CLASSIFICAZIONE
dei DISTURBI di PERSONALITA'
SOGGETTI
CHE APPAIONO STRANI ED ECCENTRICI
•
Disturbo
Paranoide di Personalità.
• Disturbo Schizoide di Personalità.
•
Disturbo Schizotipico di Personalità.
Cluster*
A . Disturbo paranoide di personalità
(Diffidenza
e sospettosità) … il rapporto primario con
figure di riferimento è contradditorio, minaccioso ed umiliante. Un
soggetto che si valuta sempre corretto, giusto e innocente ...
perennemente minacciato. E' un disagio emotivo caratterizzato da idee
persistenti in cui il soggetto vede nemici ovunque ... insicuro e
sensibile, sempre sulle difensive, pensa che gli altri ce l'abbiano
con lui o che stiano tramando oscure o diaboliche trappole nei suoi
confronti. Porta rancore, si sente perseguitato, sempre vittima di un
complotto o di truffe ... cerca conferme ai loro sospetti, accusa e
contrattacca. In ogni occasione si trova dalla parte giusta, puro,
innocente e minacciato ... gli altri sono visti come intrusivi,
ostili e maligni. Ogni cosa viene vissuta e interpretata - senza
nessuna giustificazione concreta - come malevole o pericolosa. Non ha
assolutamente fiducia nel prossimo ed è sempre alla ricerca di
qualcosa che non va, umiliazioni, inganni e fregature di vario tipo:
la parola d'ordine è diffidare, stare sempre allerta ... il mondo è
popolato da nemici. Oscilla tra una impotente vulnerabilità a una
distruttività grandiosa e onnipotente. Nelle sue forme più sfumate
il soggetto viene definito come geloso e sospettoso ... dilaniato dal
dubbio. Essendo un disturbo psicotico non dovrebbe essere difficile
fare questa diagnosi; tuttavia possono sorgere dubbi con la
personalità psicopatica, ossessiva e dissociativa. Difficilmente
chiude gli occhi (spalancati, fissi, impenetrabili) e alcuni
distretti corporei sono duri come acciaio. Saranno gli apparati di
contatto e di scambio a farsi carico del malessere fisico.
IASSUNTO
(Disturbo Paranoide di Personalità).
Gli individui con disturbo paranoide di personalità sono
estremamente sospettosi, sprecano gran parte delle loro energie
nella ricerca di intrighi, motivi loschi dietro il comportamento
altrui … si consumano nel dubbio. Alcuni
possono essere furtivi, rigidi e sospettosi, altri invece
arroganti con mania di grandezza. Interpretano le azioni della
gente come umilianti o minacciose: dubitano della lealtà e si
aspettano sempre, da un momento all’altro, qualche inganno …
la realtà - pur non essendo rifiutata o
negata - viene distorta. I sentimenti spiacevoli e
pericolosi vengono separati (scissione) con quelli di valenza
positiva: i primi sono proiettati sugli altri i secondi non sono
presi in considerazione. Chi è affetto da questo disturbo è in
uno stato di vigilanza esasperata e prende le dovute precauzioni
verso qualunque minaccia percepita. Proprio per questa ragione
difficilmente rinuncia al controllo, si lascia andare in maniera
affettuosa alle relazioni perché diversamente lo renderebbe
fragile di fronte ad un eventuale attacco. Gli altri – in modo
da mantenere l’autostima - sono passati al setaccio,
analizzati, scrutati in ogni minimo gesto: esaminano le cose con
pregiudizio scartando quel che non riguarda le loro supposizione.
Cercano segnali e conferme che diano sostegno ai loro sospetti o
pregiudizi … ignorando completamento le
cose che possono dimostrare il contrario.
’ risaputo
che la persona sospettosa ha un’attenzione acuta, ristretta
rigidamente diretta a trovare indizi, certe prove. Questi
soggetti vivono ogni nuova situazione o relazione con diffidenza
estrema circa il modo di pensare e il comportarsi degli altri. Il
più delle volte fraintendono le intenzioni interpretandole male,
leggendo fra le righe scovano, a loro dire, significati reconditi
e malevoli. Possono arrivare ad una condizione emotiva in cui non
sono più in grado di distinguere la realtà dalla fantasia.
Quando sono sotto tensione possono sviluppare sentimenti di
insicurezza, vulnerabilità, debolezza, inadeguatezza o di
inferiorità … non percependo alcuna alterazione in se stessi
difficilmente cercano un aiuto psicologico. Si presentano con un
fare critico (moralisti), accusano tutto e tutti dei propri
fallimenti (attribuiscono agli altri i loro stessi sentimenti e
impulsi: proiezione) … non riescono a
digerire colpe, critiche e rimproveri per gli errori - anche
quando sono fondati - che hanno commesso. Un soggetto che
oltre ad essere stato carente di affetto, ha vissuto conflitti
con l’autorità (padre) … dominato
dalla paura dalla punizione, terrorizzato dal rimprovero e dal
rifiuto. Una madre spesso iperprotettiva ha insegnato a
diffidare delle proprie capacità e degli altri.
|
Non mi fido di nessuno!
ristotele
era solito affermare che i giovani non possono essere sospettosi
perché di male non ne hanno ancora visto molto; sono fiduciosi
perché non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati. Ma è
proprio vero? Non sempre è così. Il sospetto, infatti, anche
nelle sue forme più sfumate, è presente sia nei grandi sia nei
piccini. Un certo grado di diffidenza, comunque, è
indispensabile per evitare profonde frustrazioni e scongiurare
delusioni più brucianti; può diventare un prezioso salvavita
contro truffe, colpi bassi, porte in faccia, raggiri, inganni,
tranelli e soluzioni miracolose. In realtà, un ragionevole
sospetto verso gli altri è una norma di prudenza, soprattutto
quando si è di fronte ad un ambiente potenzialmente pericoloso e
realisticamente ostile. Se non supera un certo valore, quindi,
può avere un ruolo fondamentale a livello evolutivo e
nell’organizzazione dell’esperienza di ogni individuo,
facilitando la percezione e la consapevolezza di potenziali
pericoli. E’ l’eccesso di diffidenza, quella inutile e
paradossale, che può rovinare la vita di queste persone. Diventa
una modalità patologica, quando tale fenomeno spinge il soggetto
a interpretare le motivazioni degli altri, anche le più neutre,
sempre come malevole e minacciose; un relazionarsi rigido, una
mancanza di fiducia nel prossimo, un atteggiamento perennemente
guardingo e reticente. Un personaggio sempre sul chi va là,
spesso litigioso, freddo e distaccato, attento a ricercare
significati oscuri e minacciosi. Tutto ciò implica un’eccessiva
ipervigilanza, grande circospezione e continuo controllo. E’ un
soggetto che spende tutte le sue energie per “sventare” i
tentativi di coloro che, a suo dire, hanno intenzione di
umiliarlo e svergognarlo. Non sono soltanto oppressi dai sensi di
colpa, preoccupati, cauti, diffidenti, invidiosi, guardinghi,
sospettosi, vendicativi, spesso inaciditi, ma essi - nelle forme
più gravi - vedono il crimine in ogni angolo o il complotto
dietro ogni sguardo.
hiunque può essere vissuto come una
potenziale minaccia o un nemico crudele: nemici sempre pronti a
minare la felicità e mettere in pericolo i loro valori. Queste
persone non sembrano avere seri problemi lavorativi e sociali, ma
spesso non è affatto così: nel lavoro esse hanno di solito
difficoltà con figure che incarnano l’autorità, e data la
loro scarsa fiducia verso il prossimo, è possibile che vivano la
loro vita sociale in perfetto isolamento. Spesso, nell’ambito
lavorativo, per tenere sotto controllo tale atteggiamento e
gestire l’autorità temuta, hanno scelto di indossare
l’uniforme che, anch’essa, rappresenta il comando e
l’autocontrollo. E’ un’esperienza a dir poco terrificante,
anche se non è altro che una colossale montatura fantasiosa. La
loro sofferenza non trova facilmente una soluzione in quanto,
avendo questa enorme difficoltà ad accordare fiducia a qualsiasi
professionista e, quindi, a tutte le metodiche terapeutiche
possibili, difficilmente chiedono - se non dietro la spinta di
pressioni esterne - aiuti o iniziano spontaneamente una terapia.
Quelli che, in un attimo di profondo sconforto, ricorrono
autonomamente ad un trattamento sono, spesso, talmente sospettosi
che abbandonano anzi tempo la cura (temono di essere avvelenati,
sfruttati, danneggiati, ingannati … avere a che fare con
incapaci o ciarlatani). Cosa molto più seria è che molti di
questi soggetti solitamente non cercano nessun trattamento perché
non scorgono in se stessi alcuna alterazione. Tali tratti
caratteriali, infatti, nel tempo, diventano stabili e talmente
“normali” che il soggetto stesso non è più in grado di
rendersi conto della problematica invalidante. Questo tipo di
pensiero “persecutorio” affonda le sue radici in un passato
caratterizzato da un rapporto difficile con l’adulto e pieno di
mortificazioni emotive: piccoli continuamente esposti a ripetute
esperienze di sopraffazione e umiliazione. Nella storia, quindi,
di queste persone si ritrovano critiche assurde, spesso punizioni
pretestuose, adulti difficili da soddisfare e pesanti
mortificazioni. Un contesto sociale difficile in cui dominava
rigidità, sarcasmo, critica e scherno. Poiché questo tipo di
rapporto, spesso lo si riscontra, con sfumature assai diverse, in
ogni nucleo familiare è possibile che ogni individuo, a sua
insaputa, sia portatore - se non intervengono, durante le fasi
evolutive, meccanismi compensatori - di questa singolare
organizzazione mentale.
a diffidenza, comunque, profonda o
sfumata che sia, fa male alla salute. Chi è calato in questa
dimensione mentale, quindi, può essere affetto da una serie di
malesseri psicosomatici. Anzitutto questi soggetti, proprio
perché si trovano costantemente sulla difensiva, sono rigidi a
livello fisico (ossa, muscoli) e mentale (pensiero, stile di
vita). Essendo poi ansiosi, oltre a non essere in grado di vivere
serenamente incontri ed esperienze affettive, dormono male,
soffrono di tachicardia e problemi cardiocircolatori. I problemi
sessuali, poi, sono all’ordine del giorno. Cosa fare. Come
sopra evidenziato, è difficile che questi soggetti cerchino
spontaneamente aiuto perché non vedono in se stessi alcuna
alterazione. Chi invece ricorre ad un trattamento, in genere per
ansia o tratti depressivi connessi, sono così sospettosi che
abbandonano il trattamento subito dopo un piccolo miglioramento.
Poiché i problemi sono radicati da lungo tempo, richiedono
sempre interventi intensivi e di lunga durata. La chiave del
successo è lo sviluppo di una relazione leale, onesta e di
sostegno tra soggetto e professionista, proprio quello che questi
individui stentano a garantire. Una volta, però, superata questa
difficoltà, essi cominciano a fronteggiare i sentimenti di
insicurezza, di vulnerabilità, di debolezza, di inadeguatezza,
di inferiorità e di disistima con grande determinazione. La
psicoterapia di supporto è considerata ancora oggi il metodo più
idoneo per uscire da questo atteggiamento e cambiare le
percezioni che sono all’origine di tale problema. Sviluppare,
quindi, un po’ di autostima, guardare la vita con più
obiettività e aprirsi leggermente alla socievolezza … tutto
ciò, con le mosse terapeutiche adeguate e l’impegno giusto,
può essere risolutivo e “costare” davvero poco.
… i
sospetti impoveriscono i rapporti, spengono l’entusiasmo e la
spontaneità… non meno importante, poi, con quel fare saccente
si perde la possibilità di confrontarsi, di conoscere, di
esplorare nuovi percorsi, di fare nuove esperienze genuine… non
va dimenticato, inoltre, che quando ci si sente autosufficienti,
si pensa di non aver più bisogno di nessuno, di aiuto anche
quando è necessario, altro non si fa che creare cronicità ai
vari disagi … il rimprovero continuo agli altri crea deserto e
solitudine.
|
Vincere
i più comuni disagi quotidiani …
n
questo periodo storico, caratterizzato da una profonda crisi
economica e segnato da un indiscutibile declino dei valori
tradizionali, le sensazioni negative che rendono spiacevole la vita
sono all’ordine del giorno… sono davvero tante. Tutto cambia con
estrema rapidità. Le convinzioni, i modi di pensare, il senso di
precarietà, i fenomeni in costume, l’amore, l’aggressività,
determinano una cultura imprevedibile, confusa e provvisoria sul
domani. Si diventa sempre più vulnerabili alle novità della vita.
La realtà circostante si colora intensamente di sensazioni negative
e di avvenimenti spiacevoli. Tale fenomeno tocca, in modo differente,
ogni individuo. Ed ecco, all’improvviso, comparire una serie di
scomodi e sgradevoli compagni di viaggio: la paura di perdere quello
che si è conquistato nel tempo, rende la vita sempre più
invivibile, l’ansia per un futuro incerto rende apprensivi e fa
girare a vuoto, avvitandosi su se stessi, un senso di impotenza per
il timore di non riuscire cambiare le cose fa sentire inadeguati e a
corto di energia, la rabbia, che aumenta per le ingiustizie subite,
si fa sempre più distruttiva, l’insicurezza, rigorosamente
collegata a tratti depressivi, fa scivolare sempre più in uno stato
grigiore, di buio assoluto e di totale apatia. La paura è una
sensazione piuttosto diffusa in certi momenti di crisi. Dopo tanti
sforzi per raggiungere una tranquillità economica e sociale, ecco
che si rischia di perdere improvvisamente tutte quelle condizioni di
benessere acquisite e consolidate nel tempo. La paura è un modo
fisiologico di reagire alle novità o a tutto ciò che turba
l’equilibrio. Quando la convinzione di aver perso l’appoggio
esterno, che caratterizzava e sosteneva la propria esistenza, si fa
sempre più dilagante, si crea una condizione che finisce per
annichilire l’individuo che si trova immobile, disorientato e
terrorizzato di fronte a qualunque cosa possa riservargli il futuro.
