DISTURBI D'ANSIA.

'
una reazione istintiva nei confronti delle cose ”diverse” dal
solito, degli imprevisti e delle novità, se diventa insopportabile, significa che la situazione - per il nostro modo di pensare - è davvero terribile ... si teme, non è ben chiara e gestibile; spesso blocca la gola, rendendo
incapaci di chiedere anche le cose che spettano di diritto; significa
essere tesi verso qualcosa: annuncia un pericolo che spesso non c’è;
è una continua attesa che - mescolata al timore costante
dell’imprevisto - paralizza l’organismo e limita completamente le
proprie potenzialità. Lo stato ansiogeno sollecita l’organismo a
produrre le sue risorse biochimiche per far fronte all’evento
ipotizzato; il tutto diventa eccessivo, negativo quando si manifesta
indipendentemente dagli eventi; fenomeno carico di nervosismo
diffuso, apprensione eccessiva verso se stessi e le persone care; a
lungo andare crea insonnia, facilità al pianto, fobie, palpitazioni,
vertigini, nausea, sudorazione, tremori, debolezza, aumento del
battito cardiaco, tremori, gola chiusa e difficoltà di respiro. Il
corpo ne paga le spese, il conto sempre più salato: tachicardia,
colite, gastrite … l’energia bloccata ci si rivolta contro con
ansia e malattie … non solo rovina l’umore e le giornate ma si
rifà anche sul corpo: pelle, testa, intestino, ossa.


i
tratta di una sensazione di apprensione, tensione e inquietudine per
un ipotetico pericolo imminente; uno
stato di allarme, una continua attesa, invalidante e fastidiosa, di
un qualcosa che spesso non accadrà mai. Uno
stato emotivo che esprime un malessere diffuso e invalidante
derivante dall'anticipazione di una minaccia incombente: un vissuto
sempre soggettivo e personale. E' invece una normale reazione quando
si ha che fare con pericoli o minacce reali. L'ansia patologica
invece esprime paure inconsistenti, uno
stato emotivo spiacevole che causa insicurezza, sofferenza diffusa,
stato di impotenza, angoscia e timore per il futuro … in breve, un
pericolo imminente e catastrofico. L'ansia,
quella "brutta" e "cattiva", ha sempre come suo
primo bersaglio l'apparato mentale ed è questo che la rende davvero
perniciosa. La mente di fronte al "tiranno" ansia rotola
nei dubbi e nelle incertezze, perde la sua sicurezza, lucidità e
determinazione: annulla completamente libertà ed autonomia. L’ansia
è una condizione interiore di allarme, tensione, incertezza,
irrequietezza, paura che si può esprimere attraverso il panico,
tachicardia e tremore diffuso. E’
uno stato emotivo caratterizzato dal timore, reale o immaginario, per
un evento futuro, interpretato come spiacevole o pericoloso: timore
che qualcosa di inquietante o di avverso stia per accadere.
Di solito il soggetto esibisce un’espressione timida e
rinunciataria, un atteggiamento completamente privo di speranza, una
gestualità, a dir poco, goffa e impacciata. Improvvisamente è preso
da inquietudine, si trova in balia di una mente confusa e sotto la
tirannia dell’insonnia. Assale a tradimento e si agita all’interno
del corpo e della mente. Un eccitazione esagerata in cui l’individuo
si adatta più lentamente agli eventi della vita. Si diventa
particolarmente introversi e sempre orientati a prefigurare il
peggio: tutto
diventa impossibile, negativo e catastrofico.
el quadro clinico ansiogeno troviamo la compresenza di sintomi
psichici e fisici. E’ uno stato d’animo connaturale, molto comune
e familiare alla maggior parte degli esseri umani. Può presentarsi
con intensità diverse, da un momentaneo lieve disagio ad una paura
intensa di minaccia incombente. Spesso
tutto ciò produce molto disagio, degenera in un meccanismo
incontrollabile, porta confusione ai pensieri e può trasformarsi in
una angusta prigione emotiva.
Può
essere, a seconda delle situazioni, stimolante o paralizzante, può
modificare le difese attive o invece segnalare il sorgere di un
profondo disordine psichico. L’ansia, quella "normale", è
considerata una reazione dell’organismo che si prepara a
fronteggiare, attraverso una produzione adeguata di ormoni prodotti
dalle ghiandole surrenali - sostanze chimiche presenti nel sistema
nervoso come adrenalina e cortisolo - un problema o un pericolo: un
evento reale. Quella patologica, invece, è uno stato di tensione che
perdura nel tempo anche quando la situazione problematica non è più
presente: ha
un effetto limitante sulle capacità intellettive e comportamentali.
In questa situazione specifica l’unica cosa che si desidera è
sfuggire al pericolo che incombe. A volte inizia in modo graduale con
un po' di tensione, strano nervosismo, eccessiva preoccupazione per
se stessi e gli altri, improvvisi e ingiustificati pianti: si
è in balia al senso di impotenza e di agitazione diffusa.

a classificazione del malessere ansiogeno viene effettuato
attraverso la natura dei sintomi e, soprattutto, la presenza o meno
di una causa scatenante. Nella diagnosi risulta fondamentale
distinguere l’attacco d’ansia improvviso e devastante - attacco
di panico - dall’ansia scaturita da uno specifico oggetto o da una
precisa situazione (fobia), dallo stato d’ansia intenso, diffuso e
continuativo (ansia generalizzata). Un
segnale inequivocabile dell’ansia è il famoso “nodo alla gola”.
Questo sintomo si manifesta attraverso la raccapricciante sensazione
fisica di soffocamento (contrazione, secchezza, difficoltà di
deglutizione).
C’è
sempre comunque una innegabile stretta relazione tra stato d’animo
e condizione fisiologica: patologie dell’apparato gastroenterico,
dell’apparato respiratorio e dell’apparato cardiocircolatorio. I
valori pressori, la funzione respiratoria, il battito cardiaco, la
temperatura della pelle sono tutti fenomeni influenzati dallo stato
mentale. I sintomi fisici più evidenti quando il soggetto è preso
da un attacco d’ansia sono: palpitazioni, dolore pulsante o
trafittivo, sensazione di costrizione e difficoltà di respirare,
spasmi ai muscoli del collo, mal di schiena, sudorazione,
stordimento, gonfiori, nausea.
Se ci si concentra un attimo su alcune esperienze della vita si
scopre che non sono poi rari questi segnali fisiologici correlati con
il nervosismo, come ad esempio i crampi allo stomaco prima di una
prova importante oppure di un incontro galante (bruciore di stomaco,
scariche diarroiche).


osa
fare.
Tale disagio - proprio perché compromette la qualità della vita e
può evolvere verso quadri clinici più seri - non deve mai essere
affrontato alla leggera. Se il disturbo non viene riconosciuto in
tempo, valutata la sua gravità con tempestività e trattato
correttamente può protrarsi in maniera invalidante per lunghi
periodi, acutizzandosi poi nei momenti in cui l’individuo è
sottoposto a maggiore stress: il
soggetto diserta il lavoro, annulla completamente ogni attività
sociale e si isola dagli altri. Chiudersi
in se stessi è il pericolo maggiore per chi soffre di ansia. Le
persone affette da sintomi connessi alla condizione ansiogena o da un
vero e proprio disturbo d’ansia traggono notevole beneficio da
tutte quelle metodiche terapeutiche che aiutano a rilassarsi, in modo
tale da scaricare tutte quelle sostanze chimiche accumulate in tale
esperienza – e, nel contempo, sono portate ad esprimere le proprie
sensazioni ed imparano tecniche pratiche con cui reagire a questa
condizione, spesso, debilitante. Attraverso tali metodiche
terapeutiche si liberano dal peso di questo continuo e pressante
malessere. La spiegazione dei meccanismi fisiologici coinvolti nella
manifestazione ansiogena è sempre fondamentale, non solo a livello
di rassicurazione, per eliminare quelle “convinzioni” che causano
apprensione, preoccupazione, allarmismo inutile e controproducente,
ma anche nella gestione della sintomatologia in atto. E’ possibile,
infatti, con le opportune informazioni imparare ad alleviare e
controllare i sintomi che creano questa profonda sofferenza
esistenziale che schiaccia la mente, agita e tortura il corpo. Il
corpo, innalzando il livello di adrenalina, di fronte a questa
intermittente tensione si ribella con: aritmie, problemi all'apparato
digerente e soprattutto, cattivo rapporto con il cibo: indigestioni,
meteorismo. diarrea, stipsi, problemi urinari, variazione del livello
glicemico nel sangue, irritabilità, iperattività. confusione
mentale, tratti depressivi con facilità al pianto. Nei
disturbi d'ansia sono collocati tutti quei malesseri emotivi cui
l'aspetto ansiogeno costituisce l'aspetto predominante: fobie,
attacchi di panico, disturbo ossessivo - compulsivo (vedasi
descrizione Disturbi della Personalità ossessiva - compulsiva),
disturbo post - traumatico da stress, disturbo d'ansia generalizzato.
’ansia
“patologica”, quindi, occupando completamente la mente, rende,
stanchi, esasperati, apprensivi, lenti, impacciati, inefficaci e
completamente fermi; è un’armatura mentale che manda al tappeto,
fa rimanere al palo nel tentativo di gestire o sconfiggere ipotetici
pericoli futuri, se si allenta la presa si teme possa accadere
qualcosa ancora di più terribile!!!
APEVATE
che la vitamina B1 è utile per il sistema nervoso (depressione,
nervosismo, la vitamina B3 per i disturbi nervosi (paura,
preoccupazione, stanchezza, irritabilità), la vitamina B5, il
Magnesio è utile nei casi di stanchezza e stress psicofisico, mentre
la vitamina Acido Folico (B9)
è utile per gi stati d'ansia, irritabilità, aggressività,
depressione, l'Inositolo invece nei segnali nervosi, il Calcio nella
regolazione degli impulsi nervosi, lo Zinco per disturbi psicologici
importanti, il Manganese nei casi di Schizofrenia, omega 6 (EPO) nei
disturbi del comportamento, Cromo utile nell'intensa attività
psicofisica.

Anche
i “PENSIERI terribili” hanno i loro idoli.

uando
si presentano alla “porta” all’improvviso, senza bussare, fanno
davvero paura. Diventano, di colpo, una presenza ingombrante,
impoveriscono la vita fino a diventare i padroni assoluti: un
peso fuori controllo che ingabbia e schiaccia l’intero psicosoma.
Labirinti e tunnel di pensieri che, immancabilmente, avvelenano ogni
istante della giornata; una tempesta emotiva che si scatena senza una
vera ragione, nessun motivo apparente, lasciando dietro di sé una
scia, a dir poco, terrificante. Nella testa, inaspettatamente, ronza
qualcosa che non si è in grado di controllare e gestire: un
chiodo fisso che distoglie la mente da tutto il resto …
importante o meno importante che sia non guarda in faccia a nessuno.
Si tratta dei cosiddetti “brutti pensieri” che, improvvisamente,
si impossessano della mente fino a trasformare l’esistenza in una
bolgia dantesca: un vero inferno. Un dialogo monotono interiore fatto
di pensieri pessimistici e catastrofici: il
famoso bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Uno stato d’ansia,
quindi, di cui non si afferra la vera causa, ma disorienta e fa
guardare i propri familiari con sospetto, come perfetti estranei; una
sottile depressione che fa affrontare la giornata come una condanna
ai lavori forzati. Ecco, quello che sappiamo fare molto bene e in
esubero, trasformare un circoscritto sentimento di inadeguatezza, o
un piccolo momento di difficoltà in una sconfitta di proporzioni
infinite: siamo davvero dei grandi campioni!!! Molti sono in
imbarazzo esprimere tale stato, mostrarsi con questo disagio, con un
bel sorriso stampato, non essere più allegri e vispi “come una
volta”, incapaci di stare in compagnia, a volte, per certi versi,
completamente inefficienti e quasi “inutili”. Si vergognano di
loro stessi. E’ questa la cosa più assurda.
Invece di occuparsi di loro stessi, di ciò che fa soffrire e
disorienta, di ciò che si realizza e fa star bene, si preoccupano,
prima di tutto, di essere presentabili. Ci
si sente in colpa per il dolore, magari non si dorme più la notte da
mesi. Invece di chiedersi cosa vuol segnalare questo vespaio, questa
mente ridondante, questo tormento invadente, questa veglia repentina,
quali energie stanno chiedendo di essere ascoltate, si è presi
dall’ira, dall’angoscia e dai pensieri che non danno tregua. La
sofferenza, il dolore, i pensieri non sono – se ben interpretati -
mai il problema, ma la soluzione.

e si ascoltassero questi
segnali, come più volte evidenziato in questo breve “Vademecum”,
ci si renderebbe subito conto che i problemi sono sempre il prodotto
dell’individuo “che si mette di traverso” alla vita che altro
non desidera che scorrere, fluire liberamente, magari raggiungere
solamente ciò che gli spetta di diritto: la sua naturale
destinazione. Tale malessere viene ad avvertire, a segnalare che
qualcosa non va, per rimuovere gli ostacoli e riconsegnare la vita.
Quando ci si allontana dalla felicità, quando ci si sforza, ci si
costringe a rimanere dentro schemi mentali tormentati, la vita non ci
sta più a questo intenso logorio e a modo suo, con il proprio
linguaggio, con grande sofferenza grida la sua disperazione. Ci si
sforza di essere buoni e la mente si riempie di pensieri
inconfessabili. I gesti, le parole e i pensieri assumono caratteri di
coercizione ed estraneità, come se fossero imposti da una forza
incontrollabile; una sorta di rito individuale finalizzato a
contenere l’ansia. Di fronte a questo
fenomeno bizzarro molti sono gli interrogativi: “Ma perché proprio
a me? Possibile che sia stato io a pensare una cosa del genere …
questi pensieri sconvenienti, autolesionisti indicibili sono davvero
il frutto del mio pensiero?”. Domande che spesso rimangono
in quel piccolo angolino buio, in sospeso, non trovano la risposta
giusta e tanto meno nessuna soluzione. Non ci
sono ragioni evidenti ma, semplicemente, emergono condizionamenti
affettivi, riaffiorano vecchie fragilità irrisolte, stili di vita,
modi di pensare, schemi mentali e modelli culturali indigesti, da
tempo assopiti che, come per magia, si risvegliano di colpo: una
mente insoddisfatta che fa resistenza ai cambiamenti. Un programma
davvero interessante… una testa piena di premi e punizioni, doveri
e piaceri, cose buone e cose cattive, giuste o sbagliate: una vita da
animali da circo ben addestrati. Questo fenomeno si verifica
quando ci si ostina a imporre tali programmi su quelli della ”natura”
o si cerca di realizzare le aspettative anziché i propri bisogni
reali.
cco allora che i pensieri tengono la
mente in scacco, al buio, formano una sorta di scudo che scherma il
cervello dagli influssi benefici del vivere quotidiano e lo tiene “in
ombra” impedendogli di assorbire e di secernere le sostanze del
benessere (serotonina, neurotrasmettitore che influisce sul buonumore
e regola sonno e appetito; la melatonina, prodotta di notte, presiede
il ciclo sonno-veglia; i ferormoni sono i responsabili chimici
dell’attrazione sessuale; noradrenalina e dopamina sono, invece,
neurotrasmettitori che aumentano l’impulsività e creatività).
Molti sono comunque gli ospiti della mente che, improvvisamente,
senza ragione apparente assumono il controllo diventando veri e
propri dittatori. Così una mente bloccata dai “pensieri
ricorrenti”, oltre a succhiare a sbafo e consumare tutta l’energia
vitale in un circolo senza fine, apre la strada a vari disturbi. I
“brutti pensieri” si trasformano in malattia organica: usano gli
organi per farsi sentire. Se la salute diventa il pensiero dominante
le difese immunitarie, attivate prima
che il “nemico” abbia fatto la sua comparsa, nello stato di
bisogno reale - quando dovrebbero veramente difenderci - perdono
forza, si arrendono. Il tormento della
gelosia, invece, fenomeno tipico di un eccessivo timore di
tradimento, abbandono e bisogno di essere “toccati”, si esprimerà
attraverso fastidiosi e misteriosi disturbi epidermici. Anche
l’apparato respiratorio, modificato dai continui “Dove sarà?
Cosa mai starà facendo? Con chi è?, con l’intento di “trattenere”
l’altro, si farà sentire con improvvise crisi asmatiche.
Quando si è poi dominati da una condizione di costante
preoccupazione, la tensione scende inesorabilmente nei muscoli e
nelle articolazioni. Ci si irrigidisce completamente in una postura
di continua attesa. I dolori alla schiena e alle varie articolazioni
sono i segnali corporei di una condizione di vita perennemente
“sospesa”. Anche lo specchio, attraverso la sindrome del “brutto
anatroccolo”, coagula l’attenzione e tutta l’energia possibile.
Ci si concentra su un unico tratto vissuto come
sgradito: fianchi, cosce, naso, denti, altezza, abbigliamento.
Bisogna prevenire urgentemente il deterioramento estetico: bisogna
essere inappuntabili … fino a che punto tutto “batte in
testa”. Così il mal di testa racconta di una mente preoccupata di
tenere tutto sotto controllo.


osa
fare. In queste
circostanze non serve l’uso della forza: più si cerca di
allontanare tale fenomeno più invece si allarga. Tutta l’energia
che non si riesce ad esprimere e che scava dentro bisogna sbloccarla,
svilupparla e trasformarla. Ricorda, uscire da questa confusione, con
le mosse giuste è possibile. Con l’aiuto di uno specialista si
attueranno metodiche terapeutiche che aiuteranno ad uscire dalla
spirale di questi “idoli” che, purtroppo, non conoscendo le
regole della resa, continueranno a combattere, non arretreranno mai.
Ricorda,
una visione diversa verso se stessi evita al corpo di farsi carico di
tutte quelle cose che non vanno o che, con un grande sforzo di
volontà, si vuole dare intendere agli altri, costi quel che costi,
di essere nella “norma”; la somatizzazione, quindi, arriva per
segnalare che in quel personaggio finto, partorito da una mente
fissa, noiosa, insulsa, rigida e sempre uguale non c’è felicità,
che dietro quella maschera non si è poi a proprio agio, non si vive
bene, non si è contenti, che bisogna CAMBIARE qualcosa: chiede
di dare una svolta alla propria esistenza, si è saturi dell’attuale
stile di vita … non GUARDIAMO dalla parte opposta, cambia invece lo
sguardo sui tuoi vissuti senza troppo GIUDICARLI però!
ATTENZIONE PERICOLO

’ansia,
in qualunque forma si presenti, sconvolge, devasta e compromette la
qualità della vita degli individui che ne sono affetti. Non fa
distinzioni, colpisce tutti indistintamente: bambini, anziani,
operai, casalinghe, nullatenenti, studenti, professionisti, bravi,
buoni e cattivi. Fa vivere nella dolorosa attesa che da un momento
all’altro possa capitare cose ingestibili, catastrofiche, avverarsi
situazioni impossibili, impensabili … personaggi proiettati nel
passato o nel futuro che non si godono mai il tempo presente. Quando
si presenta “leggera” è un ottimo stimolo per essere attivi,
dinamici e fare molte cose con un certo grado di soddisfazione:
affrontare esami, e lavoro, creare rapporti nuovi e attività
sociali. Se questa condizione emotiva - a volte alleata a
volte avversaria - non viene riconosciuta e “controllata” -
forse più sottovalutata perché, seppur mascherata, è impossibile
non riconoscerla - può, anche dopo molti anni, esplodere in maniera
davvero devastante nei momenti di maggiore difficoltà e di intenso
stress. Può minare, se non curata in maniera
adeguata, la stabilità emotiva e i rapporti interpersonali, creare
problemi coniugali, relazionali e professionali … una visione
davvero catastrofica della vita. Non preoccupiamoci, comunque,
perché l’ansia si può curare, ma è molto meglio prevenirla,
attivando le metodiche terapeutiche psicosomatiche specifiche, il più
presto possibile, con un professionista della mente. Con
l’intervento giusto, il cuore impietrito dall’ansia, si libera,
si lascia andare, si calma e trova la sua serenità, si schiude:
finalmente si apre al sorriso della vita. L’ansia si esprime
attraverso eccessiva preoccupazione, insonnia, agitazione,
irritabilità, indisponibilità e sospettosità, difficoltà di
concentrazione o vuoti di memoria, distorce il pensiero, attiva in
maniera persistente dubbi ed incertezze, esagera davvero ogni cosa:
il timore di non farcela, di non arrivare, di non riuscire ad
esprimersi non ci fanno vivere bene nemmeno un attimo; paura
di non essere all’altezza e di sbagliare sempre ogni cosa è
all'ordine del giorno: DISISTIMA pura!
’ un fenomeno che
paralizza, stanca, imbarazza, disorienta, condiziona, mette in
allarme, crea scontentezza, confusione e insicurezza nel gestire il
proprio mondo affettivo e l’ambiente circostante: impedisce di
reagire, di intervenire sui bisogni fondamentali della propria vita.
Fa scegliere, il più delle volte, cose
sgradite o sbagliate: i primi a farne la spesa sono i compagni di
viaggio e il lavoro, quasi sempre non in sintonia con le proprie
capacità e aspirazioni. I dati clinici, infatti, nella scelta
del partner mettono in evidenza che chi ha questo tipo di disagio
emotivo tende ad “accompagnarsi” con uno che più o meno ha le
stesse problematiche psicologiche, proprio perché si sente più
capito e meglio protetto nel suo disagio emotivo. Una
solidarietà che non porta mai ad un legame felice, tanto meno
assicura armonia, anche se dura un’intera vita, ma si trasforma in
un calvario, in una vera e propria prigione, dipendenza dall’altro:
una enorme stampella di vetro. Il
soggetto non è più protagonista, la sua vita diventa ripetitiva,
prevedibile, scontata, tutto viene limitato e ristretto; così,
l’ansia, non ne può più e si fa sentire con trombe e tamburi
(mente – corpo), dice finalmente BASTA! A volte questo
rapporto patologico potrebbe dare l’illusione di gestire e placare
l’ansia - semplicemente perché non si vive più, non si vede più
la vita con i propri occhi lucidi e, soprattutto, essendo rimasti
troppo tempo dietro le quinte, si è stati annullati completamente -
ma sicuramente non rimuove le cause: non la guarisce, ostacola
sempre, in ogni modo, la realizzazione di se stessi. Solo chi è
libero dall’ansia può diventare libero, intraprendente, sicuro,
fiducioso verso la vita e gli altri.
FERMARE L'ANSIA … si può!
volte inizia con pianti e tremori, paura di non farcela, sempre in
balia dell’esterno, i pensieri bui che assillano non ci mollano un
attimo: la soluzione è fermarli! Ma come? Ci si trova completamente
disorientati. E' un’energia che arriva per smantellare la gabbia
dei rapporti sbagliati, più si rinuncia alla spontaneità per
assecondare e adeguarsi agli altri più la vita si spegne; viene
mantenuta in piedi un’immagine finta che crea solo insicurezza e
disistima, l’atteggiamento combattivo poi la protrae nel tempo:
diventa cronica. I
sintomi dell’ansia: sentirsi incompleti, senza pace, mai appagati,
avere la certezza che la felicità sia impossibile, essere sempre col
pensiero altrove mai nel tempo presente, girare a vuoto senza
riuscire a costruire; una
forza misteriosa e potente pronta a trasformarsi in creatività, un
deciso e secco ultimatum che vuole smantellare subito schemi mentali
inconciliabili con la vera natura, abbattere quelle abitudini che
bloccano l’energia vitale.
iente
è più familiare dell’ansia quotidiana. Tanti ne soffrono, tutti
la temono, molti la negano. Una condizione che quando si fa intensa e
minacciosa, oltre a disturbare l’armonia della vita, compromette
tutte le capacità operative. E’
sempre accompagnata da un’atmosfera “velenosa”, una serie di
malesseri sfumati, una sensazione di incertezza, di apprensione e di
profonda inquietudine.
Uno stato di equilibrio precario dovuto a una risposta esagerata
verso situazioni interpretate come pericolose per il soggetto o per i
propri cari. Un fenomeno del tutto immotivato rispetto alla reale
pericolosità dell’evento che può essere soltanto immaginato o
anticipato nella propria mente; può essere stimolante o
paralizzante, può modificare le difese attive, oppure segnalare alla
propria coscienza il sorgere di una profonda disarmonia emotiva. La
dimensione ansiosa ostacola il potere decisionale, esprime uno stato
emotivo di continua inquietudine di cui il soggetto, spesso, non
riesce a collegarla ad una specifica causa.
Si
presenta con un modo di fare incerto, un’irrequietezza generale, un
allarme prolungato, uno smarrimento di fronte a qualcosa che non si
riesce ad “afferrare” o a gestire completamente: una snervante
attesa ad un evento che, probabilmente, il più delle volte, non
prenderà mai “forma”.
L’ansioso - pieno di dubbi e contraddizioni - è in balia degli
eventi, ingigantisce in maniera ingiustificata i rischi e gli
ostacoli della vita; si sente costantemente minacciato, disorientato,
inadeguato nel gestire ed affrontare gli impegni quotidiani. Un
rimuginare incessante, un porsi continuamente delle domande oziose,
un proiettarsi in un tempo inesistente (futuro, carico di ansia!):
ecco i veri “amici” dell’ansia.
Spesso però la sua funzione è quella di mettere in guardia, di
riportare un nuovo equilibrio, raccontare un disagio con cui non si
vuole entrare in contatto: un'esistenza che procede su un binario
morto e va in una direzione estranea al soggetto. Così
facendo si ritrova ben presto imprigionato, lontano da se stesso, da
quel bel sentire che fa vivere, che fa cambiare di momento in
momento, che fa sperimentare delle emozioni, fa sentire aperti,
spontanei e naturali: rende i rapporti più veri e più autentici.

