Quel
fantastico mondo della Medicina Psicosomatica …
APPARATO
TEGUMENTARIO
ui si
manifestano i conflitti di svalutazione ... una carta geografica
precisa, una mappa delle nostre difficoltà vissute con il mondo
interno ed esterno.
Acne:
“una forza infuocata affiora dal profondo”, bisogna prestare
più attenzione all’eros e alla vita affettiva!... quando si trova
sul viso si vuole tenere a distanza “qualcuno”, se localizzato
nella schiena si getta alle “spalle (non si vede) un “desiderio”,
sul petto, invece, c’è lotta tra pulsioni e sentimenti … NON
schiacciare MAI i brufoli. Un aiuto naturale: Juglans regia MG, Ulmus
campestre MG e Ribes nigrum MG … lavorare su fegato e intestino.
Orticaria (fenomeno cutaneo simile a punture di ortica, con prurito e
bruciore) … soppressione dei propri desideri con l’obbligo di
condividere o sopportare situazioni fastidiose ed esasperanti
(relazioni, eventi), il tutto percepito come minaccia (forte prurito)
… eccesso di energia: sessualità e sentimento di rabbia spingono
(affiorano) per essere ascoltati.
Onissi (unghia infiammata) … l’unghia è un organo che rappresenta
la difesa, la protezione … i soggetti che hanno problemi in questa
formazione cornea sono particolarmente vulnerabili, deboli e fragili
sul piano emotivo.
Ciste
(le interpretazioni psicosomatiche sono in funzione dell’organo
o del tessuto interessato: pelle, polmoni, cervello, ovaie, pancreas,
ossa)… una cavità che in generale racchiude dolore, sofferenza,
vecchi risentimenti che bloccano… pelle: bisogno di affetto, di
sicurezza, di nutrimento, di sentirsi accettati, desiderio di essere
toccati.
Adenofibroma
(nodulo). Questa massa di piccoli nodi, spesso, fanno la loro
comparsa a seguito di una ferita affettiva (abbandono, delusione,
tradimento): sono veri i propri “grumi” di sofferenza, di
tristezza, di preoccupazione, di profondo dolore.
Cloasma
(gravidico o nella menopausa: chiazze marroni sul torace, mani,
viso, collo) … provare sentimenti di vergogna, sentirsi umiliati in
situazioni particolari.
Blefarite
(palpebre: chiusura, vedere o non vedere; occhi: approvazione,
disapprovazione, protezioni da stimoli esterni). Un’infiammazione
del bordo delle palpebre dovuta alla collera relativa a quello che si
ha davanti, al desiderio di non voler vedere certe cose (conflitto:
vedere o non vedere, non voler affrontare la vita).
Patomimia
cutanea (sfregamento, pizzicamento, bruciature, morsi, tagli
autoindotti) … autopunizione, atto aggressivo sulla propria pelle …
un fenomeno borderline con un Io particolarmente debole: al limite
della nevrosi e della psicosi … comportamento infantile per avere
più attenzione, essere più considerati e creare una reazione
compassionevole sulle persone del proprio ambiente … uno strumento
di difesa primitivo contro un’incalzante depressione mascherata.
'
costituito dalla pelle, peli, unghie, ghiandole sebacee e ghiandole
sudoripare. La pelle è l'organo più grande e completo del corpo
umano: copre mediamente circa 17.000 centimetri quadrati. Quando
alcuni organi - come reni, vescica, polmoni e intestino - sono
“affaticati” diventa un prezioso assistente nello scaricare le
tossine, le impurità del corpo … serve a
regolare la temperatura ed è anche il nostro "confine", la
nostra "frontiera", il nostro "limite". Svolge
una funzione respiratoria molto importante, attraverso i pori della
pelle, infatti, assorbe ossigeno. E' quella parte del corpo che non
passa mai inosservata, bella o brutta non possiamo nasconderla e,
quindi, la dobbiamo far vedere anche camuffata, si fa notare
immediatamente … si vedono subito
l'invecchiamento e le sue affezioni. Uno dei suoi compiti
principali - oltre a tenere unito il corpo - è quello protettivo:
una barriera con il mondo esterno (batterico, relazionale, emotivo).