Queste paure, secondo la psicosomatica, possono esprimersi a livello
somatico attraverso vari disturbi come: calcoli renali, pollachiuria,
colite e incubi notturni. Cosa fare. Alcune strategie terapeutiche
cognitive, basate sulla concretezza e sulla realtà, aiutano ad
allontanare i timori e i fantasmi del futuro.
’ansia, invece, è
la paura senza oggetto specifico. Si vive nella dolorosa attesa di un
pericolo indefinito ed imprevedibile. E’ caratterizzata da
un’inspiegabile ed immotivata frenesia: il soggetto si sente un po’
strano, il cuore batte velocemente, la gola è contratta, manca il
respiro e, all’improvviso, si trova madido di sudore. E’ un
fenomeno di grande agitazione che, oltre a scatenare un grande timore
per la propria salute, si insinua nella quotidianità producendo
stanchezza e malesseri diffusi. Anche in questa condizione emotiva ci
si sente ingabbiati, i ritmi naturali vengono completamente sconvolti
e possono comparire: palpitazioni, insonnia, sudorazioni,
eiaculazione precoce, dispareunia e disturbi alimentari. Cosa fare.
Con semplici esercizi distensivi psicosomatici è possibile ritrovare
il ritmo giusto e la propria serenità. Il senso di impotenza emerge
quando la persona, di fronte anche ad un problema di poco conto, è
bloccata dalla convinzione di non potercela fare o di non avere
sufficienti energie per terminare un progetto che, improvvisamente,
appare inaffrontabile: tutto sembra impossibile a realizzarsi. La
paralisi è totale: amarezza e delusione aumentano in maniera
esagerata, e ben presto il senso di impotenza lascia il posto ad
un’amara rassegnazione; in questa condizione prende corpo la
convinzione che la vita non riservi più nulla di interessante.
Questa sensazione si esprime nel corpo attraverso: aritmia cardiaca,
impotenza e frigidità, perdita di capelli e astenia. Cosa fare.
Poiché sono sensazioni difficili da sradicare sarà utile
suddividere tutti gli impegni della vita quotidiana in piccole tappe
in modo tale da ottenere non solo un risultato immediato e, quindi,
la conferma delle potenzialità, ma soprattutto ritrovare, man mano
che si raggiungono i risultati, l’autostima e la fiducia nelle
proprie capacità.
n altro atteggiamento che spesso si accompagna a
sofferenza piuttosto diffusa è la tendenza a frenare o soffocare
l’espressione di rabbia che le varie situazioni quotidiane possono
fare insorgere. Alcuni ambienti sociali suggeriscono di reprimerla e
di controllarla dando, in tal modo, un volto negativo e non
costruttivo dell’aggressività. Molte persone, infatti, anziché
“sbottare” di fronte a situazioni ingiuste ingoiano completamente
la rabbia e il risentimento. Questi sentimenti, però, non essendo
completamente “neutralizzati”, continuano a ribollire
determinando nel soggetto una forte tensione invalidante. Ecco allora
che, continuando ad accumulare rabbia senza sapere come esprimerla,
il corpo prenderà in consegna tale disagio emotivo. Per dare libero
sfogo all’aggressività il corpo avrà una propria modalità
espressiva specifica: cefalea martellante, crampi muscolari,
gastrite, esofagite da reflusso, eczema alle mani. Cosa fare. Per
questa emozione l’intervento terapeutico principale sarà quello di
sciogliere completamente le tensioni e decomprimere tutti gli organi
troppo sollecitati da istanze aggressive non adeguatamente espresse.
Attraverso alcune metodiche terapeutiche immaginative sarà possibile
entrare in contatto con gli aspetti più costruttivi del sentimento
di rabbia.
’insicurezza è una condizione psicologica che si
manifesta col timore che “manchi la terra sotto i piedi”. Le
preoccupazioni, i timori e i vari malesseri generalizzati, quando il
futuro appare incerto, sono più che “giustificati”: ci si sente
smarriti, sfiduciati ed insicuri. Si ha la sensazione che da un
momento all’altro alcuni eventi della vita possano sovvertire in
maniera drammatica il corso della vita. Non avendo più nessun punto
rassicurante si è completamente in balia degli eventi e, quindi,
presi dal dubbio si è incapaci di fare scelte adeguate. Una
condizione, questa, che si accompagna spesso ad alcuni sintomi che
traducono nel corpo questo stato di preoccupante insicurezza:
vertigini, bulimia, cefalea, disturbi oculari. Cosa fare. Per questo
disturbo esistenziale saranno utili tutte quelle metodiche
terapeutiche rivolte a migliorare le condizioni di autostima.
Cluster
A .Disturbo schizoide di personalità
(Ama
star solo, autosufficiente, profondamente distaccato dalle cose, non
sono attratti dagli altri, indifferenza per le relazioni sociali ...
una fobia per il contatto) ... difficoltà nello stabilire relazioni
sociali. In questo disturbo i rapporti sono superficiali e, quindi,
la parola d'ordine è statemi lontano ... osservatore, mai coinvolto
e partecipe alle situazioni, agli eventi della vita. E' distaccato,
freddo, non ha sogni, tantomeno desideri e interesse per i suoi
simili ... non prova emozioni né positive né negative. Un soggetto
che ha vissuto il suo primo rapporto con una figura di riferimento
troppo assente (incapace di manifestazioni affettive e di contatto,
un'atmosfera glaciale: rifiutante. Un bimbo terrorizzato e pieno di
paura) o troppo presente (una figura invadente, invasiva che
controlla e priva il fanciullo di fare esperienza: non c'è privacy e
intimità ... solo paura). Solitario, ritirato in se stesso, staccato
dal mondo, nella sua turris eburnea guarda le cose e gli altri con
profonda diffidenza ... un mondo pieno di tranelli e pericoli.
ono
individui che non desiderano provare piacere nelle relazioni
interpersonali strette e quando si trovano costretti a sperimentare
tale esperienza, reagiscono in maniera inadeguata, sprezzante e
arrogante. Scelgono lavori solitari con scarsi contatti umani ... non
amano condividere affetti ed esperienze sociali. Non ci sono
esperienze sensuali corporee che colorano le loro giornante, tanto
meno l'attività sessuale (a volte notevole ma senza relazione
emotiva) ... non esprimono emozioni e reagiscono con indifferenza sia
alle approvazioni sia alle critiche: impassibili di fronte ad
eventuali rifiuti. Nella forma grave in questi soggetti si riscontra
un atteggiamento di controllo, dominante e sadico. Proprio perché ha
sviluppato una fobia di contatto e di scambio le tensioni croniche si
localizzeranno sulla pelle (in particolare psoriasi, eczemi) e a
livello respiratorio (asma, dispnea). Un disturbo che può essere
confuso con la personalità ossessiva - compulsiva. Un soggetto,
spesso - quanto è "puro" - molto magro, astenico e
contratto.
Cluster
A .Disturbo schizotipico di personalità
(Disagio
nei rapporti intimi, isolamento, aspetto bizzarro, comportamento
strano e eccentrico) ... cure materne inadeguate e ritiro in un mondo
immaginario. Anche qui troviamo un soggetto isolato, sospettoso,
disturbato nel pensiero, che non si fida di nessuno, ma che si fa
notare ... eccentrico nel comportamento, nel vestire e nel parlare
(difficile da capire). I rapporti sono vissuti con senso di disagio
ed ansia (pensa che gli altri possono trarre sempre vantaggio a suo
scapito), non manifestano alcuna emozione se non in maniera
imbarazzata ed inappropriata. Pur avendo la consapevolezza delle loro
stranezze hanno l'impressione che la gente parli o rida di loro,
credono in cose assurde e strane, sentono la presenza di defunti e
odono voci ... si sentono chiamare per nome. E' un disturbo vicino
alla personalità schizoide. I problemi fisici sono legati a problemi
di contatto e scambio (epidermici, respiratori e intestinali).
IASSUNTO
(Disturbo Schizotipico di Personalità).
I soggetti con questo disturbo, oltre ad avere problemi
relazionali (incapaci di interagire, di confrontarsi e di
dialogare), pensano, percepiscono, agiscono e comunicano, in
maniera visibilmente insolita, strana, bizzarra ed eccentrica.
Usano frasi e parole insolite senza mai guardare in viso
l’interlocutore. Un quadro clinico molto simile a quello
schizoide, ma con sintomi psicotici più marcati: ritiro dalla
realtà e creazione di un mondo fantastico (immaginario).
Traggono scarsa gioia dal vivere quotidiano, dallo scambio
affettivo e dalle relazioni con gli altri, possono presentare
stati d’animo dolorosi, ansia e depressione: tendono
all’ipocondria (illusioni corporee, sintomi fisici insoliti) e
al suicidio. Li caratterizza una vita grigia e vuota priva di
entusiasmo e di motivazioni: non hanno amici intimi o confidenti.
Hanno un aspetto insolito: vestiario inadeguato alle circostanze,
parlano in maniera strana, look disordinato e igiene personale
che lascia un po’ a desiderare. Sono individui freddi e
distaccati che vivono in un clima di isolamento, sfiducia e
sospetto (pensieri paranoici).
ondizionati da opinioni, idee e
percezioni distorte: possono pensare, girando per strada, che un
passante occasionale parli o rida di loro, magari sentire voci
che li chiamano per nome, parlare da soli o credere di possedere
capacità profetiche (credenze magiche) … pensano di avere una
missione speciale da compiere sulla terra. Sono spesso seguaci di
sette religiose, attratti dall’occulto, storie di ufo…
credono nella chiaroveggenza, telepatia, a un sesto senso. Anche
in questo disturbo troviamo un deficit relazionale infantile. La
sua difficoltà relazionale attuale, infatti, può aver preso
avvio da cure affettive inadeguate.
|
SOGGETTI
CHE APPAIONO MELODRAMMATICI,
EMOTIVI ED IMPREVEDIBILI.
•
Disturbo
Antisociale di Personalità.
• Disturbo Borderline di Personalità.
• Disturbo Istrionico di personalità.
• Disturbo Narcisistico di
Personalità.
Cluster
B . Disturbo Antisociale di Personalità
(comportamento
irresponsabile e distruttivo, impulsivo, dispregio per l'autorità,
mancanza di rispetto e violazione dei diritti altrui, violenza su
animali e persone, nessun rimorso per le azioni criminali). Il
rapporto con la figura di riferimento viene vissuto - dal soggetto -
come estraneo, cattivo, malvagio, una madre indegna di fiducia ... si
determina da ciò, inevitabilmente, insicurezza e caos. Il
comportamento antisociale, quindi, può essere interpretato come il
tentativo di ottenere attenzione e l'accudimento che non ha mai avuto
ma che desiderava tanto ... il malcapitato impara la regola della
sopravvivenza (manipolando come fa la figura di riferimento, burla
gli altri sentendosi burlato).
o scopo principale di questi
individui è di sentirsi potenti, di avere la consapevolezza del
proprio potere sugli altri, di manipolarli, di averli in pugno e di
sfruttarli. Si lascia facilmente coinvolgere in attività illecite,
fa uso con una certa disinvoltura di alcol e di droghe anche pesanti,
ed è indifferente della propria e altrui sicurezza ... non tiene
conto delle conseguenze, non si assume le responsabilità delle
proprie azioni. Avendo scarsa tolleranza alle frustrazioni, quando
non raggiunge la soddisfazione desiderata, diventa aggressivo e
violento. I tratti di questo disturbo possono essere fraintesi con la
personalità paranoide, dissociativa e narcisistica. I suoi problemi
fisici saranno evidenziati nella parte scheletrica, a livello
respiratorio e digerente ... stanchezza, disidratazione, congestione
venosa, disturbi ghiandolari, stipsi.
IASSUNTO
(Disturbo Antisociale di Personalità). Le regole
vigenti sociali e le imposizione a questo soggetto vanno davvero
strette ... non le sopporta. I comportamenti principali sono
dispregio per l’autorità e scarsa attenzione per i diritti
altrui… abile a manipolare e a ingannare gli altri. Sfrutta
letteralmente gli altri con la forza e l’astuzia per il proprio
tornaconto. Non conosce né senso di colpa né prova sofferenza
per i suoi crimini. Una vita impulsiva, tumultuosa di sfida e di
disprezzo che rende questo individuo impaziente, bugiardo,
sospettoso, imbroglione, vendicativo, cinico, arrogante, egoista,
incapace di integrarsi nella vita di gruppo e adattarsi a
semplici norme di vita sociale (distacco dalle relazioni umane).
Si lascia facilmente coinvolgere in attività illecite (non tiene
conto delle conseguenze dei suoi gesti) come atti vandalici, alta
velocità, furti e spaccio di droga … sempre alle prese con
sfide estreme (eccesso per ogni sorta di stimolo, uno stile di
vita sempre più frenetico). La mancanza di morale, oltre a
renderlo freddo e insensibile, crea un’immagine di lui
sprezzante e di scarsa umanità. Uno stato emotivo irregolare
caratterizzato da instabilità e impulsività che compromette la
capacità di adattamento … intollerante alle frustrazioni e
allergico alle responsabilità. uando non ottiene ciò che vuole
o magari si trova alle prese con una banale contrarietà può
irritarsi, esprimere rabbia (narcisistica), diventare violento e
aggressivo, perdere il controllo fino ad arrivare allo scontro
fisico ... ecco perché non hanno molti sostenitori e godono di
poche simpatie in qualsiasi ambiente. Incapace di inserirsi nel
mondo lavorativo vive di espedienti, di raggiri o attività
truffaldine a danno di altri. Le relazioni sono inesistenti o
effimere: separazioni, divorzi e abbandoni della famiglia sono
all’ordine del giorno. Gran parte di questi soggetti provengono
da ambienti con instabilità e carenze educative: violenze,
sevizie, atti di crudeltà, carenze di affetto, deprivazioni …
genitori che nutrono sentimenti negativi e con atteggiamenti di
cui è impossibile fidarsi. Figure di riferimento ostili,
assenti, severe, deboli (padre), indifferenti e permissive
(madre) … mancano sempre in questo soggetto esperienze d’amore
dirette.
|
Cluster
B . Disturbo Borderline di Personalità
(relazioni
interpersonali instabili, immagine di sé ballerina, impulsività,
affettività disforica ... qui il problema relazionale coinvolge
entrambe i genitori non sanno amare). I suoi rapporti interpersonali
sono tumultuosi, impulsivi e svalutativi. Ha paura di essere
abbandonato ed è particolarmente sensibile ai minimi segnali di
rifiuto ... non tollera la solitudine e odia i cambiamenti repentini.