’ansia, infatti, in tutte le gradazioni in cui viene percepita, va
comunque intesa come un campanello d’allarme da non trascurare; è
una forza trasformatrice, sia quando si cronicizza, sia quando si
presenta inaspettatamente. Non
serve allarmarsi ma neanche liquidarla con la convinzione che “Tanto
prima o poi passerà” oppure come semplice fattore caratteriale: è
necessario, in ogni caso, concederle sempre le dovute attenzioni.
Nessuno è ansioso per natura, tutti sono suscettibili a sperimentare
l’ansia, ma quando questa accompagna ogni azione, anche banale, non
si tratta di un elemento innocuo della personalità, ma l’effetto
di meccanismi che coinvolgono un modo di reagire non del tutto
adeguato e vantaggioso. E’ una modalità reattiva a uno stile di
vita innaturale, a situazioni che, nel tempo, si sono dimostrate
insostenibili e poco adeguate del vivere sereno. Tale
fenomeno emerge quando ci si adegua in maniera esagerata ad uno
standard esterno fatto di convenzioni, di luoghi comuni, di “buona
educazione”.
Le norme di convivenza sono sicuramente molto importanti, nessuno lo
nega, ma quando si trasformano in una recita continua annullano il
talento, spengono completamente le idee, le energie e l’entusiasmo
nel fare le cose. Quando
si interrompe questo circolo vizioso, di
“essere
come gli altri si aspettano”
ecco,
come d’incanto, emergere improvvisamente un atteggiamento più
naturale e di buon senso.
L’ansia
colpisce soprattutto individui che conducono uno stile di vita
ordinato e troppo “a modo”, senza imprevisti e cambiamenti, colpi
di testa o bizzarrie: tendenza a rinnegare gli istinti e le vere
necessità. Soggetti caratterizzati da uno stile di vita
“eccessivamente” regolare e artefatto, ispirato a troppe norme e
principi, improntato alla ricerca della perfezione. Persone con poche
soddisfazioni ma con molte illusioni.
uò
arrivare all’improvviso, senza trombe e tamburi, annunciandosi con
un senso di irrequietezza generale, la testa annebbiata, facilità al
pianto ed insonnia. Molte
sono le situazioni scatenanti che fanno affiorare un’emotività
“sconosciuta” e una psiche “accelerata”: rapporti
interpersonali, senso di colpa, sessualità, imprevisti, prestazioni
impossibili, lavoro, routine.
La condizione ansiosa, inoltre, provoca uno stato di ipereccitabilità
di tutta quella parte del sistema nervoso centrale che non è
controllabile dalla volontà. L’ansia, in tal modo, fa andare in
tilt il corpo e la psiche determinando, a seconda della sua
intensità, i “soliti” disagi fisiologici: tachicardia,
brividi, vampate, contratture, vertigini e ronzii, turbe mestruali,
cali di vista, bocca secca, afte, ipersudorazione, formicolii alle
estremità, schiena bloccata, difficoltà digestive, cambiamenti
improvvisi di temperatura, aumento della respirazione, diarrea e
crampi allo stomaco. Quando
compare sulla scena, c’è sempre una spiegazione, pur misteriosa,
che la giustifica. In realtà, compare nei momenti di trasformazione,
quando è necessario cambiare rotta alla propria vita ma,
soprattutto, in chi vive il futuro minaccioso, in chi non riesce ad
allontanarsi dalle catene dei luoghi comuni, in chi teme i
cambiamenti e gli imprevisti. Per la personalità ansiosa, infatti,
vivere qualcosa di diverso significa mettere in crisi le proprie
certezze.
o
stato di allarme ansiogeno “strozza”, toglie il respiro, non
passa mai inosservato, viene prepotentemente preso in consegna ed
elaborato dal corpo, diventa portavoce delle emozioni ancor prima
della coscienza, un codice preciso che deve essere letto e
interpretato:
1.
Petto. Una costrizione in questa zona non solo impedisce una
normale attività respiratoria e determina un senso di soffocamento
ma va diritta al cuore, si manifesta a livello cardiaco, spesso sono
scambiati per infarto (dolore, aritmia, tachicardia, palpitazioni);
2.
Tessuto muscolare. Paralisi, rigidità e tremori sono
all’ordine del giorno. Lo stato di tensione crea un diffuso stato
di contrazione muscolare (cervicale, debolezza, formicolio, torpore);
3.
Intestino e apparato urinario. Questi apparati sono i primi
inequivocabili ricettori emotivi: nausea, gastrite, colite, urinare
spesso.


ei
ansioso, ecco le sostanze e i nutrienti “speciali” che possono
contrastare tale stato: mandorle, noccioline e spinaci, un alto
contenuto di magnesio che oltre a favorire un buon SONNO allevia
irritabilità e toglie stanchezza; Vit. Del gruppo B e D: soia,
tacchino, petto di pollo e lenticchie (ferro), cereali (zinco) e uva
e broccoli (cromo). Ricorda, ferro, zinco e cromo migliorano l’umore
e regolano le emozioni; è fondamentale, inoltre, molta frutta di
stagione per ripulire il cervello (frutti di bosco per cali di
memoria); l’assunzione, poi, di salmone fresco (omega 3) abbassa
l’ansia e ostacola la depressione … togli dal “piatto”
fritti, grassi e tutti i dolci!!!


osa
fare. Alcune
strategie, di seguito indicate, potrebbero risultare paradossali o
superficiali, magari troppo morbide per sconfiggere questo mostro che
è l’ansia. Ma se l’ansia è una grandiosa opportunità per
“svegliarsi”, ascoltare i veri desideri e guardare se stessi con
un’attenzione diversa, può diventare una preziosa compagna di
viaggio. Può essere curata se si sa come accoglierla. Non serve
usare maniere forti, bisogna con morbidezza tenerle testa,
interpretando ciò che vuol dire con la sua inquietudine: una
grande occasione per riprendere in mano la propria vita. Quando
lo stato ansioso si scatena, il sistema nervoso centrale richiede una
compensazione biochimica immediata, ovvero una alimentazione
adeguata: i
cibi giusti possono controllare lo stato ansioso e ridurre la crisi.
Con un buon rilassamento, inoltre, il batticuore ritrova piano piano
il suo ritmo giusto. Un auto massaggio psicosomatico ben fatto può
eliminare tensioni, contratture, nervosismo e insonnia. Il “soffio
della vita”, cioè un volume polmonare adeguato, può tenere sotto
controllo i cambiamenti fisiologici prodotti dall’ansia.
Il TEDIO della vita.
’ansia
è una condizione interiore di allarme, tensione, incertezza,
irrequietezza, paura che si può esprimere attraverso il panico,
tachicardia e tremore diffuso. E’ uno stato emotivo caratterizzato
dal timore, reale o immaginario, per un evento futuro, interpretato
come spiacevole o pericoloso: apprensione che qualcosa di inquietante
o di avverso stia per accadere. Di
solito il soggetto esibisce un’espressione timida e rinunciataria,
un atteggiamento completamente privo di speranza, una gestualità, a
dir poco, goffa e impacciata.
Improvvisamente
è preso da inquietudine, si trova in balia di una mente confusa e
sotto la tirannia dell’insonnia. Assale a tradimento e si agita
all’interno del corpo e della mente. Un eccitazione esagerata in
cui l’individuo si adatta più lentamente agli eventi della vita.
Si diventa particolarmente introversi e sempre orientati a
prefigurare il peggio: tutto diventa negativo e catastrofico.
Nel quadro clinico ansiogeno troviamo la compresenza di sintomi
psichici e fisici. E’ uno stato d’animo connaturale, molto comune
e familiare alla maggior parte degli esseri umani. Può presentarsi
con intensità diverse, da un momentaneo lieve disagio ad una paura
intensa di minaccia incombente. Spesso tutto ciò produce molto
disagio, degenera in un meccanismo incontrollabile, porta confusione
ai pensieri e può trasformarsi in una angusta prigione emotiva. Può
essere, a seconda delle situazioni, stimolante o paralizzante, può
modificare le difese attive o invece segnalare il sorgere di un
profondo disordine psichico.
’ansia, quella normale, è considerata una reazione dell’organismo
che si prepara a fronteggiare, attraverso una produzione adeguata di
sostanze chimiche presenti nel sistema nervoso (adrenalina e
cortisolo: ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali), un problema o
un pericolo (evento reale). Quella
patologica, invece, è uno stato di tensione che perdura nel tempo
anche quando la situazione problematica non è più presente: ha un
effetto limitante
sulle capacità intellettive e comportamentali.
In questa situazione specifica l’unica cosa che si desidera è
sfuggire al pericolo che incombe. A volte inizia in modo graduale con
un po' di tensione, strano nervosismo, eccessiva preoccupazione per
se stessi e gli altri, improvvisi e ingiustificati pianti: si è in
balia al senso di impotenza e di agitazione diffusa. La
classificazione del malessere ansiogeno viene effettuato attraverso
la natura dei sintomi e, soprattutto, la presenza o meno di una causa
scatenante. Nella
diagnosi risulta fondamentale distinguere l’attacco d’ansia
improvviso e devastante (attacco di panico), dall’ansia scaturita
da uno specifico oggetto o da una precisa situazione (fobia), dallo
stato d’ansia intenso, diffuso e continuativo (ansia
generalizzata). Un segnale inequivocabile dell’ansia è il famoso
“nodo alla gola”. Questo sintomo si manifesta attraverso la
raccapricciante sensazione fisica di soffocamento (contrazione,
secchezza, difficoltà di deglutizione).
’è sempre una stretta relazione tra stato d’animo e condizione
fisiologica (patologie dell’apparato gastroenterico, dell’apparato
respiratorio, dell’apparato cardiocircolatorio). I valori pressori,
la funzione respiratoria, il battito cardiaco, la temperatura della
pelle sono tutti fenomeni influenzati dallo stato mentale. I
sintomi fisici più evidenti quando il soggetto è preso da un
attacco d’ansia sono: palpitazioni, dolore pulsante o trafittivo,
sensazione di costrizione e difficoltà di respirare, spasmi ai
muscoli del collo, mal di schiena, sudorazione, stordimento,
gonfiori, nausea. Se ci si concentra un attimo su alcune esperienze
della vita si scopre che non sono poi rari questi segnali fisiologici
correlati con il nervosismo, come ad esempio i crampi allo stomaco
prima di una prova importante oppure di un incontro galante (bruciore
di stomaco, scariche diarroiche).
ICORDA,
la rigidità mentale, i pregiudizi popolari, un ordine cerebrale
ossessivo, un adeguarsi eccessivamente agli altri, un ruolo fisso
esasperato, sono tutte modalità reattive che costringono a recitare
una parte, ad assumersi inutili sacrifici, a relegare in un piccolo
angolo gli aspetti più gioiosi della vita (passione, gioia, amore),
sono come dei boomerang, sono copioni che sul momento possano
rassicurare ma primo o poi tornano indietro con tutti gli interessi,
con disagi invalidanti - che inquinando il cervello, appiattiscono la
vita, tengono al palo e fanno ammalare - come il panico, la
depressione, la colite, la gastrite, la cefalea e l’ulcera.
Il
malessere dimora sempre ai "PIANI ALTI".

dee
fisse, pregiudizi e pensieri contorti sono tutte strategie che
ingabbiano la mente perché - non tenendola occupata - rischia di
perdersi; senza questi “tarli” mentali si è costretti a
confrontarsi con la realtà, con ciò che si ha a che fare veramente:
solitudine, passione, sentimenti; rimuginare sulle cose passate non
serve a nulla: si consumano e si sprecano tante energie in più che
potrebbero essere utili con maggior profitto nel presente, in
attività reali e concrete; una mente intossicata completamente da
cose “perbene” e da idee eccessivamente perfette; i pensieri
ingombranti, pertanto, costringono a guardare nel profondo, per
cambiare il modo di pensare, per tirar fuori la parte più autentica
di se stessi, più naturale, più istintiva: vogliono essere
ascoltati! Ricorda, i pensieri ostili e maligni sono l’altra parte
del profondo: quella affettuosa e vitale!!!

’accumulo
di tensione, ben noto a tutti, può portare a conseguenze negative
sia a livello fisico sia a livello psicologico. Esiste sempre una
stretta correlazione fra salute, atteggiamenti mentali, modi di fare
e stili di vita. Quando ogni azione, anche la più banale, diventa
difficile, viene accompagnata da continui sacrifici e sforzi,
significa che l’entusiasmo nel fare le cose si è spento; la
“chimica” cerebrale entra in uno stato confusionale e, per quanto
ci si impegni, non riesce a reintegrare le forze perdute. Alzarsi
ogni mattina è uno sforzo incredibile, un’impresa titanica, si è
in balia degli eventi, dell’inquietudine, dell’insoddisfazione e
dei pensieri tortuosi: la massa cerebrale va in apnea e fuori
controllo.
Sembra
di vivere in un mondo fatto di finzione, completamente estraneo, si
perde la vera autenticità: ogni aspetto vitale viene rimosso.
L’essere spenti diventa un’abitudine, la stanchezza assale prima
di iniziare ogni cosa, la giornata si affronta con fatica, diventa un
incubo: manca quel “frizzo”, quel “brivido” che riaccendeva -
in tempi migliori - il fuoco dell’entusiasmo;
tutto diventa artificiale e infelice … la “calma piatta”
soffoca passioni e desideri, affonda lentamente la vita. Anche mente
e corpo ne risentono, non c’è che l’imbarazzo della scelta, si
va dall’insonnia ai dolori alla testa e alla schiena, al mal di
stomaco fino allo scatenarsi dell’agitazione, dell’aggressività,
della depressione.
iù
si rimane in questa condizione psicosomatica più si producono
effetti negativi a livello sociale, comunicativo e lavorativo: uno
stato che fa davvero male alla salute. Cala la vitalità,
l’attenzione diventa ballerina, la concentrazione e l’efficienza
svaniscono completamente, aumentano le probabilità di errori ed
incidenti, si incrinano i rapporti con amici, colleghi e clienti.
Gli “sforzi”, inoltre, determinano, nell’unità psicosomatica,
un accumulo di energia, che se compressa, non eliminata, aggredisce
l’organismo nei punti più deboli; l’ansia si concentra in un
punto preciso segnalando che qualcosa non va per il verso giusto. Per
Mario
sarà
quel caratteristico e inconfondibile nodo alla gola: affiorano
così le parole mai dette, tutte quelle cose trattenute si affollano
in quella interminabile “strettoia” fino a strangolarlo. Sembra
la fine, l’aria fa fatica a passare, si cerca la porta più vicina,
una via d’uscita, uno spazio aperto, la finestra per una boccata
d’aria, la comunicazione si interrompe, le idee inciampano e gli
argomenti zoppicano. Le
parole si inceppano, tutte quelle cose che per mancanza di coraggio
non sono mai uscite dalla bocca, sempre trattenute e represse,
rimangono come d’incanto concentrate lì, in quel punto. Ma ecco,
che in situazioni simili, nei rapporti con genitori, figli, partner e
superiori, come al solito il copione si ripete, quella strana
abitudine di trattenersi si ripresenta, il fatto di non potersi
esprimere liberamente genera contrazioni … in quella cavità così
“stretta” la fonazione diventa sempre più confusa, va e viene.
Mario non può fuggire: si sente “preso” veramente proprio per il
collo”!
rnesto,
invece,
oltre a chiedere troppo a se stesso, sempre all’erta e super
preciso, impegnato a dimostrare in ogni momento della giornata di
essere in gamba, convinto anche di non essere in grado di gestire,
integrare e assimilare i cambiamenti repentini, non riesce proprio a
mandare giù i “bocconi” amari, a “digerire” tutte le cose
con cui quotidianamente viene in contatto. Vorrebbe gridare, far
esplodere la sua rabbia, ma preso dalla paura costringe il suo
“laboratorio” ad un super lavoro, ad un continuo “ruminare”
su cose che non soddisfano: lo stomaco entra in tensione …
controllato da una potente morsa autodistruttiva va a fuoco!!!
aola,
con
la sua pancia gonfia - sempre sulla difensiva, pronta a isolarsi, a
razionalizzare o a giudicare gli altri - vive il proprio ambiente
come invasivo o particolarmente ostile: la paura di cambiare la
“blocca” e la disarma. Ha chiuso per questo, da tempo, la sua
disponibilità emotiva col mondo: un “trattenersi” mascherato di
socievolezza forzata. Non riesce più a “scaricare”, perché è
legata troppo al passato (depressione), a un modo di vivere non più
vantaggioso, vincolata alle vecchie convinzioni e credenze … non
lascia andare nulla. Questa incapacità di prendere le dovute
distanze dalle situazione stantie, stimola eccessive preoccupazioni,
gelosia, pensieri bui e terrore di essere umiliata. E’ necessario
ritrovare il gusto di vivere, il piacere di lasciarsi andare, aprirsi
e comunicare … spontaneamente però!!! In realtà, il cosiddetto
“intestino pigro, sedentario” necessita di una autonomia diversa,
una mentalità larga … urla incessantemente “largo al nuovo”!
Ma ecco che, improvvisamente, si alterna un’altra dittatura: la
colite. Paola si alza al mattino dominata dalla paura
dell’insuccesso, frastornata da spaventose responsabilità,
terrorizzata di essere giudicata negativamente durante gli impegni
quotidiani. Ha bisogno di affetto e tanto, tanto calore, ma per
averlo è convinta che prima deve “purificarsi”… così, di
corsa, deve “liberarsi” da questo senso di oppressione, dai
desideri di vendetta, dai sentimenti che covano in profondità, nelle
“parti basse”: rancore, rabbia, invidia.
on
dimentichiamo Carlo
che,
con il suo cuore al galoppo, teme l’infarto da un momento
all’altro. Una sensazione che, a suo dire, toglie letteralmente il
fiato e rallenta in modo preoccupante il suo iperattivismo. Sempre di
corsa, mai fermo, la sua vita è completamente sommersa da un ritmo
frenetico e stressante. Sa fare più cose contemporaneamente ma non
ha mai tempo per se stesso, non riesce proprio a vivere un ritmo
lento. Il mondo affettivo, per lui, è davvero un optional:
preferisce incanalare la propria energia sull’azione, sull’attività
fisica convulsa. L’emozione, però, si fa sentire, il battito
raggiunge la gola come se volesse dar voce ai sentimenti nascosti e
trattenuti … come
se chiedesse davvero più “cuore”!!!
apevate
che il cibo, da sempre, con i suoi nutrienti assunti in maniera
scorretta, può essere responsabile degli improvvisi attacchi d’ansia
e sbalzi dell’umore, mentre può risolvere problemi di memoria e
concentrazione quando si assumono in maniera appropriata sali
minerali e vitamine; in breve, in certe condizioni fisiologiche, può
decidere sull’equilibrio emotivo: può aumentarlo, contrastarlo,
placarlo, equilibrarlo, neutralizzarlo o scatenarlo. I cibi per il
benessere mentale sono: frutta e verdura fresca di stagione, legumi,
cereali integrali, pesce.
I
nemici che OSCURANO la mente.

