La
dipendenza ...

a
dipendenza è il comportamento attraverso il quale una persona non
solo può sviluppare un rapporto distorto con un altro individuo o
una determinata attività, ma anche nei confronti di un luogo e di
una cosa. Questo fenomeno, soprattutto se intenso e, ovviamente,
profondamente radicato nel soggetto, man mano che passa il tempo può
determinare sbalzi e cambiamenti di umore, modificazioni
interpersonale significative e, soprattutto, disagi psicosomatici tra
cui ansia, stress, insonnia, attacchi di panico, ed ultima,
ovviamente non di importanza, la depressione.

l
ventaglio delle dipendenze è vastissimo … possiamo dire infinito.
Da un punto di vista clinico si suddivide tra dipendenze puramente
comportamentali e quelle collegate all’utilizzo o, meglio all’abuso
di particolari sostanze. Nel primo gruppo
troviamo le dipendenze affettive, le dipendenze sessuali e da lavoro;
è una tipologia di dipendenza che in genere copre un vuoto
esistenziale o affettivo, spesso abbinato a comportamenti maniacali.
Il soggetto affetto da questa dipendenza poco alla volta riempie di
lavoro tutto il suo tempo libero – compresa la notte – si occupa
solo di attività inerenti la professione, riduce al minimo o esclude
le relazioni affettive e sociali e diventa competitivo nei confronti
dei colleghi, che spesso giudica lavoratori mediocri. Le conseguenze
di questa sindrome sono emicrania, insonnia, disturbi gastrici e
cardiaci; talora si sviluppano anche dipendenze “parallele” da
alcol, nicotina e farmaci stimolanti, da shopping (questa dipendenza
si sviluppa dal desiderio ossessivo e irrefrenabile di acquistare
oggetti superflui, che spesso non rispondono ai gusti di chi li
acquista e comportano un pericoloso dispendio di denaro).


ome nella
dipendenza da cibo e nella bulimia, il malato da shopping ricerca
l’acquisto per sedare attraverso il possesso di un oggetto altri
bisogni insoddisfatti, in genere di tipo affettivo ed ansiogeno. Tale
fenomeno, si manifesta prima con l’emersione del desiderio, seguito
dall’impulso ad acquistare e dal piacere che ne deriva, cui subito
subentra il senso di colpa per aver ceduto a una spesa inutile ... gioco
d’azzardo, televisive, internet. Un'altra dipendenza che sta
dominando la scena da alcuni anni è l’ortoressia, cioè la mania
che spinge l’individuo a consumare in modo ossessivo cibi
assolutamente sani. Un altro fenomeno particolarmente interessante,
figlio dei nostri tempi, è la smania ossessiva a consultare
fattucchiere, maghi, cartomanti prima di affrontare un qualsiasi
compito, anche il più banale e futile. Nell’altro gruppo
troviamo la dipendenza da sostanze: fumo, alcol, caffè e al cibo
che, se consumato in maniera compulsiva, dà luogo ad un disagio
clinico definito con il termine bulimia. Ci sono poi le dipendenze da
droghe: cocaina, eroina, cannabis, ecstasy. Un’altra dipendenza,
degna di attenzione, per i suoi effetti collaterali e particolarmente
diffusi, è quella da psicofarmaci e antidolorifici. Non vi è alcun
dubbio che la dipendenza lentamente “avvelena” l’individuo,
impoverendolo fino a farlo soccombere, annullarlo completamente. La
dipendenza si manifesta sostanzialmente attraverso due fasi: la
reazione di astinenza, che si presenta, quando si è costretti a fare
a meno di un certo comportamento o di una determinata sostanza.