Anche questo soggetto tende a manipolare gli altri per i propri
scopi, ma i suoi tentativi sono talmente "maldestri" che
anziché impietosirli li allontana.
amentano spesso un senso di
vuoto e di incertezza circa la loro identità: valori personali e
professionali, orientamento sessuale, ruolo, la capacità di
estraniare i propri pensieri e sentimenti da quelli degli altri ...
stati d'animo contradditori e contrapposti. Considerano gli altri
responsabili delle proprie avversità e problemi. Non tollerano
frustrazioni ... a tali esperienze reagiscono con rabbia e gesti
impulsivi rischiando spesso la vita (abuso di sostanze, tentativo di
suicidio). L'espressione somatica non si differenzierà di molto dai
disturbi di personalità sopra indicati. A livello teorico e
descrittivo è una struttura molto simile a quella istrionica.
IASSUNTO
(Disturbo Borderline di Personalità).
Questo tipo di struttura si esprime con un umore piuttosto
ballerino. Uno stato d’animo davvero imprevedibile, vertiginoso
e teatrale (fenomeno che spesso porta al suicidio) … freddezza
emotiva, sguardo penetrante, violenti eccessi di rabbia e
manifestazioni di disprezzo. E’ una terra di confine con
elementi di profonda instabilità in ambito relazionale in cui
spesso si perde il contatto con la realtà. Un malessere che può
avere diversi livelli di gravità: più vicino all’area
nevrotica (buon rapporto con la realtà) o psicotica (perdita del
contatto con la realtà: aggressività, autolesionismo). Si
arrabbia facilmente quando ci sono cambiamenti improvvisi di
programma, non tollera ritardi o l’annullamento di impegni
fissati … può diventare, a seconda del livello di gravità,
furioso, minaccioso e arrivare persino allo scontro fisico. Le
relazioni interpersonali sono spesso adesive, tumultuose, intense
e instabili … una vita di alti e bassi
senza fine. I rapporti con le persone o le cose in
generale sono buone oppure cattive. Si lasciano andare facilmente
alla collera intensa e fuori luogo, sono dominati dalla
tristezza, agitazione, rabbia e risentimento (parlano spesso di
una sensazione di vuoto interiore devastante). Alcuni hanno dei
comportamenti che sembrano di natura isterica, ma è evidente
l’assenza di erotizzazione degli investimenti corporei ed una
manipolazione più aggressiva che genitale. Alcune fobie,
inoltre, alcune ereutofobie, alcuni casi di agorafobia e
claustrofobia, certi stati ossessivi caratterizzati da una
docilità strana e da un bisogno di stima piuttosto che di
punizione, compresi certi stati psicosomatici gravi, possono
costituire un quadro sintomatologico borderline.
l pericolo
permanente contro il quale si difende questo soggetto è la
depressione. Che è legata, appunto, ad un sentimento di
solitudine, di abbandono, alla paura di perdere una figura
importante. L’aggressività è davvero notevole e si traduce in
crisi di collera, ostilità, violenza. La loro impulsività è a
volte espressa in maniera più o meno continuativa attraverso
episodi di bulimia, di alcolismo e tossicomanie. Sono
particolarmente fragili, incapaci di controllare gli impulso,
sensibili ad ogni piccolo segnale di critica o di rifiuto …
sono letteralmente terrorizzati dall’abbandono reale o
immaginario. Gli atteggiamenti verso se stesso (manca di un
chiaro senso di identità) e gli altri (perfetti o di nessun
valore, supervaluta o disprezza) sono sempre idealizzati …
alternano momenti di enorme passione a momenti di grande
delusione (ama o odia). Conduce una vita veramente caotica con
comportamenti impulsivi, stravaganti e autodistruttivi
caratterizzati sempre da estremismi: droga, doppia vita, sesso,
spese eccessive, automutilazioni, gioco d’azzardo e, come
diceva quel famoso cantautore, guida spericolata. Alcuni hanno
tendenze sessuali perverse e davvero curiose … caotiche e
multiple. Appartiene ad un quadro clinico con tratti che possono
essere presenti in altri disturbi: Istrionico, Dipendente,
Antisociale e Schizotipico. Pur essendo incapaci di una vera
intimità sono portati a relazioni - brevi ma intense -
eccessive, esplosive e di grande passionalità. I meccanismi di
difesa principali sono: scissione, idealizzazione e isolamento.
In questi individui prevalgono le esigenze provenienti dalle
fissazioni narcisistiche. Il quadro clinico di questo soggetto è
caratterizzato da un adattamento (sociale, lavorativo, affettivo)
spesso soddisfacente malgrado la sua confusione … relazioni
affettive a volte instabili, un’aggressività ed impulsività a
volte considerevole. Il rapporto con le figure di
riferimento frustrante ed infelice … non risulta per niente
soddisfacente. Un ambiente frustrante in cui si verificano
cambiamenti d’umore inspiegabili … non gli non gli è stato
possibile edificarsi su fondamenta solide. Il futuro borderline,
infatti, prende forma da un’atmosfera familiare di rifiuto,
estremamente rigida e critica, con poche opportunità di
divertimento e gioiosità.
|
Cluster
B . Disturbo Istrionico di Personalità
(emotività
eccessiva e bisogno di essere sempre al centro dell'attenzione) …
un rapporto primario caratterizzato da una precarietà affettiva,
un'esperienza precoce di abbandono, una grave carenza di cure
materne. Le attenzioni sono inadeguate ... il piccolo non esiste. La
parola d'ordine in questo caso è teatralità e seduttività. Qui
l'esperienza interpersonale con la figura di riferimento - anziché
essere fonte di rassicurazione viene vissuta come minacciosa - è
colma di tristezza, preoccupazione e ansia. Per controllare,
impressionare gli altri sono pronti a tutto, anche con gesti
autolesivi: scoppi di pianto e accesso di rabbia teatrale. Soggetto
che risulta facilmente influenzabile dagli altri, dalle situazioni e
dalle circostanze … con un'autostima labile e una diffusa
svalutazione di se stesso vede ogni relazione più "intima"
di quanto non sia in realtà. E' un disturbo che può essere confuso
con la personalità psicopatica, narcisistica e dissociativa. I
disturbi fisici sono di conversione: sintomi riguardanti funzioni
motorie o sensitive.
IASSUNTO
(Personalità Isterica - Disturbo Istrionico).
Non ci si può sbagliare nel riconoscere i comportamenti
di questa persona che spesso, non del tutto integrata, sono un
chiaro segnale di disadattamento (conflitti orali ed edipici). La
sua preoccupazione maggiore, in ogni situazione, è quella di
apparire attraente, di essere al centro dell’attenzione: in
breve, di essere sempre la “prima donna”. Desidera più di
ogni altra cosa, oltre l’immediata gratificazione, le lodi, la
rassicurazione e l’attenzione altrui … non gradisce le
frustrazioni. Deve essere in ogni occasione al centro del
palcoscenico e se non ce l’ha - con stizza - se la prende …
deve apparire sempre al meglio e se questo non le viene
riconosciuto si irrita rapidamente (bisogni compensatori di
attenzione e rassicurazione). Appare entusiasta, socievole,
spesso può dare la sensazione di essere frivola e superficiale,
diretta ed esibizionista, espansiva, familiarizza con facilità,
mutevole (calorosa o fredda completamente) sempre pronta alla
battuta, ingannatrice, volubile, mutevole, influenzabile, buona
attitudine alla teatralità, manipolativa, ben tenuta nei minimi
particolari, apertamente seduttiva e provocante a livello
sessuale … un personaggio davvero camaleontico.
na personalità
dotata di grande creatività e immensa immaginazione che si
eccita facilmente (si abbandona a sensazioni viscerali), cambia
spesso i suoi sentimenti, ama il nuovo, la novità, si annoia
facilmente … brucia in fretta molti legami o semplici rapporti
interpersonali. In compenso è una campionessa davvero speciale
nel cercare storie impossibili o figure proibite. Contrariamente
ad altri tipi di personalità, l’organizzazione isterica non
presta molta attenzione ai “tempi” passato e futuro perché è
intrappolata nel presente. Nonostante la loro instabilità
ottengono nell’ambito lavorativo - proprio per l’evidente
ambizione e la costruttiva competitività - sempre buoni
risultati, discreti successi a livello organizzativo. Tutto ciò
avviene solo in certe condizioni: per i nuovi progetti perché
questi soggetti perdono velocemente l’entusiasmo nelle attività
ripetitive. La storia familiari di questi soggetti è
caratterizzata da rapporti inadeguati, con messaggi stile
narcisistico e atteggiamenti apertamente seduttivi. Alla
struttura istrionica non è stato concesso di sviluppare un
rapporto significativo e maturo con le figure di riferimento:
eccessivo attaccamento, dinamica masochista e tratti paranoici.
Quando si verifica nel rapporto familiare una carenza di cure
materne, il soggetto portatore dell’organizzazione isterica
(deluso dalla madre) si rivolgerà al padre per le
gratificazioni … imparerà ben presto che per ottenere la sua
attenzione sarà necessario “civettare” … ecco da dove
arrivano i suoi modi seduttivi e il suo esibizionismo! I
meccanismi specifici dell’organizzazione isterica sono
prevalentemente: rimozione, regressione, acting out (agire prima
di riflettere senza considerare le conseguenze dell’azione),
dissociazione, idealizzazione e svalutazione.
|
Cluster
B .Disturbo Narcisistico di Personalità
(l'autostima
viene mantenuta tramite le conferme dell'ambiente circostante,
incapacità di mettersi nei panni degli altri, bisogno di essere
sempre ammirati, idea grandiosa di sé, pseudoumiltà e tratti
depressivi, esagerazione dei risultati ottenuti) … le
figure di riferimento non hanno risposto in maniera adeguata alle
richieste naturali del bimbo ... una relazione genitoriale per certi
versi fallita. Un soggetto con un certo grado di arroganza, che per
compensare la sua grande fragilità ha sviluppato un'immagine di sé
grandiosa ed autosufficiente (rafforza l'autostima svalutando e
disprezzando gli altri). Non si fida di nessuno … non ha bisogno di
niente e di nessuno ... come potrà chiedere un aiuto
psicoterapeutico o dipendere da un altro nell'ambito lavorativo? Le
attività di gruppo sono forzate e mai genuine, se ci sono vengono
utilizzate per mettersi in mostra.
i considera un individuo
superiore agli altri, brillante, dotato di ineguagliabile abilità,
poteri speciali e con fantasie di successo illimitato: tutti sono
insignificanti e privi di valore … mors tua vita mea. Le
relazioni interpersonali sono tantissime ma tutte superficiali (lo si
riconosce subito: le sue conoscenze sono sempre di alto livello,
sfodera sempre la cosa migliore e originale, dal medico al meccanico
personale). Nell'ambito familiare considera più importanti i figli
che il partner ... forte insensibilità ai bisogni e sentimenti degli
altri. Se non si è attenti è un disturbo che può essere confuso
con personalità psicopatiche, depressive, isteriche e ossessive –
compulsive. Un candidato all'ansia e alla
depressione con manifestazioni corporee specifiche (attacchi di
panico, tachicardia, tensione muscolare).