“brutti pensieri” quando appaiono sulla scena inaspettatamente,
oltre all’interminabile tormento mentale, sono terribili e creano
davvero sgomento. E’ un’esperienza
fastidiosa che occupa tutto lo spazio mentale: più i “cattivi
pensieri” sono brutti, distruttivi, cupi, sporchi, tanto più si
sente la necessità di occuparsene perché trasformano la vita in un
vero calvario. Gli indesiderabili della mente sono sempre lì,
pronti ad offuscare, dominare e travolgere l’esistenza. Ogni
individuo, volente o nolente, chi più chi meno, ha la sua dose
quotidiana di pensieri “cattivi” relativi a gelosia, invidia,
rancori, segreti, insicurezza cronica, paura che possa capitare
qualcosa di grave, senso di fallimento e di incapacità, desideri di
trasgressioni o perversioni, tradimento, impulsi aggressivi e soldi.
Quelli più frequenti e pervasivi, sono capaci di rovinare
completamente l’umore, la giornata e i vari progetti personali.
All’improvviso si desidera compiere atti per i quali solitamente
manca la forza d’animo o il coraggio (sociali, giuridici,
sessuali). Sono fantasie che difficilmente si rendono note alle
persone che stanno accanto (appaiono però sul viso).
ono “veleni” di cui ci si vergogna e si ha paura, semplicemente
perché viene smantellata di colpo quell’immagine, quella facciata,
quella considerazione lusinghiera di se stessi che si cerca di
“propinare” costantemente agli altri. Li
produce la mente, il soggetto stesso: sono quei pensieri terribili in
cui ci si sorprende diversi da quello che si pensava. Spesso è un
fenomeno che paralizza e non risparmia nessuno, ed è più facile che
emerga per rabbia, frustrazione, aggressività repressa, ingiustizia
subita. I pensieri neri fanno la loro comparsa nei momenti di
debolezza psicofisica, nei periodi di crisi, quando si devono
affrontare cambiamenti improvvisi e, soprattutto, durante le
inevitabili tragedie personali. I pensieri indicibili ed
impensabili possono riguardare il soggetto o la sua moralità che, a
dire il vero, non sono “cattivi” nella sostanza ma è il giudizio
di valore della persona stessa a renderli ignobili e inaccettabili.
Il soggetto, quindi, vive costantemente in attesa delle conseguenze,
considerate inevitabili, secondo quella costruzione mentale
momentanea che, nel tempo, ha assunto un aspetto realistico. Il
terrore di poter realizzare “certe cose” crea angoscia, ansia,
paure incontrollate e, soprattutto, giudizi autolesionisti che
rendono il palcoscenico della vita ancor più deprimente. Non si
tratta comunque di anatemi autentici, tanto meno di premonizioni, ma
la loro comparsa in scena disturba e crea non pochi problemi perché
ci si etichetta come potenziale mostro: cresce la convinzione che
tutto abbia un fondamento di realtà e che possano d’incanto
avverarsi le cose temute. Da qui a
considerarsi completamente sbagliato il passo è veramente breve: il
soggetto si sente in colpa, incompleto e pieno di debolezze.
L’esperienza, poi, diventa veramente problematica quando si
affacciano pensieri che non si è in grado di controllare e,
soprattutto, percepire in modo non conforme ai propri principi
morali. I pensieri consueti, quelli che passano nella mente, non sono
altro che costrutti momentanei, determinati da condizionamenti o
suggestioni episodiche. Molti individui sono convinti che se i
pensieri cattivi non sono tradotti in azioni, non sono nocivi.
Questo, però, è molto lontano dall’essere vero. I processi
mentali, essendo sempre carichi di energia causano, inevitabilmente,
vere e proprie alterazioni a livello fisiologico.
pensieri, infatti, che non si vogliono formulare, repressi, rifiutati
e, soprattutto, temuti si esprimono, a seconda del loro contenuto, in
un altro modo: possono diventare, alterando le cellule nervose,
malattie. In realtà, per farsi sentire
usano diversi organi: l’intestino, attraverso la colite, elimina la
rabbia, un groviglio di pensieri esplode in cefalea, la schiena,
contraendo i muscoli dorsali e lombari, si blocca per contrastare
eventualmente l’azione ipotizzata dai vari pensieri. Non
bisogna mai dimenticare che il pensiero, oltre ad essere di supporto
all’azione, è la sostanza stessa dell’attività psichica, la
principale forma di attività intellettuale; possiede un significato
per il soggetto impegnato nell’esistenza. I pensieri si formano a
seguito di un continuo scambio di informazioni chimico – elettriche
fra cellule nervose, in relazione sempre agli stimoli esterni ed
interni. Tutto ciò che è vissuto, sentito, compreso forma il
pensiero: immaginazione, sentimento, conoscenza, giudizio,
intenzione, tutto quello che si tiene di più. Qualunque sia il suo
livello, il pensiero rappresenta un successo o un fallimento nella
comunicazione.


osa
fare. Quando si è
completamente stravolti dall’ondata di pensieri e dalle fantasie
considerate inaccettabili, il mondo emozionale prende il sopravvento.
Lo scopo principale dell’intervento è proprio quello di far
“volare” altrove i pensieri automatici: ridurli e renderli meno
dannosi per l’unità psicosomatica. Le metodiche terapeutiche
attivate puntano l’attenzione a ristrutturare il processo mentale
(scardinare quel loop) e insegnano a gestire la paura scatenata da
sintomi specifici. L’addestramento al rilassamento, in ogni caso, è
fondamentale per controllare lo stato fisico e mentale. Con la
pratica e la continuità è possibile padroneggiare in maniera più
sana la paura e i pensieri negativi. In realtà, il trattamento
purtroppo, non sempre facile da realizzare, sarà rivolto a mettere a
fuoco tutti i pensieri devastanti in modo tale da gestirli e, quindi,
restare lucidi, trasformando l’energia “mostruosa” in un
qualcosa di più costruttivo. Ricorda, i vampiri della mente
sottraggono sempre energia!. L’efficacia,
comunque, dell’intervento dipende sempre dall’attenzione e dalla
“convinzione” con cui si mettono in atto le varie strategie
terapeutiche proposte.
l
primo segnale inequivocabile dello stress - oltre ad abbassare le
difese immunitarie - è l’aggressività inespressa e l’umore
nero, lì pronti ad esplodere da un momento all’altro, una grande
energia accumulata e trattenuta, continuamente sotto pressione,
gelosi, paurosi, nostalgici, insicuri, soli, avviliti e preoccupati,
atteggiamenti che creano stanchezza e fanno ammalare il corpo di
gastrite, cefalea, ipertensione, insonnia.
Fobia.

a
caratteristica principale di questo stato d'animo è una paura
immotivata, inappropriata, irrazionale e persistente, legata ad un
forte desiderio di evitare una situazione, un oggetto o un incontro:
una
rappresentazione distorta e ripugnante della realtà.
Non sono comunque gli eventi esterni che causano un profondo disagio,
ma quello che il soggetto pensa di questi eventi, come li valuta e li
considera; una anticipazione delle cose in cui si teme di non
riuscire a gestire o fronteggiare. L'esposizione allo stimolo fobico
- pur sapendo che non è reale - invariabilmente provoca una risposta
ansiosa immediata che può prendere la forma di un attacco di panico.
La paura e l'evitamento di oggetti, non deve mai essere ignorata
perché tali reazioni paralizzano, ostacolano l'autonomia e la
libertà, interferiscono in modo significativo con la vita lavorativa
e sociale del soggetto fobico. Essendo un fenomeno soggettivo,
qualsiasi luogo o oggetto può presentarsi in maniera originale e,
quindi, scatenare una reazione fobica, a volte, davvero, singolare
per le persone che ruotano attorno al fobico. Molte
sono le fobie e alcune sono davvero curiose: agorafobia (paura per la
piazza, dei luoghi affollati, di prendere i mezzi pubblici, di
allontanarsi da casa), claustrofobia (paura di non aver più aria, di
restare intrappolati in un luogo chiuso), aerofobia (paura per
l'aria), cinofobia (paura per i cani), acrofobia (per l'altezza),
aracnofobia (paura dei ragni) osmofobia (per gi odori) ofidiofobia
(per i serpenti), emetofobia (per il vomito), paura sociale (paura
limitata a
situazioni
sociali: parlare in pubblico, della gente, trovarsi in situazioni
potenzialmente umilianti) …
rupofobia: paura della sporcizia … spinge, costringe, mette
all’angolo, non è possibile fermarsi, astenersi dal lucidare… la
persona tiene ossessivamente ogni cosa sotto controllo, in ordine,
pulisce e lucida fino a “consumare” gli oggetti… un gesto che
tenta contemporaneamente di eliminare un “qualcosa” di se stessi
che si rifiuta, non si accetta, non piace ma di cui è impossibile
separarsi.
Fobie …
quelle strane paure.

e
fobie sono paure irrazionali, intense, inappropriate, fuori
dall’ordinario, senza motivo apparente. E’ un fenomeno
persistente, vale a dire la persona ne soffre in modo ripetitivo.
Appare simile al sentimento di paura, come stato d’animo, perché
la fobia insorge di fronte a una situazione vissuta come pericolosa,
a un avvenimento spiacevole, un qualcosa che a dir poco ripugna: ma
si tratta in ogni caso di una rappresentazione oggettivamente
travisata e distorta della realtà (solo pensata, ipotizzata).
I disturbi fobici sono causati
da immagini, fantasie o rappresentazioni mentali interne, che invece
vengono percepite erroneamente dal soggetto come provenienti
dall’esterno e quindi sperimentate come un pericolo concreto e
reale. In
realtà non sono gli eventi esterni a scatenare una reazione fobica,
ma quello che si pensa di essi, in particolar modo le valutazioni che
si fanno circa la capacità di saperli gestire e fronteggiare. Quando
la reazione è sproporzionata alla situazione temuta, al pericolo
effettivo, provocando uno stato d’angoscia paralizzante,
invalidante e comportamenti che interferiscono significativamente con
le più elementari attività quotidiane, ci troviamo di fronte ad una
fobia di rilievo clinico. Il soggetto sa perfettamente, ha la
consapevolezza che la sua non è una paura reale, ma patologica …
solo che non riesce a controllarla! Solitamente il soggetto fobico
cerca di evitare le situazioni che la scatenano ricorrendo a vere e
proprie strategie di fuga. Tutti questi evitamenti, oltre ad essere
una notevole perdita di tempo, una grande dispersione energetica e
limitare completamente il soggetto, sono indubbiamente la fonte di un
marcato disagio e una continua sofferenza.

l fenomeno fobico si
accompagna a un senso di smarrimento, di assoluta impotenza, con
reazioni neurovegetative tipiche dello stress: tremori,
astenia, nausea, tachicardia, sbalzi pressori, senso di svenimento,
iperidrosi, difficoltà di respirazione, pallore, fame d’aria,
tosse nervosa, vomito, tremori, sonno agitato, incubi. In
tale quadro clinico le capacità di rendimento diminuiscono in
maniera significativa in vari settori (lavorativo, scolastico,
sociale), vi è una marcata tendenza all’affaticamento, poca
capacità di concentrazione e di memoria. Anche se molti fobici
riescono o meglio si sforzano a mantenere uno stile di vita in modo
più o meno normale, con il passare del tempo rischiano di
cronicizzare e peggiorare tale fenomeno: i
sintomi tendono ad aggravarsi e possono aumentare significativamente
i tratti depressivi o altri disturbi emotivi più complessi.
Ci sono alcune fobie che sono veramente un supplizio, una tortura e
spingono il soggetto ad isolarsi sempre più favorendo, nel contempo,
tratti decisamente depressivi. La fobia sociale, ad esempio, è una
paura persistente di situazioni nelle quali il soggetto è esposto ad
un ipotetico giudizio degli altri e, di conseguenza, ha timore di
poter fare qualcosa o magari agire in modo tale da poter essere
ridicolizzato o umiliato. Questa
condizione emotiva può essere circoscritta, come la paura di non
essere capace di continuare a parlare mentre si parla davanti ad una
platea, di soffocarsi con il cibo mentre si parla di fronte agli
altri (questo avviene solo con interlocutori particolari), di avere
incontrollabili tremori alla mano mentre si scrive in presenza di
altri o il timore di arrossire in pubblico.


osa
fare.
Il primo passo nel trattamento delle fobie, oltre a spiegare e
rendere chiari i meccanismi neurofisiologici, è focalizzato sul
ridimensionamento della visione catastrofica della vita presente in
questi soggetti. Quando una persona comprende la natura del proprio
problema (psicologico, psicosomatico, neurofisiologico) può fare
molto per risolverlo. Il
lavoro fondamentale è infatti quello di far riflettere sul modo in
cui il fobico pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri così
che possa individuare e perseguire nuove possibilità, conquistare,
se lo desidera, una consapevolezza diversa circa le modalità
reattive e acquisire nuove capacità di reazione agli eventi.
Alcune
metodiche terapeutiche come tecniche di respirazione e di
rilassamento rivolte a ripristinare, in maniera ottimale, alcune
funzioni fisiologiche, si sono dimostrate particolarmente utili e, in
alcuni casi, risolutive.
Attraverso tali strategie è possibile migliorare la propria
autostima, che consente di limitare profondamente questi
atteggiamenti di impotenza e, molto spesso, di disperazione che
caratterizzano il malessere fobico. Uno stato d'animo con disturbi
fisici paralizzanti e terrificanti: tachicardia,
sudorazioni, nausea sudorazioni, senso di svenimento, stanchezza
improvvisa.
Alcune
riflessioni su come stare meglio.

a
prima cosa da fare, quando si soffre di un particolare disagio
emotivo, è quella di cercare di assumere il controllo della
situazione, anziché subirla: sedersi al posto di “guida” e
decidere dove si vuole andare. Sapere
equivale avere potere, diceva quel famoso saggio; cercare sempre di
documentarsi, informarsi e di imparare il più possibile sul proprio
disagio. Riconoscere e
trattare i problemi emotivi al loro esordio, prima che possano
diventare uno stile di vita e un proprio modo di pensare, comporta
vantaggi notevoli … è molto più facile domare le fiamme prima che
il fuoco diventi un incendio!!! Molti problemi emotivi rispondono in
maniera più veloce e completa se il programma terapeutico è
intrapreso nelle fasi iniziali del decorso, prima che i sintomi siano
diventati per il soggetto, e per il suo cervello, un modus vivendi.
Una terapia tempestiva riduce anche il rischio di successive ricadute
e migliora nel complesso la qualità di vita del soggetto. Decidere
di differire una richiesta di aiuto può essere una tentazione, ma il
più delle volte è una cattiva IDEA, a meno che la sintomatologia
non sia leggera, legata a una condizione transitoria e, soprattutto,
di breve durata. L’impegno
per cercare di rimanere aggiornati dev’essere costante e in forma
continuativa. E’ sempre buona cosa cercare di conoscersi meglio.
Gli individui, spesso, sono dotati di un grande spirito di
osservazione per quanto riguarda tutto ciò che li circonda eccetto,
ovviamente, se stessi. Una buona conoscenza di se stessi è un
fattore indispensabile per cercare di migliorarsi, e succede
facilmente di trovarsi davanti a ampie, complesse zone oscure quando
si guarda l’unico oggetto che non si riesce mai a distinguere
chiaramente: se stessi.
isogna cercare con calma di imparare di più
sui propri comportamenti caratteristici, su quello che piace o non
piace, sui punti di forza, le debolezze, le inclinazioni, le
attitudini, i pregiudizi e le varie paure; per
completare e rendere più vantaggioso questo quadro introspettivo può
essere d’aiuto verificarlo con una persona affidabile con cui si è
in profonda sintonia (che non critichi e non esprima mai giudizi di
valore). Un altro aspetto
importante è essere seguiti da un professionista capace e
competente, in grado di capire i problemi e a porli nella giusta
prospettiva. Se
questo rapporto iniziale non soddisfa le proprie aspettative è
giusto sceglierne un ALTRO.
Questo non significa che il professionista sia incapace o sia un
ciarlatano, ma può essere che non abbia quel “carisma” e
quell’esperienza nel trattare quel problema clinico specifico a lui
sottoposto. Nessuno è in grado di garantire che le varie strategie
terapeutiche funzionino. La buona riuscita dipende sempre dalla
natura del problema, dalla cronicità, dalle terapie scelte, dalle
capacità dello specialista e, soprattutto, dall'impegno assunto dal
soggetto che chiede aiuto. Se un individuo si avvicina alla terapia
con la convinzione che nessuno possa realmente aiutarlo o magari che
tutto gli sia dovuto oppure che tutti i professionisti siano
“pizzicagnoli”, la guarigione è tutt’altro che certa. Non
si tratta di far prevalere la suggestione ma semplicemente stimolare
l’individuo, attraverso la realizzazione di metodiche terapeutiche,
ad impegnarsi e partecipare attivamente al processo di guarigione
sempre con un senso critico genuino e non con un sentimento
oppositivo del tutto ingiustificato e pregiudiziale, magari per
esperienze negative passate: ogni intervento è sempre unico! Occorre che
s’instauri, fra specialista e paziente, una collaborazione di tipo
creativo, basata sulla solidarietà, ma anche sull’accettazione di
un impegno a comprendere in profondità e poi a correggere le
compensazioni artificiose e controproducenti, costruendo in tal modo
un nuovo “stile di vita”.
hi ha sofferto per anni in silenzio,
attraverso il percorso collaborativo e lavorando seriamente, può
scoprire dentro di sé potenzialità e capacità che non avrebbe mai
sospettato di possedere.
Attraverso questo cammino, responsabile e creativo, che porterà alla
guarigione, questi soggetti possono imparare a vivere e a
relazionarsi in maniera più gratificante, ritrovare l’autostima,
la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi, scoprire che
hanno delle grandi potenzialità e, soprattutto, le risorse per
prendere le decisioni giuste. Anche se c’è la tendenza a guardare
con sospetto o addirittura con insufficienza chi soffre di un disagio
emotivo, è bene sottolineare che non è un “lebbroso”, tanto
meno un debole o un incapace, semplicemente non affronta i suoi
problemi in maniera corretta e vantaggiosa: non si è mai
responsabili della malattia ma del proprio comportamento.
L’intervento terapeutico è rivolto a cambiare il modo in cui un
individuo sente, pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri
così che possa scoprire e perseguire nuovi obiettivi, conquistare
una consapevolezza diversa riguardo al comportamento e acquisire
nuove capacità reattive agli eventi. Ricorda,
un pensiero
incessante, continuo altro non fa che sprecare inutilmente tutte le
energie, soffocare, indebolire e condizionare l’organismo
“indirizzandolo” su un futuro incerto, verso tutto ciò che
spaventa e che lo terrorizza … fa paura.
ATTENZIONE PERICOLO

utti,
chi più chi meno, grandi o piccini, hanno o avuto delle strane
paure, si sentono disorientati, paralizzati, inibiti e spaventati di
fronte ad esse, senza un motivo apparente perché, in realtà, sono
innocue e irrazionali: volare, luoghi, gatto
nero, strade, gallerie, ponti, venerdì tredici, buio, estranei,
novità, sorprese, animali, situazioni sociali, oggetti appuntiti,
coltelli, malattie … di essere ingannati, rifiutati, abbandonati,
lasciati soli. Le più frequenti sono la
paura degli spazi aperti (agorafobia) o degli ambienti chiusi
(claustrofobia). Come la maggior parte dei problemi emotivi,
di solito, questo fenomeno ha le sue origini nell’infanzia.
Troviamo, spesso, in questo quadro clinico, storie drammatiche ed
esperienze comuni disastrose che predispongono il bambino ad un
continuo senso di pericolo e ad un allarmismo psicosomatico
permanente: violenze, maltrattamenti, insensate
disapprovazioni e punizioni, ingiustificati odi e rancori, eccessive
frustrazioni e assurdi ricatti. Grandi incomprensioni e deprivazioni
incrinano la propria immagine e la stima di se stessi, minano sempre
le fondamenta emotive e la salute futura di qualsiasi essere umano in
fase evolutiva. Attenzione, considerazione e rispetto sono
tutti ingredienti indispensabile per una crescita armoniosa e serena.
Le fobie, costituiscono una delle nevrosi d’ansia tra le più
invalidanti e diffuse di questo periodo storico: un’emozione a dir
poco schiacciante, spiacevole e dolorosa. Un fenomeno intollerabile
che, attraverso le sue manifestazioni reattive spesso estreme,
assorbe pian piano tutta la personalità del soggetto, impedendogli
di comportarsi normalmente, autonomamente e liberamente nel
quotidiano e nei vari rapporti sociali. Sviluppa - pur riconoscendo i
propri sentimenti eccessivi e irragionevoli - una sofferenza e un
terrore talmente acuto da mettere in atto comportamenti fantasiosi e
bizzarri per “evitare” ogni situazione ansiogena che incontra …
vissuta sempre in maniera terrificante. E’ un
genere di comportamento protettivo che impedisce al soggetto di avere
qualche contatto con ciò che lo spaventa. Un vivere dominato da un
forte senso di impotenza e pessimismo, tante paure, disapprovazioni,
sconforto, frustrazioni e pene … ma con poche soddisfazioni.
a felicità, lo sappiamo da tempo, è un potente antidoto contro la
fobia in generale. La soddisfazione e i piaceri
della vita aumentano la stima di se stessi e rendono abili nel
gestire e trattare con una certa passione la vita. La fobia è spesso
accompagnata da inibizione sessuale (frigidità, impotenza), da un
esagerato atteggiamento di difesa e, qualche volta, da autoritarismo.
Si presenta con diversi livelli di difficoltà e gravità: domina una
sensazione permanente di tormento, disagio e sofferenza quando si è
soli (lieve) oppure con comportamenti di evitamento continui
limitando il più possibile i contatti sociali fino ad isolarsi
completamente dal mondo (grave). Non tutti, purtroppo, con
questo tipo di “riservatezza” e insolita “dipendenza”, che
nel tempo può rivelarsi umiliante e pericoloso, riescono a mantenere
uno stile di vita normale e sereno. Con il
passare del tempo, il fobico - richiudendosi sempre più nel suo
sconforto, nella sua disistima, nei suoi piccoli e limitati spazi
esistenziali - si trova letteralmente isolato, insoddisfatto, solo e
terrorizzato da una sensazione costante di attesa, timore, frenesia e
continua allerta … soffre silenziosamente, raggirando in maniera
confusa e con un eccessivo consumo di energia, ogni ostacolo
considerato pericoloso per il proprio equilibrio emotivo.
L’incapacità di lottare contro queste ombre, questi mostri
inesistenti produce ansietà, la quale a sua volta fa peggiorare e
aumentare l’incapacità di agire, indebolisce il sentimento di
autosufficienza: resta fermo, immobile,
bloccato con il suo terrore. Questa sofferenza psicosomatica,
proprio per la sua frequenza e durata nel tempo, viene interpreta non
solo come una potente minaccia al suo benessere, ma aggrava
ulteriormente la dimensione fobica attraverso un incalzante ed
invalidante stato depressivo: scintille che infiammano ulteriormente
le scarse risorse energetiche rimaste, i pochi e scarni rapporti
interpersonali.
SMETTIAMOLA DI LITIGARE ... con il corpo

pensieri bui arrivano - brutti e negativi - quando siamo in crisi:
iniziano a girare nella mente creando un vero e proprio ingorgo
mentale; ci spaventano e non riuscendo a liberarcene annullano e
spengono ogni cosa. Si pensa sempre che tutto andrà male. Se si
ripulisce, invece, il cervello dai pensieri tossici - che fanno solo
sfinire e girare a vuoto - si ritrova in tempo reale energia ed
entusiasmo: si rilancia la vita; le giornate, diversamente, si
susseguono banalmente correndo dietro a compiti impossibili, a
cercare di essere sempre impeccabili se non perfetti, a voler
cambiare le cose e la testa degli altri e correggere il passato che
in qualche modo ha ferito; un modo di pensare che non solo confonde
la mente ma può complicare completamente vita e salute: può essere
decisivo per il vero benessere psicofisico. Ci si chiede ma perché
proprio a me? … sono sempre atteggiamenti che confondono e fanno
avvitare su se stessi. Sono tutto sbagliato! ... giudizi di valore
che schiacciano inutilmente, convinzioni rigide che creano sensi
unici mentali, restare poi ancorati al passato consuma troppa energia
inutilmente perché ci si aggrappa a qualcosa che non c’è più e
quindi immodificabile: sono tutti atteggiamenti che limitano e
bloccano le vere opportunità; i
brutti pensieri invadono la mente come grosse nubi nere, rendono la
vita davvero impossibile: una visione della realtà distorta e cupa,
una miriade di pensieri “abusivi” orribili, fantasie ossessive
che spaventano, disorientano e parlano continuamente dentro di noi
“Non c’è la farò mai, Impazzirò, Mi ucciderò, Farò queste
brutte cose, voci insistenti di malattie, morte e violenza, ci si
vede a far del male, gelosie continue e immotivate dominano
l'esistenza”;
una mente che sfugge completamente al controllo, ha preso il
sopravvento e si sta attorcigliando su se stessa; si cercano
giustificazioni che innescano ulteriori “autoaccuse”; le
“motivazioni” sono davvero tante: infanzia infelice, genitori
autoritari, lavoro frustrante, coppia insoddisfacente; niente però
aiuta a star meglio!!!

