DIPENDENZA

'
una condizione dell'individuo che si trova in dipendenza economica,
emozionale o di diversa natura da altri individui o cose. In senso
più stretto è riferita al rapporto del bambino nei confronti dei
genitori o di chi ne fa le veci. Nel processo di socializzazione la
dipendenza dal bambino da una persona con cui è in relazione (madre
o genitori) è la premessa necessaria per la imitazione sociale di
vari modelli di comportamento e per l'acquisizione di norme e di
valori sociali. Condizione per lo sviluppo della dipendenza - o della
fiducia del bambino nei confronti dei genitori - è la presenza di
una persona che si prenda cura di lui. Ove questa manchi, si possono
determinare danni in parte irreversibili in tutti i campi di sviluppo
del piccolo. Una possibile spiegazione della genesi
dell'atteggiamento di dipendenza del bambino è data dal principio
del rinforzo secondario. Il comportamento delle persone che si
prendono cura di lui assume un valore di premio per il fanciullo, che
collega ripetutamente il soddisfacimento di bisogni primari o
corporali a tali persone. Il valore di premio
viene trasferito a tutte le sfere di comportamento di queste persone;
il bambino così impara a valutare o a sentire positivamente la loro
presenza e le loro attenzioni. Inoltre,
la dipendenza è rafforzata da una educazione improntata a calore
affettivo e all'amore. La
dipendenza, comunque, è sempre in rapporto alle pratiche educative
relative alle diverse classi sociali, alla differenza dei sessi dei
bambini o alla struttura familiare. Quando abbiamo a che fare con un
adulto, dominato dalla dipendenza, è un comportamento distorto non
solo con gli altri, il gioco, lo shoppimg e varie sostanze, ma anche
con le cose più meravigliose che la vita ci possa offrire come ad
esempio amore e cibo; solo di recente sono state introdotte altre
diavolerie: cellulare, televisione, internet.
soggetti che possono
cadere nella trappola delle dipendenze appaiono ansiosi e paurosi,
appartengono al:
Cluster
C. Disturbo Dipendente di Personalità - Disturbo Evitante di
Personalità - Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità.
Hanno
un bisogno
continuo ed eccessivo di essere accuditi, sono appunto dipendenti,
sottomessi, indifesi ... mancano di fiducia nelle loro capacità; il
rapporto con le figure di riferimento è di totale dipendenza,
caratterizzato da controllo eccessivo, ostacolo e rifiuto
all'autonomia del piccolo. Genitori intrusivi, dominanti e potenti
che rifiutano ogni tentativo di indipendenza del figlio ... insegnano
che l'autonomia è piena di insidie e pericoli. In questo modo il
soggetto diventa docile, impara a delegare ogni cosa, a rinunciare
alla sua libertà e a vivere la propria vita alle dipendenze e
all'ombra di qualcuno ... preferisce demandare agli altri le proprie
responsabilità, scelte, impegni e decisioni, anche a costo di
umiliazioni e di fare cose degradanti, diventa un modo di reagire
costante e permanente ... in
breve, la tomba dell'evoluzione personale.
Quando viene messo alle strette, reagisce ad un'eventuale minaccia di
separazione con estrema sottomissione, passività e debolezza,
anziché esprimere rabbia ed aggressività, accentua ulteriormente il
comportamento dipendente piangendo oppure rinunciando alla propria
libertà ed autonomia umiliandosi ... diventa ancora più passivo e
docile di prima. Non riesce a funzionare senza l'appoggio di qualcuno
o di un qualcosa d'altro, e tanto meno assumersi le dovute
responsabilità, anche le più banali. C'è un tratto della
personalità che accomuna sia il disturbo dipendente sia il disturbo
borderline: il
terrore dell'abbandono, di non essere considerato e di perdere la
protezione.
Il dipendente, oltre alle relazioni distorte e la percezione errata
delle cose, dovrà vedersela con alcuni malesseri psicosomatici come
ansia, attacchi di panico, depressione ed insonnia. Ci sono molte
somiglianze tra il disturbo dipendente e il disturbo borderline di
personalità che possono fuorviare una diagnosi corretta.

Dipendenza
… figlia dell’insicurezza.

a
dipendenza è un comportamento in base al quale l’individuo
instaura una relazione distorta con i suoi simili oppure verso
un’attività, una situazione, una cosa, una sostanza o un luogo. I
soggetti
dipendenti,
quando il loro disagio è particolarmente profondo, vivono
imprigionati dai loro stessi bisogni, sono insolitamente sottomessi.
Sono incapaci di vivere in maniera autonoma senza ricevere continue
cure, approvazione da parte degli altri, rassicurazioni e,
soprattutto, supporto emotivo; hanno un desiderio disperato di essere
amati e si sentono particolarmente offesi da un minimo accenno di
disapprovazione o critica. Mancano
di fiducia in se stessi, sono portati solitamente a sminuire, a volte
in maniera impressionante e ingiustificata, le proprie capacità, e
si definiscono come stupidi e sciocchi.