IASSUNTO
(Personalità Narcisistica). Questa personalità mantiene la
propria autostima (o disistima) tramite le conferme (o
disapprovazioni) provenienti dall’esterno. Una
grande fame di riconoscimento, attenzione, ammirazione e un
bisogno continuo di essere rassicurati: letteralmente
terrorizzati di essere svergognati da qualcuno o che la loro
fragile autostima venga sminuita. Il narcisista, infatti,
oltre ad essere costantemente alla ricerca di situazioni in cui
possa essere ammirato in modo tale da aumentare la considerazione
di se stesso, è perennemente allarmato e preoccupato del
giudizio altrui. Questi soggetti, pertanto, non
ammetteranno mai i propri errori, cercano in tutti i modi,
sfoderando unghie e denti, di nasconderli a chi potrebbe
scoprirli, sono spesso arroganti e, sotto sotto, pensano che
tutto gli sia dovuto: una modalità comportamentale che
spesso ferisce e, quindi, non facilita il rapporto
interpersonale, anzi li allontana dagli altri. Nei casi più
gravi, denigra i modi di pensare altrui ma pretende una buona
considerazione delle proprie opinioni.
el
mondo del lavoro, poi, rischia continuamente l’emarginazione
perché insiste su un trattamento di riguardo in funzione delle
sue fantasticate capacità fuori dal comune: a dir poco
eccezionali. Sono soggetti a cui “manca qualcosa” nella loro
vita interiore e nell’interazione con gli altri … non
chiedono mai nulla perché in tal modo ammetterebbero di avere
“bisogno” degli altri (di essere “difettosi”, di avere
dei problemi). Fanno di tutto per non riconoscere i propri
impulsi e desideri… sono intolleranti alle critiche, non
accettano l’imperfezione e la possibilità di fallire in
qualcosa. La vergogna (convinzione di essere considerati cattivi
o trasgressivi) e l’invidia sono emozioni dominanti di questa
organizzazione psichica. Una personalità caratterizzata da
atteggiamenti esibizionistici, sensazione di vuoto, arroganza,
distacco, inaccessibilità emotiva, pensiero onnipotente
(immagine grandiosa di ciò che vorrebbe essere),
sopravvalutazione delle proprie capacità e tendenza a giudicare
gli altri. Sono soggetti preoccupati di come appaiono agli altri
… in fondo in fondo si sentono impotenti, deboli, inferiori,
disonesti, temono di essere inadeguati e incapaci di amare. Sono
continuamente in lotta perché temono di essere trovati con le
mani nella marmellata: smascherati nelle loro debolezze.
soggetti a rischio, cioè capaci di sviluppare un carattere
narcisistico, oltre ad aver vissuto in un clima eccessivamente
valutativo, sono particolarmente sensibili ai messaggi emotivi,
sono stati (sfruttati) utilizzati dalle figure di riferimento per
mantenere la loro autostima (cresce disorientato perché non
capisce a chi appartiene la vita che conduce ed è criticato
ferocemente quando sbaglia). Utilizzano principalmente come
difesa l’idealizzazione (grandiosità interna ed esterna: ecco
perché il narcisista ha sempre lo specialista migliore, il
figlio più diligente, il docente più autorevole, il dentista
più bravo, il parrucchiere all’avanguardia, ecc.), la
svalutazione (gli altri non valgono niente) e il perfezionismo
(obiettivi grandiosi, esagerati). Queste persone
particolarmente vulnerabili e sofferenti sono difficili da
trattare a livello terapeutico: difficilmente si avvicineranno
spontaneamente ai vari trattamenti psicologici, perché sarebbe
come ammettere che hanno qualche problema … basta
davvero poco per ferirle e deluderle.
|
SOGGETTI
CHE APPAIONO ANSIOSI e PAUROSI
•
Disturbo
Dipendente di Personalità.
• Disturbo Evitante di Personalità.
•
Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità.
Cluster
C .Disturbo Dipendente di Personalità
(Bisogno
eccessivo di essere accudito, dipendente, sottomesso, indifeso,
mancanza di fiducia nelle capacità) ... il rapporto con le figure di
riferimento è di totale dipendenza, caratterizzato da controllo
eccessivo, ostacolo e rifiuto all'autonomia del piccolo. Genitori
intrusivi, dominanti e potenti che rifiutano ogni tentativo di
indipendenza del figlio ... insegnano che l'autonomia è piena di
insidie e pericoli. In questo modo il soggetto diventa docile, impara
a delegare ogni cosa, rinunciare alla sua libertà e a vivere la
propria vita alle dipendenze di qualcuno ... preferisce demandare
agli altri le proprie responsabilità, scelte, impegni e decisioni,
anche a costo di umiliazioni e di fare cose degradanti (diventa un
modo di reagire costante e permanente) ... tomba dell'evoluzione
personale.
uando viene messo alle strette, reagisce ad un'eventuale
minaccia di separazione con estrema sottomissione e passività
(anziché rabbia ed aggressività): accentuando ulteriormente il
comportamento dipendente oppure piangendo ... diventa ancora più
docile di prima. Non riesce a funzionare senza l'appoggio di qualcuno
e tanto meno assumersi le dovute responsabilità, anche le più
banali. C'é un tratto della personalità che accomuna sia il
disturbo dipendente sia il disturbo borderline: il terrore
dell'abbandono, di perdere la protezione. Il dipendente, oltre alle
relazioni distorte, dovrà vedersela con alcuni malesseri
psicosomatici come ansia, attacchi di panico, depressione ed
insonnia. Ci sono somiglianze tra il disturbo dipendente e il
disturbo borderline di personalità.
IASSUNTO
(Disturbo Dipendente di Personalità).
Il dipendente appare indifeso,
schivo, docile, bisognoso, sottomesso, passivo, incapace di
vivere in maniera autonoma senza ricevere supporto emotivo,
rassicurazioni e approvazione dall’ambiente circostante …
è sempre imprigionato dai suoi eccessivi bisogni. In breve,
vuole che qualcuno lo guidi, si prenda cura di lui e si assuma
tutte le responsabilità … vuole essere accudito dalla testa ai
piedi. Ha una cattiva opinione di se stesso e una bassa
autostima: si definisce come un personaggio stupido e sciocco. Le
critiche o le disapprovazioni sono devastanti per il suo
equilibrio emotivo. Per evitare scontri e conflitti è
sempre d’accordo con tutti e il resto del mondo!. Gli riesce
difficile portare avanti un progetto semplice, prendere decisioni
e assumersi responsabilità riguardanti la vita di tutti i giorni
anche di poco conto, in quanto sminuisce le proprie capacità
(anche di giudizio) in ogni situazione … preferisce delegare
perché si sente un perfetto incompetente, è convinto di non
saper far nulla da solo! Demanda continuamente agli altri ciò
che dovrebbe fare lui. La personalità dipendente, nei periodi di
stress acuto, non riesce proprio a scegliere, non sa decidere con
chi stare, quale lavoro cercare, che indumento indossare, perfino
cosa mangiare. Questo soggetto, anche se odia l’isolamento
(soffre molto quando è solo), non ha mai un folto numero di
amici … i suoi rapporti sociali sono alquanto limitati. i
attacca a quei pochi rapporti come un adesivo, una ventosa,
perché teme la separazione, di essere abbandonato dal “capo
branco” (si aggrappa alla figura di riferimento perché senza
la quale si sente perduto) … per evitare tutto ciò
diventa insolitamente sottomesso fino ad arrivare a fare cose
spiacevoli e degradanti. Anche in questa struttura troviamo ansia
e tratti depressivi. Difficilmente appare come quadro clinico
unico, le sue caratteristiche principali possono apparire in
altre personalità (Borderline, Istrionica). La
personalità dipendente trae origine da un ambiente familiare in
cui le figure di riferimento hanno ostacolato o messo in evidenza
che ogni strada per la libertà è insidiosa e piena di pericoli.
Nelle vicende evolutive del soggetto, troviamo figure parentali
eccessivamente coinvolte, minacciose, molto invadenti,
particolarmente intrusive e, soprattutto, per raggiungere i loro
obiettivi di opposizione ai cambiamenti libertini (premiare per
non aver intrapreso un proprio percorso di indipendenza verso i
genitori), usano strumenti di ricatto non molto strutturanti e
formativi … sempre pronti a bloccare desideri e disapprovare
scelte libere ed autonome.
|
* Cluster. Il termine si usa per indicare un raggruppamento che si presta a costituire un insieme omogeneo.
Dipendenza … figlia dell’insicurezza
a
dipendenza è un comportamento in base al quale l’individuo
instaura una relazione distorta con i suoi simili oppure verso
un’attività, una situazione, una cosa, una sostanza o un
luogo. I soggetti dipendenti, quando
il loro disagio è particolarmente profondo, vivono imprigionati
dai loro stessi bisogni, sono insolitamente sottomessi. Sono
incapaci di vivere in maniera autonoma senza ricevere continue
cure, approvazione da parte degli altri, rassicurazioni e,
soprattutto, supporto emotivo; hanno un desiderio disperato di
essere amati e si sentono particolarmente offesi da un minimo
accenno di disapprovazione o critica. Mancano
di fiducia in se stessi, sono portati solitamente a sminuire, a
volte in maniera impressionante e ingiustificata, le proprie
capacità, e si definiscono come stupidi e sciocchi.
Considerandosi di poco valore non sono in grado di farsi valere e
prendere decisioni - anche le più semplici - che riguardino la
vita quotidiana senza il parere e le rassicurazioni degli altri.
Prendere decisioni, importanti o di poco conto, diventa un vero
dramma per il dipendente, che solitamente preferisce delegare ad
altri le proprie responsabilità in quanto non sa decidere con
chi stare, dove vivere, quale attività lavorativa cercare,
l’abbigliamento da indossare, quali alimenti mangiare, come
educare i figli. ssendo convinti di non essere in grado di
realizzare niente di buono da soli, questi soggetti hanno una
notevole difficoltà ad avviare un qualsiasi progetto, non per
mancanza di motivazioni o di energia, ma per la sensazione di
incompetenza che in loro è particolarmente diffusa. Per non
creare aspettative e ricevere incarichi di responsabilità,
nascondono le loro capacità e tendono a delegare i loro compiti;
in questo modo, mantenendo il talento nascosto e le potenzialità
sempre inespresse, non “rischiano” di assumersi delle
responsabilità ma anche di non fare carriera nell’ambito
lavorativo. E’ ovvio che demandare agli altri le proprie
scelte, oltre a mettere la loro vita in mano ad altre persone
(che sanno sempre ben poco di loro!) e crearsi alibi puerili,
impedisce di assumersi anche le responsabilità minime richieste
dall’età e, nel contempo, permette a questi individui di
perpetuare comportamenti infantili che creano ulteriore
dipendenza e un profondo senso di inadeguatezza. Gli individui
dipendenti si accontentano di una cerchia decisamente limitata di
relazioni sociali, ma allo stesso tempo evitano, attivando varie
strategie comportamentali, di rimanere isolati perché da soli
sprofonderebbero nella depressione più terrificante e in
un’ansia a dir poco devastante; limitano pertanto le relazioni
sociali ai pochi soggetti dai quali maggiormente dipendono. A
livello sociale, per guadagnarsi l’affetto giungono al punto di
far credere di essere sulla stessa lunghezza d’onda o essere
d’accordo con la gente anche quando pensa che sta sbagliando,
oppure fa cose spiacevoli o avvilenti al solo scopo di compiacere
gli amici e il partner.
’ bene ricordare comunque che
le caratteristiche di passività, sottomissione e docilità sono
tenute in grande considerazione in alcuni ambienti, presso molte
società e, soprattutto, sono dinamiche presenti in alcune
coppie, in quanto permette a chi ha assunto il ruolo dominante di
mantenere in maniera vantaggiosa il proprio spazio di libero
movimento (libertà e autonomia indiscussa!). La dipendenza
comunque non sempre è un problema emotivo invalidante, almeno
fino a quando non crea difficoltà all’individuo in cerca di
maggiore autonomia. Nel caso di questo disturbo è fondamentale
distinguere lo “stato” dal “tratto”: entrambi, in caso di
profondo disagio, quando ci sono problemi emotivi o durante i
periodi di stress acuto, accentuano le proprie caratteristiche di
dipendenza per far fronte ad una necessità temporanea, poi,
quando il fenomeno stressogeno si risolve o cessa, ogni cosa
ritorna alla normalità. Al contrario, nello “stato” di
dipendenza il soggetto persevera (se non ha intrapreso un
trattamento terapeutico per ripristinare la propria autonomia),
ovvero continua a demandare agli altri le proprie responsabilità;
si affida agli altri sempre, non solo in momenti particolarmente
difficili e stressanti. Cosa fare. Il trattamento primario per
questo disturbo consiste nella psicoterapia. Gran
parte del lavoro sarà rivolto e diretto all’autovalorizzazione
e allo sviluppo di un crescente senso di indipendenza.
Sviluppando maggiore sicurezza questi individui impareranno ad
esprimere sentimenti genuini prendendo le adeguate decisioni e a
essere in grado di far fronte a diversi episodi d’ansia.
Tutto ciò non fa altro che incoraggiare un nuovo stile di vita,
nuove strategie nel lavoro come nel privato e quindi aumentare la
fiducia in se stessi. I trattamenti
psicosomatici non dovrebbero mancare in quanto, inizialmente,
portano energia e forza a livello fisiologico.
|
DIPENDENZE … perché è così difficile uscirne?
a
dipendenza è una condizione di “resa”, una forma di “schiavitù”,
un atto con cui si “consegna” la propria vita a qualcuno o a
qualcosa. Un comportamento altalenante, con effetti distruttivi, in
base al quale un individuo attiva una relazione distorta con altre
persone, situazioni, luoghi o cose. Un abbandonarsi a situazioni che
gradualmente dominano e gestiscono la vita del soggetto fino a
distruggerla completamente; impulsi forti che spingono l’individuo
a compiere azioni dannose non soltanto per se stesso ma anche per gli
altri (familiari, amici, colleghi). Un modo sbrigativo per sfuggire
ai problemi o per alleviare sensazioni di impotenza, colpa, ansia o
depressione. E’ una ricerca confusa del “piacere” attraverso
qualche surrogato che, paradossalmente, pur limitando il potere
decisionale, rende “accettabile” e “vivibile” il disagio
quotidiano: un modo davvero singolare per alleviare la sofferenza
quotidiana e sedare il malessere interiore. L’aspetto veramente
distruttivo della dipendenza è l’impossibilità assoluta di
gestire il comportamento ripetitivo, anche se consapevoli della sua
inadeguatezza e del disagio che comporta. Il soggetto getta via il
suo tempo, dissipando completamente la sua energia, perdendosi in
lunghi ed inutili rituali.