icorda
però che queste voci sono amiche, vogliono solo insegnarti ad essere
più trasparente, naturale, spontaneo a osservarti senza esprimere
giudizi di valore; pensieri che intossicano e bloccano la psiche:
cercano continuamente di cambiare, correggere, migliorare, risolvere
ogni cosa, giudicare; imitare un modello di perfezione che non ci
appartiene, ma che fatica davvero! In questo modo si inquina il
cervello di scorie inutili e dannose.
Anche
se raramente ne siamo consapevoli, in ogni situazione che viviamo il
corpo dice la sua con grande saggezza. Gli stati emotivi, più o meno
intensi, si depositano nel corpo. Ogni
sentimento vissuto - gioia, dolore e felicità - dall’apparato
cerebrale si estende in tutto l’organismo, in ogni molecola, in
ogni fibra, in ogni cellula. Se l’emozione, però, viene tenuta
inutilmente attiva da un costante stato di allerta e da un perenne
rimuginare, si somatizza e, nel tempo, attraverso la tensione, la
contrazione, l’infiammazione e poi la lesione, può diventare
malattia.
Quando la sensazione di essere in colpa è profondamente radicata,
quando si sottopone in maniera automatica a un severo giudizio ogni
azione o pensiero, non ci sono dubbi, la salute è a rischio. Spalle
incurvate, sguardo spento, pelle opaca, eloquio incerto, postura
contorta sono il risultato di un corpo che non piace più, spesso
temuto e vissuto come un nemico, che può annientare da un momento
all’altro:
disturbi orribili sono in agguato.
Il soggetto si preoccupa di naturali funzioni corporee, come il
battito
cardiaco, la sudorazione, la digestione.
Può avvertire la fame preoccupante, essere facilmente disturbato da
rumori interni forti ed improvvisi, provare intenso disagio al caldo
o al freddo. Anormalità fisiche minori, come una piccola
infiammazione, o sintomi transitori, come la tosse, possono essere
interpretati quali segni di malattia. La più lieve irregolarità,
proprio perché si diventa sempre più vigili con il passare del
tempo, può produrre apprensione e allarmismo. Se
un banale segnale fisiologico appare fonte di preoccupazione
eccessiva e irragionevole per la salute, è proprio il caso di dire
che ascoltare il proprio corpo sono davvero “dolori”.
In questo modo il corpo spodesta la mente, non è vissuto come una
“casa” comoda e accogliente ma come un rudere, un edificio
diroccato: non più alleato ma un perfetto antagonista, un nemico che
ci insegue e non perde occasione per minacciarci. “Quella
lì non sta mai bene. Ne ha sempre una. Piove sul bagnato”. Sono
tutte cose che si dicono a quelle persone che, pur non essendo
malate, sono sempre avvilite e assediate da singolari sintomi: il
loro corpo è intorpidito da piccoli disturbi che, proprio per la
particolare insistenza, non lasciano tregua. Prende sempre più
“corpo” una strana convinzione, una insistente ed assurda
sensazione che il proprio “involucro” si sia indebolito e sia sul
punto di contrarre una grave malattia;
infezioni, ictus, leucemia, AIDS, tumore, infarto sono le patologie
più temute.
er chi soffre, questo atteggiamento dura anni e anni
fino a diventare il fulcro dell’esistenza: uno stato di allerta
continuo, in cui gli spettri della malattia e della morte possono
esplodere all’improvviso, invadendo completamente il campo della
coscienza. Si
è sdraiati comodamente sul divano e un leggero formicolio al braccio
rievoca immediatamente un evento funesto, porta subito al timore di
avere un infarto, mentre si guarda un film una piccola fitta alla
testa fa scattare il pensiero di un ictus imminente: l’attesa di un
imprecisato divenire e le paure connesse scatenano dei veri e propri
sintomi.
Queste continue paure - oltre a mettere completamente alla corda
tutti coloro che vivono accanto - risultano invalidanti,
predispongono all’agitazione, destabilizzano i rapporti e,
soprattutto, creano un ambiente povero di sentimenti, spento e
noioso. Per chi vive tale situazione, la vita diventa un vero
inferno. Una
sofferenza che da alcuni, bene che vada, viene considerata una
stravagante paturnia, mentre per altri, forse più “sfacciati”, è
un’astuta invenzione orchestrata dal soggetto per soddisfare un suo
misterioso tornaconto. Tali valutazioni, in parte dettate da rapporti
conflittuali, snervanti e frustanti, sono sempre errate: in ogni
gesto, se si presta la dovuta attenzione, non c’è finzione, ma
traspare sempre una ingestibile sofferenza e una devastante paura.
Il soggetto è terrorizzato, si fissa su una forma rara di leucemia
oppure teme di essere stroncato da un morbo raro e crudele. Non è
possibile raggiungere la tranquillità attraverso l’evidenza
clinica perché basta un banale sintomo, spesso transitorio, per
ossessionare e tormentare la mente fino a cancellare completamente i
recenti referti medici; gli esami clinici non rassicurano più, dopo
un apparente sollievo, ecco che si ricomincia da capo. Ben
presto il sofferente diventa polemico e accusa gli specialisti, se
non proprio di ciarlataneria, di non essere preso sul serio, di un
parlare forbito ma ingannevole, di superficialità e di scarsa
professionalità nell’affrontare il problema.
Nei
rapporti appare maldestro, distante e scontroso, non riesce più a
concentrarsi sul lavoro per la convinzione di avere una grave
patologia non diagnosticata. Gli amici, lentamente, creano attorno al
soggetto un tessuto sociale arido e freddo:
disdicono
gli appuntamenti o non si fanno più trovare perché, a loro dire, è
una “compagnia” che agita, irrita, destabilizza e annoia …
meglio stare alla larga perché, a lungo andare, questi soggetti ti
trascinano nel baratro!!!
osa
fare.
Mai “peregrinare” su internet alla ricerca di fantomatici
“santoni” e malattie bizzarre al fine di formulare una
pasticciata autodiagnosi. Sarà vantaggioso, invece, evitare la
consultazione di molti specialisti contemporaneamente ma cercare un
“solo” professionista (cambiarlo immediatamente se si percepisce
di non essere sulla stessa lunghezza d’onda) con cui sviluppare un
solido rapporto di fiducia per progettare, insieme, ciascuno in base
alle proprie competenze, un reale e concreto programma terapeutico
... cambiarlo immediatamente se si percepisce di non essere sulla
stessa lunghezza d’onda. Non meno importante è concentrarsi sulle
proprie sensazioni, i propri entusiasmi, le proprie passioni, le cose
che interessano davvero e quelle che spengono le passioni, che non
appartengono più ad un’esistenza felice, rendono i gesti finti,
l’esistenza banale e piena di sofferenze; anche
se il malessere descritto può avere alla base cause diverse non va
mai dimenticato che certi traumi psichici lo possono alimentare o
intensificare. L’ansia
segnale sempre che qualcosa non funziona, per farci capire che è
necessario interrompere una finzione, una fastidiosa recita in cui si
è scivolati. Il corpo, invece, non lascia in pace perché ha
qualcosa di molto importante da comunicare: costringe ad occuparsi di
se stessi, perché c’è qualcosa nel quotidiano che non si sta
vivendo appieno oppure che non ci appartiene.
I
pensieri… “SPAZZATURA”

pesso
nella mente ronza, ridonda senza sosta, qualcosa che non si riesce a
gestire, controllare o bloccare. Il linguaggio popolare le chiama
idee fisse per descrivere una mente “appesa” ad un chiodo fisso:
un estenuante rimuginare di pensieri ricorrenti che dominano
completamente la mente e creano grande sofferenza. I “pensieri
fissi” sono caratterizzati da idee o immagini invalidanti ed
invadenti che non abbandonano nemmeno per un istante la mente di una
persona; il “tarlo” in questione colpisce
in qualunque momento: mentre si lavora, ci si diverte, si fa l’amore,
si mangia. Compaiono improvvisamente rituali ripetitivi che
emergono dal bisogno imperioso di dire cose o attivare azioni per
placare l’ansia e la tensione. Sono pensieri
assurdi, imbarazzanti, a volte per alcuni indecenti, impropri o
bizzarri che invadono senza tregua la mente e che interferiscono con
quello che si sta facendo. E’ un pensiero - non scordiamolo,
prodotto sempre dalla propria mente e non dai “marziani” -
costantemente in agguato, irrompe all’improvviso pronto a
sorprendere quando uno meno se lo aspetta: non è stato interpellato,
per niente contattato, eppure si presenta puntuale come un orologio
svizzero per riscuotere i “sospesi” … emotivi!!! Invade,
avvelena l’esistenza, monopolizza completamente la mente e continua
a scavare proprio come un ingombrante parassita: una vera e propria
ossessione da cui il soggetto non riesce a liberarsi. Non si è più
padroni in casa propria: la mente diventa un territorio di confine,
un terreno di facile conquista. Sono i dittatori della mente che non
mollano mai e si focalizzano su: soldi, gelosia, igiene, pulizia,
carriera, sesso, abbigliamento, difetti fisici, invidia, salute.
l
“tarlo” è un meccanismo subdolo, fastidioso e strisciante che si
impossessa della mente senza alcuna possibilità di appello: diffonde
amarezza e inquina lentamente l’umore del vivere quotidiano.
Abitualmente tale condizione mentale è riconducibile alla struttura
caratteriale dell’individuo. Molto spesso i “pensieri cattivi”
si nascondono nelle pieghe di una vita noiosa, priva di slancio
vitale, sempre uguale a se stessa. Sono pronti lì, in agguato, per
aggredire quando meno ce lo aspettiamo e per bloccare completamente
le nostre potenzialità. Ogni situazione diventa una minaccia e
sicura fonte di preoccupazione destabilizzante. Per
evolvere, però, ha bisogno di un “terreno fertile”, idoneo a
tale processo. Le idee ricorrenti, infatti, colpiscono soprattutto
soggetti con tratti caratteriali “esagerati” connessi a:
meticolosità, controllo, ordine, rigidità mentale, parsimoniosità,
perfezionismo (vedasi i primi studi di Freud). Alcuni
soggetti, perennemente spaventati, dubitano di tutto ciò che li
circonda scontrandosi continuamente con i cambiamenti esistenziali;
l’inevitabile mutevolezza del vivere, spesso, viene vissuta con
sospetto e diffidenza. Paradossalmente sono
spinti a diffidare dei propri occhi, delle proprie conoscenze o del
proprio buon senso: dubitano di tutto ciò che vedono e di tutto ciò
che sanno, devono controllare o eseguire continuamente estenuanti
rituali. In questo modo i “tarli” diventano un vortice di energia
inespressa, trattenuta e deviata in un circuito (nervoso) senza
uscita. Fatto veramente curioso è che tutte le idee
ricorrenti possono dissolversi di colpo e in maniera spontanea,
quando viene dato spazio alla novità e, soprattutto, si è coinvolti
in qualcosa di entusiasmante: un'attività piacevole e gratificante.
Il corpo prende in consegna, pagando uno scotto altissimo, tutte le
anomalie biochimiche cerebrali … idee fisse.
uando il cervello
perde la sua libertà, sotto il dominio di un padrone senza scrupoli,
che blocca l’energia attraverso i pensieri ossessivi, il corpo paga
aprendo la strada a vari disturbi e malattie; la
mente allora bloccata nelle sue elementari espressioni può colpire:
fegato, pelle, polmoni, testa, cuore, intestino, muscoli, ossa,
sistema immunitario. Le idee fisse modificano in profondità
le funzioni neurofisiologiche: si consumano in maniera inappropriata
tutte le risorse psichiche. Quando il fenomeno
dilaga nella mente, non solo modifica le funzioni biochimiche
fisiologiche, ma anche tutto il mondo relazionale, i rapporti sociali
si tingono di colori cupi come se le relazioni con gli altri fossero
continuamente alterate e deformate da una potentissima lente di
ingrandimento. Le persone affette da
questo disagio tendono ad isolarsi e con l’aggravarsi dei sintomi
fanno davvero fatica a lavorare e instaurare rapporti normali con gli
altri.


osa
fare.
L’obiettivo principale della terapia consiste nell’alleviare
l’ansia e, spesso, alcuni tratti depressivi, in modo tale da
diminuire la frequenza dei pensieri e dei comportamenti coatti. Per
gestire questi malesseri esistenziali, anestetizzare, addormentare il
tarlo, comunque, è fondamentale che il soggetto si dedichi a tutte
quelle cose piacevoli e gratificanti che, da tempo, ha lasciato in
sospeso, ovvero realizzare quei progetti che per pigrizia o per il
quieto vivere ha sempre rimandato: dare spazio ad interessi ed alle
vere passioni. Tieni presente che i progetti, le scelte e le
decisioni liberano sempre l’energia rimasta imprigionata nella
mente. Ciò è
indispensabile per togliere potere ai “tarli”, che si sono
impropriamente impadroniti della mente, e dare spazio a qualcosa di
gradevole che procura soddisfazione e che rende orgogliosi, perché,
sicuramente, il senso della vita non è solo dovere, sacrificio,
espiazione e sofferenza. Siamo sempre noi i padroni e gli artefici
dei nostri atteggiamenti, dei nostri gesti, delle nostre ambizioni,
delle nostre abitudini, del nostro divenire e delle nostre azioni …
non i “vampiri” della mente.
ASTA
lamenti continui che ridondano nel cervello, perché oltre a far
rimanere bloccati nella sofferenza e restare perennemente
insoddisfatti, frenano anche la creatività, producono paure e dubbi,
imprigionano il talento, ostacolano la produzione di nuove idee.
RICORDA, i pensieri che continuano a girare a vuoto nella testa,
sempre uguali, stancano, spengono completamente la vitalità. EVITA
di riempire la testa di pensieri spazzatura, che fanno solo soffrire.
TOGLI l’attenzione sulle cose che non vanno perché tutto viene
ingigantito e amplificato, toglie spazio alla vera felicità:
avvitandosi su se stessi si priva di ossigeno la quotidianità, a ciò
che fa stare bene. DEPURA la mente da parole dannose ed inutili ti
porta salute, lucidità mentale ed energia, ti salva dalle relazioni
sbagliate rendendo più efficace la comunicazione.
Attacco di panico (DAP).
l
panico arriva perché ci si impone di vivere situazioni non nostre e
stili di vita non propri, irrompe inatteso e devasta la psiche, per
scuotere e far uscire dalla gabbia dotata di “buone intenzioni”,
ma rigide ed innaturali; segnala uno spazio di scelte spontanee
troppo ristretto, un vissuto pieno di regole e di doveri, in cui si
inseguono modelli finti e artificiali che fanno perdere il proprio
vero volto; tutti atteggiamenti che allontanano dalla naturalezza e
dai veri desideri, smantellano improvvisamente la maschera del quieto
vivere: le energie represse e usate male, accumulate da tempo -
reclamando il loro spazio - rompono il falso equilibrio, diventano
davvero esplosive, si rivoltano contro fino a diventare PANICO!!!

l
Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è uno stato piuttosto complesso
di disagio psichico caratterizzato dall’insorgere improvviso di
angoscia acuta e incontrollabile che lascia, a dir poco, atterriti.
Si presenta sulla scena in modo del tutto inaspettato, spesso senza
motivi evidenti e giustificati. Assale all’improvviso con effetti
devastanti sul corpo e sulla mente. Solitamente tale stato d’animo
raggiunge il picco in pochi minuti e si esaurisce del tutto, o quasi,
nel giro di mezz’ora circa. Gambe imbizzarrite, stomaco “stretto”
in una morsa, fronte madida di sudore, iperidrosi alle mani, cuore
che inizia a battere a velocità insostenibile, problemi respiratori,
gola strozzata, violenti spasmi, o peggio ancora, scariche diarroiche
improvvise, questa è la fenomenologia raccapricciante ed
"interminabile" di chi vive tale malessere. L’esperienza,
a volte, è talmente intensa che la persona può rimanere sfinita
anche per alcuni giorni. Questi episodi sono vissuti come un incubo,
una catastrofe imminente, tanto sono le violente sensazioni di
terrore e di impotenza. Le crisi di panico accompagnano, come abbiamo
appena visto, diversi sintomi psicofisici: palpitazioni,
sudorazione, sensazione di soffocamento, vertigini, formicolio,
rossore al viso (eritrosi), paura di perdere il controllo,
cambiamenti di temperatura, senso di irrealtà, dolori al petto,
paura di morire, disturbi all’apparato digerente.

uando il panico diviene una consuetudine, fino a diventare una
“paura della paura”, stravolgendo completamente la routine, il
terrore di morire e la paura di impazzire costituiscono le premesse
per una condizione di vita piena di limiti e di salti agli ostacoli.
L’adozione di “strategie difensive” per scongiurare tale
disagio conduce lentamente a una schiavitù cronica. La persona,
dominata dai cosiddetti comportamenti “evitanti” finisce col
trovare un minimo di pace solo all’interno delle mura di casa
(prigioniera in casa sua e rassicurata solo dai riti quotidiani).
Molto spesso è quell’attenzione esagerata e quell’attesa
angosciosa di un attacco successivo a far sì che la condizione di
panico possa ripetersi in determinate situazioni. E’ un fenomeno
che spinge ad isolarsi, a temere tutto, a volte anche le terapie.
Questa “gabbia protettiva invisibile” è presente nel cervello
del soggetto sotto forma di una lunga lista personale di cose che si
possono realizzare oppure evitare (luoghi, incontri, cene, spostarsi,
cambiamenti, situazioni emotive intense, viaggiare, confronti, prove
ed esami, attese). Il
soggetto, quindi, dominato da questa paura, altro non può fare che
fissarsi sulle solite abitudini: una vita, spesso, superficiale,
piena di limiti, noiosa, ripetitiva e banale … non vive più,
soffocato da se stesso.
Il malessere può dipendere da un comportamento non idoneo (errato),
da scelte che non appartengono alla propria personalità, da una
mentalità (appresa) che condiziona in maniera negativa: conformismo
e comportamenti costantemente nella norma in apparenza assicurano, ma
in realtà spengono perché soffocano le vere necessità ed esigenze
naturali di ogni individuo. Esprimere
i propri sentimenti, esserne consapevoli, poterli sperimentare sempre
in un clima “protetto” senza censurarli, è il primo passo per
vivere in armonia con se stessi, evitando in tal modo
quell’alternanza tra la maschera di “buone maniere” e il
terrore di essere travolti dall’improvviso erompere di sentimenti
che, per il quieto vivere, sono stati nascosti troppo in profondità.
na
strada che, come abbiamo sottolineato più volte, oltre a far salire l’ansia, porta lontano da se stessi
e dritti ad una soffocante e opprimente frustrazione. Si entra,
quindi in una spirale di paura: paura di stare male. Quando si è
presi dall’ansia, si reagisce con paura, ed è proprio questa
modalità reattiva che tiene in trappola.
In questo frangente il corpo si prepara ad affrontare la situazione
reale (il più delle volte solo ipotizzata, pensata): gli ormoni
dello stress e l’adrenalina, entrano nel flusso sanguigno del
soggetto per prepararlo a sfuggire la situazione oppure a rimanere ad
affrontarla. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più
l’adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua,
inevitabilmente, la sintomatologia (il
battito cardiaco accelera, il respiro diventa affannoso, si può
tremare o sudare abbondantemente).
In realtà, il panico arriva quando si è lontani da se stessi, si
seguono modelli di vita che non sono propri, ci si sforza di aderire
a qualcosa o a piacere a qualcuno … fino
a consegnare la propria vita in mano ad altri e, quindi, diventare
inutili.
La paura di perdere l’equilibrio, il terrore di essere inghiottiti
dal vuoto, la sensazione che la terra si apre sotto i piedi
trascinando giù, sono tutti stati psicofisici che chi soffre di
panico conosce bene: gira come un funambolo sospeso nel vuoto, e il
baratro diventa un buco nero da cui fuggire sempre e comunque, finché
l’esistenza si riduce via via alla ricerca spasmodica di uno sbocco
(via d’uscita) … ma non si sa bene da cosa. Emerge una vita
statica, poco travolgente, caratterizzata da un tempo che non passa
mai in cui la lungaggine, gli ozi (girare a vuoto), la noia e la
monotonia la fanno da padroni. Una reazione che dà voce alle proprie
esigenze più profonde, quel vivere che odia le abitudini, la vita
pianificata e spenta. In breve, un profondo senso di inadeguatezza
che, proprio perché ignorato, va a cronicizzarsi in uno stato di
scontento con cui si convive o che, nelle situazioni peggiori, si
tramuta in ansia, depressione o panico. Proprio per queste ragioni,
alcune scuole di pensiero, ipotizzano che gli attacchi di panico
siano generati da schemi mentali caratterizzati da percezioni
distorte della realtà, pensieri automatici e convinzioni errate. Non
sempre comunque una profonda emozione è sinonimo di attacco di
panico. Quando
è presente un motivo reale a giustificare l’ansia, come ad esempio
affrontare una semplice situazione problematica o sostenere un esame,
siamo alle prese con un timore o una paura.
Per
quanto possa essere sgradevole la paura è un’emozione
indispensabile perché prepara in maniera adeguata, attraverso la
produzioni di neurotrasmettitori, ad affrontare le difficoltà del
momento.


