il “buonsenso”
si
avvale di metodi contraddittori. Un nostro amico, per esempio,
ritiene di dover “accudire”
il figlio imponendogli comunque la sua volontà. Un altro, invece, ci
assicura di preparare il figlio alla vita lasciandolo a briglie
sciolte … che
se la sbrighi da solo. Una madre “soffoca”
o, a seconda dei casi, “avvolge”
il figlio di un'assillante tenerezza, prodigandogli cure e consigli
(spesso
per nulla richiesti).
utti, poi, restano stupiti di non raggiungere i risultati sperati, i
“traguardi”
desiderati o magari ipotizzati a tavolino. A tale “addestramento”,
il bambino si opporrà con stizza improvvisa, insopportabile
sfacciataggine o, peggio ancora, una ingestibile arroganza … il
più delle volte un'insensata lotta senza quartiere.
Accuserà
di indifferenza il padre indulgente.
Risponderà con la freddezza al soffocante amore materno.
E tutti si lamenteranno del carattere “strano”
e ribelle dei propri figli,
per non dire patologico. E poi dicono che siamo strani! Ma
che cosa avrò mai fatto per meritarmi un figlio simile?
Negli ultimi decenni sono stati studiati a fondo le caratteristiche
fisiche e psicologiche del fanciullo, l'influenza dell'ambiente sui
piccoli e gli strumenti per attenuare le difficoltà che, come
adulti, incontriamo nel nucleo familiare e non. Questi
studi possono esserci utili anche solo come semplice riflessione;
scritti come questi non ci forniranno tuttavia certo delle regole
valide in ogni circostanza relazionale dato che in questo settore non
esistono mai due situazioni o casi uguali: ognuno
di noi è unico ed irripetibile.
Inutile
dirlo, ma grande influenza hanno anche gli errori di educazione. Il
cucciolo viziato, allevato fra eccessive cure ed attenzioni, si trova
indifeso di fronte alle prime banali difficoltà ambientali e sente
sicuramente la superiorità dei compagni più vivaci e spigliati.
Anche un'educazione troppo severa non è che faccia meno danni; può
generare infatti nel fanciullo un senso di sfiducia nelle proprie
capacità, quando ogni sua azione è corretta, ogni sua piccola colpa
è rigidamente punita. Reazioni emotive esagerate insorgono inoltre
con facilità nei piccoli trascurati, esclusi da un coinvolgimento
affettivo alla vita familiare, specie se le figure di riferimento
mostrano particolare attenzione o preferenze per altri fratelli.
Molto indicativa, nei fanciulli, è la comparsa di sintomi
compensatori dopo la nascita di un fratellino, cui madre e padre
dedicano in maniera esclusiva e dominante le loro cure e i loro
vezzeggiamenti (vedasi
nei prossimi articoli Stefano, un caso di enuresi).
a
questo punto di vista, la funzione dei genitori è quindi
estremamente diversa da un'attività gestita da regole
“scientifiche”.
Ovvero, come vuole la scienza, si fanno delle ipotesi e poi si
verifica in “laboratorio”
che tutto ciò si manifesti perfettamente nello stesso modo, che
possa accadere uguale, uguale. Impossibile!
Un po' difficile quando si tratta di materiale vivente!
Non
siamo pezzi meccanici o dei numeri: siamo esseri con sentimenti,
calati in una dimensione cognitivo - affettiva.
Quindi pazienza e cerchiamo di essere fieri - per
quanto sia strano
- del nostro mondo emozionale. Lo scopo pertanto di questo articolo
come al solito è quello di orientare a comprendere “discretamente”
- senza
invasione di campo
o
peccare di saccenteria -
le varie dinamiche, il comportamento bambino - genitore. Il nostro
“buonsenso”
ne verrà così potenziato e agirà con maggior delicatezza,
determinazione e sicurezza: avremo
più esperienza, più strumenti validi per interagire in maniera
consapevole e rispettosa.
Alcuni possono pensare che il proprio figlio sia nato con alcune
“qualità”
e molti “difetti”.
Ed
è proprio in questi ultimi che soprattutto dovremo lavorare …
occuparci.
Il nostro mestiere di genitori consisterebbe appunto nella loro
eliminazione con malleabilità e comprensione e non con il modello
classico dell'autoritarismo:
inizialmente,
per alcuni, con un preciso “addestramento”, cioè con punizioni,
poi con delle lezioni “poco” private di morale.
uel che oggi sappiamo è invece piuttosto diverso. Il primo periodo
di vita del bambino è uno dei più importanti per la formazione
della sua personalità. In questa fase, il bambino riceve “segnali”
indelebili e impressioni molto profonde; inizia il suo percorso
emotivo e mette in atto tenacissime abitudini: può
diventare pauroso oppure intraprendente, fiducioso o dissimulatore,
felice o triste.
Il bambino ha in sé una parte di ereditarietà, parte che è molto
importante: si
tratta di quel che chiameremo natura o temperamento
(influenza
biologica).
Un bambino sarà più o meno attivo, decisamente appartato, più o
meno emotivo, più o meno svelto, a seconda che sia magro o grasso,
vigoroso o debole. E già in base a queste sue caratteristiche
fisiche è necessario procedere con una certa cautela e originalità
di stile. Non dobbiamo rimproverare al bambino il suo temperamento
particolarmente impetuoso e scorgervi un difetto …
GUAI canzonare, deridere i suoi movimenti, goffi, impacciati o
frenetici che siano!
Riteniamo, al contrario, che egli sia più sensibile di chiunque
altro alle nostre critiche e alle nostre minacce. Invece di imporre a
un bambino troppo vivace di restare seduto a leggere un libro - cosa
che lo porterebbe all'esasperazione
- dobbiamo sapergli dare l'occasione di sfogarsi fisicamente, di
correre, di giocare all'aperto e al tempo stesso evitargli inutili
occasioni di eccitazione … incanalati
gli spiriti maligni nel modo giusto,
passati
i “bollori”, allora sì che possiamo “pretendere”.
Di
qualcuno che abitualmente prende le cose dal verso sbagliato, che si
mostra suscettibile e malevolo, diciamo che ha un cattivo carattere.
iciamo invece che ha un buon carattere quando parla ed agisce con cortesia o è in sintonia col nostro modo di pensare, il nostro stile di vita, i nostri schemi mentali … non ci rema contro! Per noi, quindi, il suo carattere coincide con il comportamento che di solito ha nei nostri confronti. L'influenza dei genitori sulle abitudini prese dal bambino si esercita tanto con l'atteggiamento che in sua presenza assumiamo nei confronti di tutte le cose, quanto con il comportamento che adottiamo nei suoi confronti. Fin dalla nascita, il piccolo risponde ai nostri gesti, ai nostri sguardi, alle nostre parole. Ne subisce l'influenza e prende anche certe abitudini. In seguito, se proibiamo al fanciullo di cantare perché la cosa ci esaspera oppure, ad esempio, di stare con altri bambini per evitare di prendere l'influenza o la varicella, il suo carattere diverrà triste e privo di slanci oppure, al contrario, riottoso e agitato.
e continuiamo a ripetergli che è un buono a nulla, che i compagni sono migliori e più avanti di lui, lo rendiamo timido e introverso … candidato alla depressione! Se, per costringerlo all'obbedienza, lo minacciamo di abbandonarlo o, peggio ancora, di non amarlo più, di farlo portare via dall'uomo nero (distacco, rifiuto delle relazioni, indifferenza, ostilità) otterremo, forse, un momento di tranquillità, ma per un lungo periodo lo renderemo ansioso e diffidente nei nostri confronti … candidato al disturbo paranoide! Se dopo avere pregato il fanciullo 'viziato' di lasciarci lavorare, ci lasciamo disturbare per dieci volte di seguito, lamentandoci ogni volta, ne faremo un despota capriccioso, ma anche ansioso e irrequieto per la mancanza, da parte nostra, di quell'autorità indispensabile per la sua maturazione … candidato a disistima e al quadro clinico dipendente!
e
esistesse un “buon”
modo di fare che bastasse imparare e applicare, tutto sarebbe in
discesa ... più
semplice e, per certi versi, gratificante.
Essere genitori diventerebbe allora un mestiere non solo come un
altro, ma più piacevole ed entusiasmante. Ma, se da una parte, lo
sviluppo di alcune regole generali e quello delle neuroscienze
permettono di chiarire sempre meglio i tratti, i caratteri, le
relazioni familiari, dall'altra, ogni singolo caso continua a
rimanere particolare in quanto ogni essere è diverso dagli altri e,
soprattutto, perché la vita corre veloce, si trasforma
incessantemente (siamo
comunque sempre unici ed irripetibili).
L'arte di insegnare consiste in un certo senso nel modificarci –
genitori
e figli
– poiché l'educazione dei genitori si arricchisce di quella dei
figli. Presi dalle nostre occupazioni, dalle nostre preoccupazioni di
adulti, dimentichiamo che il bambino compie vicino a noi un 'lavoro'
diverso dal nostro, ma forse più delicato, impegnativo ed
importante. In pochi anni egli deve imparare a guardare, ad afferrare
gli oggetti, a maneggiarli, a stare seduto, poi in piedi, a
camminare, a parlare, a ragionare; un fanciullo con tempi diversi,
rispetto ai genitori, che in questo periodo storico brucia davvero le
tappe perché avvantaggiato e supportato da una nuova e preziosa
tecnologia. Una
pregiata diavoleria che darà, al momento giusto, i suoi frutti a
livello clinico: positivo da un punto di vista cognitivo e, più che
certo, negativo, se non più drammatico, a livello emotivo in quanto
il piccolo si isola, sperimenta pochi, frettolosi e superficiali
contatti umani. Sicuramente avremo una condizione emotiva diversa dai
quadri clinici tradizionali.
Ma
tornando al suo apprendimento egli è sottoposto continuamente ad
impegni, obblighi, doveri e pressioni, deve continuamente fare
esercizio, abbandonare i suoi “interessi”
o, spesso, le cose piacevoli iniziate: si tratta di quello che, con
“disprezzo”, definiamo i suoi giochi.
Attività ludica che può concretizzarsi nel togliere la chiave dalla
serratura per poi reinfilarla, nel nascondersi in un armadietto,
nell'aprire e chiudere una porta continuamente. Anche se tali giochi
non nuocciono nessuno, spesso, non esitiamo a proibirglieli perché
la ripetizione di un medesimo gesto, necessaria a qualsiasi
“apprendistato”,
ci esaspera.
ogliamo che cammini dritto, che sia pulito, prima ancora che egli abbia i mezzi per controllare la struttura muscolare; siamo soddisfatti quando raggiunge, anche se prematuro, il controllo sfinterico, un po' meno quando la fa tra le lenzuola; quando è più grandicello vogliamo che mangi con noi, che abbia gli stessi tempi e rituali, che cammini alla nostra stessa velocità: un “armamento” che egli ancora non possiede. Con ciò, volendo accelerare la sua crescita, non facciamo altro che turbarla e ritardarla. Oggi sappiamo che per aiutare il fanciullo nel suo sviluppo, è necessario assicurare una sufficiente libertà alle sue attività e contemporaneamente fargli sentire una certa sicurezza che in particolare deriva dall'autorità che esercitiamo … da non confondere con il permissivismo e l'autoritarismo! GUAI eccessiva e deplorevole tolleranza. In generale – ma a torto – libertà e autorità vengono contrapposte come due metodi educativi diversi tra loro. Si tratta invece di due bisogni che si completano a vicenda, indispensabili per la salute del piccolo. Dobbiamo lasciare al bambino la libertà di girare per casa, di correre all'aperto, di respirare aria buona, di gradire oppure no quell'attività ludica, di mangiare spinaci o portare quel pullover giallo, rosso o verde tutte le volte che vuole, ovviamente, ciò non deve mai arrecare danno a lui o ad altri della sua cerchia. Dobbiamo rispettare l'età, diversa per ciascuno, in cui egli ha voglia di muoversi e i mezzi di camminare, di dipingere o leggere.
'altra parte, il fanciullo ha bisogno di esercitare la sua libertà entro determinate regole; egli se le aspetta da noi come fossero un baluardo costruito per la sua incolumità, la sua sicurezza, la sua felicità; ha un preciso bisogno che la nostra autorità sia imposta con fermezza, ma anche con flessibilità e sapienza. Si osserva che il piccolo in tenera età sente naturalmente questa autorità e che egli è profondamente sottomesso: e ciò anche quando, impulsivamente e momentaneamente, risponde “no” alla nostra richiesta. Questi accessi di opposizione costituiscono, soprattutto a certi periodi evolutivi, un semplice bisogno di esprimere la propria indipendenza. TENIAMO presente che spesso la nostra autorità trae, contrariamente a quello che si dice in giro, vantaggio a non prenderli sul serio. La perdiamo quando manchiamo di flessibilità, proibendo o esigendo continuamente e senza alcuna necessità mille dettagli di comportamento, minacciando con una infinità di anatemi e di punizioni che non infliggeremo mai: “Stai su con la schiena, sembri un vecchio di cent'anni. Non guardare nel vuoto in quel modo, sii più attento. Stai fermo. Lascia stare la forchetta. Se continui di do un ceffone” e cosa più sconvolgente e distruttiva a livello culturale e formativo “Non assomigli per niente a … non sarai mai come lui”. Quella sana autorità la perdiamo anche irritandoci, lamentandoci, discutendo a lungo. La perdiamo anche discutendo tra noi, gridando, criticandoci l'un l'altro davanti al piccolo: “Lascia stare il bambino, tu non ci sai proprio fare … non vedi che sei un pappamolla”; contraddicendoci e cambiando opinione continuamente. Essendo ingiusti, non mantenendo le promesse, dicendo qualcosa di ingannevole, invocando una falsa morale per imporre qualcosa che ci è utile: “Se ritrovi le mie sigarette, sarai certamente un bravo ed ubbidiente bambino”. Vi sono tantissimi altri modi di perdere la propria autorità: e si tratta sempre di una cosa grave più per il bambino che per noi.
i può constatare invece che la nostra autorità è salda, risulta accresciuta da una fermezza calma e silenziosa, paziente e costante, accompagnata SEMPRE da fiducia, affetto e rispetto. Essa è riposta molto più nell'atteggiamento, nel tono della voce che non nelle parole stesse. Il piccolo non si sviluppa solo da un punto di vista fisico ed intellettuale: anche il suo carattere deve trasformarsi incessantemente, maturare, diventare autonomo. Egli deve diventare “grande” a poco a poco. I genitori quindi rappresentano per lui l'immagine vivente di quel che egli deve voler diventare. Si comprende pertanto come possiamo far molto per aiutarlo lungo questo cammino esistenziale. E ciò, in primo luogo, con la nostra presenza attiva nella sua vita … senza essere troppo invadenti. Quante volte, assorbiti dalle nostre occupazioni, dalle nostre preoccupazioni, forse semplicemente persi nel proprio smartphone o presi da uno spettacolo televisivo, abbiamo dato l'impressione di trascurarlo. In seguito, quando sarà più grande, terremo in poco conto i suoi racconti, le sue preoccupazioni, le sue opinioni, ritenendo le nostre le sole valide. Allora cosa succede, si consolidano varie convinzioni, altro non può dire in giro, ai suoi amici che questo: “I miei genitori non si interessano di me, non mi capiscono, sono sempre scontenti di ogni cosa che faccio. Quando desidero parlare, non mi danno retta. Non mi amano, sono sempre concentrati su lui/lei”. C'è però da chiedersi se ciò non significhi non essere più se stessi. Dobbiamo, forse, interpretare una parte fittizia che non corrisponde alla nostra realtà, come un attore?
ssere
presenti, per il bambino, non significa mettersi al suo livello,
significa essere se stessi, in modo autentico, in una situazione in
cui, via via che egli cresce e che la famiglia aumenta, la rete delle
relazioni diviene sempre più complessa.
Tutto ciò non si impara con le parole o con i consigli e neppure
seguendo riferimenti o letture di grandi esempi. Non
bisogna dimenticare che un quadro clinico già esistente si incontra
con uno in formazione.
Solo vivendo con i propri figli l'esistenza quotidiana e reagendo con
loro a ogni avvenimento, i genitori assolveranno alla loro funzione
di educatori e i figli diverranno a loro volta adulti in grado di
esserlo …
responsabili.
Come
mai, dunque, nel nostro mestiere di genitori ci troviamo
continuamente in conflitto con il piccolo? Conflitto
che in questo periodo storico non solo è acuto, ma anche piuttosto
violento e difficile da gestire: da
parte del bambino, resistenza, aggressività, collera;
da parte nostra, esasperazione, minacce e punizioni. Il conflitto è
talvolta dissimulato: il
bambino dice “si”
perché non osa dire “no”,
ma di fatto oppone un rifiuto che definiamo
indolenza,
pigrizia, disattenzione … cova rancore.
E siamo noi stessi che spesso non osiamo attaccarlo frontalmente e
che invece nascondiamo il libro proibito, le figurine o la scatola di
cioccolatini. E egli se la prende ancor più con noi. In primo luogo,
bisogna sapere che un certo conflitto di volontà tra i genitori e
figli è del tutto naturale. Si tratta, come diremmo, di un
inevitabile scontro generazionale, del conflitto educativo: divario
di idee, norme culturali e di opportunità.
'indipendenza che il bambino conquista si esercita nei confronti
delle regole che gli imponiamo a causa della sua età, ma che
modifichiamo nella misura in cui egli ci avrà dimostrato di essere
cresciuto.
Non dobbiamo irritarci per questi conflitti, né affliggerci, né
accusare il bambino e noi stessi.
Se accettato da ambedue le parti, il conflitto permette di superare
la crisi, permette al bambino di progredire. Per
i genitori è importante accettare il fatto che il bambino non è
ancora un adulto e gli si deve quindi non imporre i propri modi di
pensare … anche se la fermezza non deve mai mancare; il problema è
anche però quello di aiutarlo continuamente a diventare adulto e di
rallegrarsi per la sua volontà di indipendenza anche quando
quest'ultima lo porta a una separazione dai genitori stessi.