Questa prima manifestazione prende il nome di “craving”, ed è
caratterizzata da un irrefrenabile desiderio di soddisfare
immediatamente e a tutti i costi il bisogno che è alla base della
dipendenza. In molti casi, questa fase si conclude con l’emergere
di sentimenti di vergogna e sensi di colpa. Tra le cause scatenanti
di una dipendenza c’è prima di tutto una profonda insicurezza, che
spinge a cercare appigli su altre cose … al di fuori di noi
stessi.
alvolta si tratta di comportamenti ereditati in famiglia, a
volte invece la dipendenza è figlia dei condizionamenti di un
gruppo, talora è frutto della solitudine e dell’incapacità di
coltivare progetti ... relazioni sociali “normali”. Alla base
della dipendenza può esistere anche un eccesso di competitività,
oggi peraltro in larga parte indotto dall’aggressivo stile di vita
che spinge alla ricerca spasmodica del primato. Questo fenomeno è
stato battezzato da alcuni studiosi con il nome di “eccessoressia”:
sindrome che consiste proprio nella tendenza a voler raggiungere a
tutti i costi e con qualunque mezzo ogni cosa a livello apicale:
l’eccellenza negli ambiti più diversi, dal lavoro alla prestanza
fisica, dalla potenza economica, all’affermazione sociale. Le
dipendenze, comunque, nascono dall’insicurezza e da un eccesso di
pensiero che comporta un inutile dispersione di energia e un continuo
“girare a vuoto” tra profonde ansie e continue aspettative.
Tossicomanie.
La parola droga ha subito un’estensione del suo significato, tanto
che oggi con essa ci si riferisce a qualsiasi sostanza naturale o
sintetica avente un’azione psicotropa o addirittura soltanto
farmacologia. Negli anni sessanta l’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) ha cercato di distinguere l’assuefazione dalla
tossicomania (termine preferito da quello di farmaco – dipendenza).
L’assuefazione
è caratterizzata dall’uso regolare di una sostanza che provoca il
desiderio di ripeterne il consumo senza però aumentare la dose e che
determina un certo grado di dipendenza psicologica, senza dipendenza
fisica e senza sindrome di astinenza. L’assuefazione implica la
possibilità di effetti nocivi per il consumatore. Le droghe dette
leggere (tabacco, derivati dalla canapa indiana) possono dar
luogo ad assuefazione.
La
farmaco – dipendenza o tossicomania presuppone il consumo ripetuto
di una droga che determina, dopo un tempo più o meno breve, il
desiderio impellente di un nuovo consumo e di procurarsela a
qualsiasi mezzo, con la tendenza spontanea ad aumentare la dose per
l’adattamento dell’organismo agli effetti della droga
(tolleranza), per la comparsa di una dipendenza fisica e psicologica
(assuefazione), infine per la comparsa di una sindrome somato –
psichica di astinenza, quando se ne cessi il consumo. Oltre agli
effetti nocivi che tale intossicazione provoca nell’individuo, vi
sono ripercussioni sociali: proselitismo, contagio, criminalità. Le
droghe cosiddette pesanti (eroina, amfetamine) implicano il più alto
rischio di farmaco – dipendenza.


umerose
sostanze sono in grado di agire sulla psiche. Chiamate psicotrope,
esse esercitano effetti calmanti o eccitanti, anestetici o
euforizzanti, e modificano persino il pensiero e le percezioni
sensoriali in modo più o meno durevole e accentuato. La ricerca
diversificata di fonti di soddisfazioni o di piacere, il bisogno di
curare certi malesseri o la volontà di accedere a particolari stati
mentali, spiegano come, da sempre, gli uomini siano stati indotti a
provare, ingerire o consumare regolarmente droghe in maniera
piuttosto diffusa. Tentare di modificare i rapporti con il piacere e
la realtà non rappresenta quindi una novità, non più che la
nozione di tossicomania che definisce, in termini di dipendenza,
l’asservimento del consumatore. E’ altrettanto vero che la
seconda metà del XX secolo conosce una diffusione senza precedenti
di psicotropi e, parallelamente, di comportamenti di dipendenza, in
tutti i paesi industrializzati (si aggiunga poi crisi economica,
Covid e guerra la situazione è davvero drammatica). Che si tratti di
prodotti di sintesi o di droghe “naturali”, di farmaci o di
sostanze tossiche, mai come oggi tanti individui sono stati così
inclini all’uso abituale e all’abuso di tali sostanze.