uesto rapporto “maldestro”,
soprattutto se profondo ed intenso, oltre a far crescere l’ansia,
può produrre sbalzi d’umore e modificare negativamente i rapporti
interpersonali; la dipendenza - a causa di pensieri “spazzatura”
e comportamenti forzati - avvelena, domina, controlla, distrugge,
rende schiavi ed impoverisce l’esistenza fino a diventarne la
padrona assoluta. Tale esperienza, inoltre, contrariamente a quel che
si pensa, non è prerogativa di un’età a rischio e tanto meno
circoscritta ad un particolare ceto sociale. E’ un problema
endemico che si acuisce con i “crolli” emotivi e si insinua
indistintamente, senza misericordia, nelle case dei ricchi, nelle
chiese, nelle case popolari, nei colti e negli ignoranti. E’ un
fenomeno intenso e travolgente che in maniera subdola prepara il
terreno a patologie psicosomatiche ricorrenti davvero importanti come
insonnia, eruzioni cutanee, ulcere, cefalea, attacchi di panico e
depressione. Il logorio associato alle varie dipendenze, inoltre, può
esacerbare o peggiorare alcune condizioni fisiche, spesso già
compromesse: intestinali, epatiche, respiratorie, cardiovascolari,
neurologiche ed endocrini. La dipendenza, alterando la visione della
realtà dell’individuo, non è un’abitudine innocua, una banale
scusa, una mancanza di responsabilità o un’incapacità di
esercitare il controllo su determinate situazioni, ma è - secondo il
DSM IV - un vero e proprio quadro clinico che coinvolge aspetti sia
fisici sia psicologici.
l ventaglio delle dipendenze è
particolarmente ampio: da sostanze chimiche (collegate al consumo:
alcol, cibo, nicotina, farmaci, psicostimolanti) e psicologiche
(collegate al comportamento: - shopping, tentare di colmare un vuoto
interiore oppure sentirsi più potenti in virtù del fatto di
lasciarsi andare a spese pazze - gioco d’azzardo, difficoltà a
gestire la propria affettività - sessuale, distrazione e sollievo
emotivo - affettiva, scarsa autostima e bisogno di definire il
proprio valore in base all’opinione altrui - lavoro bisogno
ossessivo di garantirsi il futuro attraverso l’accumulo di
ricchezza e beni - internet, mezzo per evitare qualsiasi approccio
costruttivo al vivere con se stessi e gli altri). La distinzione tra
“fisica” o “psicologica” è comunque solo teorica perché
tutte le forme di dipendenza alterano e modificano la chimica
cerebrale attraverso complessi messaggeri chimici
(neurotrasmettitori). Al riguardo si veda la complicata natura della
dipendenza da gioco d’azzardo, definita drugless, in cui non è
implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica esterna. Ogni
dipendenza, infatti, proprio perché agisce su precise zone
cerebrali, dando un senso di esaltazione e piacere provvisorio,
alimenta la ricerca del benessere illusorio e scatena il desiderio di
ripetere l’esperienza “tossica”. Per la complicata natura
assuefante del fenomeno, quindi, non è possibile fare una netta
distinzione tra fattori biologici della dipendenza ed elementi
psicologici della stessa.
e sostanze psicoattive (in maniera più
marcata) e i vari sentimenti umani attivano sempre uno scambio di
informazioni tra milioni di cellule nervose. Questa alterazione,
agendo sullo stato emotivo, si impossessa lentamente della persona
fino ad annullarla completamente: si diventa, man mano che passa il
tempo, sempre meno padroni della propria vita. Un ebbrezza altamente
distruttiva che assorbe completamente tutte le energie mentali e
conduce ad una vita di sterile infelicità. Gesti e rituali che danno
un sollievo temporaneo ma che fanno aumentare l’angoscia anziché
ridurla. Cosa fare. Avere la consapevolezza di questi problemi al
loro esordio, prima che diventino parte integrante della vita e del
modo di pensare, comporta sicuramente dei vantaggi notevoli. E’ un
po’ come riparare le tegole di una vecchia casa prima che venga
danneggiato il tetto e lentamente tutto il resto dell’edificio. La
tentazione, proprio per la natura complicata della sofferenza
emotiva, è di non curarsi del problema e di continuare a
sopravvivere con la speranza che qualcosa di “miracoloso” possa
aggiustare ogni cosa, ma prima o poi la piccola “rottura”
iniziale rovinerà l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere
riparato in maniera veloce e con una spesa irrisoria, richiederà
costosi ed impegnativi interventi di ristrutturazione. Misure
preventive, interventi tempestivi e qualificati rappresentano sempre,
proprio per la complessità del problema, la strategia più saggia,
conveniente e vincente. Come è stato più volte sottolineato, più
si è dipendenti, depressi o compulsivi, più le aree cerebrali di
questi sintomi diventano capaci di generarli (kindling). Un programma
terapeutico tempestivo ed adeguato, oltre a ridurre il rischio di
ricadute e aiutare il dipendente ad affrontare il senso di vuoto che
emerge nella fase di recupero, permette di velocizzare i trattamenti
e migliorare, fin da subito, la vita del malato. Il piano di recupero
deve basarsi sulla comprensione del significato della dipendenza per
il singolo soggetto e delle valenze specifiche attivate in ciascuna
situazione.
L’Alcolismo
… è molto di più del fatto di bere
’alcolismo,
detto anche etilismo, e’ uno stato di dipendenza definito come
l’insieme dei fenomeni patologici provocati dall’abuso di
bevande alcoliche. Tale condizione assume caratteristiche di
cronicità quando l’abitudine al consumo di bevande alcoliche
si prolunga nel tempo, mentre acuta, se si riferisce alla
semplice “ebbrezza” episodica. I fattori psicologici che
“spingono” l’individuo ad assumere l’alcol in grandi
quantità ed in modo continuativo sono: stato
di tensione, difficoltà relazionali, sentimento di insicurezza,
incapacità di autoaffermarsi e bisogno continuo di
gratificazioni. L’uso di alcol comunque non è un
fenomeno recente e non appartiene sicuramente a questo periodo
storico. I nostri antenati, infatti, avevano scoperto – oltre
gli effetti apparentemente benefici come forza e coraggio –
molti metodi per produrre alcol e altre sostanze psicoattive, a
cui veniva riconosciuto un valore spirituale tale da farne il
centro di cerimonie religiose e riti di iniziazione sociale.
Anche la medicina popolare utilizza da sempre questa sostanza per
alleviare il dolore, sia fisico sia psicologico, per dare
rilassamento, conforto e felicità, per migliorare le prestazioni
e favorirne la socializzazione. Molte persone riescono a godere
dell’effetto piacevole dell’alcol senza diventare dipendenti
e sopportare conseguenze negative. Nella maggior parte dei casi,
però, i consumatori di alcol da occasionali diventano abituali
e, quando la dipendenza si è instaurata, ogni momento della
giornata ruota attorno alla ricerca di questa sostanza; non
appena gli effetti di una “dose” scompaiano inizia l’attesa
spasmodica della successiva. sintomi fisici e le conseguenze
psicologiche sono gravi e gli effetti negativi coinvolgono
l’intera società, oltre ovviamente il consumatore: aumentano
gli incidenti d’auto e sul lavoro, i divorzi, i crimini e le
violenze, calano la produttività e la coesione sociale. I
soggetti che abusano di alcol difficilmente riescono ad
ammetterlo; anzi, il più delle volte, lo negano anche di fronte
all’evidenza dei fatti. Molto prima di danneggiare il fegato,
l’alcol causa perdita della memoria e gastrite; i continui
ritardi sul lavoro o le frequenti assenze per malattia portano al
licenziamento; il vizio del bere è motivo di gravi problemi
familiari, spesso di divorzio, e di comportamenti socialmente
pericolosi come la guida in stato di ebbrezza. Quando si abusa di
alcol la vita è dominata da dolorose contraddizioni e si impara
a mentire, soprattutto, a se stessi. Si ama la famiglia ma si
trascurano i doveri; non si chiede aiuto ma si ha il bisogno di
qualcuno su cui contare; si assumono sostanze con la speranza di
alleviare depressione, ansia e tristezza esistenziale che invece
si fanno sentire ogni giorno di più, non appena sfuma l’effetto
acuto dell’alcol; si lavora con accanimento ma non si riesce a
concludere nulla di buono (… non c’è soddisfazione!)
provocando i malumori di capi e colleghi; si crede di trovare
sicurezza e autostima in una sostanza che in realtà costringe a
una forma di schiavitù terribile e, infine, si compiono sforzi
davvero immani per uscire dal circolo vizioso in cui si è
intrappolati e, ogni volta, poi … si ricade. La dipendenza da
sostanze può essere fisica o psicologica. Quella fisica si
instaura perché il cervello umano è dotato di uno straordinario
sistema di adattamento: le cellule nervose, a contatto con una
sostanza estranea si adattano ai suoi effetti e modificano
gradualmente il numero, la configurazione e la sensibilità dei
ricettori specifici. Un eccesso di sostanza all’inizio provoca
un effetto intenso sulle cellule nervose, che si attenua con
l’abitudine. Questo fenomeno detto “tolleranza”, è un
meccanismo protettivo che permette al sistema nervoso di
adattarsi alla sostanza; ma è anche il responsabile di quel
comportamento tipico dell’etilista che lo spinge ad avere
bisogno di quantità sempre maggiori della sostanza per ottenere
il medesimo effetto, esponendo il cervello e il corpo a dosaggi
altissimi e tossici.
’alcol, infatti, è una droga potente che
anestetizza il cervello, mima gli effetti di sostanze
naturalmente presenti in esso che danno benessere, rilassamento,
piacere ed eccitazione. Nell’area corticale del cervello,
l’alcol agisce come rilassante e frequentemente distorce la
capacità di apprendimento, la memoria, il giudizio e il
comportamento. Ma non ha un effetto devastante solo sul cervello.
Tutte le cellule sono esposte agli effetti tossici dell’alcol,
in particolar modo il fegato e i reni. Non devono essere esclusi
comunque i rischi per molte altre patologie come il cancro e i
disturbi mentali. Alcuni orientamenti scientifici hanno
classificato i bevitori problematici in base a tre grandi
tipologie: il bevitore compulsivo –
fortemente esposto alla depressione che tende a produrre troppa
istamina; il bevitore da sbronza del sabato sera – che può
avere bassi livelli di istamina e alti livelli di rame; il
bevitore ipoglicemico – che sostituisce lo zucchero con
l’alcol. La dipendenza psicologica, invece, consiste
nella perdita del controllo sull’utilizzo della sostanza, cioè
nel cercare di porsi dei limiti senza riuscirvi. Numerose teorie
cercano di spiegare le ragioni per cui questa dipendenza induce
in un individuo la coazione a bere. Molti etilisti sono persone
ipersensibili, forse troppo sensibili, con grandi difficoltà a
sostenere le frustrazioni della vita e di imporsi
l’autodisciplina necessaria a smettere di bere. Quasi tutti
soffrono di un profondo complesso di inferiorità che cercano di
anestetizzare con l’alcol. Un’altra spiegazione può essere
quella di evadere la realtà piena di conflitti e tensioni.
Mentre per la maggior parte delle persone, chi più chi meno,
accettano la responsabilità della vita, alcuni vogliono
fuggirle, credono, di non avere la determinazione sufficiente per
superarle. Si considerano, a torto, “differenti”. Vi sono
molti modi per evadere dalla realtà e all’ansia. Alcuni
giocano, altri vanno a donne, altri ancora si masturbano in modo
compulsivo e ci sono infine quelli che usano l’alcol. Il
motivo sottostante è, tuttavia, sempre lo stesso: anestetizzare,
o almeno alleviare in qualche modo, il dolore prodotto dalle
vicissitudini personali.
debiti, un rapporto infelice, la
convinzione di un fallimento professionale, la solitudine, la
sensazione di non essere considerasti o amati, una malattia sono
altrettanto alibi per giustificare questa diabolica abitudine. E’
un suicidio lento, parziale, un “avvelenamento” del corpo e
della mente, perché non si riesce a riconoscere il vero motivo
che sta alla base del senso di sconfitta, della disperazione. La
dipendenza dalle bevande alcoliche diventa paradossalmente il
compromesso tra il desiderio di vivere e quello di morire: troppo
terrorizzato per morire e troppo spaventato per vivere. Un’altra
spiegazione di questa dipendenza psicologica è che l’alcol
libera le inibizioni. Abbiamo tutti delle emozioni, un mondo
istintivo che ci piacerebbe sfogare, ma non riusciamo perché
alcuni “vincoli” non ce lo permettono (il lettore attento
avrà capito sicuramente che non si tratta di realizzare atti
“vandalici” contro la società ma semplicemente di dare corso
ai sentimenti!). L’alcol agisce da stimolante, libera
l’individuo dal peso delle preoccupazioni e delle paure,
allevia i suoi sentimenti di inferiorità e debolezza, permette
di accantonare inibizioni e autocensure che normalmente bloccano
i sentimenti, scioglie la lingua, rende un timido un perfetto
dongiovanni; gli dà la scusa per essere espansivo, spiritoso e,
perché no, un perfetto romanticone. Se si
viene respinti, la nostra mente è formidabile nel conservare
l’autostima, può sempre dare la colpa al “bicchiere in più”
(questo è un comune meccanismo ossessivo compulsivo presente
anche in chi frequenta fattucchiere e cartomanti, non si dice
forse, quando le previsioni sono negative, ma tanto è un
gioco!). COSA FARE. Ippocrate
scriveva: “Si beve per alleviare paura e
terrore”. Purtroppo chi ricerca il benessere in una
sostanza - anche se apparentemente dà una sensazione di forza e
coraggio - è destinato ad aggravare anziché alleviare il
proprio malessere, a causa proprio dei sintomi psicosomatici
connessi all’assunzione continua di alcol.
li effetti
comportamentali prodotti dall’alcol mimano fedelmente i sintomi
riscontrabili in chi soffre di disagi emotivi che non fanno uso
di sostanze alcoliche, perché il cervello presenta sempre le
stesse modalità di alterazione: depressione, ansia, delirio,
allucinazioni. Il bevitore problematico, attraverso l’alcol
cerca di cambiare la sua vita, di trasformare la sua esistenza e
di superare una profonda insicurezza relazionale. In questo modo
l’alcol diventa lo strumento, purtroppo inadeguato in quanto
illusorio, per sciogliere tutte quelle inibizioni che hanno
favorito, nel corso degli anni, l’incomunicabilità con il
mondo circostante. L’alcol comunque è e non potrà mai essere
uno strumento di felicità. Questa sensazione illusoria di forza,
coraggio, felicità e gioia - oltre ad evitare il contatto con i
conflitti esistenziali irrisolti - viene trasformata, una volta
sfumati gli effetti alcolici, in paura, senso di colpa,
isolamento, tristezza, rimorsi. Ecco allora il bisogno di bere
nuovamente per coprire quel profondo malessere, per sfuggire ad
una realtà deludente … a prezzo di una ulteriore “punizione”.