La prima volta che un bambino osa salire una scala o allontanarsi da
noi in un giardino, per esempio, dobbiamo interpretare questi fatti
come un segno favorevole, che testimonia del suo coraggio e della sua
volontà. In seguito, dovremo saper conoscere i segni precursori
della pubertà, il passaggio dall'infanzia all'adolescenza: tutti
momenti in cui la nostra autorità dovrà assumere nuove forme meno
imperative, più discrete e malleabili.
on è certamente facile seguire passo per passo l'evoluzione dei nostri fanciulli: essa avviene, infatti, segretamente, spesso in silenzio, nel chiuso di una solitudine che dobbiamo rispettare, o con compagni che conosciamo appena. Alla stessa stregua non è facile, attraverso le fatiche e le complicazioni dell'esistenza, aver sempre, e al momento giusto, la pazienza, il sangue freddo, la padronanza di sé che sarebbero necessari. Spesso ci si accorge con sorpresa di non averli capiti, di averli feriti con una parola o con un gesto. A volte si riconosce troppo tardi di essere inutilmente irritati o di aver abbandonato, per trascuratezza, una posizione che si riteneva molto importante. Ma soprattutto non bisogna scoraggiarsi, allontanarsi: non tentiamo né di giustificarci, né di accusarci … non lasciamoci governare dal senso di colpa. Il mestiere di genitori - anche se qualche volta risulta snervante - è coinvolgente, il più delle volte appassionante, avvincente e dura per tutta la vita. Esso comporta alcune delusioni, ma non bisogna dare a queste troppa importanza. Se abbiamo usato del buon materiale, messo in atto un rispettoso e innovativo sistema antisismico i risultati non mancheranno: le fondamenta saranno solide e sicure. Il bambino non si ferma mai, si evolve continuamente; per poterlo educare, dobbiamo essere attenti a tutti i suoi cambiamenti, seguirlo nella sua evoluzione e, soprattutto, trasformare anche noi stessi. Questa necessità richiede da noi un'attenzione perpetua che, però, ci lascia sempre aperto il campo a nuove possibilità, ad infinite esperienze … ad importanti conoscenze e fantastiche passioni … a momenti davvero felici.
enza insegnare nulla a nessuno, bisogna sempre incoraggiare i bambini ad esprimere i propri sentimenti, compresi quelli negativi. Ma stiamo attenti a non usare le reazioni dei bambini al comportamento di noi genitori per far pressioni su di lui e costringerlo a cambiare o a cercare aiuto. Questo mette i figli in una posizione insostenibile, ed essi potrebbero in futuro rifiutarsi di confidarci i propri sentimenti. Stiamo attenti a non mortificare o a criticarli inutilmente. A volte si è tentati a sfogare sentimenti negativi, ma l'unico risultato sarebbe di ferire, spaventare o far adirare i bambini. Se capita un episodio sconvolgente, si deve evitare, se possibile, che il piccolo si allontani o che vada a dormire quella sera senza prima averne discusso. Nell'ambito delle nostre possibilità, incoraggiamo il più possibile il bambino a mantenere la loro solita routine e a partecipare ad attività piacevoli a scuola o nel gruppo sportivo. Questo può aiutarlo a dimenticare un po' i problemi che ci sono nell'ambito familiare e a sentirsi meglio con se stesso … a sentirsi veramente a casa, protetto, al sicuro. Che i nostri bambini sappiano che non hanno alcun bisogno di sentirsi in colpa o di vergognarsi a causa della condizione familiare.
E’ difficile definirlo esattamente, ma grosso modo l’adolescenza
copre quel periodo tra i tredici e i diciannove anni. Esiste una
adolescenza biologica, ovvero quel momento in cui emergono le
caratteristiche sessuali secondarie (cambiamenti
ormonali). Nelle ragazze questa fase coincide con il menarca (10
– 12 anni).
Nei ragazzi il cambiamento della voce e la crescita della barba si
collocano intorno ai 13 anni. Come la prima infanzia, l’adolescenza
è un periodo di rapide trasformazioni biologiche, combinate a nuove
esigenze ed aspettative ambientali. Per quei fanciulli che già
presentano disturbi del comportamento, le nuove richieste
dell’adolescenza possono aggravare le tensioni in cui si dibattono,
esacerbando le difficoltà e i conflitti interpersonali.Anche altri,
che da bambini avevano raggiunto un adattamento fragile e precario,
possono essere sopraffatti dai grossi cambiamenti che sopravvengono
con questa fase evolutiva e sviluppare deviazioni serie. Ma ci sono
anche quelli che hanno avuto un’infanzia relativamente “sana”
e
hanno maturato un saldo senso di autostima e di fiducia in se stessi:
per
questi fanciulli l’adolescenza può essere un periodo stimolante,
di arricchimento, di crescita emotiva e psicologica importante.
on dobbiamo dimenticare che la sofferenza psichica in generale è un modo di vedere le cose in bianco e nero, il bicchiere sempre mezzo vuoto, un atteggiamento e credenze piene di pregiudizi, sono convinzioni autolimitanti radicate e consolidate nel tempo; tutte cose che ognuno di noi, chi più chi meno, “custodisce”dentro senza saperne la vera ragione e la precisa origine. Se non siamo mai stati considerati, amati, accolti, rispettati, continuamente rifiutati, ignorati e ridicolizzati da piccoli, non si può certo “resettare” o ribaltare il tutto - atteggiamenti, modi di pensare, schemi mentali - con qualche giro di mestolo, convincersi, ora, da adulti, di essere stati allevati nella morbida bambagia, aver vissuto in un clima sereno, fiabesco, in un mondo senza torture e dolori (alea iacta est direbbero ancora una volta i latini). Chi soffre di un disagio emotivo, si ritira lentamente entro la sua turris eburnea e guarda con sospetto, con profonda diffidenza tutto ciò che sta al di fuori; eccessivamente sensibile, vede pericoli ovunque, capta e anticipa atmosfere inesistenti e fiuta cose ancora prima che accadano … situazioni che non si verificheranno mai … un modo di vivere ai margini della società, della vita reale, con poco rispetto di sè … questo è il vero tormento, il grande dramma umano in cui si corre il rischia di ammalarsi sia a livello fisico sia a livello psichico.
e ne può scorgere l'origine nel periodo della prima infanzia corrispondente al momento dello spuntare i dentini: le gengive irritate; in quel periodo evolutivo, il bambino prova il bisogno di masticare, di mangiare e di distruggere (i denti rappresentano non solo un'arma aggressiva e difensiva, ma anche il nostro aspetto decisionale, la capacità di affermarci; non mostriamo forse i denti quando non vogliamo retrocedere da una decisione o non li stringiamo quando dobbiamo affrontare una situazione scabrosa?). In questo modo, seguendo la fase evolutiva della prima infanzia in cui il piccolo si accontenta di succhiare un nutrimento liquido sempre pronto e poco impegnativo, e poi una fase intermedia in cui egli impara ad inghiottire pasti più consistenti, eccolo capace di “distruggere”, di masticare, di fare finalmente a pezzi le cose, ma anche le situazioni da un punto di vista simbolico: è diventato parte attiva nella sua alimentazione … può accogliere, rifiutare o 'disintegrare'. Ma vi è molto di più in questa storia esistenziale perché questa attività si manifesta in tutta la sua portata: egli tenta di issarsi sugli arti inferiori, di trascinarsi e ben presto di stare dritto come un soldatino di piombo e di compiere alcuni passi … andare incontro alla vita in piena libertà ed autonomia. Adora afferrare gli oggetti, gettarli in terra, batterli, romperli: tutte queste libertà autonome rispecchiano un bisogno di esercizio, un prezioso allenamento e, contemporaneamente, un gioioso apprendistato nel controllo muscolare. Ed è infine in questa fase evolutiva che il cucciolo impara a mantenersi pulito e può cominciare a gestire e controllare i vari orifizi: gli sfinteri. Può accadere che maldestri interventi delle figure di riferimento tendano a reprimere questa voglia, questo bisogno d'azione tanto rudimentale quanto primordiale. Tutto avviene allora come se quelle forze aggressive avessero bisogno di essere incanalate, gestite, riversarsi da qualche parte. Se viene proibito loro l'accesso a una normale via di sfogo (inizialmente dall'adulto poi, rapidamente, dal piccolo che si trattiene per il terrore di eventuali ritorsioni … “vendette”), queste forze si rivolgono contro il bambino stesso. Non può smantellare le varie barriere o spazzare via i vari ostacoli che incontra perché non è ancora dotato di strumenti fisici e mentali idonei. E allora, alla fine, per liberarsi dalla tensione e dall'ansia, sarà lui a distruggere se stesso. Non gli rimane altro che cercare di esprimere la sua aggressività nel modo più semplice e quello soprattutto più facile, a portata di “dita”: rosicchiarsi le unghie. Non bisogna comunque confondere i veri “rosicchiatori solitari di unghie” con quelli che episodicamente, in certi momenti di timidezza “imitano” tale comportamento; ovvero il bambino che emula il compagno spavaldo, dominante ed aggressivo (vive il gesto come originale oppure come atto di forza); la onicofagia invece è un disturbo che si affaccia sulla scena in maniera continuativa e, soprattutto, per gestire uno stato ansiogeno; quindi, chi non è dominato da un momento di frenesia ed agitazione può utilizzare tale gesto solo come reazione episodica a determinate circostanze, a certi momenti difficili: scolastici, relazioni, amicizia, autonomia. Come è facile intuire, un atteggiamento della figura di riferimento sereno, tranquillo e ben adattato nei primi momenti evolutivi costituisce il miglior strumento per prevenire l'onicofagia. ATTENZIONE, molto spesso la comunicazione che ci dovrebbe far star bene, trasmettere buone emozioni, vivere in modo sereno e felice, non solo latita, ma è calpestata, volutamente ignorata; parole confuse che intossicano il cervello: invece di avvicinare, allontana sempre più dall'altro. TENIAMO pertanto ben presente che se i genitori parlassero di più ai propri figli, le coppie sapessero discutere senza violenza e ascoltarsi con il cuore, se i superiori fossero in grado di rispettare i colleghi e i subordinati, se davvero il buon “senso” fosse così diffuso e comune, non ci sarebbe bisogno di insegnarlo. RICORDA, un legame sicuro, coerente ed affidabile genera sempre equilibrio ed autostima. E come dice Bowlby le figure di riferimento, per i piccoli, sono sempre “secure base” su cui possono trovare appoggio e, soprattutto, costruire in modo stabile e solide le fondamenta ... la loro vita.
el
periodo in cui spuntano i dentini è fondamentale dare al piccolo
delle cose da rosicchiare, cominciare a somministrare anche parte
dell'alimentazione sotto forma di cibi solidi. A quell'età, tutto
ciò che si oppone al libero movimento, al bisogno d'azione del
bambino è da evitare. ATTENZIONE,
però,
non deve essere ignorato, “abbandonato” o “schiacciato” ma
educato.
Egli deve esprimere - senza
danneggiare se stesso e gli altri -
il proprio temperamento, la propria aggressività sui giocattoli,
demolire magari un suo lavoro per poi ricostruirlo con estrema gioia
e piacere, strappare la carta, agitarsi, gridare, toccare acqua,
sabbia, erba e terra. Non si dovrebbe esigere troppo precocemente e
prematuramente le regole sociali per lui difficili da comprendere e
da gestire, come ad esempio la “pulizia” o pretendere prontezza
nell'apprendimento. Bisogna incoraggiare ma non esigere che egli
controlli completamente le sue funzioni …
l'abilità non è mai un fenomeno definitivo, è un capacità che
richiede addestramento, continui abbellimenti, necessita di
sofisticati aggiustamenti, si acquisisce nel tempo … non ha mai un
traguardo ma si affina, si potenzia e si evolve nel corso di tutta la
vita;
in questo modo il piccolo potrà avere un suo spazio di libero
movimento, acquisire in modo soddisfacente, gioioso e sereno, la
padronanza dei suoi muscoli. Ci
si rende in tal modo conto che comportamenti assai diversi possono -
se
non soddisfatti in modo sereno e alla giusta età
- creare agitazione, ansia, portare più tardi il bambino a
rosicchiarsi le unghie o a comportamenti ben più 'imbarazzanti' come
tic o balbuzie.
Le osservazioni fuori luogo e inutili delle figure di riferimento
rischiano infatti di creare un profondo stato ansiogeno, rafforzare
il bisogno che il piccolo prova nel compiere tali gesti. Se
l'onicofagia è il solo malessere comportamentale del bambino, la
distensione derivante dalla calma assoluta dei genitori in proposito,
può essere un'ottima strategia per aiutare a “gestirla”
o, meglio ancora, farla cessare a poco a poco per sempre. Inoltre,
tutto quel che aiuterà il bambino ad interrompere questo circolo
vizioso -
sciogliere questa tensione, ad uscire da questo labirinto tortuoso,
da tale tormento senza tanti 'lividi' -
a interessarsi e a prendere parte a un'attività esterna, sarà utile
e meriterà di essere incoraggiata sia che si tratti di un'attività
scolastica sia che coinvolga semplici competizioni sportive.
nuresi.
“Il
controllo del territorio”,
bisogno di respirare, voglia di aria “pulita”,
di spazio libero … impossibilità
ad esprimere liberamente timori e ansie nel proprio nucleo familiare.
Fermo
lì, non ti muovere, qui tu sei a casa mia
(non
a caso, per gli animali la funzione biologica dell’urina è quella
di “marcare” il territorio, un chiaro ed evidente segnale per
dire agli intrusi: “Fermo
lì, qui non sei gradito, sei a casa mia”, resta fuori!).
Una “invadenza”
(paura)
che agisce sui muscoli lisci: la
vescica.
Il
piccolo esprime con l'urina quello che non può esprimere a parole.
Diciamolo subito, proprio per eliminare certi malintesi, che siamo di
fronte spesso a un soggetto straordinario, capace e piuttosto
intelligente (vedasi
più avanti il caso clinico di Stefano).
La sofferenza del piccolo, anche se risulta difficile ammetterlo, non
appartiene al campo delle lesioni organiche: non
esistono disfunzioni o malformazioni all'apparato urinario.
Alcuni parlano di “immaturità” fisiologica, ma finché non
emergono “prove” concrete confermiamo questa ipotesi, la più
probabile: quella
ambientale.
Teniamoci forte: ci
troviamo di fronte, il più delle volte, a difficoltà psicologiche,
affettive e morali.
ATTENTI,
pero, anche se il tasso di guarigione spontanea del disturbo è
piuttosto elevato, un'alta percentuali di bambini incontinenti può
protrarre il sintomo oltre l'adolescenza. Se il sintomo persiste
incessantemente e in modo copioso per qualche mese è sempre il caso
di intervenire con dolcezza ma anche con fermezza: in
modo deciso e rispettoso.
GUAI,
mettere le mani in avanti, recitare quella penosa formula che non
aiuta a far riflettere consapevolmente sulla situazione; non serve a
stimolare l'impegno e l'orgoglio del piccolo a risolvere o gestire
tale fenomeno con le sue vere risorse:
“Ma
cosa volete mai insegnare … stai tranquillo piccolo mio, io alla
tua età ero così, se non peggio”.
In questo modo si disarma completamente il piccolo, lo si rende
passivo di fronte a qualsiasi tentativo di reazione (che
ci posso fare, è già tutto stabilito!).
Le figure di riferimento dovrebbero rivolgersi, con la massima
solerzia, a tutti gli specialisti che reputano necessari per
assicurarsi che il figlio stia bene (ricordiamo
per l'ennesima volta che il tempo non guarisce mai tutti i mali, anzi
spesso li complica, può inguaiare di più i rapporti e la salute,
far imboccare strade a senso unico, di non facile ritorno).
Tutto
allora si fa complicato e difficile:
è
probabile che il soggetto vada incontro a ripercussioni relazionali
negative e, soprattutto, a dinamiche familiari esplosive.
Più il sintomo persiste, più è facile che il fanciullo si scontri
più facilmente e duramente a livello sociale: sviluppi
rapporti “corrosivi”, dinamiche relazionali piuttosto infelici.
I compagni, poi, quando prendono di mira qualcuno difficilmente usano
la mano morbida, studiano la situazione a fondo, si concentrano e
scavano in profondità, fanno a gara per trovare soprannomi strappa
capelli, alcune etichette piuttosto imbarazzanti ed offensive;
“fontanella
rotta, pannolone di scorta, piscione notturno” erano gli
appellativi in voga ai miei tempi; i malcapitati venivano
ripetutamente qualificati in tal modo senza alcun garbo e reticenza …
e quando si voleva ferire o emarginare qualcuno lo si smascherava in
pubblico con ogni mezzo possibile senza nessun ritegno;
epiteti odiosi che ancora oggi isolano, mettono a tappeto chiunque,
creano impaccio e tormento per molto tempo. Anche qui troviamo figure
di riferimento che provano imbarazzo e anche repulsione verso questo
comportamento dei propri figli; piuttosto irrequiete, puntualmente
deluse, pensavano che questo fenomeno fosse solo passeggero, che si
sarebbe risolto a tre, quattro, massimo cinque anni, eppure lo
“tsunami
notturno”
continua più che mai, trapassando più volte, con una certa
aggressività, quasi come un marchio indelebile e ben colorato,
lenzuolo, coperta, piumino e materasso. Dall'altra parte troviamo
soggetti che sicuramente non amano svegliarsi con le lenzuola bagnate
color camomilla e trovarsi di fronte, al mattino, occhi sbarrati,
smarriti o delusi … se
non infuriati.
Non è facile essere genitore di un bambino affetto da enuresi. Ma i
genitori, come ben sappiamo, sono sempre pronti a tutto: la
schiavitù loro imposta da questo continuo bagnare il letto del
figlio è snervante;
non parliamo poi del periodo invernale, tutto diventa difficile e
complicato: asciugare
biancheria e lenzuola farebbe impazzire chiunque;
le
idee drammatiche che essi si fanno circa la salute del piccolo,
l'ipotetica gravità connessa a tale rituale è un tormento continuo
e coinvolge tutti.
Anche la cosa più banale li esaspera. Spesso si rassegnano, ma mai
completamente: vanno
anche dalla fattucchiera o cercano - magari sotto banco - un farmaco
magico, miracoloso che faccia sparire come d'incanto tale abitudine
acquisita … qualunque cosa possa alleviare tale tormento,
distogliere l'attenzione da quella “vergogna” può andare bene.
Si tenta ogni cosa, tutte le strade possibili. Si implora, si urla,
si minaccia, si tenta anche la privazione, ma niente, forse “diluvia”
più di prima, anziché una volta bagna il letto due o tre volte
nella stessa notte … il “lago”
aumenta. Si tenta la strategia della ricompensa, ogni giorno si torna
a casa con un giocattolo diverso, ma nulla ancora si vede
all'orizzonte. Nell'era dell'informatica si cerca qualche diavoleria
tecnologica, dispositivi ingegnosi per svegliare il piccolo a ore
prestabilite … nel
momento in cui la minzione ha inizio.
Anche qui i risultati scarseggiano: si sposta la soluzione a un
qualcosa di esterno. Tutte cose che a volte riescono e poi
immediatamente precipitano, deludono e non poco … si
ritorna al punto di partenza peggio di prima!
Non si sa più che fare: il
pediatra non ne azzecca una poi, per rimediare, cerca di fare il
simpatico con qualche battuta da fumetto, citazioni fuori luogo che
non fanno ridere: “Ma non preoccupatevi vedrete che a cinquant'anni
non avrà più bisogno del pannolone” … altro non fa che
indispettire, attirare aggressività e una valutazione di scarsa
professionalità; i consigli sono vani, le visite mediche poi sono
frustranti, continuano con personaggi diversi senza alcun risultato …
ognuno dice la sua, ma mai univoca.
TTENZIONE
però, il bambino che di notte inonda completamente il lettino non lo
fa a apposta. GUAI
spazientirsi o minacciare!
Bisogna fermarsi e respirare profondamente prima di agire. Occorre
armarsi di buoni propositi: bisogna
dare fiducia ancora una volta al cucciolo;
un'atmosfera serena, distesa e tranquilla sarà per lui più utile di
qualsiasi altra diavoleria tecnologica o farmaco di nuova generazione
utilizzato per gestire l'emotività. MAI
fargli provare né vergogna né paura con minacce teatrali, scene
drammatiche, non servono proprio a nulla, anzi bisogna complimentarsi
anche per piccoli passi: impercettibili
successi
… CREDETEMI,
ne
sarà grato per tutta la vita.