olti
adulti, consumatori abituali di droghe lecite (caffè, tabacco,
alcol, tranquillanti, psicofarmaci), sono a livelli diversi,
“tossicomani” senza saperlo. Dagli anni settanta, il fenomeno è
in espansione tra i giovani, poiché questi ultimi fanno uso sempre
crescente non solo dei prodotti legali, ma anche di droghe illecite
come hashish, ecstasy, ecc.; quanto ai soggetti, fortunatamente meno
numerosi, che ricorrono alle droghe dette “pesanti” (eroina,
cocaina o crack), questi sprofondano nell’emarginazione
proporzionalmente alla loro dipendenza e al loro disinserimento,
spesso rovinandosi la vita e le prospettive per il futuro. La
dipendenza da questi stupefacenti presenta un doppio problema: quello
di piaga della salute pubblica che rappresenta di per sé, quello
dell’incidenza delinquenziale e criminale che questi comportamenti
non mancano di provocare, tenuto conto del prezzo elevato delle
droghe in questione e dei traffici di cui sono oggetto. Non tutti i
comportamenti di dipendenza quindi hanno lo stesso rilievo né,
evidentemente, la stessa prognosi. Soprattutto, è il caso di
distinguere le tossicomanie dichiarate, dove la droga diventa la
ragione di vivere o, almeno, di sopravvivere, e l’uso occasionale
di stupefacenti. Tra questi due estremi, esiste un’intera gamma di
situazioni intermedie, poiché certi soggetti rimangono, simili o
patetici equilibristi, “sulla corda tesa” di tutte le evoluzioni
possibili. Le dipendenze dichiarate si dimostrano, beninteso, le più
preoccupanti, per l’ampiezza dell’assuefazione che esprimono ed
esasperano, le molteplice conseguenze che comportano, il tutto
alterando gravemente, se non drammaticamente lucidità, la percezione
del reale e l’inserimento nella realtà sociale e familiare. L’uso
di oppiacei per inalazione (“sniff”) o per iniezione endovenosa
(“shoot”) interessa una minoranza di adolescenti e, fra loro, una
netta prevalenza di soggetti maschili. Tipicamente rappresentato
dall’assunzione di eroina, l’uso ripetuto di tali stupefacenti
porta rapidamente alla vera e propria tossicomania.


erti adulti
tendono a sottovalutare l’uso di droghe cosiddette “leggere”,
perché questo li riporta, magari, alla propria adolescenza ribelle.
Altri genitori invece sono incapaci di immaginare che il proprio
figlio ne faccia uso. Non ne sopportano nemmeno l’idea, al punto da
negare talvolta questa eventualità anche quando il ragazzo non ne
nasconde l’uso regolare. “Non capivo come mai avesse quell’aria
da cane bastonato, quella nuova indolenza, quel disinteresse per
tutto, nessun coinvolgimento”, questo è quello che ci riferiscono
molto spesso i genitori a proposito dei propri figli. Troppi genitori
si trovano nella situazione di non sapere affondare l’argomento,
una certa narrazione confusa, né di riuscire a considerare l’abuso
di stupefacenti come un segno di autentica sofferenza, perché
l’aspetto “deviante” del comportamento ha la meglio su
qualunque altra prospettiva. All’interno di queste famiglie, la
droga rimane un argomento tabù che non può essere affrontato e
discusso con calma. O si finge di non vedere, o si troncano le
discussioni. A volte, invece, l’ostilità rende impossibile
qualunque tentativo di comprensione, a cominciare dalle risposte
fornite alle domande seguenti: “A che cosa cerca di sfuggire il
tossicomane?”, “In che cosa l’atmosfera familiare potrebbe
essere all’origine di questa volontà di fuga?”, “La vergogna,
il senso di colpa o il timore di quel che dirà la gente, devono
impedire di chiedere un aiuto?”. Quali sono i tratti fondamentali
che ci aiutano a stabilire se questa persona (dipendente) ha le
caratteristiche psicologiche di un “bambino” o ha superato le
problematiche affettive e sociali di questa età, e presenta quelle
di un “adulto”? Per meglio definire questi
punti di orientamento della vita, dobbiamo prendere in considerazione
il processo evolutivo della persona. Ovvero, l’oggetto di amore del
bambino è il genitore, l’oggetto dell’adulto è il partner;
l’adolescente deve separarsi dal primo oggetto per raggiungere il
secondo (partner) e ricerca la separazione dai genitori e quindi
l’autonomia. Tuttavia egli sente il bisogno della protezione che
esisteva nei vecchi rapporti parentali. L’autonomia comporta anche
la sofferenza della solitudine, oltre la gratificazione di sentirsi
adulto e parte dei “grandi”. Nella ricerca di relazioni più
profonde e con persone nuove richiediamo spazio per la conoscenza
dell’altro. Chi non ricorda i nostri primi rapporti amicali e le
difficoltà di rapporto col primo partner, le ansie, le gelosie, i
rancori? Questi elementi affettivi fanno parte della ricerca di
autonomia. D’altra parte nei momenti precari, quando la
situazione si fa difficile ed esposta al rischio di fallimento, ci si
richiama alla protezione che esercita il vecchio rapporto parentale.