Con l’inebriarsi, infatti, si crea una condizione transitoria
di esaltazione, quello che sta intorno “scompare”. Ma quando
l’effetto finisce, il bevitore problematico si sente ancora più
impotente e più incompreso di prima, a tal punto che è spinto a
ricorrere nuovamente all’alcol con una frequenza e una quantità
sempre crescenti. La dipendenza da sostanze in genere dura molti
anni, con fasi di remissioni e continue ricadute. Non bisogna,
però, perdere le speranze: disintossicarsi è possibile, la
sobrietà è un obiettivo reale e raggiungibile, molti ne sono
usciti con successo. Il primo passo è, ovviamente, ammettere di
avere un problema, poi è necessario “impegnarsi” per venirne
fuori (senza delegare la risoluzione a qualcosa, qualcuno). Il
mondo allora apparirà sotto una nuova luce, sarà grandioso
liberarsi della dipendenza. Gli alti e bassi che caratterizzano
l’andamento della dipendenza da alcol sono simili a quelli di
ogni altra patologia cronica. Non ci si dovrebbe sorprendere né
mostrare disappunto davanti a una ricaduta: è
controproducente parlare di fallimento morale ogni volta che un
etilista ha un “ripensamento” o un piccolo cedimento.
sistono, comunque, molti tipi di cura per l’etilismo (si
tratta sempre di metodi che, ovviamente, efficaci per alcuni, non
lo sono per altri). Alcune scuole di pensiero chiedono (anche chi
scrive ritiene utile questa strategia) che l’individuo esamini
se stesso e sia “responsabile” nel farlo. Questo è il
metodo che più di ogni altro ha dato buoni risultati. L’analisi
transazionale agisce sul comportamento, la psicoterapia
tradizionale ricerca le radici della dipendenza e del significato
simbolico della “bottiglia”, la medicina allopatica prescrive
spesso farmaci che, il più delle volte, provocano il vomito
quando si ingerisce l’alcol. Anche l’ipnosi è uno strumento
che può essere molto utile nel vincere l’etilismo, specie se
usata in combinazione con un programma terapeutico ben preciso e,
ovviamente, coordinato da una persona qualificata. Altre scuole
“organiciste”, invece, sostengono che la dipendenza da alcol
ha molto a che fare con gli squilibri biochimici. I tipi ad alta
produzione di istamina sono particolarmente inclini all’alcol e
possono in genere tollerarlo bene. Un’ampia percentuale di
bevitori sono forti produttori di istamina: usano l’alcol come
un lento suicidio. Il bevitore da sbronza occasionale ha più
probabilmente bassi livelli di istamina. In stretta relazione con
l’alcol, molti ipoglicemici diventano dipendenti dall’alcol
invece che dello zucchero. Ed è pratica comune degli etilisti,
quando non possono bere, usano larghe dosi di zucchero in sua
vece.
dentificare quali di questi fattori svolga una parte
importante nella dipendenza fornisce un indizio su come
modificare la “nutrizione” per ridurre il desiderio. Leggere
queste righe, comunque, non è sufficiente per risolvere un
problema di dipendenza; lo scopo è quello di riconoscere o
ammettere che tale drammatico problema c’è e, soprattutto,
avere informazioni utili; tutto ciò rappresenta un primo,
importante passo sulla lunga e difficile strada della guarigione.
Non bisogna mai dimenticare che un consumo moderato, se di buona
qualità, può essere un elemento di benessere, mentre delegare
agli alcolici la risoluzione dei conflitti porta inevitabilmente
all’infelicità. Per cui è sempre indispensabile scegliere e
selezionare cosa bere - anche da un punto di vista organolettico
- sia il tipo di “liquido” sia la qualità, perché in questo
modo è possibile gustare la sostanza e cogliere quegli aspetti
piacevoli (odore e sapore) che ci permettono di “dominare” la
bevanda anziché essere “inghiottiti” da essa (perché anche
questo appartiene ai piaceri della vita). Un altro aspetto
importante, per contrastare l’assunzione di alcolici, è quello
di riflettere sulle cose che ci fanno realmente star bene -
mettere a fuoco le sorgenti di piacere - senza ricorrere a quel
meccanismo automatico del bicchierino per riprendere “quota”.
L’alcol, inoltre, a lungo andare, cerca di strutturare in modo
automatico e ripetitivo lo stile di vita, tutto ruota attorno al
rituale del bere: la cena, comprare la “sostanza”,
l’occasione per bere qualcosa. Per
stroncare questa modalità reattiva, quindi, è spesso
indispensabile introdurre elementi innovativi (nella propria
esistenza) in modo tale da stimolare nuove scelte e nuovi
comportamenti.
|
Pianeta
Alcol … il nettare del diavolo
’essere
umano da sempre ha il desiderio di trascendere se stesso
(oltrepassare, andare oltre): è portato ad ampliare le proprie
potenzialità, prestazioni, esperienze, a ricercare con ogni mezzo il
piacere o il rilassamento, mettere in atto strategie per evitare il
dolore. E’ affamato di cultura, ingordo di fantasie gratificanti,
di potere, di controllo, di essere in un sogno, di essere “in un
mondo a sé”. Nella ricerca di “paradisi artificiali” ha
conosciuto e creato molti strumenti e varie sostanze (si veda ad
esempio il Viagra): una di queste è l’alcol (alimento – droga).
L’alcol è la sostanza psicoattiva più antica dell’umanità,
oltre che più diffusa, poco costosa e a portata di mano. Nella
ritualità cristiana lo troviamo nell’Eucarestia: il grande mistero
del pane e del vino. Mentre nella mitologia Dionisio (o Bacco),
divinità dell’ebbrezza, veniva celebrato il tutta la Grecia
attraverso questa bevanda considerata immortale. In apparenza,
l’assunzione di questa sostanza alcolica dà forza e coraggio.
L’alcolismo non dovrebbe mai essere sottovalutato, perché la
continua assunzione di tali bevande può causare gravi patologie al
fegato, danni cerebrali, cancro al pancreas, obesità, anemia,
problemi sessuali, disturbi al sistema nervoso e al cuore. Chi beve
cerca nella sostanza alcolica il “fuoco” capace di accendere la
vita, di darle una spinta e far emergere, seppur momentaneamente, uno
stato di coscienza diverso. Per la stessa ragione questa bevanda,
come altre sostanze inebrianti, è ricercata nei rituali di
cambiamento, in quanto, operando un’alterazione di consapevolezza,
consente di oltrepassare i confini della razionalità, così da
permettere alla mente di “andare oltre”: libero sfogo agli
istinti rompendo gli argini dei limiti e del controllo. Che l’alcol,
abbia anche effetti positivi è indubbio: l’antica medicina
ippocratea lo considerava, preso in maniera moderata, come un vero e
proprio farmaco (il problema è trovare la giusta misura). Un consumo
occasionale e moderato di alcol, se di buona qualità, può essere
sicuramente un elemento di benessere, mentre delegare alle “droghe”
la risoluzione dei propri disagi porta dritto all’infelicità.
uperare i problemi relazionali, specie con l’altro sesso (non solo
femminile, adesso anche maschile), è ancora oggi uno dei tanti
vantaggi ricercati nell’alcol: come se il trangugiare tale sostanza
permettesse, in qualche modo, di sciogliere completamente le
inibizioni che creano una barriera, un muro di incomunicabilità tra
se stessi e gli altri. Mi raccontava qualche tempo fa, una signora in
terapia, che nella sua vita non aveva ancora trovato un “passatempo”
migliore, nonostante la sua avanzata età, che scolarsi alla sera a
cena, prima di coricarsi, due bottiglie di buon vino bianco
frizzante… era l’unico strumento per smorzare il senso diffuso di
smarrimento e inutilità. Reggere la solitudine è invece il peso che
solitamente si cerca di spartire con un calice in più, soprattutto
quando è costellata da pensieri negativi su se stessi: autoaccuse,
senso di inadeguatezza, fallimenti, sensi di colpa. Proprio per la
sua capacità di “bruciare via” i pensieri nefasti, l’alcol
sembra diventare, ovviamente a torto, la scorciatoia più sicura per
la felicità. Come in tutte le dipendenze da sostanze (cibo, fumo,
droghe) il mito da smantellare, in realtà, è che l’alcol sia uno
strumento di felicità: la sua costante assunzione distrae dai veri
malesseri da cui si fugge bevendo, cronicizzandoli spesso per sempre.
Dà infatti una sensazione illusoria di coraggio, calore, gioia, che
però, una volta svaniti gli effetti, si trasformano in paura, freddo
interiore e tristezza. Il soggetto che beve diventa lunatico, strano,
sconcertante; passa improvvisamente dall’allegria alla tristezza e
i periodi di malinconia sono sempre più lunghi e frequenti: emergono
collere improvvise, che possono a volte evolvere in aggressività
verbale oppure in atti veri e propri di violenza.
tratti
fisiologici cambiano improvvisamente: le palpebre si gonfiano, i
denti si guastano, la sclera diventa più opaca e perde la sua
limpidezza. Ecco l’urgenza di mettere a fuoco i problemi che
spingono a bere e, una volta individuati, valutare con lucidità se
si sta consegnando all’alcol la soluzione. Riflettere e fermarsi a
considerare ciò che veramente può far star bene, senza cedere
nell’automatismo del “calicino” è una strategia per alcuni
semplicistica, ma sicuramente efficace, per identificare le sorgenti
di piacere messe in ombra dai fumi dell’alcol. Quando si avvertono,
inoltre, in maniera continuativa i sensi di colpa vuol dire che il
boccale di birra o il calice facile di vino non costituiscono più
una piacevole occasione, ma diventano la fonte di autorimproveri, di
disistima e profonda sofferenza. Cosa fare. Negare di avere un
problema di questo tipo rappresenta il principale sintomo
dell’alcolismo. La prima fase comunque del trattamento si concentra
sulla disintossicazione, riposo, buona alimentazione (sempre cereali
e legumi integrali per rendere alcalino l’organismo; distrugge
alcune vitamine: A, C, B12, PABA.) ed, eventualmente, sempre seguendo
le indicazioni del proprio medico, l’assunzione di specifici
integratori per ovviare ai danni causati all’organismo (l’alcol
distrugge varie vitamine e non solo).
oiché l’alcolismo è spesso
un sintomo di relazioni familiari o di matrimoni poco felici è
indispensabile non solo una consulenza qualificata per capire le
dinamiche psicologiche negative tra i vari componenti ma,
soprattutto, il soggetto deve riappropriarsi di strumenti idonei per
superare i danni subiti. Un malessere diffuso aleggia per la casa e
si sviluppa, inevitabilmente, in tutti i membri della famiglia una
comunicazione sempre più povera e distorta: un’incomprensione
disastrosa si installa in famiglia. L’alcolismo infatti, non deve
mai essere dimenticato, oltre a distruggere se stessi, distrugge
completamente le famiglie e crea forme di comunicazione
particolarmente negative. La guarigione dall’alcolismo è un
processo lento e, per i primi tempi, pieno di insidie: le ricadute
sono, purtroppo, piuttosto comuni. Proprio per questo pericolo i
programmi terapeutici sono concentrati sia sulla prevenzione delle
ricadute sia sulle strategie di sviluppo attraverso le quali è
possibile far fronte e convivere con un costante desiderio di alcol.
Parallelamente a questa evoluzione psicologica, le persone che stanno
superando una forma di abuso o di dipendenza da alcol, possono fare
molto per appianare le difficoltà: esercizio fisico (si producono
endorfine, allevia la tensione e migliora l’immagine di sé), tutte
quelle metodiche terapeutiche utili per controllare lo stress, come
rilassamento progressivo, ipnosi, biofeedback, touch of health.
Cluster
C .Disturbo Evitante di Personalità
(Ipersensibilità
agli eventi, sentimenti di inadeguatezza, eccessiva sensibilità alle
critiche e al rifiuto). La persona evitante si sente impacciata e
imbarazzata nella vita sociale, teme i giudizi negativi e manca
completamente di fiducia in se stessa … è estremamente vergognosa,
timida, introversa, si sente sciocca e non si fida degli altri.
Persone che temono fortemente le critiche, di rivelare i propri
vissuti e aspetti della propria personalità ritenuti "difettosi"
che li rendono particolarmente vulnerabili e deboli. Ancor prima di
entrare in rapporto con qualcuno deve essere rassicurata che è ben
accetta e, soprattutto, che tale relazione non abbia termine … se
non ha queste garanzie diventa goffa, reticente, scostante, si ritira
dalla situazione interpersonale e lavorativa. Difficilmente inizia
nuove attività o rischia in prima persona perché - oltre a produrre
ansia anticipatoria - pensa di essere inadeguata e non all'altezza
delle situazioni … teme di fallire, di far pessima figura, di
essere criticata o rifiutata. In questa personalità si possono
trovare elementi di altre strutture: schizoidi, narcisistici,
ossessivi - compulsivi e depressivi.
IASSUNTO
(Disturbo di Personalità Evitante).