RICORDIAMOCELO,
l'amore non si misura mai sulla base dei litri di urina emessa,
sparsa inavvertitamente in giro. Coinvolgetelo il più possibile
nella gestione familiare, nella vita, non tenetelo MAI
in disparte. Il bambino ignorato si sente sconfitto, condannato a
cercare tra la gente uno sguardo dolce, buono, gentile e una tenera
carezza, andrà per strade a mendicare sensibilità, calore, affetto
e amicizia; sentendosi difettoso e incompleto “pretenderà”
costantemente dolcezza e considerazione in ogni settore della sua
esistenza (affettiva,
relazionale, lavorativa che sia … gli mancherà sempre qualcosa
anche quando tali sentimenti sono ben elargiti, genuini … in
eccesso)…
si sentirà, in ogni suo scelta, incompleto, insicuro confuso, vuoto,
truffato … depauperato nella gioia, nei suoi sentimenti … carente
e avido, nel dare e nel ricevere amore.
Bisogna essere sempre flessibili, tolleranti con se stessi e,
soprattutto, con i piccoli; hanno diritto alla loro libertà, ad
alcune scappatelle, a qualche insuccesso scolastico, a qualche
espressione spinta, di un proprio linguaggio colorito. Cerchiamo di
essere meno severi nei loro confronti. E
soprattutto, teniamo ben presente che la “fine” dell'enuresi, non
è mai la soluzione totale dei loro problemi ...
è
da lì che si dovrebbe cominciare il riordino delle cianfrusaglie
affettive ... i primi passi, l'inizio della ristrutturazione emotiva.
L'enuresi
è soltanto una spia dei problemi affettivi del piccolo:
sono
quelli che bisogna innanzitutto risolvere.
Egli ce la mette tutta, tenta con tutte le sue forze di resistere, di
controllare l'emissione involontaria di urina. Il fatto curioso e
bizzarro è che pure lui non conosce i motivi che si trovano alla
base di tale fenomeno perché sono inconsci, non c'è assolutamente
consapevolezza; non sono presenti alla sua mente elementi chiari e,
quindi, con tutta la sua buona volontà non potrebbe elencarli, tanto
meno descriverli. E ciò avviene perché le cause sono di natura
psicologica che lo stesso fanciullo non sa in che modo ordinarle e
confessarle. Un breve caso clinico, ad esempio, per aiutare a
comprendere più facilmente questo concetto.
onobbi Stefano all'età di sette anni appena compiuti. Un bambino attento, vivace, curioso e sicuro di sé … molto avanti direbbero i coetanei con il loro linguaggio moderno. Una fluidità verbale buona ed intelligente … da incantare persino i serpenti! Non ha mai avuto particolari problemi a scuola, sia nell'apprendimento sia a livello relazionale. Le sue capacità cognitive si erano sviluppate secondo i parametri normali ed era ben voluto dagli insegnanti e dai suoi compagni … considerato, pare, da alcuni un vero reuccio. L'unica nota un po' dolente, segnalata dai genitori, era questa sua iperattività, agitazione, frenesia continua; negli ultimi tempi Stefano sembrava fosse stato morso da una tarantola; mostrava una certa inquietudine e sofferenza quando non era al centro dell'attenzione; un pavoneggiare continuo e ingiustificato, non perdeva occasione per sfruttava ogni cosa o situazione per mettersi in mostra; un farsi notare continuo e forzato, alternato a chiusura e intolleranza quando gli veniva assegnata qualche piccola incombenza o responsabilità di poco conto; questa insolita insofferenza, però, non aveva creato solo un disturbo di attenzione e, quindi, un piccolo rallentamento a livello scolastico, ma lo rendeva poco reattivo e, al contrario, a volte taciturno e compresso. Fino a quell'età tutto è filato per il verso giusto: il letto al mattino era sempre asciutto e profumato. Nasce la sorellina. Guai in vista. I genitori raccontano che tre mesi prima circa della nascita di Bianca il bambino era, nonostante la sua genuina curiosità, un po' vivace e “confuso”, mostrava già qualche segno di irrequietezza. Dopo qualche mese comincia a bagnare il letto. La mamma racconta che il controllo sfinterico è stato raggiunto in maniera lineare e senza tanta fatica all'età di tre anni ca. Sembra gelosia, ma subito questo sentimento viene scartato dai genitori perché sostengono che Stefano manifesta molta attenzione, tanta curiosità e parecchio amore verso la sorellina: l'ammira, la coccola e la carezza … la tocca; è sensibile e delicato ma ha MOLTA PAURA che le possa accadere qualcosa di terribile (Stefano era terrorizzato da un suo pensiero aggressivo e ricorrente: che la piccola fosse in pericolo, le potesse capitare improvvisamente qualcosa di spiacevole; ogni volta che la toccava temeva di non riuscire a controllare un certo impulso violento; tale ossessione mi fu riferita, tra le lacrime, solo dopo parecchi colloqui direttamente da lui). I disegni comunque realizzati da Stefano non mentono; escludono spesso la piccola dal nucleo familiare o viene relegata in un angolino poco visibile, in basso a sinistra, con pochi dettagli (tristezza, vuoto e tratti depressivi la fanno da padrone … regressione, incertezza del futuro … la piccola viene annullata, non è affatto considerata ed accettata, risulta poco importante, anzi in certi momenti è vissuta come un problema da “eliminare”); l'immagine, inoltre, completamente schematizzata, era avvolta da una nube color rosso brillante (Il rosso è impulso, volontà di vincere e in termini temporali è il momento presente. Rappresenta la condizione fisiologica, l'attività nervosa e ghiandolare; accelera il polso, altera la pressione arteriosa e aumenta la frequenza respiratoria. E' l'impulso puro verso l'agire attivo, verso la competizione. La necessità di avere successo, di ottenere dei risultati: eliminare la piccola intrusa). Nonostante i gesti affettuosi manifestati a Bianca, Stefano comunque è turbato e torturato da un profondo sentimento di gelosia e, a livello fantastico, nutre in fondo in fondo una crudele speranza, nasconde un drammatico desiderio: la 'soppressione' della sorellina.
'
davvero difficile rinunciare a certe attenzioni, accettare di dover
condividere dall'oggi al domani un affetto che fino a quel momento
era “monopolizzato”
da Stefano. Di colpo, ora, invece, esso è improvvisamente diviso in
due. Tale divisione può essere interpretata come un'aggressione,
come un grave attentato al proprio benessere affettivo e fisico,
quando poi non è vissuta come perdita totale dell'amore materno.
Egli non osa manifestare la gelosia che prova. Ma vi è di più: non
osa confessarla neppure a se stesso.
Egli ha una profonda consapevolezza che i genitori disapproverebbero
un simile atteggiamento da parte sua. Egli teme di provare quei
sentimenti che costituirebbero la prova della sua “cattiveria”,
la quale, come ogni atto di quel peso, deve essere severamente
punito. Egli teme anche il suo desiderio di mettere da parte la
sorellina, questa terribile rivale; è, soprattutto, terrorizzato che
quei desideri si possano concretizzare, un giorno non molto lontano
realizzare, perché allora se ne sentirebbe colpevole. Simili
pensieri sono insopportabili per chiunque, figuriamoci per un bambino
di quell'età. Appena in grado di dividere, su un foglio, il bene dal
male. Bisogna cancellarli, seppellirli, reprimerli, farli scomparire
e anche affermare con forza e convinzione esattamente il contrario.
Rimossi nel profondo, inconfessati ma presenti, vivi, scalpitanti,
per esprimerli e per tradurre i suoi timori, la sua angoscia, il suo
senso di colpa, il bambino disporrà solo del linguaggio simbolico,
metafora che non solo i genitori non riusciranno a capirlo, ma di cui
egli stesso non è in grado di conoscere il contenuto … il
vero significato.
ATTENZIONE,
però, lo studio dei sintomi deve essere sempre condotto con estrema
attenzione, cautela e rispetto, tenendo presente il loro quasi
costante finalismo
aggressivo ed autoprotettivo;
il bambino, come qualcuno avrà già intuito, si serve inconsciamente
delle sue funzioni organiche per richiamare l'attenzione dei genitori
sulla sua persona. I pensieri e i desideri che il piccolo ritiene
essere inaccettabili e cattivi, quelle idee che, se portate alla
luce, potrebbero comportare gravi punizioni, minacce e dolorosi
abbandoni, anzi la perdita immediatamente di gesti affettivi,
dell'amore nutrito nei suoi confronti, devono essere resettati,
scomparire dal contenuto conscio del suo pensiero. Essi continueranno
però a vivere ignorati nel suo inconscio (attraverso
atteggiamenti, timori, stili di vita, schemi mentali, modo di
valutare le cose, le situazioni e di affrontare la vita);
quel “ripostiglio”
chiamato inconscio, però si farà sentire con tutte le sue
peculiarità, con uno specifico e singolare linguaggio, un vero e
proprio codice segreto che bisogna tradurlo per capire il suo vero
significato.
ICORDIAMOLO
ancora una volta che lui stesso ignora tali sentimenti: tutto
avviene nel profondo perché sarebbe troppo pericoloso confessare
tali “desideri” anche a se stesso.
E' inutile cercare di smantellare di colpo queste complesse
dinamiche, “sbraitare”
contro questo singolare meccanismo psicosomatico, questo curioso
segnale: l'enuresi
potrà scomparire soltanto quando saranno rimosse le cause.
Ha tutto il diritto di non sentirsi a disagio. Nel caso della gelosia
nei confronti di una sorellina, bisognerebbe che essa non fosse
vissuta come un pericolo oppure minaccia rispetto alla propria
collocazione affettiva, il posto che gli spetta nel nucleo familiare;
deve avere la certezza che l'amore materno rimanga, nonostante tutto
quello già avuto; che possa accettare il piccolo “intruso”
non tanto per il timore di scontentare i genitori, ma come un oggetto
nei confronti del quale gli sono permessi tutti i normali sentimenti,
anche una certa aggressività, senza sentirsi colpevole; ascoltiamolo
e seguiamolo con attenzione in modo tale da confermare l'affetto e
protezione nei suoi confronti, che ogni suo gesto non diventi mai
lesivo verso l'altro … l'atteggiamento
dei genitori è sempre fondamentale.
Non è raro comunque trovare nel bambino, proprio per la sua
immaturità cognitiva (stadio
pre - operatorio),
oltre ai vari sentimenti di rabbia e rancore, anche desideri o sogni
di morte, che qualcuno possa “scomparire”,
“morire”
(questa
è una scorciatoia preferita anche dall'adulto),
in modo tale da aumentare lo spazio vitale, che altri soffrano perché
ci si possa trovare nelle migliori condizioni possibili (Mors
tua vita mea)
… sono
fantasie che riguardano la volontà di potenza, una pulsione
aggressiva che cerca con tutti i mezzi possibili di trionfare su un
sentimento d'inferiorità
(vedasi Dostoevskij “L'adolescente”).
a perché il piccolo ogni sera “inonda il letto”? Verso i tre anni, con la maturità fisiologica e, quindi, il controllo sfinterico, la maggior parte dei piccoli ha imparato a padroneggiare, a gestire in qualche modo il “lago” notturno: restare “asciutti”, in grado di controllare la vescica. Il pannolone di notte diventa fastidioso e superfluo perché le lenzuola, al mattino, sono candide, pulite e profumate come appena lavate all'acqua di fonte, quindi, a tre anni ca, togliamo felicemente questo fastidioso ausilio. Nonostante questo traguardo, grande conquista, un certo numero di fanciulli - belli, forti, di aspetto gentile ed intelligenza normale, se non superiore - riprende il suo precedente comportamento: continua a bagnare il letto, oltre quell'età, in modo occasionale oppure con una certa insistenza. Tutto questo, per gli addetti ai lavori, non è un fenomeno eccezionale e può essere riscontrato a tutte le età. Ricordo Mario, normalissimo e piuttosto intelligente, che alle soglie dei diciotto anni, per un po' di tempo, sognava ogni sera di trovarsi in un bellissimo campo verde in cui al centro spuntava dal suolo una gigantesca quercia, con tronco esile e un po' contorto, contro il quale si divertiva a lasciare la sua 'impronta', ad “annaffiarlo” a più riprese, per l'intera notte. Questo fusto, nel disegno da lui realizzato, viene rappresentato sottile inclinato a sinistra e con qualche piccolo nodo (il reattivo dell'albero ci può aiutare a definire alcuni tratti della sua personalità; tronco esile: evidenzia un'indole contraddittoria e piuttosto indecisa, insicurezza emotiva, bisogno costante di appoggio, per la scarsa fiducia nelle proprie capacità; inclinato a sinistra significa attaccamento al passato, difeso, prudente, lontano dalla realtà. Dipendenza dal passato, legame quasi simbiotico con l’ambiente di origine, tradizioni, vincoli; può avere momenti di reattività e contrasto, perché si sente intrappolato e non riesce ad armonizzare dipendenza e autonomia. Non avendo acquisito la forza d’urto per affrontare la realtà a “muso duro”, la aggira 'patteggiando'). Quando la vescica è piena e si urina tutti, grandi e piccini, ne traggono un senso di totale sollievo. Piacere appunto di allentare la tensione a questo muscolo liscio, soddisfazione del “titillamento” derivante dallo scorrere dell'urina, gradevole calore quando il liquido giunge a bagnare le natiche e la schiena … una soddisfazione la cui importanza e intensità vengono grandemente sottovalutate dalla figure di riferimento. Così, la soddisfazione di poter in tal modo manifestare entusiasmo o dispiacere è un meccanismo primitivo ma sicuramente molto importante per esprimere le proprie emozioni. Tutti sappiamo che i bambini - e non meno gli adulti - possono esprimere in questo modo il terrore oppure un improvviso timore: “farsela sotto” dalla paura come ben sottolineano alcuni detti popolari. Certi piccoli lo fanno anche per esprimere la loro gioia. Espressione simbolica di gioia o di dispiacere, soddisfazione nell'atto della minzione, valvola di sfogo di una tensione psicologica: ecco la portata emotiva di questo gesto, il cui significato è puramente affettivo. L'enuresi può anche segnalare il desiderio del piccolo di rimanere pupo, prolungare il suo stato di lattante. Mettersi di traverso, rinuncia a crescere e di conseguenza rifiuto di assumere nuove responsabilità come quella per esempio, di controllare alcune funzioni: la vescica. Molte sono comunque le cause di certe negazioni o opposizioni. Un bambino, ad esempio, ha paura di partire perdente in una competizione con un fanciullo più grande, perché un bambino in più tenera età monopolizza tutta l'attenzione dei genitori. Spessissimo, peraltro, le figure di riferimento ripongono molta attenzione nel trattare allo stesso modo tutti i loro figli: tuttavia in alcuni di questi permane quella paura. Per attirare l'attenzione dei genitori, anche a rischio di dare loro un dispiacere e di farsi punire, certi piccoli vogliono garantirsi una posizione a parte, privilegiata, nella quale saranno certi di trovarsi al centro dell'attenzione, dell'interesse.
uesto
rifiuto di crescere, di evolvere agli stadi successivi, o questo
bisogno di regredire verso una fase precedente in cui c'era la
sensazione di essere più coccolati e protetti, permette loro di
raggiungere tale scopo.
Un altro aspetto da non sottovalutare mai è quello del cucciolo che
ha paura di crescere perché teme inconsciamente che i familiari
vogliano abbandonarlo. Paura per alcuni irragionevole, ma è un
terrore piuttosto frequente. Ai
miei tempi quando si voleva condurre il fanciullo sulla retta via lo
si minacciava di portarlo in collegio, in qualche imprecisato
istituto di rieducazione o nella maniera più soft possibile la
colonia estiva … sempre comunque lontani dal nido.
L'emissione involontaria dell'urina può anche essere una protesta,
un modo vivace di esprimere la propria ostilità verso qualcosa o
qualcuno del nucleo familiare. Fin dalla tenera età, i concetti di
“sporco”
e
di “pulito”
vengono posti al piccolo sotto forma di contrapposizione. Bagnare il
letto, infatti, significa “sporcare”.
Il fanciullo lo sa bene in maniera inequivocabile. L'enuresi assumerà
allora una presa di posizione, il senso di una vera protesta contro
le figure di riferimento, contro l'ambiente circostante, contro
quelle situazioni ch'egli è costretto a vivere. Nel rimanere sporco,
il bambino, vivendo in una società super civilizzata, procura non
pochi fastidi, mette l'adulto in imbarazzo e in agitazione: è
un modo di essere aggressivo.
Non soltanto il piccolo rimane bebè, ma esprime anche il suo
malessere, il suo vero stato d'animo:
non
osa farlo apertamente, ma lo dice con il suo linguaggio
inequivocabile, inconscio.
In alcuni casi, l'enuresi può essere una punizione che il piccolo
infligge a se stesso. Con questo gesto, il piccolo confessa la
propria incapacità, il proprio stato di dipendenza, di inferiorità,
di pupo. Egli provoca preoccupazioni e lo scontento dei genitori (i
genitori piuttosto apprensivi temono sempre il peggio, qualche
malattia rara non diagnosticabile).
E
forse, per certi versi, li umilia, ma sicuramente umilia soprattutto
se stesso;
alla fine della corsa, poi, confessa il suo fallimento, la sua
incapacità di crescere. Guardiamoci ben in faccia.
a
di che cosa si punisce il piccolo?
Ricordate
quello che ho detto a proposito dei suoi pensieri e dei suoi desideri
di rimanere solo e senza rivali?
Tutto questo non può avvenire senza generare un profondo senso di
colpa; per sfuggire al quale - e
anche per sottrarsi a quelle sanzioni che, per una specie di magica
preveggenza, di congiura della sorte, egli immagina
- spinto dal tormento si punisce anticipatamente. Una punizione
conosciuta, nota, che uno infligge a se stesso è indubbiamente
preferibile ad un castigo improvviso, immaginario, ignoto e temibile.
ATTENZIONE,
il significato dell'enuresi non è certamente un linguaggio univoco,
uguale per tutti, sempre lo stesso:
può
esprimere fatti assai diversi. Ma
tale espressione costituisce la modalità, il segno che certi fattori
inconsci del piccolo fanno fronte, a modo loro, a reali difficoltà
affettive;
spesso il piccolo, infatti, teme, anzi sente che nel nucleo familiare
non può esprimere alcune sue paure e disagi … scaricare
questa sua agitazione.
Un'atmosfera familiare caratterizzata da un perenne stato di
allerta, colma di tensione, piena di aspettative o rimproveri: di
notte, finalmente, può 'lasciarsi andare'.
Nonostante quanto sopra esposto, nell'enuresi non tutto è elemento
negativo. Nella minzione incontrollata, il piccolo trae molti
vantaggi che, per quanto siano inconsapevoli (inconsci),
sono certamente più che reali. Il fanciullo che attira su di sé lo
sguardo, l'attenzione e l'apprensione della figura di riferimento
diventando così il fulcro di ogni interesse, trae un indubbio
profitto dal suo tsunami notturno. Il cucciolo che a causa di questa
“strategia”
evita di essere mandato in collegio, fuori di casa o, meglio,
separarsi dai familiari - quelle
figure considerate protettive
- guadagna qualcosa … prima
di allontanarlo da casa ci si pensa due volte.
Anche il fanciullo che vuol restare “pupo”
evita un certo numero di responsabilità, di doveri che gli si
sarebbe potuto imporre. Questi vantaggi vengono definiti “benefici
secondari”.
RICORDIAMO
ancora
una volta che anche i disagi emotivi rientrano in questi vantaggi
secondari. Tali 'ricavati'
fanno sì che il piccolo possa aggrapparsi al disagio e opporsi alla
soluzione del problema.
ATTENZIONE,
per
trattare questo disturbo
“acquatico”
in
maniera definitiva è necessario avere nella mente in modo chiaro e
preciso le finalità del suo linguaggio inconscio e, soprattutto,
conoscere questi singolari elementi in profondità.
mbiente
o genetica?