Di qui nasce questo oscillare tra ricerca di autonomia e regressione
alla dipendenza affettiva dal genitore che si trasforma in
comportamenti opposti. Ci sono anche altri elementi che cominciano ad
essere completamente diversi. Il bambino fino a 10 anni circa non ha
grande ascolto della vita interiore se non in modo superficiale e che
comunque tende a rimanere inconsapevole; sentimenti, emozioni, si
esprimono in maniera fisiologica, e anche se esistono nel profondo
trovano rare modalità di espressione relazionale, comportamentale.
L’adolescente invece avverte il primato della vita interiore, essa
diviene centrale. L’adolescente si pone il problema di riflettere
su che cosa è, su che cosa potrebbe essere, su come potrebbe
cambiare, su che cosa è stato. Questa è una variazione di
prospettiva: il bambino vive la sua dimensione
concreta della realtà quotidiana, senza un grande ascolto di sé,
l’adolescente ascolta innanzitutto se stesso, è fortemente
narcisista, e il narcisismo è certamente anche una importante forma
di difesa dalle sofferenze proprie dell’età. Entro certi
limiti il narcisismo aiuta l’adolescente a divenire adulto. Il
bambino non ascoltando la vita interna, “nega” i problemi, la
conflittualità interiore e invece si interessa del presente, al dato
concreto, al giocattolo nel quale investe quotidianamente desideri e
frustrazioni.
’oggetto è immediatamente vicino e la frustrazione
limitata al presente non ha forte risonanza interiore.
Nell’adolescente invece compaiono le dimensioni temporali del
passato e del futuro. Il passato è quella relazione genitoriale che
scatta sempre come meccanismo di protezione o di rivendicazione nei
momenti difficili (depressione); il futuro è rappresentato dalle
grandi utopie, dagli ideali sulle grandiosi realizzazioni di sé
(ansia). Senza utopia non c’è adolescenza, un adolescente che non
ha utopie è un’adolescenza negata, che manifesterà i suoi
problemi successivamente e spesso non senza danni. Tuttavia il
bisogno umano di proiettarsi al di fuori di sé, di proporsi degli
ideali e in questo contesto di porre le basi per possibili
cambiamenti per sé e per il mondo circostante è presente fin dalla
nascita e lo sarà con diversa intensità per tutta la vita. Questo
bisogno costituisce la base del sentimento della speranza:
l’adolescente si percepisce per la prima volta come un’identità
a sé stante rispetto al mondo circostante e soprattutto rispetto
alla madre. In definitiva ciò che cambia nel passaggio dal bambino
all’adolescenza, è questo rivolgersi all’interiorità,
l’attenzione alla propria vita interna, il riconoscimento della
conflittualità e spesso della confusione della vita, l’interesse
per le categorie temporali del passato e del futuro, per la categoria
esistenziale del possibile, dell’utopico più che del reale attuale
e infine la negazione degli adulti come unico polo di riferimento
della propria crescita. Gli adulti sono raramente consapevoli di
questo mutamento del bambino. Questa fase non avviene in un modo
equilibrato ma attraverso una profonda inquietudine e un’ansia
diffusa. L’ansia che vive l’adolescente ha due caratteristiche:
il carattere depressivo, legato al distacco
dagli oggetti familiari e il carattere persecutorio, determinato
dall’avvicinarsi agli oggetti estranei e nuovi e dalla paura degli
stessi; vi incide anche il senso di colpa relativo al distacco
dei legami parentali. Con quest’ansia hanno da confrontarsi
genitori, educatori e terapeuti che trattano adolescenti (o meglio,
si spera, dovrebbero avere una grande sensibilità nei confronti dei
giovani). Di fronte a questo terremoto che avviene nella mente e nel
corpo dell’adolescente struttura meccanismi di difesa, senza i
quali gli sarebbe impossibile vivere senza danni. La difesa
narcisistica, tuttavia, entro certi limiti e collocata in un giusto
equilibrio della relazione adulto/adolescente, consente a
quest’ultimo di accrescere la propria autonomia e quindi di avviare
la propria separazione dai genitori in un momento in cui è presente
anche ansia, depressione e il senso di colpa per la necessaria e
dolorosa scelta di crescere. L’adolescenza, però, anche se viene
inquadrata come una fase, un periodo preciso della vita, essa ritorna
dentro di noi ogni qualvolta maturiamo un bisogno di distacco e
separazione, la relativa depressione o ci proponiamo un successivo
cambiamento. Ogni volta che ciò avviene riviviamo le difese che
conosciamo. L’adolescenza è anche l’insieme di meccanismi più o
meno sani che rientrano in gioco ogni volta che la persona decide di
cambiare radicalmente la propria esistenza, le proprie relazioni, il
proprio modo di vivere.
