Agorafobia
… paura della “piazza”
Introduzione
ignifica
letteralmente “paura della piazza del mercato”. Nel linguaggio
corrente indica un timore irragionevole di una imprecisata minaccia
al proprio benessere; l'evitamento di situazioni e luoghi
normalissimi, piuttosto comuni come ad esempio: spazi aperti e
luoghi pubblici (teatri, stadi, parchi, autostrade, centri
commerciali, cinema, ponti, gallerie). Sebbene non esista alcun
pericolo immediato o diretto, sono luoghi evitati perché vissuti
come pericolosi, trappole, situazioni poco sicure, difficili,
imbarazzanti ed umilianti da neutralizzare o da allontanarsi
facilmente da esse, scappare velocemente, magari chiedere soccorso,
un aiuto adeguato per la propria salute: l'immagine che ha di certe
situazioni scatenano ansia, ogni cosa appare catastrofica, tutto si
colora di drammatico; sono luoghi o situazioni che al solo pensiero
creano terrore, scatenano profonde tensioni, cambiamenti ormonali,
reazioni fisiologiche davvero drammatiche: vertigini, sudorazione,
tremore, rossore, vomito, tachicardia, aumento di pressione, mancanza
di aria, timore di perdere il controllo della vescica o
dell'intestino. Il soggetto colpito da agorafobia si paralizza, entra
in uno stato di paura e turbamento assurdo; l'ansia anticipatoria
causa una grave sofferenza, lo blocca, interferisce con la vita
familiare e sociale, non riesce più a realizzare quello che ha messo
in atto: terminare un lavoro, attraversare una via, una piazza,
mescolarsi alla folla, senza provare una certa angoscia o a un vero e
proprio attacco di panico. Lentamente tutti quei luoghi, considerati
“pericolosi” aumentano, si allargano, si estendono - pur non
essendo collegati fra loro - ad altre situazioni analoghe; il
soggetto, allora, sopraffatto dall'ansia, svilupperà un'avversione
verso tutte quelle che cose che a suo giudizio sono fonte di paura e
pensieri catastrofici … un fenomeno che, nel tempo, può portare
non solo ad un profondo disagio e sofferenza interiore, ma anche ad
un isolamento totale e ad un fallimento relazionale; ne risentono sia
i rapporti di coppia, sia la vita sociale e lavorativa: i conflitti
con familiari, amici e colleghi sono sempre difficili e complicati,
se non conflittuali ... un individuo perennemente in guerra con se
stesso e gli altri; un malessere che se non è trattato adeguatamente
non solo si aggrava sempre più - compromettendo completamente le
capacità cognitive e professionali acquisite nel tempo - ma lo
isola dal resto del mondo: il rischio di depressione è alto e l'uso
di alcolici aumenta in maniera significativa. In casi estremi il
malcapitato, modificando completamente per paura la routine
quotidiana, si rinchiude nella sua turris eburnea credendo di essere
al sicuro; si ritira, isolandosi nella sua tana, in casa, nella
propria abitazione - unica zona a suo dire sicura - per tutta la
vita.
ell'angoscia della strada il soggetto non osa uscire se non è
accompagnato anche da quelle figure che, paradossalmente, in quel
frangente non sono in grado di sostenerlo o aiutarlo, come ad esempio
bambini piccoli, amuleti o animali. Secondo alcuni studiosi,
l'agorafobia viene spiegata sia con la paura di essere abbandonato –
paura che risale alla prima infanzia – sia con il timore di cedere
a delle tentazioni legate a particolari insoddisfazioni di natura
affettiva o sessuale … individui particolarmente ansiosi che hanno
vissuto in maniera drammatica e prematura la separazione dall'adulto
(ansia da separazione). E' uno stato psicofisico che può modificare
completamente la personalità del soggetto, la dinamica familiare e i
rapporti sociali. Persone di grande socialità, indipendenti ed
autonomi che possono mutarsi improvvisamente in individui
estremamente introversi, complicati, eccessivamente disponibili
rinunciando ai propri desideri e, soprattutto, trovarsi completamente
dipendenti, in balia degli altri … con il timore di essere
umiliati, si ritrovano sempre più soli ed isolati … loro stessi
non sono in grado di spiegare questo fastidioso ed inspiegabile
terrore! Le persone che vivono di fianco sono letteralmente
frustrate, impressionate, confuse ed infastidite per le loro
esagerate limitazioni, eccessive incertezze ed insensate stranezze.