Considerandosi di poco valore non sono in grado di farsi valere e
prendere decisioni - anche le più semplici - che riguardino la vita
quotidiana senza il parere e le rassicurazioni degli altri. Prendere
decisioni, importanti o di poco conto, diventa un vero dramma per il
dipendente, che solitamente preferisce delegare ad altri le proprie
responsabilità in quanto non sa decidere con chi stare, dove vivere,
quale attività lavorativa cercare, l’abbigliamento da indossare,
quali alimenti mangiare, come educare i figli.
Essendo convinti di non essere in grado di realizzare niente di buono
da soli, questi soggetti hanno una notevole difficoltà ad avviare un
qualsiasi progetto, non per mancanza di motivazioni o di energia, ma
per la sensazione di incompetenza che in loro è particolarmente
diffusa.
er non creare aspettative e ricevere incarichi di
responsabilità, nascondono le loro capacità e tendono a delegare i
loro compiti; in questo modo, mantenendo il talento nascosto e le
potenzialità sempre inespresse, non “rischiano” di assumersi
delle responsabilità, ma anche, purtroppo, di non fare carriera
nell’ambito lavorativo … di realizzarsi nella vita! E’ ovvio
che demandare agli altri le proprie scelte, oltre a mettere la loro
vita in mano ad altre persone (che sanno sempre ben poco di loro!) e
crearsi alibi puerili, impedisce di assumersi anche le responsabilità
minime richieste dall’età e, nel contempo, permette a questi
individui di perpetuare comportamenti infantili che creano ulteriore
dipendenza e un profondo senso di inadeguatezza. Gli individui
dipendenti si accontentano di una cerchia decisamente limitata di
relazioni sociali, ma allo stesso tempo evitano, attivando varie
strategie comportamentali, di rimanere isolati perché da soli
sprofonderebbero nella depressione più terrificante e in un’ansia
a dir poco devastante; limitano, pertanto, le relazioni sociali ai
pochi soggetti dai quali maggiormente dipendono. A
livello sociale, per guadagnarsi l’affetto giungono al punto di far
credere di essere sulla stessa lunghezza d’onda o essere d’accordo
con la gente anche quando pensano che stanno sbagliando, oppure fanno
cose spiacevoli o avvilenti al solo scopo di compiacere gli amici e
il partner.
E’ bene ricordare comunque che le caratteristiche di passività,
sottomissione e docilità sono tenute in grande considerazione in
alcuni ambienti; presso molte società, infatti, sono dinamiche
presenti in alcuni rapporti coppie, in quanto permettono a chi ha
assunto il ruolo dominante, di mantenere in maniera vantaggiosa il
proprio spazio di libero movimento (libertà e autonomia
indiscussa!).
a dipendenza comunque non sempre è un problema
emotivo invalidante, almeno fino a quando non crea difficoltà
all’individuo in cerca di maggiore autonomia. Nello specifico di
questo disturbo è fondamentale distinguere lo “stato” dal
“tratto”: entrambi, in caso di profondo disagio, quando ci sono
problemi emotivi o durante i periodi di stress acuto, accentuano le
proprie caratteristiche di dipendenza per far fronte ad una necessità
temporanea, poi, quando il fenomeno stressogeno si risolve o cessa,
ogni cosa ritorna alla normalità. Al contrario, nello “stato” di
dipendenza il soggetto persevera (se non ha intrapreso un trattamento
terapeutico per ripristinare la propria autonomia), ovvero continua a
demandare agli altri le proprie responsabilità; si affida agli altri
sempre, non solo in momenti particolarmente difficili e stressanti. Cosa
fare.
Il trattamento primario per questo disturbo consiste nella
psicoterapia. Gran
parte del lavoro sarà rivolto e diretto all’autovalorizzazione e
allo sviluppo di un crescente senso di indipendenza. Sviluppando
maggiore sicurezza questi individui impareranno ad esprimere
sentimenti genuini prendendo le adeguate decisioni e a essere in
grado di far fronte a diversi episodi d’ansia.
Tutto ciò non fa altro che incoraggiare un nuovo stile di vita,
nuove strategie nel lavoro come nel privato e quindi aumentare la
fiducia in se stessi … fare una flebo di fiducia e autostima!
I trattamenti psicosomatici non dovrebbero mancare in quanto,
inizialmente, portano energia e forza a livello fisiologico.
DIPENDENZE …
perché è così difficile uscirne?
a
dipendenza è una condizione di “resa”, una forma di “schiavitù”,
un atto con cui si “consegna” la propria vita in mano a qualcuno
o a qualcosa che possa gestire uno stato ansiogeno. Un comportamento
altalenante, con effetti distruttivi, in base al quale un individuo
attiva una relazione distorta con altre persone, situazioni, luoghi o
cose. Un abbandonarsi a situazioni che gradualmente dominano e
gestiscono la vita del soggetto fino a distruggerla completamente;
impulsi forti che spingono l’individuo a compiere azioni dannose
non soltanto per se stesso ma anche per gli altri (familiari, amici,
colleghi). Un modo sbrigativo per sfuggire ai
problemi o per alleviare sensazioni di impotenza, colpa, ansia o
depressione. E’ una ricerca confusa
del “piacere” attraverso qualche surrogato che, paradossalmente,
pur limitando il potere decisionale, rende “accettabile” e
“vivibile” il disagio quotidiano: un modo davvero singolare per
alleviare la sofferenza quotidiana e sedare il malessere interiore.