Molti mi chiedono con una certa insistenza - anche
se hanno già la loro risposta in tasca più per convenienza che per
rigore scientifico
- se alcuni tipi di comportamento sono più frequenti secondo le
leggi di Mendel o meno (vedasi
Gregor Mendel e la genetica).
Per rispondere positivamente bisognerebbe essere in grado di
dimostrare il carattere recessivo, dominante di certi fenomeni
emotivi; ovvero dimostrare che essi obbediscono in maniera rigorosa
alle leggi della genetica: dell'ereditarietà.
Soltanto questi elementi proverebbero l'ereditarietà di un
comportamento gestito completamente dall'emotività. Allo stato
attuale delle ricerche siamo ben lontani da tutto ciò. Non so se la
seguente formula sia un mio prodotto cognitivo esclusivo, memorizzato
nel tempo, o frutto di qualche copia e incolla sotto banco, ma
comunque a me piace pensarlo e, soprattutto, che sia l'espressione
più “attendibile”,
se non più realistica allo stato attuale delle ricerche: “la
genetica propone e l'ambiente dispone”.
Di fronte alla molteplicità dei comportamenti, tutti, al limite, si
sconfina sicuramente nel disagio emotivo. Ma
da quale livello di disagio o aggressività in poi si può essere
classificati nell'una o nell'altra categoria?
Di fronte a tale variabilità, la divisione risulta difficile, se non
impossibile. Per studiare seriamente alcuni meccanismi genetici, il
fenomeno dell'ereditarietà, bisogna iniziare dal neonato perché,
dopo poco tempo, il piccolo è già stato intrappolato nei tentacoli
della figura di riferimento, manipolato dalle grinfie sociali,
sottoposto a ogni sorta di scambio:
gestito da una specifica modalità educativa e avvolto da un
singolare clima affettivo.
Per la sua motilità, per il suo modo di aggrapparsi al seno, il
piccolo sfodera infatti al momento alcuni rudimentali tratti
relazionali, mette in luce, se pur larvato, il suo vero potenziale:
gesti
significativi del suo futuro comportamento;
si ipotizzano - un
po' per scaramanzia un po' per apprensione o narcisismo
- varie e strane cose, si azzardano anche previsioni: che
tipo di fanciullo sarà.
Alcuni neonati sono “frenetici”.
Quando hanno fame, tanta fame, urlano, e per “calmarli”,
soddisfare il loro istinto, è necessario un certo periodo di tempo,
si riposano per qualche ora. Altri, normali quanto i primi, hanno un
loro tempo, un proprio ritmo, un voracità alquanto brusca. Questi
ultimi non hanno molte pretese, vanno subito al sodo, si soddisfano
rapidamente. Già nei neonati, quindi, si manifestano in maniera
diversa i vari istinti. A seconda delle affinità della figura di
riferimento, per questo o l'altro ritmo, si realizzerà tra madre e
il piccolo, attraverso il contatto e la soddisfazione dell'istinto,
una comunicazione psicofisica, una relazione più o meno profonda,
una collaborazione o, al contrario, ci sarà disaccordo. Sulla base
di certe caratteristiche fisiche e psichiche della madre e un certo
temperamento elementare, rudimentale, del piccolo, si possono già
intravedere aspetti favorevoli o sfavorevoli nell'evoluzione …
ovvero
“cosa mai farò da grande”?
Riprendendo la domanda iniziale, secondo queste affermazione,
troviamo già alcune risposte; elementi che tendono ad affermare o a
confermare, la probabile esistenza, fin dai primi momenti di vita del
piccolo: un
destino che scaturisce dal tipo di rapporto iniziale tra madre –
neonato.
L'ambiente circostante pertanto lo renderà “ipersensibile”
oppure no. Gli altri innumerevoli tratti sono acquisiti, a cominciare
da quelli accidentali o occasionali: fatica,
stimoli eccessivi provenienti dall'ambiente circostante e che
comportano reazioni o gesti aggressivi, ansiosi.
In base a queste esperienze iniziali si possono determinare anche
conflitti più profondi, permanenti, che spiegano certe reazioni
emotive ingestibili: penosa
situazione familiare, continue violenze, abbandoni.
uando l'ambiente circostante crea disagio e difficoltà, si avrà
uno specifico quadro clinico connesso a queste situazioni: avremo
uno sviluppo emotivo ed affettivo incerto, incompleto.
Un bambino “prodotto”
da queste esperienze presenta una sensibilità esagerata,
sproporzionata rispetto alle cause e contro la quale difficilmente
può sottrarsi o difendersi. E' facilmente collerico, geloso,
impressionabile, timoroso, di una gaiezza o di una tristezza
eccessive. Tutto lascia su di lui un segno profondo ed indelebile:
una
risonanza troppo forte per la sua tenera età ancora in fase
evolutiva.
Gli uni esteriorizzano facilmente, intensamente e in modo
incontrollato le loro emozioni (rancore,
collera, rabbia);
gli altri, ripiegati su se stessi, le ruminano continuamente col
rischio di una esplosione a scoppio ritardato e quindi fuori tempo …
dopo
che il metabolismo o i vari organi ne hanno fatte le spese.
Essi infatti posseggono una straordinaria disposizione a conferire
alle loro emozioni un'espressione corporea - o
come direbbero gli psicosomatisti “dimensione d'organo”
- e quindi sempre impressionante per un genitore: tic,
balbuzie, incontinenza, vomiti, diarree, dolori diffusi di ogni tipo.
Effettivamente il loro sistema nervoso periferico, soprattutto quello
simpatico, che normalmente partecipa, si attiva a ogni manifestazione
emotiva, reagisce con una “esplosione”
ormonale, con una vivacità estrema e devastante: rossori,
pallori, palpitazioni, crisi di pianto o accenni di panico, tremori,
disordini organici passeggeri.
I bambini emotivi sono generalmente sensibili alle valutazioni, ai
giudizi di valore: essi
si rendono conto della loro condizione, ne sono dispiaciuti, ma alla
successiva occasione sono controllati nuovamente dall'intensità
delle loro passioni.
Sono anche molto sensibili alla minima inavvertenza di ordine
educativo: una
carenza d'affetto, un'eccessiva severità, una preferenza accordata
ad un altro familiare;
oppure, al contrario, si indispongono e soffrono per carezze che sono
vissute come smancerie ingiustificate, mentre altri bambini
difficilmente inciampano, attraversano senza lividi emotivi o danni
particolari queste esperienze … questi singolari momenti evolutivi.
l bambino con atteggiamento irrequieto, altalenante, incerto, mutevole. I bambini dal temperamento difficile mettono in crisi persino i genitori più pazienti e gli insegnanti più esperti. Lanciano continue sfide, sono testardi, rumorosi, aggressivi, lagnosi o iperattivi. In alternativa possono essere insicuri, timidi, negativi, schizzinosi all'eccesso e impossibili quando è ora di mangiare, di andare a letto, o quando si trovano nei luoghi pubblici. Ma, in molti casi, i genitori non hanno nessuna colpa circa il comportamento peggiore del figlio, come non c'è l'ha lui. Bombardati spesso da teorie pedagogiche, ricerche infallibili e modelli ineguagliabili, i genitori faticano ad orientarsi. Ossessionati da una pretesa di “perfezione” che riversano su se stessi e sui loro figli, padri e madri sono destinati alla frustrazione. In campo educativo, lo sappiamo bene, bisogna scendere a compromessi con il caos e ciò che conta veramente è imparare ad improvvisare, senza irrigidirsi su schemi precostituiti: la cosa fondamentale è affrontare le complicazioni della vita familiare senza rinunciare alla serenità. Che cosa bisogna fare perché l'educazione dei propri figli non si trasformi in uno stress quotidiano prolungato? Come trovare la giusta via di mezzo tra permissività e autoritarismo? Ai genitori in questo periodo storico non mancano certo le conoscenze pedagogiche, ma piuttosto la capacità di mettersi in contatto, anche attraverso lo scontro, con i figli; per il timore di dimostrarsi troppo severi, eccedono semmai in senso contrario. Spesso sono i bambini stessi a chiedere l'imposizione di limiti; ciò non significa che i genitori debbano stabilire divieti inutili e punizioni senza sosta, e poi far sì - con qualche strategia pasticciata - che le affrontino. Proviamo ad orientarci in questo complesso “dramma” evolutivo ed educativo. In primo luogo possiamo vedere che il piccolo è più o meno instabile, oscillante o, quanto meno, con poco equilibrio. Appare da subito estremamente vivace! Non appena ha imparato a camminare, l'abbiccì del muoversi, egli comincia ad esplorare all'impazzata ogni cosa si presenti davanti, scopre tutto, corre a più non posso e si arrampica dove capita, nei posti più insoliti. Via via che sviluppa le varie abilità, il piccolo si calma, si tranquillizza, appare più riflessivo e stabile: ad un anno si “piega” alla struttura educativa dell'asilo nido, a tre anni è già in grado di “sopportare” le modeste regole della scuola materna. Vi è dunque un normale processo relazionale che si accentua entro certi limiti variabili a seconda della fase evolutiva, dell'età e delle circostanze. Il piccolo irrequieto o meglio 'instabile' supera costantemente e senza validi motivi determinati confini: va oltre le sue 'competenze', oltrepassa quasi sempre i suoi limiti. In realtà, egli non riesce a stare tranquillo, né concentrarsi su un'attività precisa, né perseverare, per breve tempo, in un obiettivo. Egli passa volentieri da uno stato emotivo all'altro senza nessuna reazione, profondità, né vera risonanza. Sebbene le sue gioie, le sue tristezze e le sue collere sembrino intense, perché espresse e “rinforzate” da un fare agitato, esse sono superficiali: tutto diventa effimero, svanisce in un batter di ciglia.
uesta strana sensibilità risulta sempre affaticante,
incomprensibile e sconcertante. D'altra parte, questi fanciulli non
provano sentimento di rancore; è evidente che essi sono addolorati
della loro mutevolezza d'umore, promettono e dimenticano subito dopo,
perché nulla sollecita la loro attenzione: per
questo motivo essi passano facilmente per indifferenti, freddi ed
insensibili.
La loro intelligenza vivace si espande su una miriade di cose, da
un'infinità di oggetti senza esaurirne alcuno. Il piccolo si
interessa a moltissime cose, ma si limita a passare dall'una
all'altra senza concludere molto. In generale assimila molto
velocemente: il
che gli permette spesso di essere un discreto studente senza mai
essere un allievo attento;
in quelle circostanze confuse, frenetiche, egli memorizza, incamera
infatti soltanto pochi frammenti, alcune schegge di elementi
conoscitivi dei quali sa utilizzare e servirsi con grande abilità.
Quando con uno sforzo reale sa concentrarsi, può presentarsi in
maniera brillante, ma purtroppo presto ricade nella sua profonda
distrazione. Di lui si dice spesso e volentieri: “Con
la mente che ha, potrebbe fare di più se volesse”;
ma è proprio il volere che non si incontra con il piccolo ... per
lui è davvero difficile se non impossibile realizzare, concludere,
terminare un progetto.
Gli manca anche la volontà per frenare la turbolenza dei suoi gesti:
tocca
tutto, maneggia gli oggetti senza alcuna attenzione, corre a destra e
a sinistra.
L'immobilità è per lui una perfetta sconosciuta, pressoché ignota
... una tragedia, un fenomeno drammatico da gestire consapevolmente.
A tavola muove tutto: le
gambe oscillano, le dita tambureggiano, la testa gira e si infila in
ogni cosa, solo il cibo nel piatto non cala mai. Nei
suoi giochi, l'irrequieto è frenetico, turbolento e rissoso, urla in
continuazione. In aula disturba tutti con il rumore che fa; la
sua scrittura è tipica e non fa mai bella figura, per nulla
presentabile, perché realizzata su un foglio di carta stropicciato,
in modo irregolare, piena di cancellature e macchie di ogni genere.
Il
fanciullo irrequieto cresce con ogni tipo di difficoltà, di
fallimenti scolastici; la carriera scolastica non è mai brillante,
la dispersione e gli abbandoni più che frequenti … un
curriculum piuttosto succinto … il suo rendimento
discontinuo
non va molto lontano.
La
scuola in generale - quando
ci sono gli insegnanti giusti
- è sempre il barometro dell'equilibrio del fanciullo e di tutta la
sua famiglia.
Va
sempre esaminato il clima familiare, preso seriamente in esame - se
la scuola ovviamente è adatta alle risorse cognitive del piccolo - e
MAI il contrario.
Le
punizioni e le lezioni private, avranno una scarsa efficacia se non
si prendono in esame questi elementi disturbanti e certe dinamiche
familiari conflittuali.
Anche
la scelta della professione diventa una nota dolente: fallimenti
nelle prove, colpi di testa, bisogna di evadere continuamente in
qualcosa di diverso.
La “stizza”,
poi, accompagnata dal sentimento di collera, è senza dubbio una
delle manifestazioni più frequenti nel piccolo, e anche una di
quelle che avvelenano il clima familiare e provocano nei genitori
un'inquietudine circa il destino mentale e sociale della creatura.
Essa costituisce la brutale manifestazione di un senso di ostilità
rivolto contro tutto l'ambiente circostante, sia persone sia cose.
Essere presi dalla collera in continuazione significa perdere il
controllo dei propri gesti, dalle reazioni in generale. E'
bene ricordare che tale gestione emotiva è meno solida nel bambino
che nell'adulto.
Gli attacchi di rabbia sono riscontrabili a tutte le età. Fin dalla
nascita alcuni cuccioli sembrano indemoniati: vociferano
continuamente e urlano a squarciagola;
a quell'età l'ansia - l'abbondante
bile gialla direbbe Ippocrate
- va di pari passo con i movimenti dell'intero organismo, con vere e
proprie somatizzazioni: si
tratta di importanti crisi di soffocamento che preoccupano
giustamente i genitori.
Non avvalendosi ancora della parola, è spesso difficile comprendere
esattamente la causa connessa a tale furore. Ma il più delle volte,
oltre alla sensazione di fame, si tratterà di un fenomeno
ambientale: freddo,
sbalzi di temperatura o magari di una posizione scomoda.
' semplicemente una sensazione di disagio provocata da un ambiente
apparentemente “ostile”.
Vi sono comunque tormenti collerici privi di una causa ben visibile;
un neonato può urlare per ore intere, soprattutto la notte: “sono
le orecchie o i denti”, si dice allora più per convincersi e
rassicurarsi che davvero non ha nulla.
La spiegazione è spesso vera, ma il più delle volte semplificata,
soprattutto quando lo stato emotivo collerico si protrae per diverso
tempo. Esso può dipendere da sensazioni varie o da un malessere
interiore: gonfiori,
irritazione delle mucose.
“Abbandonato”,
lasciato solo, perché l'interpretazione è soggettiva e non ci sono
strumenti idonei per verificare o intervenire, il piccolo non ha
altro modo di esprimersi se non con quelle crisi rabbiose che possono
amplificarsi fino a renderlo effettivamente malato
(molti
ricorderanno quel famoso meccanismo psicosomatico: tensione,
contrazione, infiammazione e, infine, lesione dell'organo).
Il sentimento di collera, comunque, deriva da una profonda e
continuata insoddisfazione.
TTENZIONE,
anche lo stress - attraverso
una produzione eccessiva di zuccheri e adrenalina
- può causare sbalzi d'umore: un
fenomeno che fa letteralmente impazzire il tasso glicemico.
Un livello di zucchero troppo alto nel sangue, provoca sintomi
iperattivi seguiti dall'inevitabile crollo psico
– fisico:
emotività,
affaticamento, irascibilità, malumore e, non meno importante,
difficoltà di concentrazione;
per evitare, quindi, di alterare ulteriormente alcune capacità di
interazione, concentrazione, autocontrollo e apprendimento sarebbe
opportuno non esagerare con gli zuccheri semplici; una cattiva
alimentazione, infatti, con troppi carboidrati raffinati, aumentando
improvvisamente il tasso di glucosio nel sangue, non solo crea una
eccessiva emotività, irritabilità e mancanza di controllo, ma rende
il bambino - subito
dopo
- piagnucoloso, stanco, debole ed instabile. Ridurre anche i prodotti
industriali è fondamentale per l'equilibrio psicosomatico del
fanciullo: le
sostanze chimiche negli alimenti possono creare stanchezza e
allergia.
Una dieta “sbilanciata”
e prolungata nel tempo rende il fanciullo impotente, incapaci di
gestire o neutralizzare anche la più banale fonte di stress in
maniera soddisfacente. Il motivo è molto semplice. I
carboidrati raffinati sono privi di importanti vitamine del gruppo B,
fondamentali per il benessere del sistema nervoso.
ATTENZIONE,
dunque,
sempre
per
i più grandicelli,
alle cattive abitudini alimentari, alla troppa sedentarietà, alla
trappola televisiva e, soprattutto, lasciarli attaccati parecchio
tempo allo
'smartphone'.
E' facile per un adulto concludere, attraverso l'osservazione
diretta, che ogni neonato è controllato da due tendenze opposte. Da
una parte essendo “avido”,
non disponibile a dividere nulla con nessuno, egli aspira a ricevere,
ad essere amato, coccolato, protetto contro la fame, il freddo, la
paura.
Se
una di queste sensazioni si impadronisce completamente di lui, ecco
che il giardino dell'eden nel quale egli se ne stava tranquillo si fa
sempre più secco, arido, poco ospitale, per nulla accogliente.
E' questo il motivo principale per cui il bambino piccolissimo va in
tilt, sprofonda nella collera. Ma vi è un'altra tendenza, più
tardi, altrettanto vitale: quella
di essere indipendente, di poter esprimere se stesso.
Egli
vuol muoversi, non vuole indossare nessuna camicia di forza; lo si
mette nella culla, non
mi dire, fulmini, saette e folgori, diventa più che rabbioso.
Via via che passa da una fase evolutiva all'altra, si intensifica il
suo desiderio di libertà ed indipendenza. Non appena riesce a
deambulare, vuol fare tutto da solo. “Da
solo”
dice con fermo atteggiamento, incaponendosi nell'impossibile
tentativo di mangiare e vestirsi da solo. Se si accenna un aiuto,
eccolo pronto ad essere fuori di sé dalla stizza. Il momento
difficile in cui questi sentimenti sono più frequenti e più
violenti si verificano nella fase di opposizione e precisamente nei
primi due
– tre anni.
E' proprio la fase in cui il piccolo conquista duramente, con i denti
stretti, un nuovo livello di indipendenza. Essa segna il passaggio da
cucciolo a bambino, ad essere leggermente più grandicello. Egli ha
un bel voler essere indipendente, ma non può fare a meno degli
altri. E va in escandescenza tanto contro le proprie debolezze,
quando contro i comandi … l'autorità
altrui.
Nel piccolo in “equilibrio”,
il senso della realtà serve da freno. Da adulti, non cediamo tanto
facilmente ai nostri salti d'umore. Ma basta che qualcosa intervenga
a disturbare il nostro meccanismo cerebrale, la fatica, l'agitazione,
una malattia, ed ecco che quel controllo perde ogni efficacia. Una
domanda che mi viene sempre posta è questa: “Lei
dice bene, ma cosa posso fare quando è in quelle condizioni”?
on esistono ricette, sia ben chiaro, magiche, totalmente risolutive
nell'immediato: ogni
situazione richiede una sua specifica sensibilità e attenta
valutazione, non solo in funzione del presente ma anche del futuro.