emere
il giudizio altrui, i pensieri e i legami sbagliati sono la vera
causa della fragilità: bisogna "guardare" le cose in
maniera diversa ... cambiare sguardo, punto di vista: concentrarsi sul
presente e mai sul passato ... solo in questo modo è possibile
recuperare la vera autenticità. Ci si ammala quando si perde la
spontaneità, la propria immagine ... quando si fanno esperienze non
in funzione con le proprie esigenze e desideri ma secondo quello che
vorrebbero gli altri per noi. Il
panico più lo eviti e più lo aumenti, più lo tieni sotto controllo
e più ti sfugge di mano, più lo si comprime e più diventa
esplosivo; se lo controlli esplode, se tenti di bloccarlo attiva un
meccanismo ansiogeno devastante che si autoalimenta, spinge a vivere
sempre dietro lo schermo, in sordina, dietro le quinte a fare da
comparsa; alcuni tipi di ansia bloccano quando si pensa di essere
ridicoli, di fare brutta figura, di essere FRAGILI: uno sguardo
troppo centrato su un personaggio fasullo; è una lotta
interminabile, un’opposizione continua perché si vuole offrire
un’immagine perfetta, pura e senza macchia, si ha paura di vivere
le situazioni in prima persona, picchi di inquietudine che emergono
quando si vuole essere sempre vincenti, dimostrare di essere bravi,
candidi, buoni e intelligenti a tutti i costi, di piacere a tutti; lo
stato di allerta, di pericolo imminente, allora, indica che si sta
andando contro mano, che si rinnega quello che si è realmente:
segnala un modo di vivere forzato in cui non sono accettati i propri
limiti e si mascherano le proprie debolezze; il PANICO allora
interrompe un programma, una recita, una finzione in cui da tempo si
è scivolati. RICORDA, dare spazio agli interessi si accende
completamente la vita, investire in attività piacevoli mette sempre
in moto le energie mentali giuste. Il
PANICO, attraverso l’ansia, vuole che tu trovi il tuo vero
percorso, esalti i tuoi gusti e il tuo unico e originale stile di
vita, senza sensi di colpa.


osa
fare.
Il raggiungimento del benessere dipende dalla capacità di abbassare
il livello d’ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questa
condizione può essere raggiunta attraverso metodiche terapeutiche
basate su tecniche distensive e concentrative ad orientamento
psicosomatico. Con queste tecniche non solo è possibile “gestire”
sensazioni ed emozioni, ma anche fermare il chiacchiericcio mentale.
I metodi terapeutici distensivi (ipnosi,
moxa, massaggio psicosomatico, rilassamento frazionato)
non solo affrontano la sintomatologia in atto ma risultano
fondamentali a livello di prevenzione. Un
altro intervento qualificato sarà quello di agire sul respiro che è
sempre in sintonia con le proprie emozioni spiacevoli e/o piacevoli.
Una persona calma ha il respiro lento e profondo, una persona che
soffre di panico, invece, respira in maniera superficiale ed
accelerata, attivando in tal modo manifestazioni fisiologiche
alterate ed esagerate. Agire sul respiro, pertanto, aiuta ad
interrompere quel circolo vizioso che caratterizza il fenomeno
panico.
IPOCONDRIA
… perché aumenta il timore di ammalarsi.
n
corpo (inconscio) che chiede senza sosta alla mente (coscienza) più
attenzione, una trasformazione, un cambiamento, spinge ad occuparsi
con più convinzione di se stessi e di essere più protagonista della
propria vita; un organismo che attraverso l’ansia segnala il
proprio dramma: il terrore di essere annientato … una continua
allerta ma anche una grande necessità di essere al centro
dell’attenzione. L’ipocondria
è uno stato d’ansia invalidante che utilizza il corpo per
esprimersi, paure e angosce inascoltate a cui non riesce a dar voce e
a trovare altre forme espressive più vantaggiose … al corpo allora
non rimane altro che avvertire del pericolo, segnalare la vera
dimensione del disagio.
’ipocondria
- chiamata dagli addetti ai lavori anche patofobia - è una
preoccupazione esagerata ed irragionevole per il proprio stato di
salute. Tale sensazione può essere scatenata da sintomi transitori
di minima entità o, nei casi più gravi, senza un preciso
riferimento organico. In alcune situazioni i timori e le
preoccupazioni, oltre a diventare il fulcro dell’esistenza, sono
talmente devastanti da ostacolare qualsiasi altra attività. La
paura esagerata, la convinzione, o la preoccupazione di avere una
malattia incurabile spesso può riguardare le funzioni somatiche
normali: battito cardiaco, la sudorazione, sbalzi di temperatura,
digestione lenta, oppure qualche alterazione fisica di scarsa
importanza come ad esempio un semplice raffreddore. Il soggetto
interpreta ed amplifica tutte le sensazioni fisiologiche come prova
di una grave patologia: diventa sempre più vigile e con il passare
del tempo questa particolare attenzione si trasforma in
preoccupazione. La minima irregolarità
corporea può produrre apprensione ed allarmismo. Quella
reazione fisiologica percepita come sgradevole occuperebbe, man mano
che passa il tempo, nel vissuto e nella fantasia dell’ipocondriaco,
un rilievo sempre maggiore. E’ una storia centrata su continue ed
inutili visite mediche: una relazione piena di rancori e senso di
frustrazione bilaterali. A volte si sviluppa una vera e propria
collusione con la “vittima” di turno, denigrando e mettendo in
dubbio la professionalità dei precedenti professionisti cui si era
rivolto. I soggetti che presentano questo malessere, infatti, il più
delle volte, sono convinti di avere di fronte scarsa professionalità
oppure di non ricevere cure adeguate. A dire il vero, però, pare che
questi soggetti siano più interessati ad ottenere una diagnosi a
tutti i costi piuttosto che un sollievo vero e proprio della
sintomatologia in atto. A volte, invece, provano tante terapie senza
seguirne realmente nessuna.
iù si diventa ansiosi più le
sensazioni fisiologiche notate si allargano, creando un devastante
circolo vizioso. Spesso sviluppano tratti depressivi in quanto
soffrono senza riuscire a trovare, a loro dire, un trattamento valido
e qualificato. Molti si adirano quando non
riescono a dar sollievo alle loro sofferenze o della frustrazione
scaturita dalla inequivocabile realtà diagnostica e all’impazienza
degli specialisti: un vero e proprio scontro tra medico e paziente.
Il fenomeno persiste nel tempo nonostante le procedure mediche diano
esito negativo. Questa convinzione è talmente radicata nella mente
del soggetto che resiste a qualsiasi rassicurazione da parte dei vari
medici e anche di fronte a numerosi referti ed esami di laboratorio
negativi. Il soggetto non riesce più a concentrarsi sul lavoro e
sulla famiglia per la paura e la convinzione di avere una grave
patologia non diagnosticata: naviga interrottamente su internet alla
ricerca di esami ed eventuali terapie cui sottoporsi. Il malessere
fisico, spesso, può essere usato per esercitare una forma di
pressione o controllo sulle relazioni interpersonali (familiari,
amici, ambiente sociale). Una volta che gli
esami clinici non hanno rilevato anomalie fisiche i familiari
potrebbero essere tentati a liquidare tali sensazioni come fisime. Da
queste reazioni inizia il vero conflitto: il soggetto non compreso
inizia a “peggiorare” attraverso i sintomi fisici (malattia come
rifugio).
ueste continue preoccupazioni
per lo stato fisico possono creare profonde tensioni all’interno
della famiglia, che spesso si stanca di ascoltare lamentele
ingiustificate. I membri della famiglia, oltre ad allontanarsi dal
rapporto, potrebbero risentirsi per le ore tolte al lavoro, le
energie e il denaro che il soggetto investe nella preoccupazione
eccessiva per la salute. Cambiare schema mentale e stile di
vita è davvero faticoso; meglio restare a “piagnucolare” sui
propri malesseri, coinvolgendo il più possibile coloro che stanno
vicino, lamentandosi per sentirsi accuditi e protetti … come
avveniva da bambini. In realtà è un mezzo, inconsapevole da parte
del soggetto, per sfuggire - in quanto modalità regressiva
socialmente consentita - ad una vita che non dà più felicità e
che, purtroppo, si deve continuare a subire finché, ironia della
sorte, c’è la “salute”. Paradossalmente l’ipocondriaco
rischia di rimanere isolato proprio quando avrebbe maggior necessità
di comprensione e di sostegno.


osa
fare. La prognosi è decisamente migliore per tutti coloro che
si sottopongono a un trattamento subito dopo l’insorgere dei
sintomi ipocondriaci, piuttosto che inseguire ossessivamente
trattamenti generici. Qualsiasi valutazione per questo disagio deve
iniziare con un’indagine completa della sintomatologia allo scopo
di escludere immediatamente eventuali patologie organiche. Importante
sarà sviluppare un transfert positivo in modo tale che il soggetto
possa desistere alla tentazione di accumulare diagnosi inutili,
peregrinare da ambulatorio ad ambulatorio oppure, cosa più grave,
diventar facile preda ad improvvisate fattucchiere senza scrupoli.
Questo intento può essere raggiunto attraverso un calendario con
scadenze regolari di visite e controlli; tale programma oltre ad
avere effetto rassicurante dà la possibilità di verificare che
certe condizioni non sono per niente mutate. Solo nel caso in cui
emergono sintomi nuovi sarà allora necessario un’altra breve
indagine. L’obiettivo della terapia, parallelamente ad indagini
cliniche, dovrebbe comunque spostarsi gradualmente dalla
sintomatologia manifestata verso questioni di carattere personale o
sociale e alla capacità di svolgere le normali attività lavorative.
I sintomi fisici sono molto comuni e solo una piccola percentuale
possono causare patologie. Sarà utile, proprio perché
l’ipocondriaco ha perso il contatto con il proprio corpo, insegnare
i rapporti che intercorrono tra le emozioni ed i sintomi corporei,
compresi i meccanismi neurofisiologici coinvolti nello stress. Far
capire che prestare attenzione eccessivamente ai sintomi altro non si
fa che intensificarli, proprio per i meccanismi neurofisiologici
attivati da questo tipo di paura.. Altro aspetto qualificante sarà
quello di insegnare tecniche terapeutiche di “distrazione” e,
soprattutto, di controllo dello stress. E' utile e fondamentale
chiedere un aiuto quando: non
si riesce più a dormire; si hanno brutti pensieri; non si riesce a
prendere una decisione; non si riesce a star soli; non si riesce ad
uscire di casa … e, soprattutto, quando i rapporti sono a rischio e
si diventa asfissianti.

PANICO
… un’aggressione punitiva.

’attacco
vuole trasformare, aprire nuovi canali energetici: spinge a
realizzare i propri sogni, ad ampliare lo sguardo su nuovi mondi. Il
panico nasce da un accumulo di continui divieti auto – imposti, si
scatena per i troppi NO che diciamo silenziosamente a noi stessi,
quando si vuole tenere tutto in pugno, si reprimono desideri ed
emozioni, si mantengono rapporti sbagliati, si censura la parte
istintuale che invece vuole far sentire la sua voce: si rinuncia ai
tratti più preziosi e originali del proprio carattere. Niente
è più inquietante dell’ascoltare un racconto fatto da chi ha
vissuto un attacco di panico. Tale esperienza viene definita come un
fenomeno imprevedibile, squassante, incontrollabile, inaspettato, e
senza un apparente legame con eventi ansiogeni esterni. Assale a
tradimento, soffoca completamente le speranze, paralizza le certezze,
brucia di colpo tutte le abitudini, rompe ogni schema possibile,
morde e fugge stremando completamente il soggetto. Ecco
che cos’è l’attacco di panico: una doccia fredda che mette in
ginocchio e manda a tappeto anche la persona più “dura”, a
prescindere dalla sua reale “statura”. Irrompe all’improvviso,
devasta la psiche mandando completamente in tilt tutta la “centrale
operativa”.
Non
meno fortunato è il corpo a cui viene assegnato il compito ingrato
di sbrigare le brutte faccende di “casa” con sintomi piuttosto
invalidanti: oppressione al torace tachicardia, dispnea, respiro
corto, mani sudate, stordimento, disturbi viscerali e sessuali,
brividi, vampate di calore, forti dolori allo stomaco, impulso
irresistibile alla fuga. Questo malessere colpisce a dieci anni come
a settanta, indipendentemente dalla posizione sociale e dal profilo
culturale.


hi
ne è colpito ripetutamente tende ad isolarsi sempre più, a evitare
luoghi, cose e persone che gli possono ricordare il momento terribile
dell’attacco: una vita “senza vita”. Non solo è presente la
paura di morire ma si teme, a torto, di non essere più in grado di
condurre una vita normale: un evento psichico che può allontanare
pericolosamente da se stessi.
Dopo alcune esperienze, infatti, più o meno raccapriccianti, si
comincia a vivere costantemente nell’attesa ansiosa di un altro
attacco. In molti casi l’agitazione - l’energia in eccesso non
espressa - fa aumentare un’incontrollabile preoccupazione per la
salute o, peggio ancora, il timore di avere gravi malattie
inspiegabili. Improvvisamente, tutto si trasforma in un incubo
incomprensibile. L’adozione di meccanismi difensivi, per
scongiurare e arginare questo fenomeno terrificante conduce, pian
piano, a una schiavitù cronica: la peggiore sciagura che possa
capitare. Dopo l’attacco di panico, infatti, la persona sembra aver
smesso di esistere e, nel contempo, il suo unico obiettivo è quello
di sopravvivere ai mille ipotetici pericoli. Chiudersi
in una “gabbia protettiva” è una delle reazioni più comuni di
fronte all’esperienza panica. La “gabbia mentale”, però, nel
tempo, si radica a tal punto che il soggetto, qualsiasi cosa faccia,
deve fare i conti con essa: “Posso andare? Cosa incontrerò? Cosa
mi accadrà? Ce la farò? Ma ci riuscirò? Resterò bloccato? Sarò
accettato? Chi mi porterà soccorso? Soffocherò? Chi mi salverà?
Sarò in grado? E’ pericoloso?" e così, dominato da un
turbinio di pensieri catastrofici, non può più scegliere ciò che
gli piace, ma ciò che “può fare” rispetto alle sue reali
esigenze.
na prigionia quotidiana, cronica e frustrante, a cui il cervello,
attraverso la sua tempesta ormonale dice un secco “no”. Non
arriva mai per caso: trae origine e linfa dal quotidiano, da tutti
gli eventi che ingabbiano l’esistenza in schemi immutabili,
comprimendo e appiattendo gradualmente il mondo interiore. Dietro
questo fenomeno si nasconde sempre una parte di se stessi che è
stata tenuta in “letargo” o, magari, non si è saputo esprimere e
valorizzare in modo adeguato. Chi segue rigidamente il modello di
vita in cui è inserito rischia di non essere mai se stesso e di
vedere “annichilita” la propria personalità. Per
il quieto vivere, attraverso i rospi ingoiati che fanno ribollire di
continuo, si crea un personaggio inquieto ed inutile, una seconda
pelle che va stretta e tira da ogni parte: assale allora il timore di
“perdersi”, non sapere più chi si è veramente.
I
meccanismi di difesa adottati, comunque, oltre a diventare dei veri
carcerieri, non fanno più vivere, tolgono ogni gioia, ostacolano la
realizzazione di se stessi e, soprattutto, spengono i veri desideri:
una vita che non scorre più.
Il
panico, quindi, è la vita che non si vive più, la felicità che si
nega: fa “saltare” il proprio stile di vita fittizio. Diventa una
reazione “estrema”, spesso inconsapevole, caratterizzata da tanta
energia prodotta e non usata, uno scontro con un sistema di vita che
non è più in armonia con la propria natura profonda: sacrifici e
sofferenze accumulate che, all’improvviso, si trasformano in
panico.
Spesso, per obblighi o per necessità, ci si trova a realizzare e a
dire cose diverse dai propri desideri, cercando di fare del proprio
meglio e seguendo sempre i dettami altrui, viene imprigionata, per
comodità, la vera identità entro confini ben definiti, si chiudono
progressivamente i propri orizzonti esistenziali; ma c’è
un’energia, una tensione, un’agitazione dentro che spinge
altrove, impone un cambio di rotta; assale chi ha spento la vivacità,
negato il piacere e smarrito la felicità.
n grido di ribellione ad
uno stile di vita che va contro le proprie vere esigenze, cerca di
smantellare, attraverso sintomi fisici e tratti depressivi, quei
contesti emotivi - affettivi a tinte forti, inutili e colmi di
artificiosità. L’attacco serve di monito perché, volenti o
nolenti, obbliga a prestare attenzione a ciò che sta accadendo alla
propria vita emotiva: a smantellare finalmente quei rapporti
difficili con il mondo. In
pratica, usa le maniere forti per smuovere, far uscire il soggetto
dalla palude delle convenzioni, del conformismo in cui se cacciato
ma, soprattutto, scuoterlo per impedirgli di soffocare la vita,
spinge a cambiare atteggiamento - uscire da quel personaggio che
recita di solito - per tornare ad essere felice.
E’ sempre, comunque, il segno di una vitalità profonda,
completamente compressa su un’identità costruita a tavolino e
indossata come maschera impenetrabile.
osa
fare. Le
metodiche terapeutiche attivate saranno tutte rivolte a raggiungere
un giusto equilibrio tra mente e corpo. Il senso di interezza,
infatti, deriva sempre dall’armonia dell’intero psicosoma e tutto
ciò può essere raggiunto attraverso interventi mirati come ad
esempio agire su l’iperventilazione, ovvero ripristinare la
funzionalità respiratoria; migliorare la respirazione riduce il
flusso adrenalinico e, quindi, il timore di patologie
cardiovascolari, una adeguata attività fisica, inoltre, migliora il
metabolismo e il sistema linfatico di un corpo ormai alla deriva, una
sana alimentazione può stabilizzare i livelli glicemici, imparare a
rilassarsi, invece, è utile per sconfiggere lo spasmo muscolare
cronico e, quindi, vivere in maniera più armoniosa e “aperta”.
Ricorda,
guardare poi questo mostro in faccia, dritto negli occhi, non gli
rimane altro che scappare a gambe levate!!!
AGORAFOBIA
... la paura della “piazza”.