L’aspetto veramente distruttivo della dipendenza è l’impossibilità
assoluta di gestire il comportamento ripetitivo, anche se consapevoli
della sua inadeguatezza e del disagio che comporta. Il soggetto getta
via il suo tempo, dissipando completamente la sua energia, perdendosi
in lunghi ed inutili rituali. Questo rapporto “maldestro”,
soprattutto se profondo ed intenso, oltre a far crescere l’ansia,
può produrre sbalzi d’umore e modificare negativamente i rapporti
interpersonali; la dipendenza - a causa di pensieri “spazzatura”
e comportamenti forzati - avvelena, domina, controlla, distrugge,
rende schiavi ed impoverisce l’esistenza fino a diventarne la
padrona assoluta. Tale esperienza, inoltre, contrariamente a quel che
si pensa, non è prerogativa di un’età a rischio e tanto meno
circoscritta ad un particolare ceto sociale. E’ un problema
endemico che si acuisce con i “crolli” emotivi e si insinua
indistintamente, senza misericordia, nelle case dei ricchi e dei
poveri, nelle chiese, nelle case popolari, nei colti e negli
ignoranti. E’ un fenomeno intenso e
travolgente che in maniera subdola prepara il terreno a patologie
psicosomatiche ricorrenti davvero importanti come insonnia, eruzioni
cutanee, ulcere, cefalea, attacchi di panico e depressione. Il
logorio associato alle varie dipendenze, inoltre, può esacerbare o
peggiorare alcune condizioni fisiche, spesso già compromesse:
intestinali, epatiche, respiratorie, cardiovascolari, neurologiche ed
endocrini.
a dipendenza, alterando la visione della realtà
dell’individuo, non è un’abitudine innocua, una banale scusa,
una mancanza di responsabilità o un’incapacità di esercitare il
controllo su determinate situazioni, ma è - secondo il DSM V - un
vero e proprio quadro clinico che coinvolge aspetti sia fisici sia
psicologici. Il ventaglio delle dipendenze è
particolarmente ampio: da sostanze chimiche, collegate al consumo di:
alcol, cibo, nicotina, farmaci, psicostimolanti e psicologiche,
collegate al comportamento: - shopping, tentare di colmare un vuoto
interiore oppure sentirsi più potenti in virtù del fatto di
lasciarsi andare a spese pazze - gioco d’azzardo, difficoltà a
gestire la propria affettività - sessuale, distrazione e sollievo
emotivo - affettiva, scarsa autostima e bisogno di definire il
proprio valore in base all’opinione altrui – lavoro, bisogno
ossessivo di garantirsi il futuro attraverso la considerazione e
l’accumulo di ricchezza e beni - internet, mezzo per evitare
qualsiasi approccio costruttivo al vivere con se stessi e gli altri.
La distinzione tra “fisica” o “psicologica”
è comunque solo teorica perché tutte le forme di dipendenza
alterano e modificano la chimica cerebrale attraverso complessi
messaggeri chimici (neurotrasmettitori). Al riguardo si veda
la complicata natura della dipendenza da gioco d’azzardo, definita
drugless, in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza
chimica esterna. Ogni dipendenza, infatti, proprio perché agisce su
precise zone cerebrali - dando un senso di esaltazione e piacere
provvisorio - alimenta la ricerca del benessere illusorio e scatena
il desiderio di ripetere l’esperienza “tossica”. Per la
complicata natura assuefante del fenomeno, quindi, non è possibile
fare una netta distinzione tra fattori biologici della dipendenza ed
elementi psicologici della stessa. Le sostanze psicoattive, in
maniera più marcata, e i vari sentimenti umani attivano sempre uno
scambio di informazioni a livello cerebrale: tra milioni di cellule
nervose. Questa alterazione, agendo sullo stato
emotivo, si impossessa lentamente della persona fino ad annullarla
completamente: si diventa, man mano che passa il tempo, sempre meno
padroni della propria vita. Un ebbrezza altamente distruttiva che
assorbe completamente tutte le energie mentali e conduce ad una vita
di sterile infelicità. Gesti e rituali
che danno un sollievo temporaneo ma che fanno aumentare l’angoscia
anziché ridurla.

osa
fare. Avere la consapevolezza di questi problemi al loro
esordio, prima che diventino parte integrante della vita e del modo
di pensare, comporta sicuramente dei vantaggi notevoli. E’ un po’
come riparare le tegole di una vecchia casa prima che venga
danneggiato il tetto e lentamente tutto il resto dell’edificio. La
tentazione, proprio per la natura complicata della sofferenza
emotiva, è di non curarsi del problema e di continuare a
sopravvivere con la speranza che qualcosa di “miracoloso” possa
aggiustare ogni cosa, ma prima o poi la piccola “rottura”
iniziale rovinerà l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere
riparato in maniera veloce e con una spesa irrisoria, richiederà
costosi ed impegnativi interventi di ristrutturazione. Misure
preventive, interventi tempestivi e qualificati rappresentano sempre,
proprio per la complessità del problema, la strategia più saggia,
conveniente e vincente. Come è stato sottolineato varie volte, più
si è dipendenti, depressi o compulsivi, più le aree cerebrali di
questi sintomi diventano capaci di generarli (kindling). Un programma
terapeutico tempestivo ed adeguato, oltre a ridurre il rischio di
ricadute e aiutare il dipendente ad affrontare il senso di vuoto che
emerge nella fase di recupero, permette di velocizzare i trattamenti
e migliorare, fin da subito, la vita della persona in difficoltà. Il
piano di recupero deve basarsi sulla comprensione del significato
della dipendenza per il singolo soggetto e delle valenze specifiche
attivate in ciascuna situazione.