Pur essendo a volte comprensivi, non riescono completamente a
capirli, perché certe situazione che mettono in atto,
all'improvviso, di colpo li terrorizzano, non riescono più ad andare
in certi luoghi, frequentare amici, trovare divertente tutte quelle
cose che un tempo li rendevano attivi e soddisfatti. Questi
individui, con l'intensificarsi di tale disagio, come abbiamo visto
vivono a metà, tendono ad isolarsi da ogni cosa: ambiente familiare,
sociale e lavorativo. Attorno a loro creano - se non aiutati -
deserto, solo conflitti ed incomprensioni.
l
termine agorafobia - che deriva dal greco àgoraphobos - significa
letteralmente “paura dei luoghi affollati, degli spazi aperti”
(agorà: nell’antica Grecia, era la piazza principale e centrale
della città - luogo di mercato - posto pubblico; phobos: paura). Una
descrizione tuttavia più appropriata del fenomeno è sicuramente
quella di una reazione esagerata di paura di star lontani dalla
sicurezza della casa. L’agorafobia, infatti, costituisce una
reazione di paura inadeguata di fronte a una situazione inoffensiva.
In breve, è una paura ossessiva, irreale, inappropriata e,
soprattutto, irragionevole (fobia: è un complesso di sentimenti, un
misto di paura, fino al terrore, e di ripugnanza sino all’orrore,
nei confronti di un oggetto, di un animale, o di una situazione che
di per sé normalmente non provoca questi sentimenti. Il soggetto è
cosciente della anormalità del suo stato d’animo e mette in atto
un comportamento di evitamento nei riguardi di quegli stimoli).
Questo stato non è, quindi, controllabile dalla forza di volontà e
non può essere spiegato in modo adeguato e logico. La paura, quando
non diventa un fenomeno paralizzante, è un’emozione vantaggiosa e
necessaria per la sopravvivenza (non è un nemico ma è nostra
alleata).
ssa, infatti, costituisce non solo una reazione normale,
ma si rivela essenziale per l’essere umano. In realtà, essa ci
permette di prendere coscienza di un pericolo, di una minaccia. Il
pericolo può essere immediato come quando siamo a passeggio e
sopraggiunge un veicolo nell’attimo in cui stiamo attraversando la
strada. Oppure può essere anticipato, come nel caso in cui si teme
un’aggressione girando in un luogo poco sicuro e fuori mano dalle
forze dell’ordine. In breve, possiamo dire che la paura è
strettamente collegata a una situazione concreta, specifica e
perfettamente identificabile che comporta, come appena descritto, un
pericolo reale vissuto nel presente o nel futuro. La comparsa di
questa emozione permette, quindi, all’individuo di attivare alcune
reazioni psicologiche (comprese quelle chimiche, ormonali) e,
soprattutto, modificare il comportamento umano per far fronte al
pericolo contingente. Pure l’ansia è - quando non ha una
connotazione negativa nel senso di tensione eccessiva e logorante -
indispensabile come spinta produttiva verso la realizzazione di un
obiettivo, uno stimolo cioè all’azione. L’ansia è un fenomeno
psichico derivante da un conflitto interno tra istinto, educazione e
coscienza sociale. Non sempre si è consapevoli di questa
“sensazione” interna. Le fobie potrebbero essere manifestazioni
simboliche dei turbamenti interni che ne derivano. In questa
dinamica, il conflitto interno è trasferito o spostato, l’individuo,
quindi, sperimenta il fenomeno agorafobico come una minaccia
proveniente dall’esterno. La difficoltà di misurarsi con l’esterno
può portare a ignorare o a negare il conflitto.
’ansia quindi
associata al conflitto viene collegata a un fattore, a un’attività
o a una situazione esterni, perché più facilmente evitabili.
L’agorafobia deve essere considerato come un malessere specifico,
invalidante e devastante, quando ad esempio si deve attraversare da
soli piazze, vie larghe o, in genere, nell’allontanarsi da un punto
fisso di appoggio per inoltrarsi nello spazio aperto. L’agorafobo
non teme che gli succeda qualcosa di spiacevole, ma dà per scontato,
per certo, che dovrà affrontare inevitabilmente un’esperienza
drammatica. Non possono, infatti, fermarsi in nessun luogo, far la
fila, soffermarsi per un tempo indeterminato in posti particolari.
Sono assillati dal pensiero: e se per qualche ragione mi sentissi
male? Reagiscono a tutto ciò in modo passivo, taciturno e con
comportamenti imbarazzanti. Una condizione emotiva a cui molto spesso
non viene data la giusta importanza nella manifestazione agorafobia è
l’umore. Tale fenomeno possiamo definirlo come stato d’animo
persistente, da cui si valutano le qualità dei sentimenti e la
tendenza alla stabilità o alla fluttuazione di queste qualità
(allegria, tristezza, ottimismo). Il tono dell’umore, quindi, che
spazia e occupa tutta la gamma che va dalla gioia alla tristezza,
influenza l’attività intellettiva, volitiva, comportamentale e
fisiologica. Comprendere e distinguere i sintomi inclusi quei
meccanismi che connotano lo stato patologico da una effimera
alterazione del tono dell’umore, è fondamentale per rendersi conto
quando è il momento di chiedere aiuto per se stessi o aiutare chi ci
vive accanto. Da un punto di vista statistico il 60% dei pazienti
fobici può essere incluso nel quadro clinico definito agorafobo. Il
90% di tale percentuale è costituita da donne, in genere sposate
(pare che per il sesso maschile l’ansia, solitamente, si manifesti
in modi diversi dall’agorafobia). La maggioranza degli agorafobi si
ammala tra i 20 e i 30 anni, appartengono a qualsiasi strato sociale
e non hanno, a volte, particolari sofferenze emotive.