In realtà, ci permette di entrare in contatto direttamente con il
mondo circostante fisico e relazionale. Questo “guscio” non solo
ha il dono miracoloso di autoripararsi ma in esso sono "memorizzate"
anche tutte le nostre esperienze e le nostre emozioni più antiche …
i conflitti più reconditi (accettazioni e
rifiuti). Senza dubbio è il nostro principale e più
interessante organo di contatto. I segnali così percepiti vengono
inviati, provocando in tal modo una sensazione direttamente al
cervello (gradevole o sgradevole) … ci
informa delle "cose" con cui veniamo a contatto, anche
quelle che “irritano” e che fanno diventare la cute una perfetta
mappa, una insostituibile cartina geografica piena di "segni".
Permette di riconoscere lo stato emotivo di ogni persona. La
collera imbianca il volto, la vergogna rende bordeaux, il terrore
sbianca come un lenzuolo e la rabbia colora di giallo... verde di
bile. Quando poi arriva un attacco di panico sudiamo
abbondantemente … per spegnere i "bollenti
spiriti". Il cambiamento cromatico permette di
individuare lo stato di salute di una persona. Il rapporto, quindi,
tra disagio emotivo e malattie della pelle è un fatto ormai
accertato da vecchia data. I modi di dire sulla pelle sono davvero
tanti e significativi ... sottolineano questo fenomeno attraverso
emozioni e stati d'animo: “Non sto più nella
pelle, Cambiare pelle, E' una questione di pelle, Mettersi nella
pelle di qualcuno, Avere i nervi a fior di pelle, Avere la pelle
dura, Rischiare la pelle, Avere paura di rimetterci la pelle, Tenere
alla propria pelle, Fare la pelle”. Ciò che osserviamo
sulla pelle umana altro non è che la storia, il racconto di ogni
individuo intriso di ricordi e di vissuti emotivi: fierezza,
debolezza, vergogna e pene varie. I disturbi cutanei, quindi, sono il
segno delle difficoltà sperimentate in passato con gli altri … un
avvertimento delicato, ricco di indicazioni, a volte un po' più
irruento, ma sempre un segnale che stimola a prendersi cura di se
stessi. La pelle essendo il primo organo di
contatto con il mondo esterno, costituisce una struttura privilegiata
nella vita di relazione. E’ proprio in base è questi
contatti primordiali che il bambino sviluppa la propria identità, la
consapevolezza di esistere ... di essere importante. Risulta
fondamentale il rapporto con la madre e con le persone significative:
la gravità della sintomatologia è sempre
condizionata dal tipo e dall’intensità del rapporto affettivo. La
patologia cutanea insorge come espressione di emozioni trattenute e
di impulsi non soddisfatti. Riporta inesorabilmente a galla vecchi
vissuti emotivi conflittuali. Un tema conflittuale interiore che si
fa sentire, si disegna, si rende visibile nella cute. Il desiderio
primario represso (amore, calore, tenerezza)
agisce sul meccanismo endocrino e il sistema nervoso
vegetativo, determinando a sua volta delle lesioni epidermiche.
Facendo un esempio concreto, un individuo poco amato nella prima
infanzia (poco toccato, coccolato, accarezzato)
potrà sviluppare in futuro l’eczema oppure se è stato
privato completamente di affetto, potrà manifestare la sua
“cicatrice” affettiva con la psoriasi. I problemi cutanei -
poiché coinvolgono un organo con un ruolo sociale ben preciso -
parleranno sempre della nostra realtà interiore e delle relazioni
con gli altri: contatti, barriera, scambi, fragilità, pene,
tenerezza, limitazioni, separazioni, paure, allontanamento, libertà,
narcisismo, vulnerabilità, vergogna, verità, bugie, piacere,
controllo, isolamento. Il corpo diventa il palcoscenico dove viene
rappresentata questa sorta di dramma interiore … racconta
la nostra storia, rivela profondi processi psichici e invisibili
rapporti emotivi. L'intervento terapeutico non dovrebbe
ostacolare, non deve bloccare l'espressione patologica, ma la deve
far vivere ed affrontare in maniera soggettiva e diversa: placarla
nella sua globalità e, soprattutto, nella sua grande umanità.
Chakra.
I
disturbi della pelle sono collegati al terzo C. (energia,
forza, potere, riuscire, libertà, rabbia, essere se stessi) mentre
una cute che suda eccessivamente riguarderà il primo C. (sicurezza,
voglia di vivere).