L’alcolismo
… è molto di più del fatto di bere

’alcolismo,
detto anche etilismo, é uno stato di dipendenza definito come
l’insieme dei fenomeni patologici provocati dall’abuso di bevande
alcoliche. Tale condizione assume caratteristiche di cronicità
quando l’abitudine al consumo di bevande alcoliche si prolunga nel
tempo, mentre acuta, se si riferisce alla semplice “ebbrezza”
episodica. I fattori psicologici che “spingono” l’individuo ad
assumere l’alcol in grandi quantità ed in modo continuativo sono:
stato
di tensione, ansia, depressione, difficoltà relazionali, sentimento
di insicurezza, incapacità di autoaffermarsi e bisogno continuo di
gratificazioni.
L’uso di alcol comunque non è un fenomeno recente e non appartiene
sicuramente a questo periodo storico. I nostri antenati, infatti,
avevano scoperto – oltre gli effetti apparentemente benefici come
forza e coraggio – molti metodi per produrre alcol e altre sostanze
psicoattive, a cui veniva riconosciuto un valore spirituale tale da
farne il centro di cerimonie religiose e riti di iniziazione sociale.
Anche la medicina popolare utilizza da sempre questa sostanza per
alleviare il dolore, sia fisico sia psicologico, per dare
rilassamento, conforto e felicità, per migliorare le prestazioni
relazionali e favorirne la socializzazione. Molte persone riescono a
godere dell’effetto piacevole dell’alcol senza diventare
dipendenti e sopportare conseguenze negative, se non disastrose.
Nella maggior parte dei casi, però, i consumatori di alcol da
occasionali diventano abituali e, quando la dipendenza si è
instaurata, ogni momento della giornata ruota attorno alla ricerca di
questa sostanza … del famoso bicchierino, tanto smetto quando
voglio; non appena gli effetti di una “dose” scompaiano inizia,
però, l’attesa spasmodica della successiva.
sintomi fisici e le
conseguenze psicologiche sono gravi e gli effetti negativi
coinvolgono l’intera società, oltre ovviamente il consumatore:
aumentano gli incidenti d’auto e sul lavoro, i divorzi, i crimini e
le violenze, calano la produttività e la coesione sociale.
I soggetti che abusano di alcol difficilmente riescono ad ammetterlo;
anzi, il più delle volte, lo negano anche di fronte all’evidenza
dei fatti. Molto prima di danneggiare il fegato, l’alcol causa
perdita della memoria e gastrite; i continui ritardi sul lavoro o le
frequenti assenze per malattia portano al licenziamento; il vizio del
bere è motivo di gravi problemi familiari, spesso di divorzio, e di
comportamenti socialmente pericolosi come la guida in stato di
ebbrezza. Quando si abusa di alcol la vita è dominata da dolorose
contraddizioni e si impara a mentire, soprattutto, a se stessi. Si
ama la famiglia ma si trascurano i doveri; non si chiede aiuto ma si
ha il bisogno di qualcuno su cui contare; si assumono sostanze con la
speranza di alleviare depressione, ansia e tristezza esistenziale che
invece si fanno sentire ogni giorno di più, non appena sfuma
l’effetto acuto dell’alcol; si lavora con accanimento ma non si
riesce a concludere nulla di buono, provocando i malumori di capi e
colleghi (non c’è soddisfazione!); si crede di trovare
sicurezza e autostima in una sostanza che in realtà costringe a una
forma di schiavitù terribile e, infine, si compiono sforzi davvero
immani per uscire dal circolo vizioso in cui si è intrappolati e,
ogni volta, poi … si ricade! La dipendenza da sostanze può essere
fisica o psicologica.
Quella fisica si instaura perché il cervello umano è dotato di uno
straordinario sistema di adattamento: le cellule nervose, a contatto
con una sostanza estranea si adattano ai suoi effetti e modificano
gradualmente il numero, la configurazione e la sensibilità dei
ricettori specifici.
Un eccesso di sostanza all’inizio provoca un effetto intenso sulle
cellule nervose, che si attenua con l’abitudine.
uesto fenomeno
detto “tolleranza”, è un meccanismo protettivo che permette al
sistema nervoso di adattarsi alla sostanza; ma è anche il
responsabile di quel comportamento tipico dell’etilista che lo
spinge ad avere bisogno di quantità sempre maggiori della sostanza
per ottenere il medesimo effetto, esponendo il cervello e il corpo a
dosaggi altissimi e tossici. L’alcol, infatti, è una droga potente
che anestetizza il cervello, mima gli effetti di sostanze
naturalmente presenti in esso che danno benessere, rilassamento,
piacere ed eccitazione. Nell’area corticale del cervello, l’alcol
agisce come rilassante e frequentemente distorce la capacità di
apprendimento, la memoria, il giudizio e il comportamento. Ma
non ha un effetto devastante solo sul cervello.