I soggetti appartenenti a questo tipo di organizzazione,
pur desiderando ardentemente di allacciare rapporti umani e
godere di essi, sono talmente timidi e impacciati da rifuggire la
minima vicinanza o il piccolo contatto con gli altri … le
fantasie di affetto sono tante ma non riescono a legare o avere
rapporti umani adulti. Sono sensibili e
spaventati dai loro simili perché sono vissuti come troppo
severi, critici e esigenti da soddisfare (che è poi lo stile di
vita di questi soggetti … una perfetta fotocopia dei
loro timori. Quando finalmente riescono ad instaurare un rapporto
con persone che si fidano, sono terrorizzati che tutto possa
finire da un momento all’altro … i legami comunque sono
sempre mantenuti in forma eccessivamente adesiva
e di sottomissione. Anche quando sono obbligati a rapporti
non desiderati, gli stati d’ansia e d’angoscia diventano
insostenibili, accompagnati sempre da una serie di manifestazioni
somatiche invalidanti (tachicardia, problemi intestinali,
sudorazione, mal di testa).
on solo evitano le situazioni - in
quanto temono le critiche, i giudizi negativi, i richiami, i
rifiuti o le eventuali umiliazioni - ma per non farsi notare
diventano persino invisibili. Essendo continuamente a disagio in
ogni situazione pubblica, la tentazione di abbandonare ogni cosa
e di isolarsi dal mondo intero, man mano che passa il tempo,
diventa sempre più forte. Spesso i
tentativi di socializzazione forzata risultano maldestri e di una
goffaggine fantozziana. Possono apparire aggressivi oppure
con evidenti tratti depressivi (un po’ paranoici). Gli impegni
sociali per questi individui sono a dir poco un vero incubo da
evitare ad ogni costo. L’evitamento è
sempre una modalità difensiva messa in atto per gestire la
vergogna, l’imbarazzo, il rifiuto e il fallimento … se
non faccio niente, nulla potrà ferirmi o farmi male! La bassa
autostima, il timore di essere sciocchi o non appropriati, la
profonda ipersensibilità e il terrore di essere respinti sono i
motivi principali che li spingono ai margini di qualsiasi
attività sociale (scolastica, lavorativa) … diventano
vulnerabili anche quando percepiscono che qualcuno non nutre
simpatia nei loro confronti … si considerano inadeguati sia a
livello fisico sia a livello mentale. Nell’ambito lavorativo,
sono soggetti destinati a vivere in penombra perché, avendo
paura, rifiutano ruoli di responsabilità e impieghi prestigiosi. on amando le novità e i cambiamenti repentini conducono una
vita sempre uguale, noiosa, vuota, insignificante e banale …
non fidandosi (i contatti umani sono davvero all’osso) o per
timori di obblighi sociali improvvisi rimangono tenacemente
aggrappati alla routine quotidiana e dominati da quelle poche
persone di cui si fidano. Diventa un soggetto incompleto in
quanto isolandosi da ogni cosa non riesce ad affinare certe
abilità sociali e, quindi, privo di esperienza appare - in tutte
le occasioni - inesperto, inadeguato, impacciato e incapace di
competere. Risultato, il soggetto evitante si sente per niente
sicuro, poco considerato, rifiutato, deriso e umiliato. Nella
loro esperienza evolutiva ricordano un ambiente in cui rapporti
con le figure di riferimento era caratterizzato da sentimenti di
vergogna e di continuo rimprovero… soggetti spinti a realizzare
un immagine di se stessi a dir poco irraggiungibile. Tutti
questi atteggiamenti sono facilmente riattivati in fase di forte
stress nei rapporti con gli altri e nella vita sociale in
generale.
|
Infanticidio
(neonaticidio, figlicidio)… la sindrome di Medea
entre
scrivo questo articolo, i mass media riportano quasi
quotidianamente storie raccapriccianti di omicidi tra le mura
domestiche… atti efferati e brutali, apparentemente
incomprensibili. Negli ultimi tempi i casi di madri “smarrite” che
uccidono in modo disumano e crudele i propri piccoli sembrano
essere aumentati, rispetto al passato. Un’azione delittuosa
complessa che si sta allargando, indistintamente in ogni parte
del mondo, a macchia d’olio. Le madri annegano e soffocano,
mentre i padri hanno la tendenza ad utilizzare metodi più
aggressivi, quali battere, schiacciare o pugnalare. Gli
infanticidi sono spesso opera di donne
relativamente giovani, immature, fragili, frustrate e isolate,
più che “malate”. Tale atto non sempre si realizza in
ambienti socialmente problematici o economicamente difficili. Il
gesto estremo è spesso compiuto, secondo alcune accreditate
ricerche, perlopiù da madri istruite e agiate. Le condizione
economiche precarie, di emarginazione e di ignoranza oramai, non
“interessano” più, non fanno più notizia e, soprattutto,
non aumentano la tiratura dei giornali. La cronaca nera, infatti,
enfatizza e ha particolare predilezione per avvenimenti che
scaturiscono in situazioni di “normalità”: fa più notizia! a nascita, comunque, viene vissuta da alcune madri come un
periodo difficile, un ostacolo, una vera tragedia esistenziale,
un impedimento al proprio agire … diventa una potente
“maledizione”. La vittima quasi sempre non è mai desiderata
o voluta… è capitata per leggerezza e irresponsabilità.
All’origine di questa azione delittuosa spesso troviamo madri
con dinamiche di convivenza difficile, sentimenti contrastanti,
legami affettivi e relazionali conflittuali … una grande
difficoltà emotiva a prendersi cura o amare i propri figli (lo
stato di salute della madre cambia comunque a seconda dell’età
della vittima). La madre, spesso, si sente impotente, frustrata,
messa da parte, confusa, insicura, incapace di stabilire buone
relazioni mature con il bambino. Spesso terrorizzata al solo
pensiero di non essere in grado di adempiere alle basilari
funzioni materne… l’unico pensiero dominante, in alcuni
omicidi, è che solo la morte può evitare alla vittima il
destino peggiore della morte stessa (stato depressivo). Solo in
pochi casi esse si inseriscono in un contesto psicopatologico che
testimonia gravi disturbi psicotici (psicosi
reattiva post - partum). Non è un fenomeno raro, è
sempre esistito in tutte le culture, la storia ci tramanda
racconti molto noti, brutali e inquietanti. Già nella tragedia
di Euripide, una madre (Medea) gelosa e
vendicativa, uccide i suoi figli per rivalsa nei confronti del
marito (Giasone) che l’aveva tradita e abbandonata.
Medea allora sopprime i figli come conseguenza del gesto
abbandonico da parte di Giasone, che la ripudia per sposare
Glauce. La donna annienta i propri figli con assoluta freddezza e
determinazione, usandoli come arma per “colpire” il
responsabile della sua profonda solitudine. Un personaggio che
colpisce brutalmente, lascia sgomenti perché si arroga il
diritto e il potere di vita o di morte: così come da la vita,
così la può togliere … dal mito, alla sindrome di Medea. Non
dobbiamo dimenticare che la nascita di un figlio, per alcuni, è
una fase della vita delicata, può essere vissuta con immensa
gioia ma anche con inquietudine, smarrimento e disperazione senza
via d’uscita …
Un grande calvario dove
si concretizzano certe insoddisfazioni e amarezze. Può
essere il prodotto dell’amore, della passione, del desiderio,
ma anche di un vuoto infinito e di una profonda solitudine. Tale
nascita può riattivare nella neo mamma vissuti, ricordi,
fantasmi emotivi e relazionali dell’ambiente familiare
d’origine. La realtà non viene più vista per quella che è,
ma filtrata e deformata attraverso le proprie esperienze, i
propri ricordi infantili e la proprio personalità, attribuendole
un significato minaccioso, di disgrazia, di tragedia e di
sofferenza interminabile. Il nucleo familiare, allora, non
essendo più un posto sicuro e protetto, diventa un luogo che
crea condizioni di pesanti frustrazioni, doveri ingestibili e di
infinite responsabilità. La maternità è un’esperienza
concreta che non ha niente a che fare con l’immagine propinata
dagli spot televisivi della brava madre, efficiente e preparata
alle prese con un pannolino tecnologico o unguenti profumati. Non
solo richiede responsabilità e maturità ma, in alcuni casi,
necessita di un supporto deciso e di un sostegno concreto.
Riconoscere in anticipo i fattori di rischio e cogliere le varie
richieste di aiuto con un certo anticipo è fondamentale come
prevenzione e cura. Sono fenomeni che non arrivano
all’improvviso, ma sono preceduti da pensieri e comportamenti
sia di suicidio sia di infanticidio.
olti sono i segnali di
“cedimento” e di pericolo: irrequietezza, aggressività e
urla esagerate verso il piccolo, colpirlo ripetutamente con
sadismo e l’intento di fargli male, ignorarlo o allontanarsi se
piange o è in pericolo. Anche alcune idee psicotiche (delirio)
possono essere preziosi indizi: non è mio figlio, qualcuno vuole
portarmelo via o fargli del male, è l’incarnazione di Dio o di
un demone. Queste persone, purtroppo, non avendo una chiara
consapevolezza della loro sofferenza non chiederanno mai un aiuto
diretto… quasi sempre lo chiedono con un loro codice preciso,
in maniera sfumata, senza mai trovarlo in questa società fredda
e di “grande” civiltà dei G 20. Un fenomeno, comunque, che
vale per tutti i disagi emotivi, perché solitamente sono
soggetti talmente confusi che non si rendono conto della loro
esistenza fatta di stenti, completamente vuota e priva di
vitalità. Può essere difficile per i familiari ammettere con se
stessi o con altri che i propri cari sono da considerare a
rischio di un atto incontrollabile. Ma per quanto arduo possa
essere, il pericolo è troppo grande per ignorare i segnali
d’allarme sopraindicati. Accertamenti e cure sono essenziali.
In ogni caso lo scopo del “trattamento” è di recuperare la
speranza, la fiducia e la lucidità, ridare il piacere nelle cose
per affrontare il futuro e la vita in maniera più vantaggiosa e
serena. Qualunque sia il problema è importante capire che la
vita può essere ricca di soddisfazioni … coraggio,
nessuno è colpevole, cerchiamo aiuto e andiamo avanti.
|
INDECISIONE
… quando i “non so” paralizzano la vita
uando
si prende in esame un argomento così importante come
l’indecisione non si può fare a
meno di rievocare quella famosa parabola medievale, a me tanto
cara per i suoi contenuti fiabeschi, chiamata “L’asino
di Buridano”. In tale novella si racconta che un asino,
accovacciato in perfetta simmetria tra due mucchi di fieno e due
secchi colmi di acqua fresca, nonostante fosse affamato e
assetato - posto a uguale distanza dall’acqua e dalla biada -
non c’era niente che lo spingesse ad andare da una parte
piuttosto che dall’altra. L’animale, indeciso su come
cominciare, mangiare o bere, restò fermo e morì dopo poco
tempo. L’individuo indeciso è po’ come “l’asino di
Buridano”, non sa se è meglio prendere o lasciare, fare o non
fare, dire o non dire, restare o andare: prigioniero dei suoi
stessi pensieri si annulla completamente nell’inazione. Ma
anche quando sceglie - pensa di essere libero - molto spesso è
pilotato da schemi di pensieri fissi e modalità comportamentali
che appartengono ad altri tempi, ad altri personaggi che hanno
già scelto per lui. Il pensiero, infatti, difficilmente procede
in maniera lineare o da sé. Deve passare attraverso sentimenti
ed emozioni particolarmente complesse che spesso lo influenzano.
In ogni momento della vita l’età, le situazioni, il tono
dell’umore e lo stato emotivo condizionano la qualità del
processo decisionale anche se in quel frangente l’unica
attività è solo il pensare. Nello specifico possiamo dire che
l’indecisione è un processo che riguarda più l’ambito del
fare e, quindi, della rinuncia in generale. In certi casi -
aprendo la mente - è sana e utile, può essere un momento
creativo in cui una giusta riflessione permette di sviluppare
maggiori conoscenze e prelude a soluzioni vantaggiose, ma può
anche diventare un limite, una fonte di disagio, in quanto si
rimane sempre fermi, immobili, bloccati in una indifferenza
neghittosa … ovvero, con un pugno di mosche. uando il fenomeno
diventa abituale si corre il rischio di impantanarsi
nell’immobilismo, dimenarsi nelle tetre paludi del dubbio e,
cosa più grave, sostare nell’orbita della dipendenza altrui.
Attraverso il processo decisionale, invece, si esprime la vera
personalità e si esce dal conformismo: si diventa liberi,
spontanei, originali, artefici di se stessi. La difficoltà a
prendere decisioni, fare delle scelte, complica enormemente tutti
gli aspetti dell’esistenza umana. Ostacola la crescita, rende
mediocri e blocca completamente lo sviluppo emotivo, conduce ad
innumerevoli insuccessi e sconfitte - soprattutto nei rapporti
interpersonali - e concorre alla repressione dei sentimenti,
creando in tal modo tutti i presupposti per un cattivo stato di
salute. Ogni indecisione, di natura maligna, facilita e produce
sentimenti di impotenza, frustrazione, invidia, collera,
amarezza, disperazione senza rimedio. Tutte le volte che si
attiva un atteggiamento di rinuncia, molti tratti della
personalità si annullano, si spengono e si “atrofizzano”,
non sono più disponibili per il soggetto. Tutto ciò produce
ansia, unita a un senso di profonda insensibilità e di vuoto
(tristi, stanchi e depressi). Ogni decisione, al contrario, se
presa liberamente, fa sentire vivi, vitali, in contatto con i
propri gusti e i propri valori. L’indecisione
comunque non è un fenomeno genetico: indecisi non si
nasce si diventa. Prendere una decisione, dovrebbe essere fonte
di benessere, di soddisfazione, ci si sente liberi dai vincoli
del passato (si esce dal gregge), accresce l’autostima, integra
e unifica aspetti diversi della personalità, ma il più delle
volte, purtroppo, in certi momenti esistenziali, quando le difese
psicosomatiche sono al minimo storico, provoca, fastidio,
tristezza e dolore: i timori di sbagliare e di soffrire
complicano davvero la capacità decisionale. Diventa un’impresa
difficile quando i processi mentali sono tormentati da
insoddisfazione, da pensieri fissi, da una continua attesa, da
illusioni, da eterne lamentele, da fatica eccessiva. La stima e
la fiducia di sé condizionano enormemente il processo
decisionale.
olti sono gli atteggiamenti che possono favorire
questa paralisi strisciante e spingere ad un cattivo uso del
pensiero: non fare nulla, infatti - oltre ad essere un perfetto
alibi - non si rischia assolutamente di soffrire, una scelta può
scontentare qualcuno e allora è meglio non prendere posizioni,
essere sempre perfetti in ogni situazione è talmente faticoso
che forse non prendere nessuna decisione è la cosa migliore. Se
questo fenomeno diventa un unico modus vivendi, un vero e proprio
stile di vita, tutte le tensioni si scaricano sull’unità
psicosomatica. L’esitazione cronica ripercuotendosi sul corpo e
sulla mente produce, nel tempo, anche disturbi piuttosto gravi.