l
termine agorafobia (agorà: nell’antica Grecia, era la piazza
principale e centrale della città - luogo di mercato - posto
pubblico; phobos: paura), che deriva dal greco àgoraphobos,
significa letteralmente “paura dei luoghi affollati, degli spazi
aperti”. Una descrizione tuttavia più appropriata del fenomeno è
sicuramente quella di una reazione esagerata di paura di star lontani
dalla sicurezza della propria casa. L’agorafobia, infatti,
costituisce una reazione di paura inadeguata di fronte a una
situazione inoffensiva. In breve, è una paura ossessiva, irreale,
inappropriata e, soprattutto, irragionevole (fobia: è un complesso
di sentimenti, un misto di paura, fino al terrore, e di ripugnanza
sino all’orrore, nei confronti di un oggetto, di un animale, o di
una situazione che di per sé normalmente non provoca questi
sentimenti. Il soggetto è cosciente della anormalità del suo stato
d’animo e mette in atto un comportamento di evitamento nei riguardi
di quegli stimoli). Questo stato non è, quindi, controllabile dalla
forza di volontà e non può essere spiegato in modo adeguato e
logico. La paura, quando non diventa un fenomeno paralizzante, è
un’emozione vantaggiosa e necessaria per la sopravvivenza (non
è un nemico ma è nostra alleata).
Essa, infatti, costituisce non solo una reazione normale, ma si
rivela essenziale per l’essere umano. In realtà, essa ci permette
di prendere coscienza di un pericolo, di una minaccia. Il pericolo
può essere immediato come quando siamo a passeggio e sopraggiunge un
veicolo nell’attimo in cui stiamo attraversando la strada. Oppure
può essere anticipato, come nel caso in cui si teme un’aggressione
girando in un luogo poco sicuro e fuori mano dalle forze dell’ordine.
In breve, possiamo dire che la paura è strettamente collegata a una
situazione concreta, specifica e perfettamente identificabile che
comporta, come appena descritto, un pericolo reale vissuto nel
presente o nel futuro.
a comparsa di questa emozione permette,
quindi, all’individuo di attivare alcune reazioni psicologiche
(comprese
quelle chimiche, ormonali)
e, soprattutto, modificare il comportamento umano per far fronte al
pericolo contingente. Pure l’ansia, quando non ha una connotazione
negativa nel senso di tensione eccessiva e logorante, è
un’esperienza abituale, indispensabile come spinta produttiva verso
la realizzazione di un obiettivo, uno stimolo cioè all’azione.
L’ansia è un fenomeno psichico derivante da un conflitto interno
tra istinto, educazione e coscienza sociale. Non sempre si è
consapevoli di questa “sensazione” interna. Le fobie potrebbero
essere manifestazioni simboliche dei turbamenti interni che ne
derivano. In questa dinamica, il conflitto interno è trasferito o
spostato, l’individuo, quindi, sperimenta il fenomeno agorafobico
come una minaccia proveniente dall’esterno. La difficoltà di
misurarsi con l’esterno può portare a ignorare o a negare il
conflitto. L’ansia quindi associata al conflitto viene collegata a
un fattore, a un’attività o a una situazione esterni, perché più
facilmente evitabili. L’agorafobia deve essere considerato come un
malessere specifico, invalidante e devastante, quando ad esempio si
deve attraversare da soli piazze, vie larghe o, in genere,
nell’allontanarsi da un punto fisso di appoggio per inoltrarsi
nello spazio aperto. L’agorafobo
non teme che gli succeda qualcosa di spiacevole, ma lo dà per
scontato, per certo, che dovrà affrontare inevitabilmente
un’esperienza drammatica. Non possono, infatti, fermarsi in nessun
luogo, far la fila, soffermarsi per un tempo indeterminato in posti
particolari. Sono assillati dal pensiero: e se per qualche ragione mi
sentissi male?
Reagiscono a tutto ciò in modo passivo, taciturno e con
comportamenti imbarazzanti. Una condizione emotiva a cui molto spesso
non viene data la giusta importanza nella manifestazione agorafobica
è l’umore. Tale fenomeno possiamo definirlo come stato d’animo
persistente, da cui si valutano le qualità dei sentimenti e la
tendenza alla stabilità o alla fluttuazione di queste qualità
(allegria, tristezza, ottimismo).
l tono dell’umore, quindi, che spazia e occupa tutta la gamma che
va dalla gioia alla tristezza, influenza l’attività intellettiva,
volitiva, comportamentale e fisiologica.
Comprendere e distinguere i sintomi, inclusi quei meccanismi che
connotano lo stato patologico, da una effimera alterazione del tono
dell’umore, è fondamentale per rendersi conto quando è il momento
di chiedere aiuto per se stessi o aiutare chi ci vive accanto. Da un
punto di vista statistico il 60% dei pazienti fobici può essere
incluso nel quadro clinico definito agorafobo. Il 90% di tale
percentuale è costituita da donne, in genere sposate; pare che per
il sesso maschile l’ansia, solitamente, si manifesti in modi
diversi dall’agorafobia. La
maggioranza degli agorafobi si ammala tra i 20 e i 30 anni,
appartengono a qualsiasi strato sociale e non hanno, a volte,
particolari sofferenze emotive. Cause scatenanti dell'agorafobia
sono, in ordine di incidenza: malattie
fisiche, situazioni familiari stressanti, perdita di una persona
cara, genitori autoritari, infelici ed alcolizzati, il manifestarsi
improvviso di sintomi allarmanti fuori di casa. Inoltre,
non meno importanti, si riscontrano frequentemente dei problemi
relazionali familiari o di coppia. Spesso tende a ipercontrollare in
modo ossessivo ogni cosa, vive particolari conflittualità e,
solitamente, è insoddisfatto della vita familiare. Esso ha il
terrore della separazione oppure teme di non essere amato in modo
adeguato o di essere, addirittura, abbandonato. Nell’agorafobia non
sono sicuramente gli eventi esterni, quali che siano, a produrre una
reazione di paura, ma quello che si pensa e si crede di essi. In
particolar modo sono le valutazioni che facciamo circa la nostra
capacità di poterli fronteggiare.
’ansia e la paura, quindi, sono
dovute a meccanismi cognitivi di valutazione e di anticipazione degli
eventi … ovviamente in senso catastrofico e pessimistico! Infatti,
allo stesso modo in cui una musica o un profumo fanno rivivere un
ricordo che si pensava dimenticato, il pensiero di trovarci in un
certo luogo o di fare qualcosa in particolare può rievocare una
paura per quanto non abbiamo la piena consapevolezza della sua
origine; il cambiamento biochimico, però, all’interno
dell’organismo avviene realmente. Quando i pensieri “lavorano
contro di noi” danno inizio ad un processo di respirazione;
il respiro corto e rapido provocato dalla produzione eccessiva di
adrenalina può portare all’iperventilazione).
Qui comincia il calvario: si teme che la respirazione si fermi oppure
di non poter respirare profondamente a causa del senso d’oppressione
precordiale. Quando iperventiliamo, la sintomatologia viene esaltata
al massimo, poi il ritmo cardiaco aumenta, si inizia a sudare e la
mente continua a produrre pensieri terrificanti instaurando un
circolo vizioso:
paura - angoscia - paura, ecc., questa risposta “esagerata” è
alla base dell’attacco.
sintomi più comuni. Idea
che nessuno possa prestare soccorso in caso di svenimento;
Stanchezza, impazienza; Tremito alle gambe; Sudorazione abbondante,
pallore; Angoscia paralizzante; Ronzio forte; Stordimento; Perdita di
concentrazione; Sentirsi male a poca distanza dalla meta; Paura di
perdere il controllo di fronte ad estranei considerati critici e
giudicanti.
ituazioni
evitate e in cui l’agorafobico sperimenta ansia. Guidare
l’auto nel traffico; Attraversare ponti e gallerie, entrare in un
supermarket; Entrare in un grande magazzino; Salire su i mezzi
pubblici; Andare al ristorante, partecipare a feste, andare al
cinema; Fare la fila in posta, in banca, ecc. Stare da soli in casa.


ome
abbiamo visto, certe caratteristiche dell’agorafobia sembrano
proprio sfidare il senso comune o la ragione. Perché
una persona apparentemente con pochi disagi emotivi, dovrebbe
improvvisamente sviluppare una fobia di andare in luoghi pubblici,
condurre l’automobile, andare in autobus, in treno o in ascensore?
Perché essa, capace di molte cose, dovrebbe mettere a repentaglio il
proprio lavoro o il proprio matrimonio o rifiutarsi di uscire di
casa? E ancora, perché una persona impegnata in numerose attività
dovrebbe diventare così dipendente da non poter uscire o viaggiare
senza il supporto di una compagnia? Sono domande che
giustamente assillano quei teorici che cercano di spiegare i disagi
emotivi relativi a questa reazione devastante ed invalidante. Il
problema dell’agorafobia ha attratto un’attenzione considerevole,
come indicato da un ampio numero di volumi che trattano questo
argomento. L’ampio approccio al problema dal punto di vista clinico
comportamentale e psicoterapeutico può produrre qualche risposta a
questo nebuloso enigma. Perché i sintomi agorafobici tendono ad
apparire dopo l’età di vent’anni, dal momento che la maggior
parte di questi disagi si origina nell’infanzia? Si suppone che
alcuni individui abbiano una “predisposizione” … i fattori
predisponenti sono definiti come le caratteristiche di un individuo
che lo rendono più suscettibile di un altro a sviluppare un problema
fobico.


a presenza, tuttavia, di uno o più fattori predisponenti -
vulnerabilità biologica, influenza familiare, personalità - non
costituisce una garanzia di sviluppo del disturbo ma aumenta il
rischio che esso ne sia colpito dall’agorafobia che non si esprime
fino a quando un cambiamento di circostanze non la attivi. Alcuni
autori hanno postulato, infatti, che questi soggetti non hanno un
“armamento psicologico” adeguato per far fronte a queste reazioni
agorafobiche. E’ stato anche ipotizzato che queste persone per
tutta la loro vita si siano preoccupate della loro salute o capacità
di gestire l’agitazione o gli sconvolgimenti emotivi, ma siano
riuscite a mantenere l’equilibrio finché hanno avuto la
disponibilità di una o più figure protettive: genitori, amici,
coetanei, marito, moglie. Molte di queste persone hanno una storia
d’ansia da separazione risalente alla prima infanzia. Così, un
prolungato distacco dalla propria casa può rimuovere questo sostegno
e far sperimentare al soggetto episodi agorafobici. Analogamente la
rottura di un rapporto matrimoniale mette a repentaglio la
disponibilità di una persona di sostegno. La nascita di un bambino,
la perdita di una figura cara molto importante attraverso la
separazione o la morte, un aumento di responsabilità a casa o al
lavoro, tutto ciò può provocare o, meglio, far precipitare i
sintomi agorafobici. L’aumento di
responsabilità rappresenta una minaccia per il paziente, poiché
egli crede, a torto, che se si comporterà inadeguatamente potranno
esserci conseguenze disastrose è accompagnato da una
profonda disistima. Pertanto, la sfiducia in se stesso può essere
minacciata dalle aspettative e aumentata dall’allontanamento di un
sostegno sociale. Paradossalmente, in un scenario tipico, l’individuo
si percepisce come represso da un’altra persona da cui egli dipende
per l’appoggio sociale e interpersonale.
gli attribuisce una
grande importanza al proprio – per quanto malfermo – senso di
autocontrollo e competenza, ma il dominio di un’altra persona tende
a erodere la sua fiducia nelle proprie capacità di funzionare
adeguatamente su una base di indipendenza. Poiché le nuove richieste
e responsabilità sono viste come cruciali, può tornare ovvero
regredire a uno stadio precedente di dipendenza. Si
sente più minacciato da problemi esterni e interni, e fa sempre più
affidamento sulle figure di sostegno per avere un aiuto nel
fronteggiare questi pericoli. Il futuro agorafobico inizia
comunemente a percepire una varietà di possibili pericoli nel mondo
“esterno”: per esempio, perdita del controllo dell’automobile,
rimanere imbottigliato nel traffico, restare incastrato in una porta
girevole, essere calpestato dalla folla: pericoli che assomigliano
alle paure relativamente realistiche dei bambini piccoli. Queste
paure si accumulano e si espandono, finché alla fine quasi ogni
stadio del processo dell’andare a far spesa o in un altro luogo
fuori di casa diventa un grave problema. Il risultato è che
l’individuo percepisce se stesso come sempre più vulnerabile man
mano che passa attraverso ognuna di queste fasi:
1.
Percepisce un numero illimitato di opportunità di essere
immobilizzato, umiliato, annientato, soffocato o attaccato, non può
fare affidamento su nessuna difesa contro questi “pericoli”
esterni;
2.
Le reazioni riflesse automatiche producono sintomi che fanno pensare
a gravi disturbi interni: attacco cardiaco, momenti di mancamento.
L’individuo non ha modo di difendersi da questi attacchi “interni”;
3.
Il soggetto prova una sensazione di “cattivo funzionamento” e un
calo di competenza. Crede di non poter controllare l’automobile,
mantenere il proprio equilibrio, comunicare oralmente con altre
persone senza bloccarsi o balbettare, e così via;
4.
La perdita del controllo sulle reazioni alla minaccia rinforza il
concetto di essere vittima di forze interne ed esterne su cui non ha
nessun controllo;
5.
Questa perdita della sensazione di competenza insieme alla paura del
“disturbo interno” conduce il soggetto a cercare aiuto da una
figura protettiva;
6.
L’ansia intensa provata nella situazione minacciosa - negozio,
supermercato, strade, cavalcavia - può crescere fino a sfociare in
un attacco devastante e incontrollato. In ogni caso, la forte ansia
innesca un forte desiderio di fuggire dalla situazione e ritornare a
un rifugio sicuro, generalmente casa;
7.
La casa o un rifugio equivalente, rappresenta la sicurezza dal
pericolo esterno. L’individuo prova una forte resistenza ad
avventurarsi di nuovo fuori, e generalmente prova ansia se lascia
casa;
8.
Le inibizioni multiple, le tendenze alla sottomissione e le
autovalutazioni negative indeboliscono la fiducia in sé e conducono
così allo squilibrio nelle relazioni interpersonali, a un ulteriore
senso di inadeguatezza e, infine, alla sensazione di essere in
trappola e dominato dalle altre persone.


an
mano che l’agorafobico si avvicina alla situazione fobica, si
“rinchiude” in un set di vulnerabilità: un’anticipazione delle
afflizioni che gli capiteranno. E’ preoccupato per la possibilità
di un improvviso, parossistico e incontrollabile disturbo interno.
Prima di entrare nella situazione, egli considera questo stato di
agitazione come indicativo di un grave disturbo fisico,
comportamentale o psichico. Quando si trova nella situazione,
tuttavia, crede di sviluppare un serio malanno. Qual
è la “causa” dello stato di attivazione neurofisiologico?
Secondo le mie osservazioni dirette, sembra sia basata sulla
convinzione dell’individuo - quando è solo - di essere vulnerabile
a improvvisi disturbi medici, mentali ed emotivi. Egli crede che a
questi disturbi potrebbe porre rimedio se avesse un pronto e libero
accesso a un luogo sicuro, come la sua casa, un medico o un ospedale.
Perciò sensazioni somatiche relativamente poco importanti che fanno
pensare ad un malore, possono essere messe a tacere o ignorate se
esiste la possibilità di ricevere assistenza. Se è lontano o gli
viene impedito l’accesso a tale assistenza, il soggetto può non
riuscire ad ignorare questi sintomi somatici come segnali di disastro
incombente, accresce la paura di una grave disgrazia. L’aumento
della paura conduce all’ansia e alle sue concomitanti che possono
ulteriormente accrescere i sintomi somatici, si instaura così un
circolo vizioso. Infine, le difficoltà di pensiero impediscono al
soggetto di usare le sue capacità di ragionamento per negare le
paure esagerate. Un individuo che sta per entrare nella situazione
agorafobica, dunque, si muove secondo i seguenti principi:
•
“Un
disastro che incombe su di me può colpirmi in qualsiasi momento”.
•
“Non
c’è nulla che io possa fare per schivarlo o mitigarlo”.
•
“Se
potessi ricorrere a un esperto o a un aiuto (amico), potrei
allontanare o ridurre le terribili conseguenze”.
•
“Qualsiasi
sensazione particolare (dolore toracico o addominale) può essere un
segno di questo fatale stato”.
•
“Se
il processo non è bloccato, può accelerare fino al disastro
finale”.


erché
dei luoghi o situazioni specifiche sembrano innescare gli attacchi?
Un fattore evidente sembra essere rappresentato dal fatto che tali
luoghi o situazioni bloccano l’accesso alla casa o alla figura
protettiva. Negozi affollati interferiscono con la mobilità. Andare
in treno, su una superstrada o in una galleria blocca l’accesso
libero all’aiuto di emergenza. Analogamente, l’impossibilità di
raggiungere l’uscita in un ristorante affollato o in un teatro
impedisce la fuga verso un rifugio sicuro e l’aiuto. La parola
chiave in queste situazioni è “intrappolato”. L’altro
possibile fattore più importante è che ognuna di queste situazioni
è percepita come pericolosa in se stessa. Così,
la persona che sta dirigendosi verso una situazione “agorafobica”
specifica, come un centro commerciale chiuso o un supermercato,
incontra una varietà di potenziali pericoli nel tragitto: sia il
corpo sia la mente si preparano e anticipano situazioni che non si
verificheranno mai. Può andare fuori
strada con l’auto o investire un pedone, perdersi, essere investita
da un’auto mentre attraversa la strada o soffocare in un tunnel
della metropolitana. Inoltre, le gallerie e i ponti possono crollare,
gli autobus possono avere incidenti e gli ascensori bloccarsi. I
“pericoli” quando l’individuo entra nella situazione
agorafobica sono meno evidenti. I negozi affollati interferiscono con
la libertà di movimento e limitano la libertà di fuga e di accesso
al soccorso. I piani affollati possono produrre la sensazione di
essere circondati e soffocati che, a sua volta, può condurre la
persona all’iperventilazione e, così, a presentare certi sintomi:
vertigini, formicolio, associati con uno stato panico. D’altro
canto, gli spazi cavernosi, le ampie aperture delle grandi finestre,
gli angoli poco conosciuti, le linee geometriche convergenti, possono
innescare sintomi ansiogeni associati con percezione profonde, i
cosiddetti “riflessi otticocinetici”.

uesta reazione, presente
soltanto in alcuni soggetti agorafobici, è osservata più
chiaramente in ampie costruzioni a volta, come gli auditori, e in
piazze pubbliche. Così l’individuo
ipersensibile ai confini esterni è preso tra la paura di essere
costretto alla mancanza di spazio per muoversi, da un lato, e
dall’altro, di perdersi in spazi sconfinati. In più, oltre al
problema di troppo o poco spazio, può temere di inciampare e cadere
dalla scala mobile, di saltare giù dalla tromba delle scale, di
cadere dalle ampie finestre del piano più alto del grande magazzino.
L’agorafobico è tipicamente preoccupato
della libertà di movimento e del libero accesso all’eventuale
soccorso. Tuttavia, paradossalmente, una delle sue caratteristiche di
reazione comportamentale implica l’immobilità. Il soggetto si
sente debole e impotente e teme di svenire. Quando ciò avviene,
questa risposta di immobilità parasimpatica rende la situazione
fobica perfino più minacciosa poiché la risposta comportamentale
interferisce ulteriormente con la libertà di azione. In molti casi
tuttavia, l’impulso di fuggire è così forte da vincere questa
sensazione di debolezza. La mobilità ha un significato che va al di
là del fornire un meccanismo per la fuga e un antidoto alla
debolezza. L’agorafobico attribuisce un valore alla mobilità
in se stessa: la libertà, l’autodeterminazione, l’individualità.
Qualunque limitazione da parte di oggetti animati o inanimati lo fa
sentire in trappola, immobilizzato. Questi individui a volte
presentano fantasie di completa libertà, per esempio volare in aria.
Alcune donne agorafobiche, riportano fantasie “involontarie” di
flagranti scappatelle sessuali. Possiamo ipotizzare che la paura di
perdere il controllo, così prevalente nei soggetti agorafobici, è
dovuta, in parte, al riconoscimento di un impulso a rompere le regole
di comportamenti convenzionali: urlare, agire in modo folle,
commettere atti distruttivi. Il conflitto
dell’agorafobico, quindi, sembra ruotare intorno a problemi di
dipendenza, autonomia e controllo.
a una parte, poiché crede di non
poter fronteggiare i pericoli del mondo esterno da solo, è spinto a
ottenere aiuto da una “figura protettiva”. Dall’altra parte,
cercare aiuto può condurre a cedere la propria indipendenza a
un'altra persona. Avendo “bisogno” di un’altra persona, ha una
minor pretesa di libertà, di esercizio dell’individualità e di
affermazione dei propri diritti. Gli
agorafobici, con una certa frequenza, sono presi in una complessa
interazione coniugale. Desiderano
ricevere appoggio dal coniuge ed essere liberi e autonomi. Una
tale relazione coniugale vischiosa – simbiosi - tende ad avere
diversi effetti. Primo, l’espressione di autonomia è inibita per
via del timore della separazione che potrebbe minacciare la
possibilità del soggetto di avere accanto il coniuge a cui
richiedere l’aiuto necessario. Inoltre, il coniuge può usare la
propria posizione di figura protettrice per dominare il compagno
agorafobico, per promuovere i propri obiettivi e per umiliarlo. Il
risultato di queste relazioni non paritarie è di ridurre la fiducia
in sé e renderlo sempre più dipendente. In
secondo luogo, le strategie di sottomissione del soggetto non solo lo
fanno sentire meno efficace ma gli stimolano una sensazione di sfida
impotente. Egli è preso quindi in un conflitto tra il desiderare di
compiacere la figura protettrice e di ribellarsi.


osa
fare. Certo l’ansia si
può curare, ma è molto meglio prevenirla e cioè adoperarsi
affinché essa tanto utile all’uomo, non abbia a trasformarsi in
forma patologica che, come è stato più volte sottolineato, è
invece motivo di comportamenti anormali e di grande sofferenza
(agorafobia). Quando la prevenzione non è possibile e l’ansia ha
raggiunto valori incontrollabili, per combatterla, possiamo ricorrere
alla psicoterapia e al rilassamento. Le strategie terapeutiche,
offerte dalle psicoterapie più accreditate, spaziano da quella
cognitiva - comportamentale a quella psicoanalitica. Nel trattamento
di questo disagio, risulta utile, proprio per le sue manifestazioni
specifiche che coinvolgono mente e corpo, applicare programmi
terapeutici che combinano insieme varie metodiche terapeutiche ad
indirizzo psicosomatico: il corpo e la psiche sono sempre un tutt’uno
indivisibile. Se
lo stato d’animo è alto, aumenta la sicurezza e la fiducia in se
stessi, ma anche fisicamente ci si sente meglio. La cattiva salute,
la sofferenza biologica può avere ripercussioni anche gravi
sull’equilibrio emotivo.
L’aspetto fondamentale del programma terapeutico è che non ci si
deve assolutamente concentrare solo su un unico tratto agorafobico:
l’esperienza fobica e le sue manifestazioni secondarie, ovvero
depressione, ansia, etilismo, iperventilazione devono essere prese in
esame contemporaneamente e non separatamente. Ogni psicoterapia, a
prescindere dall’indirizzo scientifico, raggiunge gli scopi
prefissati quando il soggetto ha raggiunto un buon livello di
autostima in modo tale da essere in grado di modificare il proprio
immaginario, gli schemi mentali, i pensieri e, di conseguenza, i
propri stili di vita. Tempi
brevi e risultati più evidenti si ottengono con metodiche ad
indirizzo psicosomatico che oltre ad avere una concezione olistica
del disturbo, si basa sulla riformulazione della propria visione del
“mondo” e sul raggiungimento di atteggiamenti meno rigidi e,
quindi, più adattivi. In questa visione l’ansia è considerata
come il risultato di precedenti esperienze - espresse anche con il
linguaggio corporeo - particolarmente negative che hanno portato a
convinzioni “irreali” su di sé, sugli altri e nei rapporti
interpersonali. Tali
convincimenti saranno ristrutturati in maniera più realistica
durante il percorso psicoterapico. Il più delle volte, momenti di
stasi o ricadute, generalmente temporanei, sono parte integrante del
processo terapeutico globale di miglioramento. In
realtà, queste ricadute potrebbero indicare al soggetto che, proprio
per porre fine il più velocemente possibile a questa sofferenza e
uscire da questo disagio devastante, sta pretendendo troppo da se
stesso: risulta indispensabile, quindi, procedere in maniera più
riflessiva e con più calma … non bisogna mai mettere in
“cantiere”, soprattutto con le fobie, troppe cose
contemporaneamente!!!