Tutte
le cellule sono esposte agli effetti tossici dell’alcol, in
particolar modo il fegato e i reni.
Non
devono essere esclusi comunque i rischi per molte altre patologie
come il cancro e i disturbi mentali. Alcuni orientamenti scientifici
hanno classificato i bevitori problematici in base a tre grandi
tipologie:
il
bevitore compulsivo – fortemente esposto alla depressione che tende
a produrre troppa istamina; il bevitore da sbronza del sabato sera –
che può avere bassi livelli di istamina e alti livelli di rame; il
bevitore ipoglicemico – che sostituisce lo zucchero con l’alcol.
La dipendenza psicologica, invece, consiste nella perdita del
controllo sull’utilizzo della sostanza, cioè nel cercare di porsi
dei limiti senza riuscirvi. Numerose teorie cercano di spiegare le
ragioni per cui questa dipendenza induce in un individuo la coazione
a bere. Molti etilisti sono persone ipersensibili, forse troppo
sensibili, con grandi difficoltà a sostenere le frustrazioni della
vita e di imporsi l’autodisciplina necessaria a smettere di bere.
Quasi tutti soffrono di un profondo complesso di inferiorità che
cercano di anestetizzare con l’alcol. Un’altra spiegazione può
essere quella di evadere la realtà piena di conflitti e tensioni.
Mentre per la maggior parte delle persone, chi più chi meno,
accettano la responsabilità della vita, alcuni vogliono fuggirle,
credono, di non avere la determinazione sufficiente per superarle. Si
considerano, a torto, “differenti”. Vi sono molti modi per
evadere dalla realtà e all’ansia. Alcuni
giocano, altri vanno a donne, altri ancora si masturbano in modo
compulsivo e ci sono infine quelli che usano l’alcol.
l
motivo sottostante è, tuttavia, sempre lo stesso: anestetizzare, o
almeno alleviare in qualche modo, il dolore prodotto dalle
vicissitudini personali. I debiti, un rapporto infelice, la
convinzione di un fallimento professionale, la solitudine, la
sensazione di non essere considerasti o amati, una malattia sono
altrettanto alibi per giustificare questa diabolica abitudine.
E’ un suicidio lento, parziale, un “avvelenamento” del corpo e
della mente, perché non si riesce a riconoscere il vero motivo che
sta alla base del senso di sconfitta, della disperazione. La
dipendenza dalle bevande alcoliche diventa paradossalmente il
compromesso tra il desiderio di vivere e quello di morire: troppo
terrorizzato per morire e troppo spaventato per vivere. Un’altra
spiegazione di questa dipendenza psicologica è che l’alcol libera
le inibizioni. Abbiamo tutti delle emozioni, un mondo istintivo che
ci piacerebbe sfogare, ma non riusciamo perché alcuni “vincoli”
non ce lo permettono (il lettore attento avrà capito sicuramente che
non si tratta di realizzare atti “vandalici” contro la società
ma semplicemente di dare corso ai sentimenti!). L’alcol
agisce da stimolante, libera l’individuo dal peso delle
preoccupazioni e delle paure, allevia i suoi sentimenti di
inferiorità e debolezza, permette di accantonare inibizioni e
autocensure che normalmente bloccano i sentimenti, scioglie la
lingua, rende un timido un perfetto dongiovanni; gli dà la scusa per
essere espansivo, spiritoso e, perché no, un perfetto romanticone.
Se
si viene respinti, la nostra mente è formidabile nel conservare
l’autostima, può sempre dare la colpa al “bicchiere in più”
(questo è un comune meccanismo ossessivo compulsivo presente anche
in chi frequenta fattucchiere e cartomanti, non si dice forse, quando
le previsioni sono negative, ma tanto è un gioco!).


OSA
FARE.
Ippocrate scriveva: “Si
beve per alleviare paura e terrore”.
Purtroppo chi ricerca il benessere in una sostanza - anche se
apparentemente dà una sensazione di forza e coraggio - è destinato
ad aggravare anziché alleviare il proprio malessere, a causa proprio
dei sintomi psicosomatici connessi all’assunzione continua di
alcol. Gli effetti comportamentali prodotti dall’alcol mimano
fedelmente i sintomi riscontrabili in chi soffre di disagi emotivi
che non fanno uso di sostanze alcoliche, perché il cervello presenta
sempre le stesse modalità di alterazione: depressione, ansia,
delirio, allucinazioni. Il bevitore problematico, attraverso l’alcol
cerca di cambiare la sua vita, di trasformare la sua esistenza e di
superare una profonda insicurezza relazionale. In questo modo l’alcol
diventa lo strumento, purtroppo inadeguato in quanto illusorio, per
sciogliere tutte quelle inibizioni che hanno favorito, nel corso
degli anni, l’incomunicabilità con il mondo circostante. L’alcol
comunque è e non potrà mai essere uno strumento di felicità.