a
chi è il tossicomane? Ci chiediamo sempre chi sia il
tossicodipendente e anzitutto se sia o meno malato. Il suo
comportamento è diverso da quello di un malato tradizionale, egli
solitamente si presenta con una sua autoterapia, con
un’autoprescrizione come per segnalare che il suo sintomo è
espressione di una cura più di una malattia. Il tossicomane non è
un malato organico, non è nemmeno un malato di mente, né un
delinquente, ma è un po’ di tutto questo. Molto spesso una
naturale trasgressione dell’adolescente (verso la famiglia, la
società) determina una vera e propria rottura e in questo conflitto
nasce una forte ansia, che diviene a lungo andare una profonda
angoscia (i momenti difficili si riscontrano e sono inevitabili in
ogni adolescente!). Nel gruppo dei coetanei l’uso di sostanza da
parte di qualcuno dei suoi membri diviene un meccanismo di risposta a
quest’ansia e così si attiva, avvia un’abitudine di risposta
chimica alle difficoltà. Al di là del comportamento tossicomanico,
tuttavia si può essere tossicomani senza sostanza cioè presentare
quella struttura di personalità, quel frammento di psicopatologia,
che non raggiunge mai l’evidenza del sintomo, di un disagio
profondo. Finché non c’è un collegamento con la sostanza la
patologia non si manifesta. In questo contesto, potremmo aggiungere
che alcune forme di asocialità e devianza sociale, che vengono
sociologicamente interpretate come forme di comportamento senza basi
psicopatologiche, con molta probabilità hanno le stesse radici della
tossicomania, ma non evolvono in tal senso per un mancato incontro
con la sostanza o per un realizzato incontro con forme più
vantaggiose di soluzione ai propri problemi esistenziali. Ritorniamo
alla domanda originaria, chi è veramente il tossicomane? Questo
interrogativo dovrebbe animare chiunque si occupi e si curi di lui.
Eppure molto spesso non è così! Il tossicomane, prima di essere
tale e dopo aver abbandonato l’abitudine tossicomanica, avrà avuto
e avrà da combattere con la sua struttura di personalità e le sue
dinamiche che lo conducono spesso a non saper contenere le proprie
emozioni profonde, a doverle necessariamente e repentinamente
trasformare in azioni, in passaggi all’atto. Anzitutto egli è un
adolescente o per lo meno è rimasto tale. A volte addirittura un
bambino. Riconoscere la sua “età” è estremamente importante:
ciò consente a tutti di rientrare nella realtà dal mondo
dell’illusione dove il tossicomane si è collocato. Riconoscerlo
servirà anche a far sì che egli accetti e che noi accettiamo la
regressione che egli stesso dovrà compiere per avviare la propria
cura. Sapremo così che un percorso terapeutico comincia col ritorno
all’indietro, al momento della frattura, per poi costruire una
prima “ingessatura” necessaria fino a che lui stesso possa
permettersi di demolirla per affrontare la vita, non libero da tutte
le dipendenze ma capace di accettarne più di una e nessuna
totalmente come quella che ha vissuto con il “veleno”. La libertà
è nel dipendere da più oggetti, più relazioni interscambiabili tra
di loro. La libertà non è assenza d’oggetto, né di dipendenza.