Tutta l’energia bloccata (agitazione, contrazione, tensione),
cortocircuita nel corpo e, insistentemente, cerca una via per
scaricarsi, si esprime attraverso: stanchezza cronica (l’energia
si consuma e brucia velocemente), colite (l’incertezza provoca
sensi di colpa, contrazioni, spasmi), ansia (anticipa un
ipotetico errore o veri e propri disastri esistenziali),
vertigini e svenimenti (le scelte sono a senso unico, troppo
rigide, un modo per sottrarsi ad una realtà invadente, temuta e
non voluta), cefalea (cervello iperattivo, il sangue ristagna nei
vasi). Cosa fare. Anche in questo caso la “volontà”, il
“potere razionale”, la “forza del pensiero”, qualsiasi
sforzo, serve a ben poco, perché in queste condizioni
psicosomatiche si è talmente tesi e contratti da non essere più
spontanei, liberi, rilassati e sereni nel prendere una decisione,
anche la cosa più banale diventa un’impresa titanica (sono
vantaggiose tutte quelle metodiche terapeutiche che allentano le
tensioni e la rigidità in generale). Prendere una decisione,
inoltre, significa essere più sicuri e in sintonia con se
stessi: pensieri sentimenti, valori (rispettare più se stessi,
accorgersi veramente di se stessi … sentire, percepire gli
stati d’animo, non abbandonarsi agli automatismi).
ualsiasi
decisione, poi, coinvolge sempre il tempo presente, non riguarda
il passato tanto meno il futuro, solo l’istante ha valore.
Lasciarsi influenzare dal passato e dal futuro (esperienze
passate o quello che accadrà), lasciarsi fagocitare dai
contenuti di questi tempi, significa perdere il contatto con la
realtà, perdere la consapevolezza e il legame con le proprie
sensazioni … non essere più padroni del processo decisionale
(il passato - non esiste più - è pieno di sensi di colpa mentre
il futuro - che deve ancora venire - è colmo di ansia e
tormentato da ipotetici disastri). La decisione, inoltre, è
prerogativa e privilegio di ogni essere umano per cui è meglio
evitare di coinvolgere altre persone … che
ne sanno realmente gli altri dei nostri veri desideri, sensazioni
e passioni!
|
Cluster
C .Disturbo Ossessivo - Compulsivo di Personalità
(Rigidità,
perfezionismo, controllo, eccessiva attenzione e preoccupazione per
l'ordine, pensieri ricorrenti e comportamenti rituali).
L'esperienza
interpersonale inizia con un clima
persecutorio, con un atteggiamento di controllo e di giudizio,
un punto di rifermento colpevolizzante e poco gratificante (non
a caso l'ossessivo porta dentro di se uno sguardo pietrificante del
genitore, che fulmina ancora prima di agire). Una lotta
continua tra bimbo e genitore sull'affermazione e l'espressione
spontanea che produce rabbia e aggressività verso l'altro … ben
presto, però, proprio per la costituzione fragile del bimbo e per la
sua paura della punizione, egli si adeguerà ai dettami genitoriali,
rinunciando in tal modo alla propria autonomia e libertà.
Sono soggetti caratterizzati da pensieri e atti
involontari persistenti, perfezionismo, inflessibilità, rigidità,
sempre tormentati dalla puntualità, dal bisogno di fare le cose
giuste e perfette, preoccupati per l'ordine, dominati da regole da
rispettare … sono critici, esigenti, seri e freddi, incapaci
di divertirsi e di distrarsi.
a grande incertezza che provano verso
se stessi e la confusione sul proprio valore li paralizza, li rende
catatonici, immobili nei cambiamenti e nel prendere decisioni per
paura di sbagliare. La loro sicurezza emotiva (autostima, risoluzione
conflitti interiori )viene raggiunta attraverso il pensiero
(ossessivo) e l'azione (compulsivo). La struttura Ossessiva -
Compulsiva ha un funzionamento simile all'organizzazione narcisistica
della personalità e può essere scambiata, in alcuni casi, visto il
suo isolamento, con la personalità schizoide. Considerando la
funzione dell'eccessivo controllo del soggetto sulle cose e persone,
i disturbi fisici coinvolgeranno l'apparato
cardiocircolatorio (profonde insoddisfazioni sul piano affettivo),
tensione all'apparato locomotore e insonnia serale.
IASSUNTO
(Personalità Ossessiva – Compulsiva: DOC).
E’ una personalità organizzata attorno al pensare
(ossessiva: individuo controllato da
pensieri intrusivi, inappropriati, spesso senza senso,
involontari e persistenti… pensiero insistente di accoltellare
un proprio familiare, pensieri disgustosi) e al fare
(compulsiva: individuo spinto da un’azione
ripetitiva a cui non riesce opporsi … cibo, droga, attività
sessuale, gioco, shopping, controllare e ricontrollare luce e
gas, mettere in ordine, lavarsi le mani fino a sanguinare).
Pensieri, parole, immagini o desideri che invadono la mente
contro la loro volontà e che non riescono a bloccare.
Un’ideazione che domina l’intero campo della coscienza e
persiste nonostante ci si sforzi di pensare ad altro. Desiderano
cambiare i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro idee, i loro
comportamenti, ma non sono in grado di farlo … sono
intrappolati in questo modello rigido caratteriale. I
pensieri, però, non sono innocui causano preoccupazione, disagio
e ansia profonda … impossibile scacciarli dalla mente! Il
pensare e il fare comunque spesso sono associati, coesistono come
ad esempio la sensazione di aver urtato con la macchina un
ciclista durante un viaggio, così il soggetto spinto dal timore
di aver ferito qualcuno, verifica l’eventuale incidente
tornando indietro con la macchina più volte … getta via il suo
tempo perdendosi in questi inutili rituali.
ale disturbo si fa
più insistente e grave nei momenti di forte stress. I rituali e
le superstizioni sono utilizzati da questi soggetti come modalità
adattiva, per rassicurarsi, per neutralizzare l’ansia e per
controllare fenomeni interni ed esterni (toccare ferro, evitare
di passare sotto le scale, buttare sale alle spalle, lavarsi
continuamente le mani, tornare indietro se si incontra un gatto
nero). L’ossessivo usa di preferenza l’azione, trae piacere e
autostima dall’attività mentale, mentre il compulsivo ottiene
sicurezza emotiva attraverso l’azione ed è gratificato nel
portare a termine attività specifiche, meticolose e dettagliate.
Anche se il soggetto ha piena consapevolezza dell’assurdità di
tale fenomeno, il malessere scaturisce dal fatto che esso è
completamente in balia dei suoi vari rituali inutili ed
estenuanti: non è più padrone in casa propria… perde tempo ed
energia. Questi soggetti nella loro storia evolutiva familiare
hanno sperimentato sia un eccessivo controllo fisico precoce sia
un non controllo … sono costretti a rinunciare a ciò che è
naturale a favore di un sociale convenzionale. I rapporti sono
formali, moralizzati, privi di calore e vitalità. Hanno avuto a
che fare con figure di riferimento che fissano degli obiettivi
eccessivamente elevati e si aspettano una precoce e puntuale
conformità ad essi … estremamente rigidi
e punitivi. Tale situazione (controllo e giudizio) crea
nel bimbo sentimenti di rabbia, paura,
vergogna e fantasie aggressive. I soggetti con disturbo di
personalità DOC sono fortemente ambiziosi,
ostinati, scrupolosi, disciplinati, meticolosi, coscienziosi in
maniera esagerata e, soprattutto, inflessibili nelle loro
convinzioni etiche. Preoccupati delle norme, dei
particolari, delle procedure e delle forme, non sono in grado di
distinguere tra ciò che è importante e ciò che non lo è. Sono
sensibili alle critiche, terrorizzati dalla possibilità di
sbagliare, e così spesso evitano di prendere decisioni oppure
perdono tempo a ruminare e procrastinare. Odiano i
sentimenti d’amore, i gesti di tenerezza e qualsiasi
manifestazione di compassione (si sentono
imbarazzati) perché sono tutte cose associate a debolezza
e vulnerabilità. I processi difensivi di questi soggetti,
prevalentemente rivolti a tenere sotto controllo o allontanare
sentimenti e desideri, sono: isolamento,
annullamento e formazione reattiva.
|
Conclusioni
a
maggior parte di noi tende a presupporre che gli altri reagiscono
agli stimoli del proprio ambiente circostante in maniera molto simile
alla nostra e, quando ciò non si verifica (sono guai), ne restiamo
sorpresi. I dati relativi alla descrizione della “personalità”,
spesso ampiamente discordanti tra i vari quadri clinici, dimostrano
che le persone sono, al contrario, marcatamente diverse l’una
dall’altra. Questo variegato spettro di “Quadri clinici”
permetterà di capire te stesso con maggiore chiarezza e magari di
“prevedere” come tu - o una persona con caratteristiche del tutto
diverse - potresti agire, e perché. Va detto immediatamente che
qualche tratto o quadro clinico è utile solo per qualche individuo,
e soprattutto per un certo periodo. Dobbiamo tener presente che noi
non siamo immobili nello spazio e nel tempo, ma cambiamo
continuamente volenti o nolenti. Questo è solo uno dei motivi per
cui nessuna “definizione”, per quanto ben fatta, è in grado di
cogliere la nostra individualità.
iò che non risulta
immediatamente ovvio è che ogni tentativo di definire un “Quadro
clinico” può fornire preziosi informazioni solo se lo si affronta
con una certa “delicatezza”. Nell’istante stesso in cui
cominciamo a credere che una “definizione” ci si adatti come un
guanto, ci ritroveremo con le mani e piedi legati. A quanto pare, più
diventiamo consapevoli, meno probabilità avremo di conformarci alla
descrizione di un particolare “tratto”. Una delle attrazioni più
diffuse nelle famose sagre di paese dei miei tempi, era la “Sala
degli specchi”: in quei “pavillons” si camminava lungo una
serie di specchi deformanti che falsano l’immagine in essi
riflessa, facendoci apparire emaciati o con la testa a spillo,
sbilenchi o troppo alti. In modo altrettanto surreale, noi entriamo
ogni giorno in una sala degli specchi e confermiamo il nostro senso
di identità attraverso gli specchi che gli altri (se non siamo ben
“illuminati”) ci presentano. Quasi sempre ci affidiamo a queste
immagini riflesse per capire chi siamo interiormente. Fin da piccoli,
cominciamo a costruirci un’immagine di noi stessi a seconda di come
le figure di riferimento (gli altri) ci vedono, sviluppando
particolari strategie per essere ACCETTATI e AMATI.
a tutti questi
“specchi” - genitori, dottori, educatori e amici - hanno schemi
mentali, modi di interagire e punti di vista “deformati” dal loro
periodo storico e dalla loro educazione. Non possono semplicemente
“riflettere” la persona che hanno di fronte, ma solo ciò che i
loro condizionamenti permettono di “riflettere”. Cosa ci accade
allora da bambini, quando gli specchi in cui guardiamo sono essi
obsoleti e “difettosi”? Cerchiamo di adattare il nostro
comportamento per uniformarci a un’immagine distorta… nei
confronti della quale - per nostra vera natura - combattiamo mettendo
in atto strategie e difese (si veda Meccanismi di difesa). Ma tali
“meccanismi”, indispensabili durante quel periodo (infanzia),
diventano inadeguati quando diventiamo adulti: continuiamo ad
utilizzarli anche quando gli specchi originari - figure di
riferimento - sono ormai un ricordo. Gli stili di vita e i modelli
comportamentali originali sono talmente radicati che sono difficili
da correggere o da eliminare completamente se non attraverso un
processo psicoterapeutico … profondamente consolidati nella persona
che crediamo di essere.
’assurdità della situazione sta nel fatto
che costantemente ci identifichiamo con un falso senso di sé,
attraverso uno specchio difettoso che in realtà non esiste più.
Questo originale approccio alla conoscenza del vero sé consente di
guardare se stessi in modo del tutto nuovo ed originale. Un modo che
permette di riflettere su come ci si sente veramente e capire che
molte difese hanno influito sulla forma del corpo e della mente …
aiuta a costruire gradualmente, in base a tali dati, chi sei
diventato. Comprendere le motivazioni di fondo del comportamento e
perché ci identifichiamo con esso. La maggior parte dei nostri
tratti caratteriali è acquisita - forgiata da persone ed eventi del
passato - ed è ormai fissata in modalità abituali che ci sono
divenute tanto familiari da esserne del tutto inconsapevoli. Le varie
descrizioni possono fungere da specchi, che riflettono fedelmente
modalità spesso robotiche: più si diventa consapevoli più si
abbandoneranno comportamenti rigidi ed innaturali. Non è detto che
le innumerevoli “definizioni e descrizioni” riportate riflettano
il tuo “vero essere”, ma ciò non ha molta importanza, perché
sono elementi che servono a farti riflettere, a renderti consapevole
della tua “immagine fittizia”.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
Nessun commento:
Posta un commento