Questa sensazione illusoria di forza, coraggio, felicità e gioia -
oltre ad evitare il contatto con i conflitti esistenziali irrisolti -
viene trasformata, una volta sfumati gli effetti alcolici, in paura,
senso di colpa, isolamento, tristezza, rimorsi. Ecco allora il
bisogno di bere nuovamente per coprire quel profondo malessere, per
sfuggire ad una realtà deludente … a prezzo, però, di una
ulteriore e più grave “punizione”!!! Con l’inebriarsi,
infatti, si crea una condizione transitoria di esaltazione, quello
che sta intorno “scompare”. Ma quando l’effetto finisce, il
bevitore problematico si sente ancora più impotente e più
incompreso di prima, a tal punto che è spinto a ricorrere nuovamente
all’alcol con una frequenza e una quantità sempre crescenti. La
dipendenza da sostanze in genere dura molti anni, con fasi di
remissioni e continue ricadute. Non bisogna, però, perdere le
speranze: disintossicarsi è possibile, la sobrietà è un obiettivo
reale e raggiungibile, molti ne sono usciti con successo. Il primo
passo è, ovviamente, ammettere di avere un problema, poi è
necessario “impegnarsi” per venirne fuori (senza delegare la
risoluzione a qualcosa o a qualcuno).

l mondo allora apparirà sotto
una nuova luce, sarà grandioso liberarsi della dipendenza. Gli alti
e bassi che caratterizzano l’andamento della dipendenza da alcol
sono simili a quelli di ogni altra patologia cronica. Non ci si
dovrebbe sorprendere né mostrare disappunto davanti a una ricaduta:
è
controproducente parlare di fallimento morale ogni volta che un
etilista ha un “ripensamento” o un piccolo cedimento.
Esistono, comunque, molti tipi di cura per l’etilismo (si tratta
sempre di metodi che, ovviamente, efficaci per alcuni, non lo sono
per altri). Alcune scuole di pensiero chiedono (anche chi scrive
ritiene utile questa strategia) che l’individuo esamini
se stesso e sia “responsabile” nel farlo.
Questo è il metodo che più di ogni altro ha dato buoni risultati.
L’analisi transazionale agisce sul comportamento, la psicoterapia
tradizionale ricerca le radici della dipendenza e del significato
simbolico della “bottiglia”, la medicina allopatica prescrive
spesso farmaci che, il più delle volte, provocano il vomito quando
si ingerisce l’alcol. Anche l’ipnosi è uno strumento che può
essere molto utile nel vincere l’etilismo, specie se usata in
combinazione con un programma psicoterapeutico ben preciso e,
ovviamente, coordinato da una persona qualificata. Altre scuole
“organiciste”, invece, sostengono che la dipendenza da alcol ha
molto a che fare con gli squilibri biochimici. I tipi ad alta
produzione di istamina sono particolarmente inclini all’alcol e
possono in genere tollerarlo bene. Un’ampia percentuale di bevitori
sono forti produttori di istamina: usano l’alcol come un lento
suicidio. Il
bevitore da sbronza occasionale ha più probabilmente bassi livelli
di istamina.
In
stretta relazione con l’alcol, molti ipoglicemici diventano
dipendenti dall’alcol invece che dello zucchero. Ed è pratica
comune degli etilisti, quando non possono bere, usano larghe dosi di
zucchero in sua vece.
dentificare quali di questi fattori svolga una parte importante
nella dipendenza fornisce un indizio su come modificare la
“nutrizione” per ridurre il desiderio. Leggere queste righe,
comunque, non è sufficiente per risolvere un problema di dipendenza;
lo scopo è quello di riconoscere o ammettere che tale drammatico
problema c’è e, soprattutto, avere informazioni utili; tutto ciò
rappresenta un primo, importante passo sulla lunga e difficile strada
della guarigione. Non bisogna mai dimenticare che un consumo
moderato, se di buona qualità, può essere un elemento di benessere,
mentre delegare agli alcolici la risoluzione dei conflitti porta
inevitabilmente all’infelicità. Per cui è sempre indispensabile
scegliere e selezionare cosa bere - anche da un punto di vista
organolettico - sia il tipo di “liquido” sia la qualità, perché
in questo modo è possibile gustare la sostanza e cogliere quegli
aspetti piacevoli (odore e sapore), caratteristiche organolettiche
che ci permettono di “dominare” la bevanda anziché essere
“inghiottiti” da essa (perché anche questo appartiene ai piaceri
della vita). Un altro aspetto importante, per contrastare
l’assunzione di alcolici, è quello di riflettere sulle cose che ci
fanno realmente star bene - mettere a fuoco le sorgenti di piacere -
senza ricorrere a quel meccanismo automatico del bicchierino per
riprendere “quota”. L’alcol, inoltre, a lungo andare, cerca di
strutturare in modo automatico e ripetitivo lo stile di vita, tutto
ruota attorno al rituale del bere: la cena, comprare la “sostanza”,
l’occasione per bere qualcosa. Per
stroncare questa modalità reattiva, quindi, è spesso indispensabile
introdurre elementi innovativi (nella propria esistenza) in modo tale
da stimolare nuove scelte e nuovi comportamenti.