ause
scatenanti dell’agorafobia sono, in ordine di incidenza: malattie
fisiche, situazioni familiari stressanti, perdita di una persona
cara, genitori autoritari, infelici ed alcolizzati, il manifestarsi
improvviso di sintomi allarmanti fuori di casa. Inoltre, non meno
importanti, si riscontrano frequentemente dei problemi relazionali
familiari o di coppia. Spesso tende a ipercontrollare in modo
ossessivo, vive particolari conflittualità e, solitamente, è
insoddisfatto della vita familiare. Esso ha il terrore della
separazione oppure teme di non essere amato in modo adeguato o di
essere, addirittura, abbandonato. Nell’agorafobia non sono
sicuramente gli eventi esterni, quali che siano, a produrre una
reazione di paura, ma quello che si pensa e si crede di essi. In
particolar modo sono le valutazioni che facciamo circa la nostra
capacità di poterli fronteggiare. L’ansia e la paura, quindi, sono
dovute a meccanismi cognitivi di valutazione e di anticipazione degli
eventi (ovviamente in senso catastrofico e pessimistico). Infatti,
allo stesso modo in cui una musica o un profumo fanno rivivere un
ricordo che si pensava dimenticato, il pensiero di trovarci in un
certo luogo o di fare qualcosa in particolare può rievocare una
paura per quanto non abbiamo la piena consapevolezza della sua
origine (il cambiamento biochimico - ormonale, però, all’interno
dell’organismo avviene realmente). Quando i pensieri “lavorano
contro di noi” danno inizio ad un processo di respirazione (il
respiro corto e rapido provocato dalla produzione eccessiva di
adrenalina può portare all’iperventilazione). Qui comincia il
calvario: si teme che la respirazione si fermi oppure di non poter
respirare profondamente a causa del senso d’oppressione
precordiale. Quando iperventiliamo, la sintomatologia viene esaltata
al massimo, poi il ritmo cardiaco aumenta, si inizia a sudare e la
mente continua a produrre pensieri terrificanti instaurando un
circolo vizioso: paura – angoscia – paura, questa risposta
“esagerata” è alla base dell’attacco d’angoscia.
I
sintomi più comunii:
·
Idea che nessuno possa prestare soccorso in caso di svenimento;
·
Stanchezza, impazienza;
·
Tremito alle gambe;
·
Sudorazione abbondante, pallore;
·
Angoscia paralizzante;
·
Ronzio forte;
·
Stordimento;
·
Perdita di concentrazione;
·
Sentirsi male a poca distanza dalla meta;
·
Paura di perdere il controllo di fronte ad estranei considerati
critici e giudicanti.
Situazioni
evitate e in cui l’agorafobico sperimenta ansia:
·
Guidare l’auto nel traffico;
·
Attraversare ponti e gallerie, entrare in un supermarket;
·
Entrare in un grande magazzino;
·
Salire su i mezzi pubblici;
·
Andare al ristorante, partecipare a feste, andare al cinema;
·
Fare la fila in posta, in banca, in luoghi pubblici in generale.
·
Stare da soli in casa.
ome
abbiamo visto, certe caratteristiche dell’agorafobia sembrano
proprio sfidare il senso comune o la ragione. Perché una persona
apparentemente con pochi disagi emotivi, dovrebbe improvvisamente
sviluppare una fobia di andare in luoghi pubblici, condurre
l’automobile, andare in autobus, in treno o in ascensore? Perché
essa, capace di molte cose, dovrebbe mettere a repentaglio il proprio
lavoro o il proprio matrimonio o rifiutarsi di uscire di casa? E
ancora, perché una persona impegnata in numerose attività dovrebbe
diventare così dipendente da non poter uscire o viaggiare senza il
supporto di una compagnia? Sono domande che giustamente assillano
quei teorici che cercano di spiegare i disagi emotivi relativi a
questa reazione devastante ed invalidante. Il problema
dell’agorafobia ha attratto un’attenzione considerevole, come
indicato da un ampio numero di volumi che trattano questo argomento.