Mi pare comunque assurdo passare a metodi disciplinari con dei
neonati. Come abbiamo visto, non bisogna fare altro che interpretare
la fonte di malessere e cercare di alleviare la sensazione di disagio
… con
un caloroso contatto fisico e amorevolezza.
Successivamente,
dopo questo triennio, bisognerebbe tener duro su alcune posizioni, su
alcuni punti precisi, saper resistere al piccolo nel caso in cui gli
venga la tentazione di fare una 'sciocchezza' o di commettere
un'azione lesiva verso se stesso o gli altri e, soprattutto, fare la
parte di quello che può manomettere ogni cosa, disturbare
pesantemente la vita comune dell'intera famiglia. Il
bambino imparerà presto, quando si è decisi, fermi, ma malleabili e
comprensivi a calmarsi da sé. Se arriva a uno stato ingestibile o
spaventoso, gli gioverà - per
quanto semplice possa sembrare ad alcuni
- un bagno, un massaggio sulla schiena con una salvietta bagnata:
mezzo
davvero efficace senza essere troppo “invasivi” e brutali (il
calore dilata: distende e rilassa … l'acqua calda può rievocare
quel meraviglioso momento della gestazione: il galleggiare sereno nel
liquido amniotico).
Nel bambino iroso vi è una parte di temperamento che non è
eliminabile a colpo sicuro. Egli va su di giri, esplode: non
ha tanti strumenti a disposizione a quell'età, è il suo modo di
reagire.
Potrebbe essere interessante ricercare come mai nella nostra società
facciamo fatica ad accettare, sopportare le risposte espresse con
fermezza, decisione, collera e grida.
ssendo
un fenomeno istintivo l'urlo di collera ci intimorisce e costituisce
per noi il segno di una certa fragilità emozionale … si dovrebbe
invece sbottare liberamente poi tutto finisce lì, senza lasciare
traccia, residui a livello di ruminazione mentale.
Per certi versi, la nostra reazione, la nostra tensione di fronte
alla collera del piccolo può farci riflettere sull'impressione che
noi stessi diamo al bambino quando gridiamo, quando anche noi
manifestiamo tale sentimento. Questa piccola riflessione può farci
riflettere, indurci a una maggiore comprensione nei nostri rapporti
reciproci. E' soprattutto il caso di ricordare che una reazione
collerica non significa che, da adulto, egli avrà brutte tendenze,
un carattere terribile. Sarebbe molto utile, più vantaggioso cercare
di non spezzare preventivamente ogni iniziativa, le piccole rivolte
al loro sorgere, ma sapientemente incanalarle. Può
invece accadere - quasi certo - che un fanciullo, i cui moti di
collera siano stati soffocati in maniera troppo solerte, con grande
aggressività e insensata violenza, divenga poi un personaggio con
difficoltà emotive ben marcate, ansioso e privo di difese efficaci.
Né
va sottovalutato il fatto che non tutti questi stati irosi dei nostri
piccoli sono assolutamente fuori luogo, ingiustificati. Prima di
aggredire o punire comunque si devono distinguere i casi in cui essi
potrebbero avere ragioni … mettiamo
a fuoco la situazione con delicatezza, malleabilità, lucidità e
parsimonia;
ma anche qui le cose sono sempre di natura soggettiva perché ognuno
di noi ha una propria personalità, una propria struttura mentale,
una propria visione della situazione e può dare solo quello che ha
ricevuto, che ha imparato attraverso varie peripezie educative a sua
volta.
RICORDIAMOLO
che i nostri istinti sono in larga misura soffocati dall'educazione e
dallo stile di vita in corso: il
tutto permeato da un eccessivo razionalismo.
RICORDA,
rinforzare l'autostima può aiutare a ricostruire non solo il senso
di fiducia in se stessi e sicurezza a livello educativo, ma dare
soprattutto padronanza, serenità, lucidità, spontaneità e
controllo nella gestione delle varie situazioni: “E'
vero, ci saranno sempre situazioni difficili, ma non mi devo
preoccupare, saprò affrontarle sempre in modo deciso e diretto al
momento giusto, opportuno”.
Tale
“flebo” di natura psicosomatica, aiuta a liberarsi in maniera
brillante - con 'spavalderia' – dai vincoli del bicchiere mezzo
vuoto e, soprattutto, dalla visione catastrofica della vita!
remessa. Pochi disagi emotivi sono offuscati ed intrisi di toni moralistici come lo sono gli argomenti di natura psicosessuale … difficili da gestire anche per i più smaliziati. Oltrepassare certe “regole”, dare voce ai propri desideri, per alcuni, significa scivolare nel 'peccato'; scontrarsi - nonostante l'era del porno - con la censura e la repressione sociale. Non dimentichiamo quella curiosa prescrizione con cui si dovrebbe azzerare quel famoso desiderio: “Non desiderare mai la donna (uomo) d'altri”. Un modo di pensare che genera - in alcune culture - non solo biasimo, senso di colpa e giudizio negativo, ma anche sofferenza e infelicità. La repressione e la visione moralistica di questo istinto crea disagio e somatizzazioni diffuse: cefalea, insonnia, problemi alla pelle (per la mancanza o scarso contatto) e ipertensione. Non meno difficile e complicato è affrontare la sessualità adolescenziale; può risultare difficile per chiunque, porre infatti una serie di problemi alla maggior parte dei genitori più 'libertini', liberi e lontani da pregiudizi; tutti possono “inciampare” in questo fenomeno complesso che vede coinvolte influenze psicologiche, biologiche e culturali: molti restano impigliati nella rete, in certe norme sociali, anche quelli più temprati, apparentemente più resistenti, compresi quelli di fibra forte; si devono prendere, volenti o nolenti, spesso in punta di piedi, posizioni nette: assumere un ruolo ben preciso, definire una “chiara” norma per il comportamento sessuale, adottare una certa condotta, comprendere la modalità e l'intensità con cui si vive l'eros, con cui si consuma questo atto di delicata intimità, profonda fiducia ed immensa felicità. Ma chi stabilirà queste regole?
hi
dovrà essere il guardiano morale del comportamento sessuale?
Perché
tanto accanimento verso la sessualità che in realtà appartiene al
mondo degli istinti?
Essendo la sessualità umana, non solo legata alla procreazione, ma
anche alla qualità della relazione, del rapporto con l'altro, è
bene precisare che non esistono comportamenti giusti in assoluto. Si
deve uscire dall’ottica di avere un’unica visione, una sola norma
di riferimento rispetto alla quale si è in buona “salute”
oppure “malati”.
Non vi è esperienza sessuale fuori di noi a cui dobbiamo riferirci,
ma una sessualità dentro di noi, che si sviluppa con trame diverse e
in maniera sempre originale; è il senso che ognuno dà alla sua
storia che è importante (noi
siamo ciò che sentiamo di essere, siamo come ci vediamo e NON come
ci vedono gli altri; insomma, siamo belli se ci piacciamo e brutti se
siamo scontenti di noi stessi).
Esistono, comunque, parametri che definiscono a grandi linee degli
argini:
al
di qua ci sono le 'carenze' e dall’altra gli 'eccessi'.
Al centro si apre un vasto territorio di modalità “adeguate”
che comprendono le infinite possibilità in termini di tempo,
oggetto, modo, luogo e finalità. Tra
tutti gli istinti (mangiare,
dormire, bere),
l’istinto sessuale è quello che subisce, nel corso della sua
evoluzione, i maggior rimaneggiamenti … infiniti 'rimpasti'.
La sessualità è, infatti, un bisogno naturale come mangiare, bere e
dormire. Nell’animale l’istinto riproduttivo è il cardine per la
sopravvivenza della specie, per l’essere umano, invece, le cose
sono decisamente più complicate ed articolate in quanto può
rinunciare volontariamente a tale attività, al sesso, per disturbi
emotivi o
in
favore di una cultura o di una religione che prevede il
“deragliamento”,
la sublimazione appunto, della propria parte istintuale (castità:
energia, comunque - se va bene - non spenta ma semplicemente
trasformata … sublimata direbbero ancora una volta gli
psicoanalisti freudiani).
Sappiamo
poi tutti cosa succede! Gli eventi recenti lo confermano, dimissioni
da certi ruoli pubblici o religiosi, condanne ... punizione -
considerata la gravità di certi gesti - poco esemplare.
Questa trasformazione è, quindi, frutto di condizionamenti culturali
e sociali. Tenendo conto di queste influenze è già possibile
affermare che il sesso non è soltanto “poesia
biologica”
(per
le finalità e per motivi di spazio non è possibile approfondire
questo argomento)
ma è, indubbiamente, un comportamento che coinvolge emozioni,
sentimenti,
paure, regole, trasformazioni e divieti
(evoca
frequentemente il fantasma del peccato, della punizione e della colpa
… chi non ricorda quella famosa “mela”!).
In questa attività ogni individuo mette a fuoco fattori fisici ed
emotivi, un insieme di ansia, ricordi ed emozioni che ogni volta
impegnano tutto il suo essere. E’ il risultato di un lungo processo
di crescita che inizia, contrariamente a quello che si pensa, dal
concepimento e continua nel corso dell’intero arco di vita
(menopausa
e andropausa comprese).
Tale esperienza è, quindi, carica di significati individuale e
sociali (sessualità
proposta dai modelli culturali).
E’ una modalità “personale”
con
cui si entra in rapporto con l’altro o gli altri. Il significato
culturale della sessualità è un fenomeno particolarmente curioso in
quanto si struttura attraverso due temi fra loro contrapposti ma in
stretta relazione: da
un lato l’istinto “libertino” e dall’altro, l’asservimento
ai modelli pubblici … culturali, sociali.
Risulta innegabile, per quanto sopra esposto, che la sessualità è
un fenomeno complesso influenzato da fattori biologici, psicologici e
culturali (il
comportamento sessuale finale dipenderà dall’interazione di queste
situazioni molto variegate, da svariate e complesse dinamiche
relazionali, e da forze fisiche e mentali).
l benessere sessuale, ovvero il sentirsi bene, è parte integrante della salute di ogni individuo. In questi termini, il sentirsi bene coinvolge inevitabilmente anche il vivere con piacere il mondo del pensare, del fare e delle relazioni oggettuali. Significa riflettere sui propri bisogni, desideri, sensazioni di poter vivere e coltivare sentimenti di speranza, e fiducia nei confronti della vita. Se si tiene conto di quanto sopra esposto si comprende facilmente che la diagnosi di questo comportamento, inteso come malessere che crea sofferenza per se stessi e per gli altri, deve essere formulata da un professionista competente e, soprattutto, scevro da pregiudizi; capita sovente, infatti, che troppo zelo classificatorio induca, spesso, più confusione che chiarezza (se non colpevolizzazioni inutili ed assurde). A tale proposito un orientamento diagnostico qualificato ci viene fornito dal DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). In questo manuale i disturbi psicosessuali sono divisi, sostanzialmente, in tre gruppi: Disturbi dell’Identità, Parafilie e Disfunzioni Psicosessuali … ovvero l’argine degli eccessi. Con il termine parafilie si intendono ricorrenti ed intensi impulsi, fantasie o comportamenti sessuali rivolti a oggetti, attività o determinate situazioni non “comuni”; comportamento che coinvolge sempre soggetti più “fragili” e non consenzienti (ricevere o infliggere umiliazione, un'autentica sofferenza fisica – morale a se stessi o agli altri). Questa definizione esclude, quindi, tutti quei casi particolari, quelle circostanze a cui si è coinvolti occasionalmente con un partner adulto e, soprattutto, ben consapevole di tale esperienza più o meno profonda. Un elemento fondamentale per diagnosticare questo “disagio” di tipo parafiliaco, nelle sue forme più gravi, risiede sempre nel grado di compromissione a livello affettivo e sociale … relazionale, educativo, lavorativo.
on bisogna dimenticare che questa tendenza comportamentale, questi interessi sessuali patologici sono presenti fin dall'età adolescenziale e, nel tempo, non solo cronicizzano, ma sono portati all'eccesso: si fanno ancora più aggressivi, cattivi, violenti ed “estremi”. Queste perversioni, semplificando di parecchio, riguardano alcune condotte sessuali che umiliano e creano sofferenza a se stessi e agli altri: feticismo (uso di oggetti inanimati), frotteurismo (palpare o strofinare i genitali contro il corpo di una vittima non consenziente, in luoghi pubblici e affollati dove è facile trovare una via di fuga), esibizionismo (esposizione dei genitali), masochismo, (ricevere umiliazioni o sofferenze), sadismo (infliggere umiliazioni o sofferenze), voyerismo (osservare gli altri), pedofilia (interesse sessuale concentrato su bambini prepuberi). Ritornando alle cose che interessano il nostro piccolo, per meglio risolvere certe problematiche, è interessante riflettere sulle ragioni di alcune difficoltà specifiche di fronte a certi avvenimenti quotidiani in cui i genitori avvertono il coinvolgimento del fattore sesso. Per quanto ci siano svariate documentazioni e, soprattutto, studi seri inequivocabili su questo fenomeno, molti non riescono a concepire (o tollerare) che il bambino possa avere una sua 'sessualità'. Per molti comincia a manifestarsi - secondo l'approccio culturale, sociale o dell'orientamento religioso - ad esistere veramente solo nel momento della pubertà dopo aver raggiunte precise caratteristiche fisiche … manifestazioni che inequivocabilmente indicano la maturità sessuale. Il piccolo, comunque, nasce maschio o femmina e la presa di coscienza che gradualmente avrà del proprio sesso, svolge una funzione essenziale nelle sue relazioni con i genitori e, più tardi, nei suoi rapporti amorosi. Allo stesso modo, i desideri e il loro soddisfacimento si manifestano ovviamente fin dalla nascita non nel modo che conosciamo da adulti, ma in una maniera imperiosa, confusa e fondamentale che sottende tutta la vita del piccolo. In tal modo, egli prova piacere in certe sensazioni che inizialmente si trovano localizzate in regioni corporee specifiche: orale, anale e sull'intera superficie della pelle, e che poi si fissano maggiormente nelle zone genitali. Un lattante adora succhiare il seno, succhiarsi il pollice, essere teneramente tenuto tra le braccia della madre, gli piace anche andare di corpo. Più tardi egli scopre gli organi genitali e i piaceri suscitati dal loro titillamento. Tutto ciò fa parte del mondo degli istinti, dello sviluppo naturale, normale e auspicabile per il piccolo (per il suo benessere in generale e la sua salute psico - fisica). La capacità di provare e di ricercare il piacere esiste nel bambino come esistono altre precise ed indispensabili abilità o competenze: sentire, comprendere, apprendere.
a l'immagine che ci facciamo di lui è un'immagine di “innocenza”,
di “purezza”
che mal si attaglia all'idea di sessualità che nella maggior parte
dei casi è legata, bisogna pur dirlo, a quella di “impurità”
… che non ha niente a che fare con la realtà.
Questo tipo di concezione, che dobbiamo unicamente alla nostra
educazione, questa ambigua differenziazione fra purezza e impurità
tendono alla fin fine a nasconderci, ci tengono lontano da come
stanno veramente le cose … dalla
realtà.
La sessualità è parte integrante della persona fin dalla nascita ed
è ormai noto che una sessualità infantile ben vissuta predispone e
aiuta positivamente la sessualità complessa ed articolata
dell'adulto … è
sempre comunicazione, un rapporto con se stessi e gli altri.
Un
altro motivo che rende questo comportamento relazionale dei piccoli
di difficile accettazione da parte degli adulti risiede nel fatto che
essa riattiva proprio nelle figure di riferimento le loro reali
esperienze sessuali avvenute in un altro periodo e contesto sociale …
magari con un atteggiamento più repressivo che comprensivo!;
mettono
in gioco condotta e qualità di questo fenomeno: fastidi, scelte,
esagerazioni, distacco e rifiuti vari.
Non bisogna dimenticare che la presenza stessa di un fanciullo è
testimone, di determinati modi di comportamento, di gesti, di parole
della coppia. Se
il bambino sa di essere maschio, lo sa - semplificando
la cosa parecchio
- in rapporto delle dinamiche con il padre; se la bambina sa di
essere femmina, lo sa in rapporto alla madre … come i genitori
dialogano e si propongono.
Ancora oggi, nella nostra società apparentemente “libertina”
la
sessualità è offuscata da una fitta nebbia di inibizioni e di
proibizioni ed è intimamente connessa alla coscienza morale di
ciascuno … alla vergogna.
Essa viene percepita, vissuta come buona o cattiva, permessa o
proibita, per cui spesso gli adulti sono tormentati da un terribile
senso di colpa.
Essi provano spesso disagio o fastidio ad affrontare argomenti che
per loro sono oscuramente legati al
“peccato”, al “male”;
un modo di pensare che confonde e allontana dalla realtà: non
riescono ad operare una precisa differenziazione tra pornografia e
sana sessualità. Cosa
diversa accade in alcuni ambienti come circoli o caserme in cui di
solito si esalta la potenza virile … più
se ne racconta e più si fanno 'flebo' di autostima!