oiché
l’ansia è sempre accompagnata da un’elevata tensione muscolare,
ne consegue che essa può essere eliminata se si raggiunge un buon
rilassamento. Mentre le psicoterapie cercano di risolvere il problema
dell’ansia puntando sui suoi aspetti emotivi, le tecniche di
rilassamento sono invece incentrate sulla componente fisica
dell’ansia ovvero l’angoscia: ansia somatizzata.
Le principali tecniche distensive sono particolarmente utili ed
efficaci in questa affezione, in quanto sono realizzate seguendo
varie forme di rilassamento progressivo dei distretti corporei e poi
del sistema vascolare. La tecnica di visualizzazione consiste nel
suggerire al soggetto a immaginare situazioni visive. Ottenuto il
massimo rilassamento, l’individuo viene guidato ad immaginare uno
scenario proposto su cui sviluppare temi e situazioni in base al suo
vissuto e alla sua personalità. Possono venire utilizzati temi
rilassanti e distensivi, situazioni conflittuali da cui si riesce ad
uscire in modo costruttivo e positivo, problematiche personali che
vengono tranquillamente risolte. I programmi terapeutici che vantano
“maggior successo” combinano assieme metodiche psicoterapiche,
distensive e tecniche respiratorie: abbassano e mantengono bassi i
livelli d’ansia evitando, quindi, un ulteriore squilibrio chimico
all’interno dell’organismo. Si può ottenere un buon controllo
dell’ansia anche mediante la regolazione del ritmo respiratorio.
Infatti, respirare in eccesso significa modificare questa funzione
naturale in modo rapido o superficiale, con il conseguente
abbassamento dei livelli di anidride carbonica nel sangue. Questo
induce un senso di vertigine, svenimento, stordimento, formicolio
alle mani, piedi e viso, spasmi a mani e piedi, tensione a livello
del torace. Tale fenomeno, infatti, produce una reazione a catena di
eventi fisiologici che alterano tutte le funzioni dell’organismo;
inoltre, col respiro superficiale si utilizza solo una piccola parte
della capacità polmonare, sintomi:
difficoltà di parola, esperienza di stordimento, palpitazioni fame
d’aria, gola secca.
’iperventilazione può essere determinata da qualunque cosa possa
impedire l’espansione del torace, postura non corretta, contrazione
e tensioni muscolari, naso chiuso, asma, tosse secca, ansia. Gli
effetti dell’iperventilazione - eccesso di respirazione rispetto al
fabbisogno dell’organismo - sono, con l’allenamento e con l’aiuto
di un esperto, di gran lunga facili da ridurre, imparando a respirare
lentamente e profondamente. Ogniqualvolta si presentano sintomi
inspiegabili, dovrebbe essere presa in considerazione l’eventualità
di un eccesso di respirazione cronica. Usando le tecniche di gestione
acquisite, inoltre, si sarà in grado di prevenire il ritorno del
disturbo agorafobico. Ricorda,
le paure segnalano, avvisano l’inizio di un percorso non proprio
vantaggioso: fanno cadere i luoghi comuni e le maschere … una
reazione fisiologica che segnala la presenza di un pericolo anche
quando non è per niente drammatico.
Gli
ostacoli EMOTIVI … come
superarli.

l
primo evidente segnale di malessere psicosomatico è l’indecisione
e l’inattività. Tutti nella vita, in qualche modo, hanno
sperimentano il senso di indecisione. Chi è calato continuamente in
una dimensione di sofferenza emotiva, purtroppo, è un indeciso
cronico. Rimugina gli stessi problemi giorno dopo giorno, settimana
dopo settimana e in certi casi per anni e anni: consumato, a dir
poco, dal dubbio. Amleto, come sappiamo, è il caso classico.
L’indecisione, naturalmente, implica la tendenza a procrastinare,
ovvero differisce la soddisfazione dei bisogni e crea, nel contempo,
profonde frustrazioni. E’ uno stato mentale di insicurezza sulla
natura di un evento che dovrà avvenire, oppure di dubbio fra due o
più ipotesi di scelta. A
volte, tale comportamento, può essere positivo in quanto spinge il
soggetto a piccole pause di riflessioni e di prudenza per poi
intraprendere brillantemente un’azione più ponderata e magari più
sentita, ma anche negativa perché indugiare continuamente porta a
bloccarsi, ad una fase di stallo, cioè a non agire, non fare
esperienza e, quindi, a non conoscere: si creano situazioni di
evitamento, un atteggiamento fatto apposta per non scegliere e
ovviamente non rischiare nulla.
Anche il timore di sbagliare crea immobilismo, si chiedono mille
consigli per poi ritrovarsi più dubbiosi di prima: il risultato è
quello di non muovere un passo. Non agire significa sognare ad occhi
aperti, e questo incrina il rapporto con la realtà, la
concentrazione, la capacità di operare e di essere completamente
attivi. In aggiunta a tutto ciò emerge, inevitabilmente, un senso di
inadeguatezza che deriva dal non poter appagare i bisogni e risolvere
con una certa soddisfazione gli impegni quotidiani: si diventa ostili
e si aggredisce la gente per questo senso di disagio interiore. Ben
presto si passa più tempo pensando a ciò che manca piuttosto a ciò
che si ha.

nche l’ostilità è un sentimento piuttosto comune nel
malessere emotivo, perché viviamo in una società altamente
competitiva. Si gareggia sempre in maniera confusa e contraddittoria
per qualcosa: diplomi, impieghi, condizioni sociali, compagni
sessuali, posti di parcheggio e così via. Non dobbiamo dimenticare
che un individuo ostile è un arrabbiato cronico, costantemente
critico verso se stesso e gli altri. In breve, è un sentimento di
avversione dichiarata o latente verso il prossimo, che può
esprimersi in reazioni premeditate o improvvise, di solito proprio
per ragioni di antagonismo, pregiudizio, inimicizia. Questo
sentimento scaturisce, quasi sempre, da una sensazione di profonda
scontentezza oppure di totale dipendenza.
Quando si è
scontenti, infatti, nasce per reazione un senso di rabbia che spinge
all’aggressività. Si
diventa allora ostili verso tutti quelli che hanno raggiunto o
realizzato i loro obiettivi nella vita. Anche un rapporto di totale
dipendenza può far esplodere sentimenti di violenza: è talmente
stretto il rapporto interpersonale che impedisce di esprimersi, di
essere autonomi ma, soprattutto, di vivere in maniera libera e
spontanea. Il senso di colpa, inoltre, che spesso è il risultato
dell’ostilità e dell’insuccesso, è un altro segnale del
malessere emotivo. La sua più comune espressione è il costante
chiedere scusa. Chi è controllato da questa emozione chiede sempre
scusa con molta educazione e convinzione, non solo quando è
opportuno ma anche quando è fuori luogo. E’ un’emozione
conseguente alla convinzione di aver violato una regola. Quando
la sensazione di colpa si radica dentro la persona fino a diventare
una risposta automatica ogni volta che si pensa di aver infranto una
norma personale o sociale anche solo col pensiero, la salute
psicofisica, da un punto di vista biochimico, sta correndo un grosso
rischio. L’attività
lavorativa diventa un peso intollerabile, il desiderio sessuale si
spegne. Ci si cala in una dimensione di penosi vissuti, di
inadeguatezza, incapacità e fallimento, dovuti alla sensazione,
appunto, di aver disatteso le proprie aspettative e quelle altrui:
l’umore crolla e la depressione affiora rendendo difficoltosa
qualsiasi azione.
e
somatizzazioni determinate dai sensi di colpa possono coinvolgere il
sistema immunitario, la pelle (vitiligine), ossa (periartrite,
artrite reumatoide), capelli (alopecia), intestino (colite).
In realtà, alcune parti del corpo esprimono il turbamento dello
stato emotivo. Per
alcuni è la testa (cefalea), per altri lo stomaco (ulcera,
gastrite), per altri ancora la schiena (scogliosi, lombosciatalgia).
Ma la somatizzazione più frequente, che non sempre è riconosciuta
come tale, è la stanchezza. Ci
sono molte ovvie, logiche ragioni per diagnosticare la stanchezza
come il risultato di un superlavoro. Ma il fatto è che la fatica è
anche indice di eccessiva resistenza, di risentimento, di indecisione
e, soprattutto, di un continuo rimuginare a vuoto. I
pensieri fissi invalidanti possono essere stimolati o influenzati da
relazioni sbagliate, da un lavoro non gradito, da litigi
interminabili, da rapporti conflittuali e complicati (fattori
scatenanti del momento); si nutrono comunque, sempre, di emozioni MAL
vissute; ma la vera palude mentale, i veri pesi mentali, il vero
problema di questa “prigione”, del “tunnel” infinito, del
“girare a vuoto”, dei “chiodi fissi” è il nostro modo di
pensare, le nostre convinzioni, i nostri schemi mentali adottati che
non ci permettono di ascoltare le nostre necessità, le nostre vere
esigenze, cosa si vuole veramente; la nostra sofferenza parte da qui,
dal nostra atteggiamento mentale, da un modo di “vedere” le cose
fatto esclusivamente di rinunce, imposizioni, timori, confronti,
abitudini, noia, paragoni, sottomissione, paure, apatia, rigidità.
Ricorda, che lasciandoti andare libererai la mente, così la testa
troppo vigile e piena di pensieri costanti, finalmente, sarà più
“leggera” e spontanea: penserai poco ma sentirai di più.
Disturbo d'ANSIA GENERALIZZATA (GAD).

hi
soffre di questo disturbo cronico vive in uno stato continuo di
tensione, previsioni che creano apprensione, si pensa possa capitare
qualcosa di terribile. Soffrono costantemente di qualsiasi cosa:
salute, famiglia, lavoro, rapporto affettivo, timore per la
situazione economica; preoccupazioni persistenti ed eccessive. Sono
dei "campioni" a produrre sintomi davvero originali, sia
fisici sia psicologici, temono di perdere nell'immediato il
controllo. Lamentano costantemente tensioni
muscolari o cefalea. Possono entrare
facilmente in iperventilazione con la sensazione sgradevole di
soffocare, hanno notevole difficoltà a prendere sonno di notte.
La difficoltà respiratoria determina formicolii diffusi nelle
estremità del corpo, con vertigini, sudorazione, palpitazioni,
minzioni frequenti e secchezza della bocca. Difficilmente si trovano
a proprio agio, rilassati nelle situazioni sociali e lavorative; sono
sempre irrequieti ed affaticati, nel tempo possono sviluppare un
quadro clinico depressivo e diventare ipocondriaci. E' un disturbo
che compromette la qualità della vita dei soggetti che ne sono
affetti, può minare la stabilità emotiva e i rapporti
interpersonali sono disastrosi. A volte si isolano completamente
dall'ambiente lavorativo e familiare, facilitando l'apertura in tal
modo all'uso di alcol, farmaci o di droghe, diventano improduttivi.
Un copione psichico e fisico che non si discosta di molto dalle altre
affezioni in cui domina l'ansia.
Spazza
via i brutti pensieri … è facile.

tarli mentali sono il prodotto di un’esistenza troppo abitudinaria
e troppo spenta stimolano le parti più profonde ad uscire e mettere
tutto in discussione; una mente sconvolta e confusa da pensieri
angoscianti che impediscono di conformarsi ad uno stile di vita
troppo “razionale”, molto diverso da quello che sono i propri
desideri più veri: una mente che vuole essere ascoltata. Tieni
presente che la rigidità e l'autocontrollo limitano lo spirito di
adattamento e rendono la vita immobile e banale. Un
corpo che si ribella, chiede più attenzione; non sono segnali di
pericolo ma un corpo che chiama, vuole trasformarsi: chiede
di vivere. In
questo momento di crisi è facile incontrare persone che si perdono
nel labirinto delle lamentele e dell’inquietudine: le
azioni diventano faticose, confuse e poco efficaci. Rassegnate,
stanche e svogliate si fanno “catturare” dalla rabbia, dal
rancore e dai sentimenti negativi.
Molti sono gli argomenti e i timori reali che spesso - a ragione -
oltre a causare una montagna di stress, fanno arrabbiare, perdere
lucidità e concentrazione. Ad ogni conversazione, gli animi si
surriscaldano, ma poi, dopo il commiato, tutto passa, ogni cosa si
risolve: non resta alcuna traccia emotiva del dibattito. Ma può
anche accadere che la mente sotto la spinta di frustrazioni molto
forti reagisca cedendo a pensieri bizzarri e a gesti “strani” che
creano un senso di disagio, di tensione e di disperazione: i
piccoli o grandi rancori si fanno sentire generando un flusso d’ansia
continuo.


apita
a tutti di assistere al fallimento di un proprio progetto
particolarmente desiderato e inseguito da tempo. E’ vero, si resta
molto male ma prima o poi si riparte con forze inaspettate. Per
alcune persone, invece, quel senso di fallimento non giunge dopo una
situazione negativa, ma è presente da molto tempo prima. Un ciarpame
mentale di nessun valore pratico e pensieri inutili dominavano già
la loro vita: “Non
valgo niente, Sono un fallito, Nessuno mi considera, Non so mai
impormi, Sono timido, Faccio sempre gli stessi errori, Non so
resistere alle tentazioni, Sono un incapace, Sono troppo fragile, Non
ci riuscirò mai, Tutti mi fregano, Sono preda della sfortuna, Non
combino mai niente di buono, Ormai è tardi per cambiare, Non sono
all’altezza, Attiro sempre persone sbagliate”.
Uno stato emotivo forte che rimanendo perennemente sullo sfondo
esistenziale lacera, butta giù e sminuisce completamente ogni cosa
perché mette in primo piano solo fallimenti, sconfitte, insuccessi o
incapacità. Opinioni ostinate che infondono nervosismo, impongono
ruoli e comportamenti “innaturali”, il più delle volte per
raggiungere mete che in fondo in fondo non interessano nemmeno, ma
cui si aspira per fare bella figura con gli altri. Non è la mole di
lavoro che crea un senso di vuoto e di stanchezza, ma il fatto che
non si è in contatto diretto con se stessi, si è assenti
completamente in ogni attività, sembra sempre che sia di qualcun
altro: ecco perché non ci si appassiona nel fare le cose! Una
convinzione profonda che ogni cosa non debba andare per il verso
giusto, di essere sempre nel luogo e nel momento sbagliato, che la
vita sia una valle di lacrime, triste e grigia, di non aver nessun
valore, di non essere all’altezza dei vari compiti e di non
meritare apprezzamenti: di
sentirsi sempre sospesi, incompleti e senza pace.
rrivano
così, all’improvviso, pensieri terribili e bui che spaventano, e
in quel preciso momento tutto si spegne: la vita diventa faticosa e
non piace più, l’unica speranza - ogni sera prima di coricarsi - è
che arrivi il “sonno” definitivo.
Immersi in un’atmosfera mentale piena di desideri inappagati,
aspettative deluse e doveri imposti, prosciughiamo completamente
tutta l’energia per gestire questo malessere invisibile e
invadente:
girando a vuoto si diventa ipersensibili, irritabili e insofferenti
al punto che tutto infastidisce.
Il
confronto con gli altri è costante e una profonda sfiducia nelle
capacità operative relega il personaggio, ancor prima di entrare in
scena, in una posizione di perdente. Cambiare è davvero difficile se
si pretende di partire da “fuori”; la soluzione non viene mai
dall’esterno ma dal modo con cui si guardano le cose: “starò
bene solo quando diventerò più sicuro di me, quando guadagnerò più
soldi, comprerò l’auto nuova, la casa o il vestito nuovo, quando
il partner cambierà, quando avrò un taglio di capelli all’ultimo
grido, quando incontrerò la persona giusta, quando avrò sistemato
il matrimonio, quando, e ancora quando… MA QUANDO”.
Se ci si fissa per troppo tempo su obiettivi e desideri che non si
realizzano mai perché fuori tempo, non reali, passati o ancora da
venire, si manda completamente in tilt la “centralina”: il
cervello.
Ripetendo sempre le stesse esperienze, le stesse situazioni e i
soliti percorsi obbligati, tutto lo spazio mentale si ingombra. La
mente per non impaludarsi deve scorrere e fluire liberamente,
altrimenti è costretta a cercare spiegazioni nel passato e nel
futuro: tiene
in vita, con il suo cicaleccio, gli stessi problemi.
ominati dall’indecisione e dalla sensazione che non cambi mai
niente, si creano le fondamenta della disistima e dell’infelicità:
paura del fallimento, insicurezza, delusione, inadeguatezza; tensione
muscolare cronica, soprattutto cervicale, tensione psichica alternata
a crolli di stanchezza e cali di umore: una
percezione distorta che conduce direttamente allo sfinimento,
all’astenia e alla depressione.
La tendenza a ruminare pensieri immette direttamente su un percorso
parallelo in cui non c’è spazio per la realtà, l’azione e la
sorpresa, incontro: uno
scenario sempre uguale che solo a tratti si anima di tanto in tanto
piccoli bagliori di felicità. Molto
spesso ci si ritrova spompati, stanchi e privi di risorse, senza
nemmeno sapere il perché; l’atmosfera mentale in cui si è calati,
a lungo andare, influisce sulla chimica del cervello e, quindi, sulle
condizioni fisiche. Quando
si è ripetitivi e rigidi lo sguardo si riduce, e con esso il campo
d’azione: gli orizzonti sfumano, le opportunità svaniscono e le
soluzioni si restringono.
Concentrarsi
invece sulle proprie sensazioni, essere presenti a se stessi, senza
farsi fagocitare di continuo dai “chiodi fissi”, dal passato e
dal futuro, si fa pulizia e si spazza via le ragnatele dalla mente.
Non
essendo più vincolati alle aspettative, non solo diminuisce
la
fatica e aumenta l’energia, ma si esce dalla crisi, si fa spazio
alla lucidità e il senso di vitalità non tarderà ad arrivare.
Cambiare visione, vedere in più direzioni - osservare se stessi
senza giudizi e commenti - aiuta il cambiamento interiore e ad essere
più aperti a possibilità sconosciute:
spinge
a progredire, a ricercare, a essere svegli e ricettivi, si sottrae la
mente all’appiattimento e alla routine.
La soluzione per superare i “brutti pensieri” consiste nel
guardarsi dentro senza barare né fingere: solo
così l’energia sprecata per gestire i troppi pensieri inutili sarà
disponibile per il cervello che torna nuovo: con le mosse giuste è
davvero possibile rompere l’incantesimo.
iamo
di fronte ad una mente che vuole incasellare tutto; i pensieri
insistenti - ridondanti, sempre uguali e stancanti - che dimorano
dentro ogni persona, oltre ad influenzare lo “spazio” interno,
stati emotivi, sensazioni, possono accendere o spegnere completamente
creatività e vitalità; una mente bloccata da “tarli” mentali -
confronti, ripetitività, modi di dire, rigidità, luoghi comuni,
vittimismo - oltre ad usare male le proprie risorse energetiche, gira
a vuoto e ostacola la creatività: smettendo di rimuginare si sblocca
la mente e la vitalità.
ICORDA,
il massaggio psicosomatico non solo stimola e cura il corpo ma porta
anche numerosi benefici alla mente: allontana ansia, depressione e
stress, rinforza la circolazione sanguigna, aiuta le funzioni
intestinali, fa diventare più armoniosi nei movimenti, migliora la
cute, calma la tensione muscolare; mentre con gli oli essenziali
giusti è davvero un tocco di salute: Lavanda (analgesico,
antinfiammatorio, antidepressivo, antispasmodico, cicatrizzante,
antisettico, antireumatico), Gelsomino (rilassante, antidepressivo,
antisettico, sedativo, utile per l’eros), Rosmarino (antispastico,
analgesico, antinfiammatorio), Sandalo (tonico, stimolante,
decongestionante venoso e linfatico, decongestionante), Salvia
(antisettico, tonico: disturbi del sistema neurovegetativo).
La
salute MENTALE.