L’ampio approccio al problema dal punto di vista clinico
comportamentale e psicoterapeutico può produrre qualche risposta a
questo nebuloso enigma. Perché i sintomi agorafobici tendono ad
apparire dopo l’età di vent’anni (dal momento che la maggior
parte di questi disagi si origina nell’infanzia)? Si suppone che
alcuni individui abbiano una “predisposizione” (i fattori
predisponenti sono definiti come le caratteristiche di un individuo
che lo rendono più suscettibile di un altro a sviluppare un problema
fobico). La presenza, tuttavia, di uno o più fattori predisponenti -
vulnerabilità biologica, influenza familiare, personalità - non
costituisce una garanzia di sviluppo del disturbo ma aumenta il
rischio che esso ne sia colpito dall’agorafobia … fenomeno che
non si esprime fino a quando un cambiamento di circostanze non la
attivi. Alcuni autori hanno postulato, infatti, che questi soggetti
non hanno un “armamento psicologico” adeguato per far fronte a
queste reazioni agorafobiche.
’ stato anche ipotizzato che queste
persone per tutta la loro vita si siano preoccupate della loro salute
o capacità di gestire l’agitazione o gli sconvolgimenti emotivi,
ma siano riuscite a mantenere l’equilibrio finché hanno avuto la
disponibilità di una o più figure protettive (genitori, amici,
coetanei, marito, moglie). Molte di queste persone hanno una storia
d’ansia da separazione risalente alla prima infanzia. Così, un
prolungato distacco dalla propria casa può rimuovere questo sostegno
e far sperimentare al soggetto episodi agorafobici. Analogamente la
rottura di un rapporto matrimoniale mette a repentaglio la
disponibilità di una persona di sostegno. La nascita di un bambino,
la perdita di una figura cara molto importante attraverso la
separazione o la morte, un aumento di responsabilità a casa o al
lavoro, tutto ciò può provocare o, meglio, far precipitare i
sintomi agorafobici. L’aumento di responsabilità rappresenta una
minaccia per il paziente, poiché egli crede, a torto, che se si
comporterà inadeguatamente potranno esserci conseguenze disastrose
(profonda disistima). Pertanto, la sfiducia in se stesso può essere
minacciata dalle aspettative e aumentata dall’allontanamento di un
sostegno sociale. Paradossalmente, in un scenario tipico, l’individuo
si percepisce come represso da un’altra persona da cui egli dipende
per l’appoggio sociale e interpersonale. Egli attribuisce una
grande importanza al proprio – per quanto malfermo – senso di
autocontrollo e competenza, ma il dominio di un’altra persona tende
a erodere la sua fiducia nelle proprie capacità di funzionare
adeguatamente su una base di indipendenza. Poiché le nuove richieste
e responsabilità sono viste come cruciali, può tornare (regredire)
a uno stadio precedente di dipendenza. Si sente più minacciato da
problemi esterni e interni, e fa sempre più affidamento sulle figure
di sostegno per avere un aiuto nel fronteggiare questi pericoli.
l
futuro agorafobico inizia comunemente a percepire una varietà di
possibili pericoli nel mondo “esterno”: per esempio, perdita del
controllo dell’automobile, rimanere imbottigliato nel traffico,
restare incastrato in una porta girevole, essere calpestato dalla
folla (pericoli che assomigliano alle paure relativamente realistiche
dei bambini piccoli). Queste paure si accumulano e si espandono,
finché alla fine quasi ogni stadio del processo dell’andare a far
spesa o in un altro luogo fuori di casa diventa un grave problema. Il
risultato è che l’individuo percepisce se stesso come sempre più
vulnerabile man mano che passa attraverso ognuna di queste fasi:
1.
Percepisce un numero illimitato di opportunità di essere
immobilizzato, umiliato, annientato, soffocato o attaccato, non può
fare affidamento su nessuna difesa contro questi “pericoli”
esterni.
2.
Le reazioni riflesse automatiche producono sintomi che fanno pensare
a gravi disturbi interni: attacco cardiaco, momenti di mancamento,
ecc. L’individuo non ha modo di difendersi da questi attacchi
“interni”.
3.
Il soggetto prova una sensazione di “cattivo funzionamento” e un
calo di competenza. Crede di non poter controllare l’automobile,
mantenere il proprio equilibrio, comunicare oralmente con altre
persone senza bloccarsi o balbettare, e così via.
4.
La perdita del controllo sulle reazioni alla minaccia rinforza il
concetto di essere vittima di forze interne ed esterne su cui non ha
nessun controllo.
5.
Questa perdita della sensazione di competenza insieme alla paura del
“disturbo interno” conduce il soggetto a cercare aiuto da una
figura protettiva.
6.
L’ansia intensa provata nella situazione minacciosa (negozio,
supermercato, strade, cavalcavia) può crescere fino a sfociare in un
attacco devastante e incontrollato. In ogni caso, la forte ansia
innesca un forte desiderio di fuggire dalla situazione e ritornare a
un rifugio sicuro (generalmente casa).
7.
La casa o un rifugio equivalente, rappresenta la sicurezza dal
pericolo esterno. L’individuo prova una forte resistenza ad
avventurarsi di nuovo fuori, e generalmente prova ansia se lascia
casa.