Pianeta
ALCOL … il nettare del diavolo.

’essere
umano da sempre ha il desiderio di trascendere se stesso
(oltrepassare ogni cosa, andare oltre): è portato ad ampliare le
proprie potenzialità, prestazioni, esperienze, a ricercare con ogni
mezzo il piacere o il rilassamento, mettere in atto strategie per
evitare il dolore. E’ affamato di cultura, ingordo di fantasie
gratificanti, brama per il potere e il controllo … cerca di vivere
in un sogno e di essere “in un mondo a sé”. Nella ricerca di
“paradisi artificiali” ha conosciuto e creato molti strumenti e
varie sostanze (si veda ad esempio il Viagra): una di queste è
l’alcol (alimento – droga). L’alcol è la sostanza psicoattiva
più antica dell’umanità, oltre che più diffusa, poco costosa e
facilmente a portata di mano. Nella ritualità cristiana lo troviamo
nell’Eucarestia: il grande mistero del pane e del vino. Mentre
nella mitologia Dionisio (o Bacco), divinità dell’ebbrezza, veniva
celebrato il tutta la Grecia attraverso questa bevanda considerata
immortale. In apparenza, l’assunzione di questa sostanza alcolica
dà forza e coraggio. L’alcolismo non dovrebbe mai essere
sottovalutato, perché la continua assunzione di tali bevande può
causare gravi patologie al fegato, danni cerebrali, cancro al
pancreas, obesità, anemia, problemi sessuali, disturbi al sistema
nervoso e al cuore. Chi beve cerca nella sostanza alcolica il “fuoco”
capace di accendere la vita, di darle una spinta e far emergere,
seppur momentaneamente, uno stato di coscienza diverso. Per
la stessa ragione questa bevanda, come altre sostanze inebrianti, è
ricercata nei rituali di cambiamento, in quanto, operando
un’alterazione di consapevolezza, consente di oltrepassare i
confini della razionalità, così da permettere alla mente di “andare
oltre”: libero sfogo agli istinti rompendo gli argini dei limiti e
del controllo.
he l’alcol, abbia anche effetti positivi è
indubbio: l’antica medicina ippocratea lo considerava, preso in
maniera moderata, come un vero e proprio farmaco (il problema è
trovare la giusta misura). Un consumo occasionale e moderato di
alcol, se di buona qualità, può essere sicuramente un elemento di
benessere, mentre delegare alle “droghe” la risoluzione dei
propri disagi porta dritto all’infelicità. Superare i problemi
relazionali, specie con l’altro sesso (non solo femminile, adesso
anche maschile), è ancora oggi uno dei tanti vantaggi ricercati
nell’alcol: come se il trangugiare tale sostanza permettesse, in
qualche modo, di sciogliere completamente le inibizioni che creano
una barriera, un muro di incomunicabilità tra se stessi e gli altri.
Mi raccontava qualche tempo fa, una signora in
terapia, che nella sua vita non aveva ancora trovato un “passatempo”
migliore, nonostante la sua avanzata età, che scolarsi alla sera a
cena, prima di coricarsi, due bottiglie di buon vino bianco frizzante
… era l’unico strumento per smorzare il senso diffuso di vuoto,
smarrimento e inutilità. Reggere la solitudine è invece il
peso che solitamente si cerca di spartire con un calice in più,
soprattutto quando è costellata da pensieri negativi su se stessi:
autoaccuse, senso di inadeguatezza, fallimenti, sensi di colpa.
Proprio per la sua capacità di “bruciare via” i pensieri
nefasti, l’alcol sembra diventare, ovviamente a torto, la
scorciatoia più sicura per la felicità. Come in tutte le dipendenze
da sostanze (cibo, fumo, droghe) il mito da smantellare, in realtà,
è che l’alcol sia uno strumento di felicità: la sua costante
assunzione distrae dai veri malesseri da cui si fugge bevendo,
cronicizzandoli spesso per sempre. Dà infatti
una sensazione illusoria di coraggio, calore, gioia, che però, una
volta svaniti gli effetti, si trasformano in paura, freddo interiore
e tristezza. Il soggetto che beve
diventa lunatico, strano, sconcertante; passa improvvisamente
dall’allegria alla tristezza e i periodi di malinconia sono sempre
più lunghi e frequenti: emergono collere improvvise, che possono a
volte evolvere in aggressività verbale oppure in atti veri e propri
di violenza. I tratti fisiologici cambiano
improvvisamente: le palpebre si gonfiano, i denti si guastano, la
sclera diventa più opaca e perde la sua limpidezza. Ecco l’urgenza
di mettere a fuoco i problemi che spingono a bere e, una volta
individuati, valutare con lucidità se si sta consegnando all’alcol
la soluzione. Riflettere e fermarsi a considerare ciò che
veramente può far star bene, senza cedere nell’automatismo del
“calicino” è una strategia per alcuni semplicistica, ma
sicuramente efficace, per identificare le sorgenti di piacere messe
in ombra dai fumi dell’alcol. Quando si avvertono, inoltre, in
maniera continuativa i sensi di colpa vuol dire che il boccale di
birra o il calice facile di vino non costituiscono più una piacevole
occasione, ma diventano la fonte di auto rimproveri, di disistima e
profonda sofferenza.