disagi emotivi nell’adulto sono scenari tragici che rispecchiano
misteriosamente situazioni e condizioni infantili di impotenza. Si
pensa che, nel corso della vita, una persona su quattro sia colpita
da un malessere emotivo, variabile per origine ed importanza. Un
tema, quello della salute mentale, offuscato e dominato ancora oggi
da tanti piccoli pregiudizi, senso di vergogna, timori ingiustificati
e pressappochismi. Sono, infatti, numerosi e radicati i giudizi di
valore che ostacolano, spesso in maniera silente, la prevenzione, la
diagnostica e la cura di questo singolare tormento umano. Nessuno
è ritenuto colpevole per il fatto di avere l’epatite, il diabete,
il tumore o l’ipertensione, ma c’è la tendenza a guardare con
sospetto, se non con disprezzo, chi ha problemi emotivi; soffrire di
qualche problema psichico non è segno di debolezza personale o
morale, più di quanto lo sia essere colpiti da qualsiasi altra
malattia fisica. Il malessere emotivo non indossa mai vestiti comodi,
vistosi e alla moda, meglio non farsi notare, non essere visti:
perché la mente dei “sani”, colta di sorpresa, di fronte a certe
inspiegabili “stranezze”, può SPAVENTARSI.
cco allora, tra la gente, figure furtive che con passo veloce e
fugace - per evitare occhiate indiscrete e zittire domande
inopportune - sono costrette a diventare trasparenti e invisibili.
Così,
lentamente, la vita sociale si spegne, i pochi rapporti
interpersonali sono caratterizzati perlopiù da vile indifferenza e
da un diffuso senso di fastidio, ogni piccola occhiata contiene un
segnale ben preciso: rivolgiti altrove, qui non sei gradito!!!
La “diversità” porta sempre con sé, oltre a spese inestimabili,
la compromissione dei rapporti interpersonali e il rapido
deterioramento psicosomatico. Anche le forme più lievi delle
malattie mentali possono determinare profonde sofferenze soggettive:
paure diffuse, svalutazione, senso di inferiorità, torpore smanioso,
incapacità di esercitare una professione, non essere in grado di
occuparsi in maniera adeguata di se stessi e dei propri familiari. Il
posto di lavoro, poi, diventa letteralmente una polveriera, un
territorio di battaglia, un luogo arido e monocolore, ogni piccola
cosa crea fastidio ed irritazione, un banale gesto diventa un
pretesto per emarginare, umiliare e fare dispetti. La vita sociale,
vissuta al minimo, è disorientata da scelte sbagliate, sommersa da
desideri confusi, dominata dal dubbio, piena di continue rinunce e
irragionevoli limitazioni.
Si pensi, ad esempio, ad alcuni non gravi problemi della condotta
sessuale, ai disturbi del controllo degli impulsi, agli sbalzi
dell’umore, alle dipendenze patologiche, ai comportamenti evitanti
e dipendenti. Manifestazioni che in passato sono state
sistematicamente ricondotte a un difetto di volontà o ad una qualche
imprecisata debolezza emotiva, e di cui attualmente si cominciano a
cogliere gli aspetti morbosi, e quindi la necessità di integrare gli
opportuni interventi terapeutici. Un malessere che segna la vita non
solo alle persone che ne sono affette ma anche alle loro famiglie, ai
pochi amici e ai colleghi.
iconoscere i problemi non significa essere dei mostri o dei falliti,
ma semplicemente capire se c’è qualcosa che non funziona in modo
tale da porre rimedio alla sofferenza invalidante: imparare a vivere
in modo più gratificante, rispondere alle esigenze quotidiane della
vita di ogni giorno, avere una buona immagine di sé, stabilire
relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattarsi alle
condizioni esterne e ai conflitti interni, ritrovare l’autostima e
la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi e scoprire che
ci sono sempre delle alternative e vi è, inoltre, al di là della
visione pessimistica del bicchiere
mezzo
vuoto, la capacità di prendere le decisioni giuste. Un
simile panorama impone, attraverso una corretta informazione
scientifica, l’attivazione in tempo reale di strumenti terapeutici
e preventivi, atti a promuovere la salute mentale. Ignorare la
sofferenza emotiva - anche se tutto è circoscritto a qualche
indefinita stanchezza, svogliato sentimento e ad un innocuo pensiero
persistente - può fuorviare dagli impegni sociali quotidiani, minare
la capacità lavorativa, rendere difficili i rapporti con la gente e,
soprattutto, non essere più in grado di svolgere con soddisfazione
le attività elementari di tutti i giorni. Un
aspetto fondamentale della salute emotiva è l’autostima, il senso
di fiducia in se stessi, un sano orgoglio che dà ad ogni individuo
la sicurezza per adoperarsi a raggiungere gli obiettivi, per aprirsi
agli altri, costruire solide amicizie e relazioni strette.
Alcune DOMANDE.

ome
sapere con certezza se esiste un problema. L’unico
modo per avere questa certezza è verificare le proprie impressione
con uno specialista esperto e preparato in materia di disturbi
emotivi. Anche se l’autodiagnosi rappresenta un primo passo molto
utile, il suo valore è per definizione limitato da piccoli
preconcetti e da atteggiamenti interpretativi sbagliati. Non è
possibile pretendere di padroneggiare le mille difficoltà di una
vera diagnosi solo perché si è letto un articolo su internet o
alcune pagine di un libro; quando i problemi sono significativi e
debilitanti è SCONSIGLIABILE curarsi da soli. Come dice quel famoso
proverbio cinese: ‘Un avvocato che si difende da solo non ha tra le
mani che un cliente incapace e sciocco’. Capire quando una persona
è affetta da un malessere emotivo è difficile, soprattutto perché
la maggior parte degli individui manifesta solo sintomi lievi e
occasionali. Se mettessimo insieme tutti coloro che hanno sofferto di
depressione per qualche giorno o di ansia per qualche settimana, che
hanno vissuto anche un solo attacco di panico, che di tanto in tanto
si abbuffano di cibo o bevono un po’ troppo o hanno fatto uso di
droghe, arriveremmo ad includere almeno il 90% della popolazione.
Circa un quarto di queste persone soffre di un disturbo
diagnosticabile che richiede un trattamento.

on esiste, purtroppo,
una linea di demarcazione netta fra chi è affetto da una sofferenza
importante e chi soffre soltanto di malesseri e piccoli dolori che
fanno parte della vita di tutti. Decidere se si è normali o no è
molto facile quando ci si trova a uno dei due estremi, cioè se non
si ha un segno di malattia o se i sintomi sono veramente conclamati,
ma è molto più difficile se si è fra i tanti che si situano in
posizione intermedie. E’ importante sottolineare che un sintomo non
basta per diagnosticare un quadro clinico, sempre caratterizzato da
un insieme definito di sintomi e da un decorso caratteristico. Prima
di trarre conclusioni affrettate è importante sottolineare che i
problemi per essere tali devono condizionare seriamente la vita in
maniera CONTINUATIVA e non essere soltanto causa di un leggero
disagio. Dato
che il confine tra salute e malattia non è facile da tracciare, è
importante fare attenzione a non sottovalutare né sopravvalutare la
propria condizione.
Il rischio più grave è quello di minimizzare i problemi: almeno tre
quarti delle persone affette da un disturbo curabile non riceve
l’assistenza necessaria. La tendenza alla sovradiagnosi è molto
diffusa, ma si può incontrare in soggetti ipocondriaci che
ingigantiscono i problemi fino a farli diventare malattie davvero
terribili.
Quali
sono le cause di un problema.

ispondere
a questo quesito può essere molto facile per alcuni malesseri, meno
per altri: esistono però principi generali che possono essere
applicati a tutti i casi. La maggior parte della sofferenza emotiva
trova origine in una particolare vulnerabilità che interagisce nel
tempo con le difficoltà che l’ambiente pone sul proprio cammino.
Certe condizioni possono accrescere le
probabilità di un singolo individuo di soffrire di depressione, di
attacchi di panico o di alcolismo, nello stesso modo in cui possono
incrementare il rischio individuale di soffrire di diabete, malattie
cardiovascolari o tumori. Il tutto viene determinato in
rapporto alle situazioni favorevoli o sfavorevoli cui andiamo
incontro durante la vita ... e ovviamente dalle capacità del
soggetto di reagire. I fattori ambientali che svolgono un ruolo
decisivo sono davvero numerosi: da traumi fisici a influenze
familiare negative, a tutte le possibili difficoltà della vita; al
contrario, un ambiente particolarmente idoneo può contrastare lo
sviluppo del disagio emotivo.
Come
affrontare il senso di amarezza.

n
problema emotivo rappresenta molto spesso una condizione difficile.
Nessuno d’altra parte può essere certo di avere una vita facile, e
molte persone soffrono di problemi fisici e psichici peggiori di
quanto si immagini generalmente. L’atteggiamento più saggio è di
accettare con un certo “savoir faire” le carte che sono state
distribuite, cercando di giocarle nel miglior nodo possibile.
Ovviamente deve passare un certo periodo di tempo prima che si possa
raggiungere questo grado di adattamento, di “accettazione” e,
soprattutto, una piena capacità di reazione davanti alle avversità.
Il passo più importante consiste nel capire che la vita può essere
ricca di soddisfazioni se si cerca di assumere il controllo del
disagio e se si lavora seriamente per limitare le complicanze; ma
se si lascia che sia il malessere ad avere il sopravento e a divorare
dall’interno, il risultato è quello di vivere tra mille difficoltà
e sofferenze. Capire che non si è soli e che si può uscire
dai momenti di difficoltà rende più sicuri, più coraggiosi, più
sereni … e più “pazienti”.
Perché
iniziare un trattamento adesso.

iconoscere
e trattare certi malesseri al loro esordio, prima che possono
diventare parte integrante della vita e del modo di pensare, comporta
vantaggi notevoli. E’ un po’ come riparare una perdita del tetto
all’inizio, prima che danneggi il soffitto e i muri di casa: la
tentazione quasi irresistibile è di lasciare perdere e di continuare
a occuparsi delle proprie cose, ma prima o poi la perdita rovinerà
l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere riparato in maniera
semplice ed economica richiederà costosi lavori di ristrutturazione.
Misure preventive e interventi tempestivi
rappresentano la strategia più saggia e conveniente. Lo stesso vale
per i disagi emotivi. Più si è depressi, compulsivi o soggetti al
panico, più le zone cerebrali responsabili di questi sintomi
diventano capaci di generarli; questo fenomeno viene definito
con una strana parola kindling (l’atto di accendere un fuoco): è
molto più facile domare le fiamme prima che il fuoco diventi un vero
e proprio incendio. Molti studi dimostrano che numerose malattie
rispondono in maniera più veloce e completa se la terapia è
intrapresa nelle fasi iniziale del decorso, prima che i sintomi siano
diventati per il paziente, e per il suo cervello, un modo di vivere.
Un trattamento tempestivo riduce anche il
rischio di successive ricadute e migliora nel complesso la qualità
di vita del malato. Decidere di aspettare può essere una
tentazione, ma è quasi sempre una cattiva idea, a meno che i sintomi
non siano lievi, ambigui, di breve durata o legati a una condizione
transitoria.
E’
colpa mia.

a
maggior parte delle persone che soffrono di questi problemi tende a
sentirsi colpevole. Da un lato, purtroppo, atteggiamenti sociali non
particolarmente elastici contribuiscono spesso a rinforzare questa
sensazione, attraverso una serie di ingiuste stigmatizzazioni.
Nessuno è ritenuto responsabile, come è già stato accennato in
premessa, di avere il diabete, l’ipertensione, una malattia
cardiovascolare o un tumore, ma c’è la tendenza a guardare con
sospetto, o addirittura con disprezzo chi è depresso, ansioso o
dipendente da una sostanza, in qualche modo è come se ci
aspettassimo di poter esercitare un controllo maggiore sui disturbi
mentali. Questo atteggiamento è illogico,
ingiusto, inutile e controproducente: soffrire di un disagio emotivo
non è segno di debolezza personale o morale, più di quanto lo sia
essere colpiti da una qualsiasi malattia. C’è una sola
eccezione importante riguardo a questa considerazione; avere un
problema di tipo psichico non solleva quasi mai da eventuali
responsabilità legati a comportamenti criminali o immorali. Negli
ultimi tempi si è diffusa sempre più, in alcuni ambienti giuridici,
l’assurda tendenza a presentare la malattia mentale come scusa per
giustificare tutta una serie di atti illeciti e spregevoli; per
fortuna, questo atteggiamento si rivela in genere fallimentare in
sede legale e si spera che possa progressivamente sparire anche dai
programmi televisivi che si occupano di tali problemi … non si è
responsabili della malattia ma lo si è del comportamento. Gli
individui con qualche problema emotivo spesso devono compiere sforzi
maggiori rispetto agli altri per controllare gli impulsi e per
rispettare i sentimenti e i diritti altrui; capire questo fa parte
della responsabilità che comporta essere malati.
Che
cosa fare per stare meglio.
ercare
di assumere il controllo della situazione anziché subirla. Sapere,
diceva quel saggio di cui mi sfugge il nome, equivale a potere: è
fondamentale cercare di informarsi e di imparare tutto il possibile
sulla propria malattia. L’impegno per cercare di rimanere
aggiornati deve essere costante; grazie ai progressi della ricerca le
proprie conoscenze aumentano in maniera rapida e continua. Ancora più
importante è essere seguiti da un professionista “sensibile” a
questi temi, capace di aiutare a capire sempre di più le
problematiche emotive e a porle nella giusta prospettiva: è
fondamentale fare attenzione a questo particolare aspetto, sono molti
i pazienti che si lamentano del fatto che il professionista scelto
non li tiene sufficientemente al corrente della patologia in atto.
All’inizio è meglio che il soggetto sia informato su quanto sta
succedendo e sulle diverse possibilità terapeutiche:
se lo specialista non è anche un buon docente capace e volenteroso,
non è necessario insistere … meglio sceglierne un altro per
entrambi!
Infine, è importante cercare di conoscersi meglio. Gli esseri umani
sono dotati di un grande spirito di osservazione per quanto riguarda
tutto ciò che li circonda: eccetto se stessi. Una buona conoscenza
di sé è un requisito fondamentale per cercare di migliorarsi, e
succede facilmente di trovarsi davanti anche zone oscure quando si
guarda l’unico oggetto che non si riesce mai a distinguere
chiaramente: se stessi. Cercare, con calma, di imparare di più sui
propri comportamenti caratteristici, su quello che piace e che non
piace, sui punti di forza, le debolezze, le inclinazioni, le
attitudini, i pregiudizi e le paure presenti; per comprendere e
rendere più obiettivo questo quadro introspettivo può essere
d’aiuto verificarlo con persone che si ritengono affidabili. Per
superare un problema di questa natura bisogna veramente “mettercela
tutta”: impegno costante, "onestà" e duro lavoro sono di
importanza cruciale, ed essere un buon paziente non è davvero
facile. I veri progressi si ottengono a poco a poco, compiendo
piccoli passi, azioni normali che prima della terapia si cercava di
evitare, accettando più tranquillamente se stessi. Quello
che si riesce a fare a casa, per conto proprio - il vero banco di
prova - è in genere di uguale importanza del lavoro svolto durante
le sedute terapeutiche: mettere in pratica ciò che si è imparato e
affrontare le situazioni che normalmente si cerca di sfuggire.
Molti disturbi hanno un decorso cronico o, più spesso, ricorrente.
Se si sono vissuti parecchi episodi di malattia, è altamente
probabile che accada ancora, a meno che non si cerchi di affrontare
il problema in maniera seria, radicale e decisa: questo significa, di
solito, cercare di acquisire una visione a lungo termine della
patologia e prendere le misure necessarie per mantenerla
costantemente sotto controllo … ricordarsi che l’amore per se
stessi, può dare soddisfazioni maggiori di quelle derivanti da
successi lavorativi e mondani o dall’accumulo di beni di cui in
realtà, a volte, non si ha veramente bisogno.
Come
può contribuire la terapia rinsaldare i rapporti.

pesso
i disagi emotivi sono fonte di grande tensione e continue
incomprensioni all’interno della famiglia o dell’ambiente di
lavoro. E’ particolarmente importante, anche se spesso difficile,
che tutti i membri della famiglia cerchino di evitare un
atteggiamento di biasimo reciproco. Bisogna rendersi conto che il
disturbo emotivo può creare una situazione in cui è difficile
vivere serenamente con se stessi e gli altri; non è facile
convivere, non è esaltante stare vicino a una persona sempre
depressa, eccitata, terrorizzata, in preda agli sbalzi di umore e
alla collera o assorbita in rituali privi di senso, per fare qualche
esempio. E’ comprensibile che i familiari perdano la pazienza e
diventino a loro volta irritabili, frustrati e intolleranti nei
confronti di chi soffre. La situazione da affrontare non è quella
che si aspettavano e possono non essere preparati. Più i familiari
impareranno a conoscere il problema, meno tenderanno a biasimare per
eventuali comportamenti bizzarri; in caso contrario potrebbero
pensare che il malato è ostinato, irresponsabile, egoista, ostile o
incapace di amore. Una maggiore conoscenza della malattia permetterà
loro di capire quello che il sofferente sta attraversando e di
attribuire la colpa non al soggetto ma alla malattia; li aiuterà
anche ad accettare aspetti del comportamento che in precedenza
avevano giudicato sconcertanti, e a reagire meglio quando si
ripresenteranno. La speranza è di riuscire ad aiutarsi
reciprocamente e a diventare ancora più uniti di prima della
comparsa della malattia: condividere il problema - sempre se lo
vogliono entrambi - può spingere tutti a rivolgere una maggiore
attenzione alle cose veramente importanti della vita. Di solito i
disturbi mentali non compaiono all’improvviso. Si possono
determinare cambiamenti nel comportamento, impercettibili all’inizio,
che il partner, i genitori, i fratelli o gli amici intimi notano, ma
attribuiscono a stress o a un recente insuccesso. Se il cambiamento
diventa più visibile o perdura per settimane o mesi, essi possono
manifestare preoccupazione, ma ancora non sono in grado di intuire
che davvero esiste un problema. In questo frangente è utile fare un
passo indietro e guardare nella maniera più obiettiva possibile al
proprio amico o parente. Che cosa precisamente
è cambiato? In che maniera la persona agisce diversamente da prima?
Da quanto tempo si sono notati questi cambiamenti? Sembra che stia
peggiorando? In particolare è corretto chiedersi se la
persona cara:
. Da
diverse settimane sembra triste, depressa o di cattivo umore. •
Pare che stia perdendo le energie e si sente sempre stanca. • Non
sembra trarre alcuna soddisfazione da attività piacevoli. •
Lamenta problemi di sonno. • Pensa con insistenza alla morte o
parla di suicidio. • Manifesta forti oscillazioni dell’umore. •
Sembra tesa, nervosa o irrequieta. • Appare confusa o ha problemi
di concentrazione o di pensiero. • Prova improvvise sensazioni di
panico o di terrore. • E’ diventata estremamente sospettosa o
timorosa degli altri. • Fa fatica ad andare d’accordo con gli
altri in casa o al lavoro. • Beve più del solito. • Usa sostanze
illegali. Non si è ripresa da una crisi che risale a parecchi mesi
addietro. • Sembra incapace di controllare o di fermare
comportamenti autodistruttivi, come il gioco d’azzardo. • Ha
perso interesse per il sesso o non ha più le stesse prestazioni. •
Si lamenta di sintomi fisici preoccupanti senza che ci sia una causa
medica precisa. • Accenna a idee bizzarre e grandiose. • E’
diventata minacciosa, aggressiva o violenta.

Concludendo.
Incoraggiare
la volontà di star bene.
arlare
sempre in termini non drammatici ma realistici - della guarigione,
di una nuova vita, di un nuovo lavoro - non a scapito dell’onestà
dei propri sentimenti e dei propri timori. Dare e aspettarsi rispetto
e fiducia. Assegnare a tutti membri della famiglia dei doveri nella
conduzione della casa e un posto nelle discussioni familiari. Mai
essere iperprotettivi con il malato, non fargli un trattamento
speciale e mai permettere che si nasconda dietro la sua “diversità”.
Cercare
delle informazioni.
ebbene
ci siano poche risposte già confezionate alle molte domande che
insorgono quando una famiglia si trova ad affrontare un disagio
emotivo, esistono alcune linee guida generali che potranno essere
d’aiuto. Domande sull’istruzione, sulle opportunità d’impiego
e su altre questione pratiche devono trovare risposte sicure. Fare
delle verifiche con il terapeuta, leggere libri e articoli. Essere
preparati “prima” del malessere.
Vivere
la propria vita.
er
quanto sia difficile farlo, quando si è costretti a confrontarsi con
un membro della famiglia con dei problemi, ogni persona deve
continuare a coltivare i propri interessi e a vedersi con i propri
amici. Sfoghi come questi rilassano, aiutano a controbilanciare
l’atmosfera tesa che c’è in casa e tengono in contatto con
comportamenti “normali”.
Imparare
a riconoscere i segnali d’allarme.
ercare
di valutare le parole, le azioni o gli atteggiamenti che precedono i
problemi, e cercare di calcolarne le ricorrenze. Se si hanno dei
dubbi di fronte ad una certa gravità, è doveroso consultarsi con un
specialista di questi disagi.
Non
aspettarsi troppo da se stessi.
’
probabile che di tanto in tanto ci si senta stanchi, adirati o
risentiti. Accettare che il proprio lavoro e le relazioni personali
incontrino delle difficoltà per questa situazione. Ricordarsi che
non si è di ferro, poche persone possono sempre essere pazienti e
generose.
Non
darsi inutilmente la colpa.
n
disagio emotivo può essere causato da stress ambientale, da
squilibri biochimici (stili di vita, modi di pensare, atteggiamenti)
e da molti altri fattori conosciuti e sconosciuti. Rotture
dell’armonia familiare o fatti particolari nella storia della
famiglia hanno di certo contribuito, ma essi sono raramente la causa
della malattie.
Parlare
della situazione.
uò
darsi, come in molti casi, sia molto difficile discutere della
propria condizione con gli amici intimi, perché essi non hanno
alcuna percezione, o ne hanno ben poca, di quello che realmente si
sta attraversando e quindi non sanno come reagire.
Non
scoraggiarsi troppo presto.
a
ripresa di un disagio emotivo richiede del tempo (è sempre in
funzione della cronicità, quadro clinico, età, cultura). Come una
ferita di natura fisica, la sua guarigione è graduale e non può
essere affrettata. Non ci si deve scoraggiare per temporanee battute
d’arresto: non cercare un colpevole quando le cose vanno male.
Anche le piccole ricadute possono essere parte integrante della
terapia … quando un bambino, ad esempio, ha imparato a "camminare",
anche se inciampa e cade, è sempre in grado di rialzarsi!
Le
strategie.
’esercizio
fisico si è dimostrato positivo non solo per il corpo, ma anche per
la mente. E’ anche un modo efficace per ridurre l’ansia:
camminare, nuotare, fare attività semplici e senza sforzo. Una
possibile spiegazione consiste nel fatto che l’attività fisica
aumenta l’afflusso di sangue e l’ossigenazione del cervello e
altera il livello delle varie sostanze chimiche del cervello
provocando così modificazioni nell’umore.
Una
corretta alimentazione.
anto
il corpo quanto la mente per funzionare in piena efficienza hanno
bisogno di un’alimentazione corretta. Le abitudine sbagliate -
saltare i pasti, ingozzarsi in fretta e furia, sgranocchiare cibo
spazzatura - possono creare malessere fisico e disagio psicologico,
come l’incapacità di concentrarsi sui propri compiti, di
rilassarsi e di godere della compagnia degli altri.
Le
tecniche di rilassamento.
sistono
speciali tecniche di controllo dello stress che aiutano a produrre,
attraverso l’attivazione di endorfine, uno stato di rilassamento,
cioè uno stato di calma fisica e mentale che è l’opposto del
riflesso attacca o fuggi, caratterizzato da ritmo cardiaco rapido,
sudorazione, aumento della pressione arteriosa.
Terapie
psicologiche e biologiche.
er
la maggior parte dei disturbi emotivi esiste un gran numero di
terapie efficaci e questa è un’ottima cosa, perché dà la
possibilità di scegliere il trattamento o i trattamenti che meglio
si adattano ai propri bisogni e desideri, alle proprie preferenze e
possibilità economiche.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it