8.
Le inibizioni multiple, le tendenze alla sottomissione e le
autovalutazioni negative indeboliscono la fiducia in sé e conducono
così allo squilibrio nelle relazioni interpersonali, a un ulteriore
senso di inadeguatezza e, infine, alla sensazione di essere in
trappola e dominato dalle altre persone.
an
mano che l’agorafobico si avvicina alla situazione fobica, si
“rinchiude” in un set di vulnerabilità: un’anticipazione delle
afflizioni che gli capiteranno. E’ preoccupato per la possibilità
di un improvviso, parossistico e incontrollabile disturbo interno.
Prima di entrare nella situazione, egli considera questo stato di
agitazione come indicativo di un grave disturbo fisico,
comportamentale o psichico. Quando si trova nella situazione,
tuttavia, crede di stare sviluppando un serio malanno. Qual è la
“causa” dello stato di attivazione neurofisiologico? Secondo le
mie osservazioni dirette, sembra sia basata sulla convinzione
dell’individuo (quando è solo) di essere vulnerabile a improvvisi
disturbi medici, mentali ed emotivi. Egli crede che a questi disturbi
potrebbe porre rimedio se avesse un pronto e libero accesso a un
luogo sicuro, come la sua casa, un medico o un ospedale. Perciò
sensazioni somatiche relativamente poco importanti che fanno pensare
ad un malore, possono essere messe a tacere o ignorate se esiste la
possibilità di ricevere assistenza o supporto reale. Se è lontano o
gli viene impedito l’accesso a tale assistenza, il soggetto può
non riuscire ad ignorare questi sintomi somatici come segnali di
disastro incombente, accresce la paura di una grave disgrazia.
L’aumento della paura conduce all’ansia e alle sue concomitanti
che possono ulteriormente accrescere i sintomi somatici, si instaura
così un circolo vizioso. Infine, le difficoltà di pensiero
impediscono al soggetto di usare le sue capacità di ragionamento per
negare le paure esagerate. Un individuo che sta per entrare nella
situazione agorafobica, dunque, si muove secondo i seguenti principi:
·
“Un disastro che incombe su di me può colpirmi in qualsiasi
momento”.
·
“Non c’è nulla che io possa fare per schivarlo o mitigarlo”.
·
“Se potessi ricorrere a un esperto o a un aiuto (amico), potrei
allontanare o ridurre le terribili conseguenze”.
·
“Qualsiasi sensazione particolare (dolore toracico o addominale)
può essere un segno di questo fatale stato”.
·
“Se il processo non è bloccato, può accelerare fino al disastro
finale”.
erché
dei luoghi del tutto normali o situazioni specifiche banali sembrano
innescare gli attacchi? Un fattore evidente sembra essere
rappresentato dal fatto che tali luoghi o situazioni bloccano
l’accesso alla casa o alla figura protettiva. Negozi affollati
interferiscono con la mobilità. Andare in treno, su una superstrada
o in una galleria blocca l’accesso libero all’aiuto di emergenza.
Analogamente, l’impossibilità di raggiungere l’uscita in un
ristorante affollato o in un teatro impedisce la fuga verso un
rifugio sicuro e l’aiuto. La parola chiave in queste situazioni è
“intrappolato”. L’altro possibile fattore più importante è
che ognuna di queste situazioni è percepita come pericolosa in se
stessa. Così, la persona che sta dirigendosi verso una situazione
“agorafobica” specifica, come un centro commerciale chiuso o un
supermercato, incontra una varietà di potenziali pericoli nel
tragitto (… sia il corpo sia la mente si preparano e anticipano
situazioni che non si verificheranno mai). Può andare fuori strada
con l’auto o investire un pedone, perdersi, essere investita da
un’auto mentre attraversa la strada o soffocare in un tunnel della
metropolitana. Inoltre, le gallerie e i ponti possono crollare, gli
autobus possono avere incidenti e gli ascensori bloccarsi. I
“pericoli” quando l’individuo entra nella situazione
agorafobica sono meno evidenti. I negozi affollati interferiscono con
la libertà di movimento e limitano la libertà di fuga e di accesso
al soccorso. I piani affollati possono produrre la sensazione di
essere circondati e soffocati che, a sua volta, può condurre la
persona all’iperventilazione e, così, a presentare certi sintomi
(vertigini, formicolio) associati con uno stato panico.
’altro canto, gli spazi cavernosi, le ampie aperture delle grandi
finestre, gli angoli poco conosciuti, le linee geometriche
convergenti, possono innescare sintomi ansiogeni associati con
percezioni profonde, i cosiddetti “riflessi otticocinetici”.