Siamo fatti di carne e in ogni fibra del corpo anche il piccolo può
trarre soddisfazione e piacere: è
pervaso dall'istinto sessuale.
vviamente quell'istinto potrà essere soddisfatto con strumenti diversi e in base all'età (fase orale, fase anale, fase fallica … l'organizzazione sessuale adulta deve passare attraverso queste fasi. Ma accade che nella vita l'individuo si scontri con difficoltà che gli sembrano insormontabili. Rischia allora di regredire ad una fase anteriore. Se non può assumere la sua condizione d'adulto, tenta di tornare il bambino d'un tempo. Si mette su una strada che può condurlo sia alla regressione completa - perversione - sia alla lotta contro il desiderio di perversione - nevrosi -. Ogni perversione e ogni nevrosi - che è il suo negativo - si caratterizza con la fissazione ad una fase che dovrebbe essere integrata alla personalità adulta. L'ossessivo è fissato alla fase sadico – anale, l'isterico alla fase orale, l'esibizionista alla fase fallica); non appena il piccolo saprà tradurre in parole certe sensazioni sperimentate di piacere, vorrà comprendere - anche se non è ancora in grado di agire in forma autonoma - di concretizzare il tutto. Tale ricerca o curiosità non è assolutamente malsana né perversa, essa è una funzione evolutiva, costituisce invece il privilegio dell'essere umano che, attraverso l'intelligenza, può gestire, ordinare e nel contempo mettere in relazione tra loro i fatti osservati: intuire in tal modo i vari legami per meglio gestirli, dominarli. Per quanto concerne i grandi problemi esistenziali, il bambino ne recepisce l'importanza e l'inquietudine da essi suscitati: è estremamente attento a tutto ciò che vi si riferisce e, quale che sia l'atteggiamento dei genitori, egli porta in sé, formulati oppure no, espressi oppure no, i grandi interrogativi dell'uomo sulla vita. A questi quesiti, i genitori “rispondono” inizialmente senza “esprimersi” o sbilanciarsi troppo… sono i gesti, i silenzi e le sensazioni che contano. Il senso e il valore che essi conferiscono alla loro unione, il modo in cui la vivono insieme, il modo in cui si amano, la qualità del loro dialogo sessuale, orientano e illuminano il fanciullo. Se le figure di riferimento considerano il piccolo come l'espressone vivente e tangibile del loro amore, il fatto di averlo concepito insieme non sembrerà loro né vergognoso né sconveniente mentre il bambino, pur non conoscendo i fatti, intuirà e reagirà positivamente a questo giusto modo di concepire l'unione della coppia. In seguito anch'egli desidererà - sempre in base al suo vissuto - diventare un uomo come il padre, una donna come la madre. Dei discorsi degli adulti, il piccolo in fase evolutiva seleziona soltanto quello che è in grado di rielaborare, di assorbire; egli è infatti sensibile soprattutto al tono di voce, agli atteggiamenti, alle reazioni perché percepisce la soddisfazione o la scontentezza, il benessere o il fastidio, il biasimo o la lode. Il modo in cui gli adulti che lo circondano vivono la loro sessualità, lascia il suo marchio sull'atteggiamento del bambino e ne condiziona il comportamento. In particolare, in un ambiente aperto, senza malizia e pieno di calore, il piccolo farà volentieri delle domande, esprimerà spontaneamente le osservazioni che gli vengono in mente. Al contrario, la reticenza e il silenzio dell'adulto gli faranno presto capire che non è conveniente parlare di quei contenuti … intrattenersi su certi argomenti. Quando un fanciullo non pone domande, non bisogna giungere alla conclusione che è troppo “innocente”, che quelle cose per lui non sono “interessanti”. La realtà del sesso che è in grado di osservare (genere, gravidanza, nascita) non gli sfugge, ed egli avverte al riguardo un interesse esasperato connesso all'intuizione che si tratti di qualcosa di piuttosto importante ... fondamentale. Il piccolo fa dunque osservazioni e supposizioni pertinenti come tutti gli altri bambini, ma non può esprimerle naturalmente perché sente che esse sono un tabù e, nel tempo, si consolida l'idea che è proibito persino pensarle, per cui i genitori che dicono: “Mi figlio in quel settore lì non è affatto curioso, non mi ha mai chiesto nulla”, a livello inconscio non hanno certamente permesso al bambino di farlo; essi hanno “dimenticato” domande imbarazzanti che hanno “evitato” di sentire. Nonostante tutto il piccolo è spinto da una voglia naturale, spontanea ed irrefrenabile di conoscere, vuole capire e sapere senza essere dotato ancora di elementi cognitivi relativi al quadro generale del fenomeno in questione. Ma che cosa vorrà sapere mai? Egli si interessa molto presto dell'evento nascita: da dove viene? Dove era “alloggiato” prima?
lcuni
piccoli proseguono nel ragionamento e, venuti a conoscenza che
stavano nella pancia della madre, domandano immediatamente chi mai li
aveva messi. Altri si pongono interrogativi sulle modalità
dell'uscita vera e propria. Ma
come diavolo farà mai a crescere ed uscire da lì?
Oggi quasi tutte le mamme oramai non hanno esitazioni nel dire al
bambino che è lì da molto tempo e che, dopo un certo periodo di
tempo, uscirà in modo misterioso, magico e fiabesco da tale sito, da
quel luogo angusto. Contemporaneamente rievocheranno, per
rassicurarlo, quei fantastici, affettuosi e felici momenti
dell'allattamento. Per certe madri “acrobate”
è invece più difficile affrontare l'enigma del parto. Tuttavia,
come è stato sopra sottolineato, i bambini vogliono sapere da dove
escono le sorelline o i fratellini. La verità sembra loro naturale.
Qualche volta i più fantasiosi, si preoccupano per le dimensioni del
piccolo. Quando riescono a comprendere la situazione, conoscere il
meccanismo del parto, essi si sentono rassicurati. Per quanto la
parte - la funzione del padre - essa risulta di non facile
spiegazione: raramente
viene spiegata a fondo … qualcosa rimane sempre in sospeso, poco
chiara.
In realtà, si teme di evocare un aspetto troppo fisico dell'amore.
E'
invece proprio in quel momento che, senza malizia e pregiudizi,
risulta più facile parlarne: il piccolo (tre, quattro anni) ne sarà
fiero e considererà con entusiasmo e gioia le funzioni del suo
sesso, mentre la femminuccia, soddisfatta e orgogliosa del suo sesso,
apprenderà con letizia e beatitudine - proprio nell'età in cui ne è
un po' “infatuata” - che anche il padre ha contribuito nel suo
piccolo alla sua stessa creazione.
a funzione della coppia e il suo equilibrio si spiega da sé e così
il senso della nascita: la
misteriosa fecondità.
Non
sono necessari termini ricercati, spiegazioni complicate. Quello
che viene espresso semplicemente e con naturalezza viene anche
recepito in maniera lucida e chiara. Un'altra dimensione della
sessualità, difficile da mettere sul tavolo, è quella del piacere.
I bambini non pongono domande maliziose in proposito, almeno a
quell'età, perché non riescono a spingere il ragionamento fino a
quel punto. Bisogna però ricordarlo semplicemente e in modo
soddisfacente per il piccolo: “è
molto piacevole, dà un grande piacere, i genitori sono felici di
dimostrarsi così il loro amore”.
La sessualità è molto spesso circondata di aggressività, di dramma
che essi hanno bisogno di sentirne fin da piccoli gli aspetti fisici
fondamentali. Esempi e certe spiegazioni non devono ovviamente essere
date in una solo volta e con un discorso a livello di cattedra. Esse
costituiranno piuttosto delle risposte a certe perplessità, ad
alcune domande del bambino … mai
mettere le mani in avanti.
Del resto egli assorbe solo quello che è in grado di capire o quello
che in quel momento suscita il suo interesse … il
di più non resta in disparte, innocuo, ma crea confusione ed
incertezza.
Così, spesso, dopo alcune spiegazioni che sembrano essere
metabolizzate, i genitori scoprono qualche volta con disappunto - se
tali spiegazioni sono state date ovviamente a freddo o con un
linguaggio ricercato e forbito
- che il il loro bambino ha dimenticato l'elemento essenziale o non
lo ha ben afferrato. Risulta infatti non facile esprimere queste cose
con naturalezza, e per il bambino capirle immediatamente. Che
fare allora?
Ricominciare
da capo anche se il piccolo non formula direttamente la richiesta?
I genitori non devono pensare che i loro sforzi sono andati
completamente perduti. Il fatto di aver ottenuto la spiegazione
richiesta, anche se momentaneamente dimenticata, faciliterà il
futuro dialogo e, soprattutto, il piccolo - non
si metterà sulle difese
- avrà più coraggio a riproporre il quesito quando ne sentirà
nuovamente bisogno (spazientirsi,
brutte risposte in fretta e furia, aggressività fuori luogo chiudono
la bocca definitivamente … per sempre!).
Non esiste comunque un'età precisa particolarmente favorevole
all'educazione sessuale. Tale insegnamento incomincia dalla culla,
tra biberon, cuffia di cotone e pannolone, così come l'educazione in
generale. I genitori aperti, attenti e disponibili a comprendere il
loro fanciullo, che seguono passo dopo passo la sua evoluzione, gli
daranno quello di cui ha bisogno al momento opportuno. Non bisogna
mai fare della sessualità una specie di gara, creare un cerchio
infernale: una
sorta di difficile esercitazione, parlare o non parlare, renderlo un
dibattito conturbante.
RICORDIAMOLO,
essa è una pulsione che spinge l'individuo verso una precisa meta,
una preziosa forza vitale, fa parte della vita quotidiana, come
insegnare al piccolo come e che cosa bere, che cosa sia più
opportuno mangiare in base alla sua età … bisogna
sempre parlarne con passione, gioia, rispetto, responsabilità e
discrezione!
oncludendo
e lasciando in 'pace'
questo argomento piuttosto complesso e variegato possiamo dire che
l’atteggiamento
di ogni individuo di fronte alla sessualità -
nel bene o nel male -
“parte”
nell’infanzia, esso viene influenzato fin dai primi momenti dalla
relazione, dal rapporto con gli altri:
da
ciò che si vede nei genitori, dalle limitazioni, dalla valutazione
del ruolo, dalla posizione familiare e dalle 'debolezze' fisiche …
tutte cose che - positive o negative - lasciano un 'imprinting' nella
psiche del fanciullo.
Spesso tale fenomeno è il risultato di un “errore”
evolutivo che continua nel tempo (vedasi
Disturbi
dell’Identità, Parafilie e Disfunzioni Psicosessuali):
viene
“contratto” nell’infanzia e poi costantemente ripetuto.
Da questo cattivo “imprinting”
(apprendimento
precoce 'fuorviante')
ogni individuo potrà liberarsi soltanto orientando la sua
personalità verso una nuova strada, una nuova meta, un nuovo stile
di vita. Si comincia a reagire ad una situazione della vita nel suo
insieme, e non ad un solo aspetto di essa che può venir
deliberatamente presentata …
risulta davvero difficile ingannare i bambini su quello che li
circonda
(dinamiche
affettive, educative, sociali, comportamentali).
In linea di massima, possiamo dire che i fanciulli di ogni
generazione esprimono nel loro comportamento le “difficoltà”
o i “pregi”
che affliggono le figure di riferimento. Il grado di rivalità che
esiste fra i due sessi si può già percepire osservando l’attività
ludica dei bambini: una
lotta fra maschi e femmine per la conquista del potere.
Un
attrito piuttosto vivace e continuativo, ad esempio, tra i genitori
avrà naturalmente l’effetto di rivelare al piccolo gli aspetti
sgradevoli e pericolosi della relazione amorosa.
La forte supremazia di un genitore sull’altro può riflettersi
sulla valutazione che il bambino dà al proprio ruolo sessuale. Se la
figura dominante è il padre, il figlio può pensare che non riuscirà
mai ad eguagliare la sua autorità e la sua virilità. Proprio per
questo motivo, molti figli di persone “importanti”
sono spesso scoraggiati, hanno notevole difficoltà nel scegliere la
professione o addirittura possono imboccare “sentieri”
pericolosi (dipendenze).
Se invece chi controlla e domina è la madre, il figlio può opporsi
a lei con “successo”,
e spesso troviamo che i grandi uomini hanno avuto madri con una
personalità eccezionalmente forte. Altre volte il figlio può
soccombere e rimanere per tutta la vita fragile (debole),
viziato e dipendente da questa figura dominante. La ragazza invece
che si sente detronizzata da una madre simile, rivolge la sua
attenzione al padre, lo prende come modello, e sviluppa dei tratti
particolarmente “virili”.
e
il padre è debole ed irresponsabile e il nucleo familiare è mandato
avanti solo dalla madre, la ragazza svilupperà nella sua mente
l’immagine che le donne possono benissimo bastare a se stesse e
quindi assumerà una fiducia in se stessa di tipo maschile.
Quando
una ragazza vede che sua madre ottiene dal partner tutto quello che
vuole con le carezze e le effusioni amorose, può prendere esempio da
lei su come si deve trattare il “sesso
forte”.
I
ragazzi che hanno imparato il modo di farsi amare dalla madre si
scelgono delle mogli dalle quali si fanno amare nello stesso modo.
Le
ragazze che hanno combattuto contro il loro padre saranno portate a
scegliere un marito contro il quale esse potranno continuare la
“battaglia” da tempo iniziata.
Un
marito che ha una moglie “infedele” è qualche volta un soggetto
che è stato trascurato dalla madre.
Queste ripetizioni si verificano per il bisogno che si ha per
mantenere e continuare il proprio stile di vita (rende
perpetua la sofferenza, la tortura, mette in atto quel malessere e
dolore conosciuto in passato, “ripassa” le proprie sofferenze,
delusioni ...).
La difficoltà che incontra un fanciullo quando viene detronizzato da
una sorella più giovane, o di un ragazzo unico maschio in una
famiglia di donne, o viceversa una fanciulla detronizzata da un
fratello più giovane e privilegiato, rappresentano l’ennesima
testimonianza della lotta continua che ogni figlio deve sostenere e
che può scoraggiarlo nel raggiungimento della sua posizione sociale
e del ruolo sessuale. L’idea della superiorità e della virilità
sono così strettamente connesse che un fallimento in un settore
anche diverso da quello sessuale può far sorgere nel bimbo il dubbio
di non essere abbastanza virile. Nel linguaggio comune usiamo spesso
metafore sessuali. Per
esempio alla frase “è
un debole”
è stata sostituita da una locuzione più efficace e colorita “è
una femminuccia”.
Questi modi di dire possono essere resi ancora più efficaci usando
dei confronti fisici. Non usiamo forse per esprimere dolore “il
mio cuore sanguina”
oppure raffigurare la paura con l’espressione “è
come se le mie gambe fossero di gelatina”
o ancora esprimere un turbamento affermando “mi
gira la testa”?
Tutti gli organi del corpo, non solo quelli sessuali forniscono
parecchio materiale analogico: per
esempio il ragazzo che manifesta il suo scoraggiamento con la frase
“mi
sento una femminuccia” può
spingere più oltre il suo paragone, può avere la sensazione e
comportarsi come se stesse dicendo “i
miei organi genitali non sono virili”.
Così la bambina può esprimere la sua delusione di non essere un
maschio dicendo “sento
che mi manca qualche cosa …”
a masturbazione dei bambini (si veda l’articolo “La solitudine del piacere”) può essere considerata - a seconda dell’intensità e dell'eccessiva frenesia - un segno di scoraggiamento. L’attenzione del piccolo si è concentrata, in forma angosciosa, su se stesso, ed egli esprime il senso di difficoltà con questo “atto”, con il linguaggio degli organi. Naturalmente non bisogna preoccuparsi della masturbazione infantile, ma piuttosto distrarre l’attenzione del bambino da se stesso e dirigerla verso interessi esterni, ed inoltre rassicurarlo che non si può cambiare sesso, che i ragazzi crescono e diventano degli uomini e le ragazze delle donne. Quando la madre dà troppa importanza alle prime esperienze sessuali il bambino è portato a sopravvalutarne il significato. Magari è un po’ spaventata, si preoccupa troppo del suo bambino, parla con lui di queste cose e, a seconda della sua educazione ricevuta, lo rimprovera. Ora sappiamo che a molti bambini piace essere al centro dell’attenzione e spesso un bambino insiste nelle sue abitudini proprio perché queste gli vengono rimproverate … nel disagio si sente considerato, non abbandonato. Si ricorda che il piccolo non è sicuramente “ossessionato” da questa attività come può esserlo un adolescente. A tutti piacciono i gesti calorosi e affettuosi (i bambini non ne possono fare a meno per la loro salute fisica e benessere mentale futuro): essere tenuti stretti, accarezzati, baciati, solo dopo scopre la soddisfazione e il piacere che deriva dal toccare o stimolare gli organi sessuali veri e propri. E’ molto meglio pertanto non sopravalutare la questione sessuale, ma trattarla come un fenomeno naturale e, se non ci si dimostra impressionati di fronte ai piccoli, tutto riesce più facile e di breve durata. E’ durante l’adolescenza che si nota se il bambino è adeguatamente preparato al ruolo sessuale che deve svolgere. Per quasi tutti i ragazzi, l’adolescenza - spesso manifestata con grande esuberanza - significa soprattutto una cosa sola: dimostrare che non si è più bambino. Molte manifestazioni adolescenziali sono semplicemente il risultato del desiderio di dimostrare indipendenza, eguaglianza con gli adulti, virilità o femminilità. Il carattere di queste manifestazioni dipendono dal significato che il bambino ha attribuito a certe esperienze vissute in quel particolare periodo storico e nucleo sociale. Un bambino che non è stato preparato ad affrontare la vita in modo adeguato è disorientato e sperimenta un profondo disagio di fronte a queste problematiche.
ei rapporti sociali appare timido e riservato, con tendenza a isolarsi restando chiuso in casa e, di fronte al problema del lavoro, non sa trovare professione che lo attragga perché si sente incapace di tutto … teme ancora una volta un “fallimento”. Nei riguardi dell’amore e del matrimonio è ostacolato dal suo imbarazzo nei confronti dell’altro sesso con cui evita di avere contatti. Se qualcuno gli parla arrossisce e non trova parole per rispondere. Altri, invece, possono diventare arroganti, ipercritici nei riguardi dei loro genitori, e possono spingere la loro ribellione sino al punto di cacciarsi in pericolose avventure sessuali. Essi possono mettersi “volutamente” nei pasticci per dimostrare ai genitori di aver ancora bisogno di affetto oppure per rassicurarsi, come il figliuol prodigo, del continuo affetto dei genitori e della loro fiducia. La sessualità può rappresentare la via più breve per dimostrare una certa indipendenza senza per questo dover affrontare le vere responsabilità dell’età matura. Di solito, comunque, gli adolescenti cercano di tenere in disparte la sessualità, almeno in un primo tempo (proprie per le sensazioni devastanti e di insicurezza che essa evoca), e preferisce gli amori romantici, specialmente quelli che si configurano come una relazione impossibile. La tendenza comune agli adolescenti di innamorarsi di eroi, cantanti ed attori non dev’essere derisa dai genitori. Tale “infatuazione” ha lo scopo di far guadagnare il tempo necessario per l’adattamento a queste nuove turbolenze emotive. Anche il “piacere solitario”, che generalmente compare in questo periodo, dev’essere considerato un mezzo per prendere tempo. Soltanto se tale attività si presenta in forma ossessiva – compulsiva e accompagnata da forte senso di colpa può essere motivo di sofferenza ... e, quindi, di aiuto. Il fanciullo medita su questa “debolezza” e considera la masturbazione come prova di una propria preesistente mancanza di volontà. Sorge quindi il problema di come riuscire a controllarsi, ma questa difficoltà non fa che accentuare le sue fantasie tentatrici, e scoppia un profondo conflitto interiore tra il “bisogno” e la “volontà” con il risultato che il bisogno di masturbarsi e l’autocondanna si accentuano sempre più. La sessualità, da un problema oggettivo diventa una lotta soggettiva contro i propri desideri intimi. Questo conflitto interiore rappresenta un’evasione dal vero problema della sessualità e deve essere quindi considerato un alibi di natura emotiva. Il soggetto può dire a se stesso: “Se soltanto non avessi questa debolezza, quante cose potrei fare”. In generale i disturbi emotivi di natura sessuale possono essere considerati un mezzo per evitare di affrontare l’esperienza diretta e per procurarsi un alibi in caso di fallimento. Questo fenomeno, quando si verifica in un adulto, denota un certo grado di insicurezza. Egli affronta il problema in uno stato di estrema tensione, terrorizzato dal pensiero di perdere il proprio prestigio qualora fallisse. La sua mente è perciò concentrata unicamente su se stesso, mentre dovrebbe essere concentrata sul partner: godersi senza vincoli questo prezioso contatto, questa “folle passione”, liberamente questi attimi gioiosi, unici ed esplosivi. Qualche volta egli adduce pretesti irrilevanti: si lamenta perché le situazioni e le condizioni non sono come - a suo dire - dovrebbero essere, oppure perché la compagna ha detto o ha fatto qualcosa che gli ha dato fastidio, lo ha disorientato. Egli può quindi attribuire il suo fallimento - anziché mettere in atto un rapporto “adulto” - a questi fattori che l’hanno “fuorviato” (attività masturbatoria ... poca eccitazione, passione), così il suo prestigio è salvo. Spesso il suo coinvolgimento tende a diminuire quando si accorge che l’interesse della compagna sta invece aumentando, perché il suo atteggiamento è vissuto come una incalzante competizione o invadenza, e non è raro che gli uomini preferiscono una donna “imbranata” e passiva, che non prenda iniziative e che non ostacoli la loro “supremazia”. Non dobbiamo dimenticare che in questo periodo storico in cui le donne, giustamente, più di altri momenti, possono liberamente scegliere e decidere autonomamente, i disturbi sessuali maschili sono aumentati in maniera impressionante: molti maschi sono stati messi all'angolo, alcuni invece al tappeto. L’impotenza, come ogni 'debolezza', si converte gradualmente nella sua compensazione e può essere usata per creare negli altri uno stato di ansiosa aspettativa. Altre volte si può avere il desiderio di vendicarsi della donna lasciandola insoddisfatta e dimostrando un disprezzo per il suo “fascino”, la sua intraprendenza vissuta come sfacciataggine. L’impotenza può anche non essere l’espressione di un rancore verso la compagna, può essere, per esempio, una reazione dell’uomo di fronte a una donna troppo possessiva, invadente, avida o dominante. Per la donna è abbastanza rassicurante constatare che il maschio è “inferiore” alla femmina nell’ambito sessuale. La donna può compiere, o almeno permettersi, l’atto sessuale ripetutamente e in qualsiasi momento, mentre l’uomo è spesso condizionato dalle sue condizioni fisiche, dallo stato d’animo e dalla situazione del momento. Ne consegue che “tutti” gli uomini, chi più chi meno, sono sempre più ossessionati dalla paura del fallimento e dell’impotenza (rievocare un fastidioso fantasma). L’eccessiva importanza che viene attribuita alla potenza sessuale, produce, nell’uomo che fallisce, una immensa vergogna e disistima, stato che sembra invalidare tutta la sua personalità, e che lo può inibire per lungo tempo dal tentare nuovi rapporti sessuali. Un’altra ragione di fallimento può essere rappresentata dal fatto che la donna venga influenzata dalle angosce dell’uomo; se poi essa considera il fallimento come un’offesa personale, di non essere più attraente, sensuale ed erotica i guai sono infiniti, non finiscono più. Le cose si aggiustano solo se c’è comprensione, desiderio e volontà nel risolvere tali problematiche. E’ necessario soprattutto che si attenui questa paura, questo profondo stato di tensione e che ogni eventuale fallimento venga minimizzato - da entrambi - con affettuosa ironia … dotarsi di un buon senso dell'umorismo non solo rallegra e porta salute nella coppia e nella famiglia in generale, ma aiuta ad adattarsi più facilmente alle situazioni più difficili della vita.
onostante
ci siano ancora tante cose interessanti ed importanti da dire su
questo argomento, pensavo di concludere qui questo articolo, ma
proprio mentre lo sto terminando la cronaca nera italiana pubblica
alcuni fatti incresciosi, assurdi, sgradevoli, davvero drammatici in
quanto realizzati su vittime indifese: la
condanna del cardinale G. Pell per abusi sessuali nei confronti di
due ragazzini e la prof.ssa rimasta incinta dal suo allievo
quindicenne.