osa
fare. Negare di avere un problema di questo tipo rappresenta
il principale sintomo dell’alcolismo. La prima fase comunque del
trattamento si concentra sulla disintossicazione, riposo, buona
alimentazione (sempre cereali e legumi integrali per rendere alcalino
l’organismo; distrugge alcune vitamine: A, C, B12,
PABA) ed, eventualmente, sempre seguendo le indicazioni del proprio
medico, l’assunzione di specifici integratori per ovviare ai danni
causati all’organismo (l’alcol distrugge varie vitamine e non
solo). Poiché l’alcolismo è spesso un sintomo di relazioni
familiari o di matrimoni poco felici è indispensabile non solo una
consulenza qualificata per capire le dinamiche psicologiche negative
tra i vari componenti ma, soprattutto, il soggetto deve
riappropriarsi di strumenti idonei per superare i danni subiti. Un
malessere diffuso aleggia per la casa e si sviluppa, inevitabilmente,
in tutti i membri della famiglia una comunicazione sempre più povera
e distorta: un’incomprensione disastrosa si installa in famiglia.
L’alcolismo infatti, non deve mai essere dimenticato, oltre a
distruggere se stessi, distrugge completamente le famiglie e crea
forme di comunicazione particolarmente negative. La guarigione
dall’alcolismo è un processo lento e, per i primi tempi, pieno di
insidie: le ricadute sono, purtroppo, piuttosto comuni. Proprio
per questo pericolo i programmi terapeutici sono concentrati sia
sulla prevenzione delle ricadute sia sulle strategie di sviluppo
attraverso le quali è possibile far fronte e convivere con un
costante desiderio di alcol. Parallelamente a questa evoluzione
psicologica, le persone che stanno superando una forma di abuso o di
dipendenza da alcol, possono fare molto per appianare le difficoltà:
esercizio fisico (si producono endorfine, allevia la tensione e
migliora l’immagine di sé), tutte quelle metodiche terapeutiche
utili per controllare lo stress, come rilassamento progressivo,
ipnosi, biofeedback, touch of health.
IASSUNTO
(Disturbo Dipendente di Personalità). Il
dipendente appare indifeso, schivo, docile, bisognoso, sottomesso,
passivo, incapace di vivere in maniera autonoma senza ricevere
supporto emotivo, rassicurazioni e approvazione dall’ambiente
circostante … è
sempre imprigionato dai suoi eccessivi bisogni. In breve, vuole che
qualcuno lo guidi, si prenda cura di lui e si assuma tutte le
responsabilità … vuole essere accudito dalla testa ai piedi. Ha
una cattiva opinione di se stesso e una bassa autostima: si definisce
come un personaggio stupido e sciocco. Le
critiche o le disapprovazioni sono devastanti per il suo equilibrio
emotivo.
Per evitare scontri e conflitti è sempre d’accordo con tutti e il
resto del mondo! Gli riesce difficile portare avanti un progetto
semplice, prendere decisioni e assumersi responsabilità riguardanti
la vita di tutti i giorni anche di poco conto, in quanto sminuisce le
proprie capacità (anche di giudizio) in ogni situazione …
preferisce delegare perché si sente un perfetto incompetente, è
convinto di non saper far nulla da solo! Demanda continuamente agli
altri ciò che dovrebbe fare lui. La personalità dipendente, nei
periodi di stress acuto, non riesce proprio a scegliere, non sa
decidere con chi stare, quale lavoro cercare, che indumento
indossare, perfino cosa mangiare.


uesto soggetto, anche se odia
l’isolamento (soffre molto quando è solo), non ha mai un folto
numero di amici … i suoi rapporti sociali sono alquanto limitati.
Si
attacca a quei ricordi invadenti, a quei pochi rapporti come un
adesivo, una ventosa, perché teme la separazione, di essere
abbandonato dal “capo branco” (si aggrappa alla figura di
riferimento perché senza la quale si sente perduto o minacciato) …
per
evitare tutto ciò diventa insolitamente sottomesso fino ad arrivare
a fare cose spiacevoli e degradanti. Anche in questa struttura
troviamo ansia e tratti depressivi. Difficilmente appare come quadro
clinico unico, le sue caratteristiche principali possono apparire in
altre personalità (Borderline, Istrionica).
La personalità dipendente trae origine da un ambiente familiare in
cui le figure di riferimento hanno ostacolato o messo in evidenza che
ogni strada per la libertà è insidiosa e piena di pericoli.
Nelle vicende evolutive del soggetto, troviamo figure parentali
eccessivamente coinvolte, minacciose, molto invadenti,
particolarmente intrusive e, soprattutto, per raggiungere i loro
obiettivi di opposizione ai cambiamenti libertini (premiare per non
aver intrapreso un proprio percorso di indipendenza verso i
genitori), usano strumenti di ricatto non molto strutturanti e
formativi … sempre pronti a bloccare desideri e disapprovare scelte
libere ed autonome.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - 0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it
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