Questa reazione, presente soltanto in alcuni soggetti agorafobici, è
osservata più chiaramente in ampie costruzioni a volta, come gli
auditori, e in piazze pubbliche. Così l’individuo ipersensibile ai
confini esterni è preso tra la paura di essere costretto alla
mancanza di spazio per muoversi, da un lato, e dall’altro, di
perdersi in spazi sconfinati. In più, oltre al problema di troppo o
poco spazio, può temere di inciampare e cadere dalla scala mobile,
di saltare giù dalla tromba delle scale, di cadere dalle ampie
finestre del piano più alto del grande magazzino. L’agorafobico è
tipicamente preoccupato della libertà di movimento e del libero
accesso all’eventuale soccorso. Tuttavia, paradossalmente, una
delle sue caratteristiche di reazione comportamentale implica
l’immobilità. Il soggetto si sente debole e impotente e teme di
svenire. Quando ciò avviene, questa risposta di immobilità
parasimpatica rende la situazione fobica perfino più minacciosa
poiché la risposta comportamentale interferisce ulteriormente con la
libertà di azione. In molti casi tuttavia, l’impulso di fuggire è
così forte da vincere questa sensazione di debolezza. La mobilità
ha un significato che va al di là del fornire un meccanismo per la
fuga e un antidoto alla debolezza. L’agorafobico attribuisce un
valore alla mobilità in se stessa: la libertà,
l’autodeterminazione, l’individualità. Qualunque limitazione da
parte di oggetti animati o inanimati lo fa sentire in trappola,
immobilizzato. Questi individui a volte presentano fantasie di
completa libertà, per esempio volare in aria. Alcune donne
agorafobiche, riportano fantasie “involontarie” di flagranti
scappatelle sessuali. Possiamo ipotizzare che la paura di perdere il
controllo, così prevalente nei soggetti agorafobici, è dovuta, in
parte, al riconoscimento di un impulso a rompere le regole di
comportamenti convenzionali: urlare, agire in modo folle, commettere
atti distruttivi. Il conflitto dell’agorafobico, quindi, sembra
ruotare intorno a problemi di dipendenza, autonomia e controllo. Da
una parte, poiché crede di non poter fronteggiare i pericoli del
mondo esterno da solo, è spinto a ottenere aiuto da una “figura
protettiva”. Dall’altra parte, cercare aiuto può condurre a
cedere la propria indipendenza a un'altra persona. Avendo “bisogno”
di un’altra persona, ha una minor pretesa di libertà, di esercizio
dell’individualità e di affermazione dei propri diritti. Gli
agorafobici, con una certa frequenza, sono presi in una complessa
interazione coniugale. Desiderano ricevere appoggio dal coniuge ed
essere liberi e autonomi. Una tale relazione coniugale vischiosa
tende ad avere diversi effetti. Primo, l’espressione di autonomia è
inibita per via del timore della separazione che potrebbe minacciare
la possibilità del soggetto di avere accanto il coniuge a cui
richiedere l’aiuto necessario. Inoltre, il coniuge può usare la
propria posizione di figura protettrice per dominare il compagno
agorafobico, per promuovere i propri obiettivi e per umiliarlo. Il
risultato di queste relazioni non paritarie è di ridurre la fiducia
in sé e renderlo sempre più dipendente. In secondo luogo, le
strategie di sottomissione del soggetto non solo lo fanno sentire
meno efficace ma gli stimolano una sensazione di sfida impotente.
Egli è preso quindi in un conflitto tra il desiderare di compiacere
la figura protettrice e di ribellarsi.
Cosa
fare
erto
l’ansia si può curare, ma è molto meglio prevenirla e cioè
adoperarsi affinché essa, tanto utile all’uomo, non abbia a
trasformarsi in forma patologica che, come è stato più volte
sottolineato, è invece motivo di comportamenti anormali e di grande
sofferenza (agorafobia). Quando la prevenzione non è possibile e
l’ansia ha raggiunto valori incontrollabili, per combatterla,
possiamo ricorrere alla psicoterapia e al rilassamento. Le strategie
terapeutiche, offerte dalle psicoterapie più accreditate, spaziano
da quella cognitiva – comportamentale a quella psicanalitica. Nel
trattamento di questo disagio, risulta utile, proprio per le sue
manifestazioni specifiche che coinvolgono mente e corpo, applicare
programmi terapeutici che combinano insieme varie metodiche
terapeutiche ad indirizzo psicosomatico (il corpo e la psiche sono un
tutt’uno indivisibile. Se lo stato d’animo è alto, aumenta la
sicurezza e la fiducia in se stessi, ma anche fisicamente ci si sente
meglio. La cattiva salute, la sofferenza biologica può avere
ripercussioni anche gravi sull’equilibrio emotivo). L’aspetto
fondamentale del programma terapeutico è che non ci si deve
assolutamente concentrare solo su un unico tratto agorafobico:
l’esperienza fobica e le sue manifestazioni secondarie
(depressione, ansia, etilismo, iperventilazione) devono essere prese
in esame contemporaneamente e non separatamente. Ogni psicoterapia, a
prescindere dall’indirizzo scientifico adottato, raggiunge gli
scopi prefissati quando il soggetto ha raggiunto un buon livello di
autostima in modo tale da essere in grado di modificare il proprio
immaginario, gli schemi mentali, i pensieri e, di conseguenza, i
propri stili di vita. Tempi brevi e risultati più evidenti si
ottengono con metodiche ad indirizzo psicosomatico che oltre ad avere
una concezione olistica del disturbo, si basa sulla riformulazione
della propria visione del “mondo” e sul raggiungimento di
atteggiamenti meno rigidi e, quindi, più adattivi. In questa visione
l’ansia è considerata come il risultato di precedenti esperienze
(espresse anche con il linguaggio corporeo) particolarmente negative
che hanno portato a convinzioni “irreali” su di sé, sugli altri
e nei rapporti interpersonali.