La violenza rumorosa o silenziosa che sia, purtroppo, non si ferma
sulle “strade”
ma, spesso, si diffonde dentro casa, in luoghi apparentemente sicuri,
sereni e protetti, particolarmente vicini a noi, quasi gomito a
gomito; coinvolge sempre fanciulle o fanciulli indifesi, in tenera
età, acritici, inconsapevoli dei significati soggiacenti, incapaci
di reagire, di difendersi nel modo giusto al carnefice di turno. La
violenza nella vita domestica può presentarsi in tanti modi, sotto
diverse forme: fisica,
psicologica o sessuale.
'abuso
emotivo, fisico o sessuale che sia è sempre un gesto disumano,
atroce, feroce, spietato, efferato, crudele per chiunque, ma più
terribile, raccapricciante, mostruoso se coinvolge i più deboli, gli
indifesi, quelli che non hanno ancora buone difese psicologiche e,
quindi, più esposti al dolore, ai pericoli della vita. Un atto che
danneggia immediatamente e per sempre ogni settore della vita
quotidiana, costringe all'immobilità, demolisce lo stato emotivo,
ogni accenno affettivo, il significati poetico di questo istinto e,
soprattutto, distrugge il futuro.
Le
vittime vivono costantemente in una camicia di forza, in una perenne
trappola di terrore;
i più giovani possono sviluppare sintomi psicosomatici cronici come
cefalea, mal di stomaco, problemi cutanei, insonnia, obesità, scarso
profitto a livello scolastico e, soprattutto, gravi difficoltà
nell'ambito dei rapporti sociali.
Dal momento che i fanciulli sono facili ad esprimere giudizi di
valore, a giudicarsi e si rimproverano per ogni cosa banale o per
tutto ciò che oramai è passato, già accaduto, in loro può nascere
un tormento senza tregua, disperazione,
vergogna, pessimismo e mania di persecuzione.
Alcuni sviluppano tratti depressivi invalidanti oppure sono dominati
e disorientati da profondi disagi emotivi, altri da gravi problemi
psicosomatici. Un malessere psichico che può continuare nel corso
dell'adolescenza e, il più delle volte, domina in maniera devastante
la mente dell'adulto; non solo mette a rischio la salute in generale,
ma crea incertezza e confusione anche nelle varie scelte sociali
future: scolastiche, relazionali e lavorative.
L'abuso
sessuale nell'infanzia ha effetti distruttivi, sconvolgenti,
drammatici e invalidanti a livello psicosomatico, e chi “sopravvive”
deve affrontare e gestire lividi affettivi ben evidenti,
'rimarginare' profonde ferite cognitive; determina un quadro clinico
disastroso accompagnato sempre da una intensa sensazione di vuoto, di
fallimento, di non valere nulla, di sfiducia, di tradimento, di
abbandono e di perdita.
Da
adulti, se ci arrivano 'integri',
molti di loro hanno paura dell'intimità, difficoltà a stringere
relazioni intime e, soprattutto, problemi nell'area della sessualità
adulta; a
ciò si possono aggiungere disagi comuni come disistima, vergogna,
dipendenze da cibo, da alcol e da stupefacenti.
Senza
esprimere giudizi di valore vorrei concludere questo lavoro con una
mia piccola riflessione.
Ci sono casi, come questi, in cui i genitori DEVONO
prevenire tali situazioni, non possono permettersi di essere
distratti e, soprattutto, hanno ragione ad inquietarsi e a voler
intervenire in maniera decisa, dura e “brutale”
ogni qualvolta il piccolo è in balia di qualche abuso da parte di
crudeli “birbaccioni”.
RICORDIAMOLO,
un
adulto crudele, con atteggiamento abusante, ruba la voglia di vivere
all'altro, utilizza sempre il più debole per soddisfare le proprie
voglie perverse … sempre concentrato su se stesso.
Alcuni bimbi, nonostante non capiscano completamente tale rapporto -
soprattutto
quando si trovano di fronte ad un frotteurista
- non essendo ancora in grado di separare il bene dal male,
distinguere i buoni dai cattivi, scivolano inconsapevolmente e
inavvertitamente in queste tristi vicende: trovano
in tali relazioni squallide una certa “attenzione”, una risposta
alle loro sensazioni confuse;
essi possono essere stati colti nella loro innocenza, soprattutto se
hanno avuto a che fare con adulti senza scrupoli. Non
dobbiamo mai dimenticare che i bambini sono assetati di conoscenza,
sono curiosi, aperti al mondo e agli stimoli ambientali ripetuti, si
avvicinano alle cose in maniera ingenua, con gioia e passione.
Certo, alcune 'diavolerie'
tecnologiche odierne rendono sempre più difficile la possibilità di
difendersi velocemente. Comunque, messo sull'avviso, e
psicologicamente ben difeso, il fanciullo ha bisogno e deve trovare
in se stesso -
non appena è in grado di dedurre o ipotizzare
- la forza di proteggersi. E' fondamentale, comunque, presentare
certe anomalie sessuali (perversioni,
parafilie)
come fatti accidentali - come
in realtà lo sono
- in modo che il piccolo possa comprendere e realizzare l'importanza
della sessualità normale, naturale, serena e felice nel suo ambiente
quotidiano. La prima cosa che deve fare un adulto sensibile e
“normale”,
oltre a proteggere, è quella di denunciare l'abuso; questo
gesto disumano, brutale, feroce, spietato crudele lascia sempre un
segno indelebile e il più delle volte porta a fallimenti
esistenziali futuri (un fenomeno, purtroppo, che non esclude
nessuno);
non solo bisogna colpire l'aggressore immediatamente e duramente, ma
anche curarlo, isolarlo, in modo tale che non possa più nuocere …
non
ci sono scorciatoie ed attenuanti a tale violenza!
RICORDA,
tale
gesto è sempre un atto iniquo, egoista, criminale e di crudele
sfruttamento che si avvantaggia in modo disumano della debolezza,
dell'immaturità fisica e mentale del minore.
Non
c'è infermità mentale che possa avallare, “giustificare” questo
comportamento diabolico, malvagio e perverso.
Nessuna responsabilità sessuale di questo tipo può avere
attenuanti, essere ridotta solo perché tale atto diabolico e
malvagio è inserito in qualche libro di patologia clinica o
descritto in alcuni manuali di salute mentale
(DSM - 5):
rimane
sempre un gesto sadico, spietato, brutale, criminale ...
causa grave sofferenza fisica e tormento morale
...
lascia un segno indelebile sui più deboli, gli indifesi, chi non sa
ancora difendersi con le proprie risorse. E'
sbagliato pensare che il tempo guarirà tutti i mali, che il bambino
dimenticherà e, soprattutto, bisogna fare di tutto per non oscurare
- tentare
di eliminare con un colpo di spugna e in maniera superficiale
- tale dramma. E'
un tipo di violenza che segna completamente la vita emotiva, il
presente e il futuro, l'esistenza del piccolo per sempre.
Non sono cose che si scordano con un sorriso, con una stretta di
mano, con una botta sulle spalle o con una semplice carezza; anzi se
non si fanno le mosse giuste e non lo si aiuta ad elaborare questo
dramma rispettando i suoi tempi e spazi, oltre a chiudersi a 'riccio'
per sempre, potrà sviluppare problemi relazionali, gravi turbe della
personalità e seri problemi sessuali. Bisogna quindi aiutarlo senza
esitazione, da subito, immediatamente. Cercare di aiutarlo in tempo
reale - 'nutrirlo'
sempre
con rispetto e sensibilità
- ad esprimere le sue emozioni, farlo parlare in modo tale possa
comunicare tutti i suoi sentimenti: confusione,
paura, aggressività, rabbia.
Si ricorda ancora una volta che il piccolo coinvolto in questo tipo
di abuso spesso non è in grado di capire esattamente che gli si sta
facendo del male, soprusi e violenza, perché il comportamento del
mostro - sfruttando
la semplicità e l'ingenuità
- può farlo scivolare in diaboliche e perverse lusinghe o cadere in
complesse infatuazioni: “rapire”
completamente
l'attenzione del piccolo ancora immaturo;
può adottare parole lusinghiere e assumere forme più diverse di
controllo:
protezione, carezze ...
disorientare
e attirare la vittima coprendola completamente di attenzione
esagerata e di doni fantastici.
Non
è per niente semplice scoprire, in tempo reale, che un piccolo o un
adolescente sono vittime di abuso sessuale.
Alcuni giovani, infatti, data la loro ingenuità, non hanno ancora
una vera e propria corretta “percezione”
del fatto, altre volte, invece, essendo il turbamento piuttosto
complesso e profondo, non riescono a descriverlo, a parlarne in modo
lineare. Nel primo caso la totale impreparazione in questo settore
della vita, l'inesperienza del piccolo fa sì che le “attenzioni
particolari” dell'adulto
vengano anche confuse con l'affetto, che la vittima ne ricavi
paradossalmente qualche vantaggio a livello di autostima o almeno una
confusa sensazione di importanza. Nel secondo caso, può prodursi un
blocco totale: il
fanciullo completamente disorientato è terrorizzato, e prova
devastanti sensi di colpa.
Proteggerlo e rassicurarlo è il minimo che si possa fare
nell'immediato; il fanciullo che ha vissuto tale dramma ha il terrore
di essere nuovamente preso di mira, ancora oggetto di attenzione
perversa, vittima di qualsiasi tipo di abuso. Proteggerlo ma anche
togliergli quel drammatico sentimento di colpa, che lui prova in ogni
attimo del giorno. Se in qualche modo ha “partecipato”
affettivamente a tale gesto, intrapreso e gestito dall'adulto, MAI
e
poi
MAI
si dovrà accennare qualche sua responsabilità: che
è in qualche modo “cattivo” … deve comprendere che non c'entra
nulla, non solo come attore ma anche come comparsa!
Come succede molto spesso, ad esempio, alle vittime di uno stupro
che, in parte, sono ritenute responsabili per i loro eventuali abiti
succinti ...
la vittima ha provocato il violento in un suo momento di tranquillità
e di beatitudine … si è resa artefice dell'aggressione.
INCREDIBILE,
oltre
al danno e alla crudeltà la beffa …
essere responsabile della situazione. DRAMMATICO!!!
E'
davvero curioso come si possa interpretare e condannare alcuni fatti
secondo i propri vissuti - proiettando ed invocando assurde
responsabilità - mentre per altri, la “giustizia”, possa essere
applicata invece con molta attenzione … può accadere che la legge per alcuni venga interpretata (amici), per altri invece applicata (nemici).
Niente giudizi di valore, pregiudizi e tanto meno interpretazioni
semplicistiche e banali. Si dovrà far notare comunque che è un modo
di comportarsi poco vantaggioso e per nulla appropriato. Aiutarlo
e ancora aiutarlo rispettando i suoi tempi emotivi.
Non bisogna mai minimizzare o tagliare le tappe senza averle
metabolizzate; tutti coloro che sono stati coinvolti in questo dramma
crudele hanno bisogno di un aiuto continuo e qualificato … per
molto tempo.
Un possibile abuso sessuale comunque ha degli “indicatori”
inequivocabili: sia
legati alla personalità, al comportamento, agli atteggiamenti, alle
abitudini del fanciullo sia a livello fisico (genitale e anale):
- lividi diffusi in varie parti del corpo, contusioni, graffi;
- manifestazioni di natura psicosomatica: cefalea, disturbi funzionali gastrointestinali e cutanei;
- lesioni molto lievi ma ben localizzate in cui si può escludere la causa accidentale;
- prurito, infiammazioni, perdite senza cause organiche evidenti;
- infezioni ricorrenti.
La
violenza sessuale è un crimine violento, grave e spesso fortemente
sottostimato. Non deve mai mancare sostegno e, soprattutto, offrire
la continuità dell'assistenza psicologica. Coloro che hanno subito
questa atrocità, come abbiamo già sottolineato più volte, sono
riluttanti o, meglio, non hanno spesso gli strumenti cognitivi per
descrivere tale dramma in maniera lucida; oppure presi dal terrore e
sconforto temono una eventuale ritorsione da parte dell'aggressore.
Ogni cosa deve essere affrontata con cura,fermezza, saggezza e
scrupolosità prima che si ripeta il caso di “girolimoni”
o si lasci per strada libero il vero criminale: che
possa continuare imperterrito il suo atto delittuoso.
I più grandicelli spesso provano vergogna o senso di colpa riguardo
a tale aggressione. Anche in assenza di lesioni fisiche vanno
protetti e rassicurati, bisogna ascoltarli con attenzione, senza
'diluire'
i racconti, dubitare o “processarli”
perché l'aggressore può anche abusare soltanto attraverso un suo
singolare comportamento ritualizzato. Bisogno tener presente che le
violenze sessuali non sono realizzate solo in famiglie socialmente e
culturalmente 'depresse'. Il piccolo deve guardarsi anche dagli
sconosciuti. Chi abuso di un bambino soffre di una patologia mentale
e non predilige questo o quell'ambiente ma il suo contenuto. Può
essere una persona “normale” tranne che in quello … nel suo
istinto sessuale ingestibile.
Un comportamento, comunque, che non è mai isolato, ma coinvolge con
i suoi atteggiamenti anche il modo di dare e di ricevere del soggetto
… è
sempre portatore di una singolare modalità reattiva.
Anche se risulta difficile tracciare un preciso identikit
criminologico di questo personaggio non è raro riscontrare che in
altri settori della sua vita - come
ad esempio quello sociale e lavorativo
- incontra difficoltà, si trova spesso impacciato, appare titubante,
frettoloso, con gesti puerili e meccanici … è decisamente
antisociale, è “astuto”
sa fingere e simulare, ma sempre carente di un qualcosa di vitale. Un
bambino che parla di molestie sessuali va sempre ascoltato anche se
ha molta fantasia; purtroppo, se non si è attenti, si scopre solo
dopo che “qualcosa”
c'è stato: ha
deviato brutalmente la sua evoluzione.
Perché
il sesso non sia radice di tormento ma fonte di felicità parliamone
con tanto sentimento, senza tanti sotterfugi, con gioia e con
serenità anche con i più piccoli. RICORDIAMOLO,
ancora
una volta, che il futuro del piccolo è nelle mani di noi adulti e le
scelte fatte fin dall'inizio decideranno, il più delle volte, se
diventerà l'ennesima vittima di questa società complessa e
compulsiva, oppure una persona libera, consapevole, spontanea ed
autonoma che usa al meglio, con grande soddisfazione e felicità la
vita che si merita;
favorire, in ogni occasione, un rapporto stimolante e rigenerante,
invece di una relazione frettolosa, persecutoria, frustrante e
scoraggiante; evitare, soprattutto, di trascurarlo, di sottoporlo
allo stesso tipo di stress o pressione psicologica che opprime
quotidianamente noi adulti; giocare e trascorrere più tempo con lui
in modo tale che non conosca la solitudine, che possa sviluppare
sicurezza, fiducia, stima in se stesso e negli altri … possa
dare e ricevere amore, vada incontro al mondo liberamente, con gioia,
passione ed affetto.
Quello che riusciamo a fare e a dare con una certa spontaneità,
naturalezza e rispetto,
nel “bene” e nel “male”,
senza tanti sotterfugi, tradimenti ed inganni
va sempre bene. RICORDIAMOLO,
non possiamo dare quello che non abbiamo avuto ma solo quello che
abbiamo imparato … solo
un rapporto genuino, vivere con consapevolezza il tempo presente,
un'adeguata conoscenza e una corretta informazione ci possono aiutare
a gestire al meglio la nostra vita e quella degli altri con una certa
tolleranza, malleabilità, rispetto, serenità e felicità.
escrivendo
una fase evolutiva così importante come l'adolescenza non è
possibile escludere dall'articolo alcuni cenni sulla “preferenza”
sessuale dei giovani: l'omosessualità;
l'oggetto del desiderio e di attrazione emotiva vissuta, purtroppo,
ancora oggi in alcuni ambienti scientifici, come vizio oppure come
malattia. Conosciuta
fin dall’antichità, dov’era accettata dai greci, l’omosessualità
è ancora oggi, nell'anno 2019 d.c., una “faccenda” del tutto
aperta e controversa. Varie scuole di pensiero hanno cercato di
spiegarla, ma il suo carattere psichico è apparso molto lentamente e
confuso. Alcuni “antichi” studiosi, in particolare Krafft –
Ebing, la collocano nelle perversioni sessuali: deriverebbe
da una degenerazione congenita.
La conclusione di tali affermazioni è comprensibile in quanto tale
fenomeno proviene da esperienze e ricerche effettuate in settori
specifici: archivi
polizieschi e ambienti criminali.