Un adolescente non è più bimbo, né ancora adulto; è toccato da
grandi turbamenti psichici, da visibili, improvvise, angoscianti e
ignorate (dagli adulti) modificazioni del corpo. Egli struttura le
difese individuali e confronta la propria identità, i propri modelli
di identificazione, i propri meccanismi di difesa nel gruppo. Il
gruppo è la più grande risorsa dell’adolescente e tuttavia può
essere la sua tomba. Il corpo dell’adolescente nella sua sessualità
masturbatoria è l’oggetto di transizione verso la relazione col
partner adulto e la separazione dall’oggetto genitoriale.
el
primo gruppo l’adolescente vive con coetanei del proprio sesso e si
prepara combattendo l’altro sesso alla relazione con esso. La paura
precede l’amore. Soltanto la relazione con l’altro passata
attraverso il corpo e il gruppo potrà consentire il nascere
dell’adulto. La droga interferisce in questo naturale processo
evolutivo. Eppure vi sono “dipendenti” e “dipendenti”. In
alcuni di essi il consumo di droghe è qualcosa che si inserisce
nell’adolescenza, nel suo bisogno di trasgressione e di identità
naturalmente come un falso strumento di crescita. Per altri la droga
risponde a ferite più profonde e antiche riaperte dal processo
adolescenziale conferendo identità (illusoria) e stabilizzazioni di
tensioni interne. Perciò si può parlare di tossicomani, questi
ultimi, e consumatori di droghe, i primi. Il corpo, il gruppo, la
ricerca di un piacere illusorio, i frammenti dell’identità che
ricercano un’unità sono elementi della scena in cui si produce e
realizza il teatro tossicomanico. Da essi dobbiamo ripartire ogni
qualvolta vogliamo occuparci di loro, di cura, ma anche di
prevenzione. Entrare nel delirio del tossicomane mantenendo la
distanza necessaria a tirarlo fuori è l’unica condizione che ci
consente di avvicinarci realmente alla sua patologia per comprenderla
e curarla. Ridare senso al corpo che viene annullato dal corto
circuito vena – recettori centrali, partire dal gruppo
adolescenziale dove si è insinuata la droga ed è nata l’abitudine,
ricercare con il tossicomane il senso di un piacere vero e umano
evitando le strade della persecuzione fine a se stessa, aiutarlo a
ricongiungere e contenere i propri frammenti dando identità al
piacere e contemporaneamente costruendo il solo piacere che vince la
droga, quello della identità, deve essere l’obiettivo di chi si
occupa di drogati … è tutt’altro che semplice farlo!!! Solo
una strada in cui si accetti l’idea di sistemi organizzati per fasi
e fondati sulla forte interrelazione e integrazione di strumenti
pubblici e privati, volontari e professionali può raggiungere questo
obiettivo.
unque
vi è necessità di strutture organizzate, ma le strutture le fanno
gli uomini, i professionisti che lavorano in questo campo; se non vi
sono ancora oggi le strutture adeguate ciò è segno di una certa
confusione istituzionale, ma anche della rara lettura clinica che gli
operatore fanno del tossicomane. In alcuni ambienti, si dice ancora
che è un viziato o un derelitto sociale. Invece è anche un malato.
E’ malato di mancata identità. L’identità
è ciò che gli uomini cercano da sempre (conoscersi, sapere chi
sono, qual è il proprio ruolo).
Tutti
coloro che lavorano nel campo delle tossicomanie quindi devono
forgiare al meglio i propri strumenti e sentirsi “clinici”
nell’operare col tossicomane (nel senso di occuparsi della persona
in modo genuino e metterla al centro delle proprie osservazioni per
utilizzare al meglio gli strumenti professionali e umani per quella
persona, che aiuti a mettersi nei panni dell’Altro tossicomane,
perché quest’ultimo possa finalmente riconoscere l’altro per
quello che è realmente… senza ricorrere ancora alla pura illusione!).
icorda,
la dipendenza è figlia della
insicurezza e della solitudine … un girare a vuoto tra ansie e
aspettative … un vampiro della mente che attraverso un eccesso di
pensiero disperde inutilmente tutte le risorse energetiche.
Tel. 349.1050551
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
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