ali convincimenti saranno
ristrutturati in maniera più realistica durante il percorso
psicoterapico. Il più delle volte, momenti di stasi o ricadute,
generalmente temporanei, sono parte integrante del processo
terapeutico globale di miglioramento. In realtà, queste ricadute
potrebbero indicare al soggetto che, proprio per porre fine il più
velocemente possibile a questa sofferenza e uscire da questo disagio
devastante, sta pretendendo troppo da se stesso: risulta
indispensabile, quindi, procedere in maniera più riflessiva e con
più calma (non bisogna mai mettere in “cantiere”, soprattutto
con le fobie, troppe cose contemporaneamente). Poiché l’ansia è
sempre accompagnata da un’elevata tensione muscolare, ne consegue
che essa può essere eliminata se si raggiunge un buon rilassamento.
Mentre le psicoterapie cercano di risolvere il problema dell’ansia
puntando sui suoi aspetti emotivi, le tecniche di rilassamento sono
invece incentrate sulla componente fisica dell’ansia (ovvero
l’angoscia: ansia somatizzata). Le principali tecniche distensive
sono particolarmente utili ed efficaci in questa affezione, in quanto
sono realizzate seguendo varie forme di rilassamento progressivo dei
distretti corporei e poi del sistema vascolare. La tecnica di
visualizzazione consiste nel suggerire al soggetto a immaginare
situazioni visive. Ottenuto il massimo rilassamento, l’individuo
viene guidato ad immaginare uno scenario proposto su cui sviluppare
temi e situazioni in base al suo vissuto e alla sua personalità.
Possono venire utilizzati temi rilassanti e distensivi, situazioni
conflittuali da cui si riesce ad uscire in modo costruttivo e
positivo, problematiche personali che vengono tranquillamente
risolte. I programmi terapeutici che vantano “maggior successo”
combinano assieme metodiche psicoterapiche, distensive e tecniche
respiratorie: abbassano e mantengono bassi i livelli d’ansia
evitando, quindi, un ulteriore squilibrio bio - chimico all’interno
dell’organismo. Si può ottenere un buon controllo dell’ansia
anche mediante la regolazione del ritmo respiratorio. Infatti,
respirare in eccesso significa modificare questa funzione naturale in
modo rapido o superficiale, con il conseguente abbassamento dei
livelli di anidride carbonica nel sangue. Questo induce un senso di
vertigine, svenimento, stordimento, formicolio alle mani, piedi e
viso, spasmi a mani e piedi, tensione a livello del torace. Tale
fenomeno, infatti, produce una reazione a catena di eventi
fisiologici che alterano tutte le funzioni dell’organismo; inoltre,
col respiro superficiale si utilizza solo una piccola parte della
capacità polmonare (sintomi: difficoltà di parola, esperienza di
stordimento, palpitazioni fame d’aria, gola secca).
L’iperventilazione può essere determinata da qualunque cosa possa
impedire l’espansione del torace, postura non corretta, contrazione
e tensioni muscolari, naso chiuso, asma, tosse secca e, soprattutto,
ansia. Gli effetti dell’iperventilazione sono - con l’allenamento
e con l’aiuto di un esperto qualificato - di gran lunga facili da
ridurre, imparando a respirare lentamente e profondamente
(iperventilazione: eccesso di respirazione rispetto al fabbisogno
dell’organismo). Ogniqualvolta si presentano sintomi inspiegabili,
dovrebbe essere presa in considerazione l’eventualità di un
eccesso di respirazione cronica. Usando le tecniche di gestione
acquisite, inoltre, si sarà in grado di prevenire il ritorno del
disturbo agorafobico.
CONCLUSIONI
disturbi da panico, i disturbi d'ansia generalizzata, i disturbi di
tipo ossessivo-compulsivo, agorafobia, fobia sociale e fobia
specifica sono tutti classificati come disturbi d'ansia (nevrosi
ansiosa-nevrosi fobica). Viene dalla mitologia greca la radice
etimologica di panico, e più precisamente dall'antico Dio greco Pan.