Non stupisce, pertanto, che queste convinzioni siano presenti ancora
oggi nei modi di pensare di molte persone comuni. Contemporaneo di
Freud e di Krafft – Ebing, il medico inglese Havelock Ellis tentò
per primo di demistificare l’omosessualità dimostrando che non è
affatto congenita, ma sempre acquisita. Contro le affermazioni di
Krafft – Ebing e i suoi allievi ne affermava il carattere puramente
psichico. Anche Freud, nella sua “Psicoanalisi”, doveva
affrontare il “problema”. Critica l’organicismo di Krafft –
Ebing ma non accetta neppure la tesi di Haverlock, che non permettono
di capire come mai solo certi individui reagiscono manifestando
“omosessualità”. Freud forse è l’unico a sottolineare
l’importanza di una certa “costellazione psicologica”, che
sembra peraltro decisiva, ma non nega la possibilità di fattori
organici. Quello che sembra decisivo nella genesi dell’omosessualità,
a suo dire, è una fissazione infantile alla madre, che porta il
bambino a cercare adolescenti che gli somigliano. Havelock aveva gia
sottolineato l’importanza di questa scelta chiamandola
“narcisismo”.
Un fenomeno da commedia plautina, ancora oggi intriso ed alimentato
da equivoci non tanto millenari (i
greci e i latini avevano un'altra visione della questione),
ma spinto e avvolto da teorie organiciste oscure e confuse
relativamente recenti: tara
ereditaria o congenita … un modo di essere “prodotto” da
squilibri endocrini o metabolici.
TIENI
presente che l'omosessualità - anche
se discussa in veste scientifica
- non deriva da una carenza ormonale, non è congenita ma acquisita;
un controllo va sempre bene ma l'endocrinologo, in questo caso
specifico, può fare ben poco e, soprattutto, questa sessualità non
è né meglio né peggio di quella sperimentata a livello
eterosessuale, ma se vissuta in piena libertà, con desiderio e
passione - realizzata
senza recare nocumento ad altri
- sarà sempre un'esperienza gioiosa, ricca ed immensa che coinvolge
- attraverso
gli ormoni del benessere -
la struttura mente
– corpo,
rendendola giovane, viva e in ottima salute … inonda
sempre il cervello di felicità.
Parlarne non perché tale tendenza rientra in un quadro clinico
patologico o magari riportata in qualche antico, fantasioso e
obsoleto manuale sui disturbi emotivi - non
è assolutamente una questione di salute mentale o di organizzazione
psichica particolare
- ma semplicemente di rispetto; questi soggetti sono perseguitati,
costretti a “nascondersi”, soffrono a causa di pregiudizi,
stigmatizzazioni e, ancora oggi, sono isolati e discriminati.
Condannata in certi paesi da leggi severe, ammessa in altri,
l'omosessualità è oggetto di condanna e, soprattutto, di cattiva
prognosi. NON
DIMENTICHIAMOLO,
sono persone con una loro storia ed esperienza originale, con valori
unici e complessi come chiunque; tutti devono scontrarsi, combattere
e affrontare quotidianamente scontri esistenziali e che, nel bene o
nel male, bisogna gestire e “risolvere” … a volte uniformandosi
ad una condotta generale e dominante, altre volte sviluppando una
propria inclinazione singolare sempre attraverso vari aggiustamenti,
compromessi o uscendo da certe situazioni con le ossa rotte. “Uguali”
nell'amore, ancora oggi, in alcuni ambienti, suona male … per molti
è ancora un problema aperto.
La sessualità adulta (omo
o etero),
volenti o nolenti, è sempre il risultato di aggiustamenti fatti
durante il proprio percorso di vita. Anche se Freud non abbia fino ad
oggi contribuito del tutto a chiarire certi equivoci, non si può
certo negare - considerato
il periodo storico delle sue ricerche
- la portata originale e culturale dei suoi scritti relativi a questo
argomento (sottolinea
l'importanza di una certa costellazione psicologica, ma non nega
l'influenza di fattori organici);
uno studio magistrale e davvero illuminante, secondo le teorie
psicoanalitiche, lo troviamo nelle memorie di un malato di nervi:
“caso Schreber”. L'autore descrive in dettaglio i meccanismi
della paranoia e dimostra il suo carattere di difesa contro
l'omosessualità. Ripercorriamo brevemente lo studio di questo
“malato
di nervi” (Il
presidente Schreber):
famoso magistrato tedesco Daniel Paul Schreber. Nel 1885 il paziente
viene rinchiuso per qualche anno in una clinica psichiatrica a
Lipsia, risolvendo un suo problema ipocondriaco che lo attanagliava
da tempo. Ma gravi turbe psichiatriche riprendono a colpirlo poco
dopo la sua nomina alla presidenza della corte d'appello di Dresda.
Per circa un anno, Schreber crede d'essere vittima degli assalti
omosessuali del suo medico, aiutato da Dio. Successivamente, Dio
stesso diventa l'artefice delle violazioni perpetrate contro il
soggetto, che finisce per lasciarsi andare con volontà al suo
destino. Immagina che le potenze celesti lo destinano a compiere una
missione di rigenerazione della razza umana. Nella confusa cosmogonia
che elabora, dev'essere mutato in donna e generare nuovi esseri umani
superiori. L'autore, con grande acume e saggezza, sbroglia la matassa
di questi “fantasmi”.
Dimostra che Schreber ha sentito esterne a sé, per proiezioni,
percezioni interne represse e deformate. L'amore si è trasformato in
odio, l'amato in persecutore. Nel suo delirio, le aggressioni del
medico esprimono il desiderio omosessuale del malato verso suo padre,
riattivato appunto dal rapporto terapeutico. Molto colpevolizzato da
questa omosessualità cerca di proiettarla su altri e convertendola
nell'opposto. A questo delirio di persecuzione s'aggiungono gli altri
tre deliri caratteristici della paranoia, che traducono altre forme
di negazione del desiderio rimosso: il
delirio erotico, il delirio di gelosia e il delirio di grandezza o
megalomania.
A
seguito di questo studio, gli psicoanalisti affermano che il vero
responsabile di tutto è il complesso di Edipo e del suo possibile
fallimento: dovrebbe rendere possibile un approfondimento della
genesi dell'omosessualità.
Mentre per l'uomo sembra decisiva l'identificazione alla madre, per
la donna è la fissazione al padre a rischiare di provocare
l'omosessualità. L'elemento decisivo sembra il complesso
di castrazione
(nasce
da una paura inconscia che appare nel piccolo quando scopre la
differenza anatomica dei sessi e formula l'ipotesi di un unico e
identico apparato genitale, organo maschile in tutti. Secondo gli
analisti che si rifanno a Freud, il bambino interpreta l'assenza del
pene nella bambina come una minaccia di sanzione. Il complesso di
castrazione annuncia la fine della fase edipica del bambino. La
bambina invece risente dell'assenza del pene come d'una frustrazione
e cerca di negarla o compensarla prendendo suo padre a oggetto
d'amore. Per lei il complesso di Edipo è preceduto e preparato dai
postumi del complesso di castrazione. Come momento dell'evoluzione
della sessualità infantile, il complesso di castrazione è presente
in tutti, ma quando la crisi viene superata male può dare origine a
deviazioni sessuali. Nel bambino l'orrore della donna e la
predisposizione all'omosessualità derivano dalla convinzione che la
donna non ha pene. Le sue parti genitali evocano una minaccia che
provoca disgusto invece che piacere. Nella bambina il rifiuto
d'accettare la sua castrazione può sviluppare un “complesso di
mascolinità”, che la mette in rivalità con l'uomo. Può anche
favorire la sessualità clitoridea anziché quella più “adulta”
definita vaginale):
se la bambina non riesce ad accettare la differenza dei sessi, non
può staccarsi dall'identificazione al padre e rischia di diventare
omosessuale.
el bambino la comparsa dell'omosessualità sarà decisa dal modo in cui ha risolto il complesso di Edipo e attraversato la fase della pubertà (complesso di Edipo: definisce un momento fondamentale dell'esperienza infantile, caratterizzato da una tenerezza violenta per la madre e da una affettività ambivalente per il padre … per molti fonte di tutti i disagi emotivi. Lo studio dei disagi emotivi permette di descrivere la formazione di questo complesso, diversa a seconda del sesso ma non quanto a struttura. All'inizio, il primo oggetto d'amore di ogni bambino è la madre. Pur amando il padre, arriva ad augurarne la morte, per eliminarlo come rivale. Questo mescolarsi d'odio e amore è chiamato ambivalenza. Ma il bambino teme che i suoi auguri di morte siano percepiti dal padre. Questa paura si manifesta sotto forma di angoscia di castrazione. Il bambino rinuncia allora alla madre come primo oggetto di desiderio. Nella bambina, il complesso di castrazione non segna la fine del complesso di Edipo, ma il suo inizio. Quando scopre la differenza dei sessi, ne prova un profondo dispetto, e ne incolpa sua madre. Quest'odio verso la madre la spinge verso il padre ... desidera avere quello che le “manca”. Quando rinuncia a questo desiderio accede alla sessualità adulta … fase genitale. Ma può accadere che il bambino non rinunci mai alla madre come primo oggetto di desiderio. La fissazione alla madre può portare all'omosessualità o a un disturbo ossessivo. La fissazione della bambina al padre può portare ad una generale colpevolizzazione della sessualità sotto forma d'isteria o frigidità).
el bambino la comparsa dell'omosessualità sarà decisa dal modo in cui ha risolto il complesso di Edipo e attraversato la fase della pubertà (complesso di Edipo: definisce un momento fondamentale dell'esperienza infantile, caratterizzato da una tenerezza violenta per la madre e da una affettività ambivalente per il padre … per molti fonte di tutti i disagi emotivi. Lo studio dei disagi emotivi permette di descrivere la formazione di questo complesso, diversa a seconda del sesso ma non quanto a struttura. All'inizio, il primo oggetto d'amore di ogni bambino è la madre. Pur amando il padre, arriva ad augurarne la morte, per eliminarlo come rivale. Questo mescolarsi d'odio e amore è chiamato ambivalenza. Ma il bambino teme che i suoi auguri di morte siano percepiti dal padre. Questa paura si manifesta sotto forma di angoscia di castrazione. Il bambino rinuncia allora alla madre come primo oggetto di desiderio. Nella bambina, il complesso di castrazione non segna la fine del complesso di Edipo, ma il suo inizio. Quando scopre la differenza dei sessi, ne prova un profondo dispetto, e ne incolpa sua madre. Quest'odio verso la madre la spinge verso il padre ... desidera avere quello che le “manca”. Quando rinuncia a questo desiderio accede alla sessualità adulta … fase genitale. Ma può accadere che il bambino non rinunci mai alla madre come primo oggetto di desiderio. La fissazione alla madre può portare all'omosessualità o a un disturbo ossessivo. La fissazione della bambina al padre può portare ad una generale colpevolizzazione della sessualità sotto forma d'isteria o frigidità).
uando
chiedere un sostegno.
L'omosessualità come abbiamo visto non è sicuramente una
perversione - come
sostengono le insoddisfacenti ed inadeguate concezioni classiche su
questo tema
- o un problema di identità, tanto meno una oscura patologia, per
cui non esiste una modalità terapeutica specifica. I farmaci,
pertanto, possono essere impiegati solo nel caso in cui tale fenomeno
è dominato dal conflitto o dalla tensione elevata, ma non possono
certo aiutare una persona a sviluppare relazioni oggettuali
inesistenti. Questo comportamento è considerato oggi, dopo lunghi,
tumultuosi e complessi dibattiti, non tanto un problema
dell'individuo, quanto piuttosto una manifestazione di intolleranza
sociale verso modi “diversi”
di
esprimere la propria identità e creatività in generale. E'
importante imparare a non vedere a tutti i costi “fantasmi”
o strane“difficoltà”
laddove c'è soltanto, per esempio, una visione ed una aderenza
diversa ai canoni dello stereotipo maschile e femminile. Come è già
stato evidenziato, sembra che la società occidentale sia molto più
tollerante con le ragazze che manifestano comportamenti maschili che
non i ragazzi che si esprimono con atteggiamenti femminili (forse
perché è ancora una società basata sul maschilismo? … una
cultura che chiede al maschio prestazione da duro, da vero ed
indiscutibile macho?).
La difficoltà a conformarsi allo stereotipo culturale di maschio o
femmina non è un criterio sufficiente per formulare una qualche
diagnosi patologica pasticciata. Ci
deve essere sempre un qualche marcato disagio interiore ed una
profonda sofferenza
– emarginazione,
ansia diffusa, attacchi di panico, tratti depressivi, umore
ballerino, intensa ed ingiustificata mania di persecuzione (vedasi
il caso
Schreber), disapprovazioni
e relazioni a dir poco crudeli, da parte delle persone
– per
richiedere un intervento terapeutico.
La psicoterapia rappresenta il trattamento di prima scelta per
alleviare la sofferenza, attuale e futura, che deriva appunto da una
incomprensione sociale (un
intervento dovrebbe aiutare a riconoscere tale stato, può essere di
sostegno a chi soffre o vuole “liberarsi” da questa condizione).
Gli obiettivi principali di questo intervento sono contenere il senso
di colpa che deriva dal “pensare” in modo diverso (la
colpa si accompagna spesso al bisogno di punizione) e
cercare di far emergere uno stile di vita più naturale, spontaneo e
più soddisfacente possibile, ma soprattutto assumere liberamente il
ruolo che si desidera ed imparare a non etichettare, a non dare
definizioni di se stessi né delle situazioni in cui si è coinvolti.
Sarà utile, inoltre, qualora siano visibili segni di profonda
sofferenza, prendere le distanze anche da certi atteggiamenti
falsamente progressisti che vorrebbero negare evidenti difficoltà
proiettando tutte le cause di disagio nel sociale. Spesso
etichettarsi “sono omosessuale” e attribuire a questa scelta
diversa ogni difficoltà, può essere un alibi difensivo per sfuggire
alla ben più radicale, angoscia esistenziale che dovrebbe farci
chiedere “chi
sono?”. Essere
omosessuali, comunque, non è né meglio né peggio che essere
eterosessuali, perché la sessualità, per entrambi, può essere
grande, piena di soddisfazione, di profondi significati e … sempre
IMMENSA.
Se soffri a livello relazionale - nel rapporto con te stesso e con
gli altri - non aver timore, chiedi AIUTO! Ricorda, non siamo nati
per SOFFRIRE ... ma per vivere la vita e l'eros SEMPRE, in ogni caso,
con gioia, serenità' e felicita'. Accettarsi
sempre e' la prima cosa da fare, guai colpevolizzarsi: il consenso
degli altri non serve!
ICORDIAMOLO, la sessualità è sempre immensa e infinita se e' libera, naturale e spontanea, e soprattutto non deve MAI essere lesiva verso i più deboli … bisogna stare lontano dai luoghi comuni che indeboliscono e rendono fragili … l’ eros, oltre a inondare completamente il cervello con i suoi ormoni della felicità (serotonina: ormone del buonumore), apre le porte al mistero e alla passione. La persona con cui stare bene, prima di tutto, sei TU! Mai imporsi scelte forzate o esprimere giudizi di valore. Ricordiamolo sempre, il mondo della genitalità non si può' reprimere perché' riguarda e coinvolge tutto il mondo del "sentire". Conclusioni. E’ ancora molto diffusa l’opinione che l’omosessualità sia una specie di malattia, se non un vizio. In realtà è semplicemente una variante del comportamento sessuale usuale. Perciò se un omosessuale si differenzia solo per il suo comportamento diverso da quello della maggioranza eterosessuale, rappresentata dai “normali”, e non presenta alcun sintomo sicuramente riferibile a situazioni patologiche, non può essere considerato un “malato”. L’omosessuale autentico si sente ben integrato nella propria tendenza e non prova sentimenti di colpa; anzi si ritiene, a suo modo, “naturale”. Proprio quanto l’eterosessuale, può lamentare disfunzioni genitali, come eiaculazione precoce e impotenza; o essere sadico, masochista feticista e così via, in modo morboso. Ancora molto diffusa, e persistente, è l’idea che l’omosessuale, anche femminile, sia una nevrosi. E’ vero che un gran numero di omosessuali presentano sintomi nevrotici, ma il più delle volte appaiono dovuti non all’omosessualità in sé, ma alla disapprovazione sociale. Al punto che il suicidio è più frequente fra gli omosessuali che fra gli eterosessuali. Se un uomo (o una donna) si sente a suo agio nella propria omosessualità, se l’ha integrata nella propria vita, nessuna cura gli può fare effetto. Egli non prova alcun desiderio di cambiare, considera un’aggressione ogni tentativo di indurlo all’eterosessualità … se stai bene con te stesso sta alla larga dai saccenti, da psicologi, psicoanalisti, psichiatri … impariamo finalmente a neutralizzarli. Per ciò che riguarda l’attività erotica, la coppia omosessuale compie, se si esclude il coito vero e proprio, i medesimi atti della coppia eterosessuale. Quindi non sono, di per sé, atti omosessuali, ma ne assumono il significato quando vengono eseguiti da due uomini o due donne. Si crede comunemente che nel coito anale omosessuale vi siano sempre, in analogia con quello eterosessuale, due ruoli opposti e permanenti: un individuo che fa la parte del maschio (il penetratore, l’attivo) e un altro che fa quello della femmina (il penetrato, il passivo). Questi due ruoli esistono, ma spesso non sono esclusivi, perché vi sono omosessuali che li assumono alternativamente; anzi, questa e altre pratiche omosessuali non sono attive né passive, ma l’una e l’altra cosa insieme, proprio come accade fra gli eterosessuali. Gli omosessuali sono stati accusati anche di essere incapaci di amore, o comunque di non amare come gli eterosessuali. Per smentire questo pregiudizio basta considerare che il concetto di amore spirituale fra uomo e donna discende da Platone (da cui amore platonico), il filosofo greco che, pur riferendosi all’omosessualità, ne ha parlato sotto un aspetto valido per tutti. Esistono, è vero, omosessuali incapaci di amore, come ve ne sono fra gli eterosessuali. Ma chiunque si sia avvicinato al loro mondo sa bene che fra essi si può trovare l’intera gamma dei sentimenti amorosi e di odio, di felicità e infelicità, di fedeltà o di infedeltà. Non deve MAI essere dimenticato che l’omosessuale è un essere umano simile a tutti gli altri, salvo per quel che riguarda la sua tendenza sessuale e affettiva. Non si può fare l’identikit dell’omosessuale più di quanto si possa fare quello dell’eterosessuale. I tipi omosessuali che la gente conosce e dei quali sente parlare vanno dall’artista o dall’intellettuale circondato dalla sua corte di giovani, all’individuo che frequenta i gabinetti pubblici, i parchi, i cinema in cerca di compagni occasionali; dal pederasta che insidia i ragazzini, al gay che si batte per il riconoscimento dei suoi diritti civili. Costoro sono la parte emergente, la più piccola, della totalità del mondo omosessuale. Al di sotto di questo iceberg appariscente esiste, di gran lunga più vasto, il mondo omosessuale invisibile, ignorato da psicologi, dai criminologi, dalla stampa: è il mondo degli omosessuali che vivono una vita riservata quanto quella dell’immensa massa delle persone comuni. Riservata, ma contrassegnata molto spesso dalla solitudine, dall’isolamento, dall’impossibilità di esprimersi … una condizione per NULLA “anormale” in cui da curare c’è solo il pregiudizio … NON dobbiamo dimenticare, inoltre, che il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) nel 1973 ha tolto le “omosessualità” dall’elenco dei disturbi mentali, mettendole in relazione ad una delle tante manifestazioni della sessualità umana.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un valore informativo ed educativo, non prescrittivo.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un valore informativo ed educativo, non prescrittivo.
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