E' una divinità molto antica, protettore delle greggi e dei pastori.
E' talmente brutto che la madre stessa, al momento della nascita, ne
è così spaventata che fugge; allora il padre Ermes lo avvolge in
una pelle di lepre e lo presenta agli altri Dei che, vedendolo, si
danno a grandi risate. Appare con un corpo umano villoso, capelli
completamente incolti, naso particolarmente schiacciato, gambe,
piedi, corna, orecchie e barba di caprone e con le corna. Esso, cioè
Pan, è una divinità vigorosa, gioiosa, insomma l'allegro compagno
delle ninfe che danzano ... danzano: eterno innamorato e completamente
respinto per la sua bruttezza. Il Dio caprino, signore delle selve,
era solito riposare nelle ore meridiane e, se disturbato, lanciava un
grido spaventoso che incuteva "il terrore panico".
L'attacco di panico sta proprio ad indicare il terrore irrazionale,
improvviso, devastante, e paralizzante, che ci coglie di sorpresa e
che invade completamente il nostro corpo in modo incontrollabile: una
tempesta emotiva che esplode senza motivo. Il Disturbo da Attacchi di
Panico (DAP), per i francesi TRAC, infatti, sta a indicare il
ricorrere di attacchi di paura o terrore improvvisi, associati a
sentimenti di catastrofe imminente e accompagnati da sintomi
fisiologici drammatici quali soffocamento, vertigini, sudorazione,
spasmi muscolari, tremore e tachicardia, nodo alla gola, ecc. Le
crisi colgono l'individuo come un fulmine a ciel sereno, cioè in
momenti imprevedibili, spesso durante le normali attività
quotidiane.
li attacchi durano alcuni minuti generalmente, per i
meno fortunati, una decina, quindi un lasso di tempo piuttosto breve,
ma che può sembrare eterno per l'angoscia che procurano. E dopo, ed
è questo il dramma, resta la paura che tutto possa ripetersi. Le
crisi tendono, infatti, ad essere ricorrenti, per cui spesso i
pazienti sviluppano un ansia anticipatoria rispetto a quando e dove
avverrà l'attacco successivo. Di conseguenza si tende ad evitare
luoghi o situazioni cui vengono associati gli attacchi (psicologia di
evitamento invalidante). E man mano che le paure e i comportamenti di
"evitamento" aumentano, la vita di queste persone viene
sempre più compromessa. Infatti, dal primo momento in cui si
verifica questo episodio non si riesce più ad essere autonomi, si ha
bisogno ogni volta che si deve uscire, di un accompagnatore o di quel
"qualcuno" particolare che rassicura, con la sua presenza
fisica, di essere aiutati nel momento in cui si verificherà
l'esperienza terrificante. Tutto ciò, ripeto, crea una forte
dipendenza dagli altri in quanto non si è più in grado di far conto
sulle proprie forze. Si entra, quindi, in una spirale di paura: paura
di stare male. Nel momento in cui si verifica un attacco o siamo
presi dall'ansia, reagiamo con paura, ed è la nostra reazione di
paura che ci tiene in trappola. In questo frangente il nostro corpo
prepara ad affrontare la situazione: gli ormoni dello stress e
l'adrenalina, entrano nel flusso sanguigno per prepararci a sfuggire
la situazione o rimanere ad affrontarla. Il battito cardiaco
accelera, il respiro diventa affannoso e possiamo tremare o sudare
abbondantemente. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più
adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua,
inevitabilmente, la sintomatologia. I disturbi da ansia, comunque,
non minacciano la vita della persona, come tali: è solo la nostra
"incomprensione" della loro natura che ce li fa apparire
così drammatici e minacciosi. Che cosa si può fare? Il
raggiungimento del benessere dipende dalla capacità di abbassare il
livello d'ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questo può
essere raggiunto attraverso metodiche terapeutiche basate su tecniche
distensive e concentrative ad orientamento psicosomatico. Con queste
tecniche non solo è possibile abbandonare pensieri, sensazioni ed
emozioni, ma anche il controllo. Il bisogno, infatti, di controllare
noi stessi e quanto ci circonda è una delle caratteristiche
principali del permanere del disturbo. Molte persone trovano alquanto
paurosa la prospettiva di "lasciarsi andare"
(caratteristica presente in molti disturbi psicosomatici, si veda la
pagina relativa alla Psicosomatica) nella distensione, anche solo a
pensarci. Si può temere di perdere il controllo e che i peggiori
timori si realizzino. Non è così: "cedendo" in realtà si
riprende il controllo ... certamente non lo si perde. Un altro percorso
terapeutico determinante, è cercare di comprendere le finalità del
sintomo (in chiave psicosomatica), cioè che cosa ci vuole comunicare
attraverso questo "strano" linguaggio.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - 0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it
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