ATTENZIONE
… il colore della pelle non stabilisce soltanto l’appartenenza ad un gruppo etnico ma indica sempre il vero stato di salute di ogni
individuo.
a
pelle, come detto più volte, rappresenta le parti più profonde di
ogni organismo (specchio dell’anima): la condizione dell’intero
psicosoma … rivela la verità interiore. Quando gli organi interni
non funzionano correttamente, sulla pelle compaiono segnali ben
precisi: macchie, segni (grassa, umida, secca, ruvida, flaccida) e
modificazioni cromatiche. La cute rivela sempre squilibri passati e
presenti a carico degli organi interni: le scorie tossiche
esploderanno il più delle volte sul viso. Reagisce rapidamente in
maniera sorprendente ed immediata alle condizioni interiori: è il
barometro della nostra esistenza. Vediamo di seguito i colori che
essa ci invia e come possiamo leggerli, in modo tale da correggere
alcuni comportamenti, se necessario, per renderla sempre più
radiosa, elastica, splendente e luminosa. Una pelle di colore rosso
è
sempre legata alla circolazione. Segnala soprattutto disordini
dell’apparato cardiocircolatorio. Qualsiasi fenomeno che accelera
l’attività cardiaca - stato di imbarazzo, spavento improvviso,
attività fisica ed ilarità - aumenta anche la circolazione
periferica (espansione dei capillari) provocando un cambiamento
cutaneo. Anche un consumo di zuccheri semplici, spezie, alcol e
sostanze stimolanti possono determinare un certo tipo di rossore. A
livello emotivo segnala un considerevole disordine nervoso e
instabilità emotiva. Il colore giallastro è
connesso al fegato e alla cistifellea (bile e secrezione epatiche
provocano questo colorito).
n fenomeno che segnala anche disordini
al pancreas, ai reni e al sistema escretore in generale. L’ittero
(eccesso di bilirubina) è l’esempio più evidente di un disturbo
epatico che provoca la colorazione gialla della cute e delle sclere.
Tale colorito può essere causato dall’assunzione esagerata di
carne, uova, molluschi e pesce. Il soggetto risulta particolarmente
aggressivo … il colorito giallastro della pelle o l’urina molto
scura sono sintomi di danni epatici. Il bianco diffuso nella cute,
invece, segnala una contrazione dei capillari sanguigni. Ha un
rapporto diretto con i polmoni e l’intestino crasso. Può essere
determinato dall’assunzione di troppi grassi o da prodotti lattiero
– caseari. Il pallore cutaneo mette in evidenza una mentalità
ostinata e gretta … un colorito grigiastro della pelle,
accompagnato da secchezza e arrossamenti vari sono un segnale di
tristezza, insofferenza, scontentezza e invecchiamento precoce,
mentre una cute luminosa indica creatività e un vissuto in sintonia
con le proprie emozioni … Un colore bluastro
(tempie,
naso e area attorno agli occhi) indica un disordine allo stomaco, al
fegato, milza e pancreas (circolazione carente nel fegato e milza).
Può essere causato anche dall’assunzione di troppi zuccheri,
farinacei, alcol e sostanze stimolanti. E’ un soggetto che si
presenta il più delle volte di cattivo umore, collerico e
irascibile. Un colorito “scuro” (area sotto gli occhi) segnala
disordini renali (il sangue diventa più scuro), intestinali e
digestivi. Potrebbe risultare eccessivo il consumo di frutta,
carboidrati semplici e sostanze chimiche. Il soggetto presenta
attacchi di panico ed è controllato da tratti depressivi. Il colore
verde è collegato alla decomposizione dei tessuti o delle cellule in
generale: cisti e tumori. Può essere un segnale di un consumo
eccessivo di proteine, grassi, zuccheri e sostanze chimiche. E’ un
soggetto che si relaziona con un atteggiamento insicuro e arrogante.
Come abbiamo potuto vedere, il modo di affrontare lo stress e
l’assunzione di cibi animali, seguiti da un consumo eccessivo di
zucchero, sono i veri responsabili dello stato segnalato dalla pelle.
reddo
(sensazione) … la tendenza alla freddolosità è collegata al
sentimento di solitudine, di essere stati abbandonati, di ritrovarsi
completamente soli … la sensazione di essere isolati, non percepire
o non essere più circondati da calore umano.
L’ABBANDONO
er
quanto riguarda il termine abbandono, il dizionario ci fornisce
diverse definizioni: “lasciare senza
aiuto, sostegno, assistenza … lasciare definitivamente”. La
parola in sé non ha comunque un suono piacevole ed evoca una
sensazione di sconfitta, di inquietudine e di fallimento. Questa
insicurezza affettiva è legata ad esperienze di deprivazione
sperimentate nei primi anni di vita e caratterizzate da sensazioni,
più o meno profonde, di mancanza di protezione o, magari, da
atteggiamenti poco soddisfacenti e affettuosi. Il neonato, infatti,
prototipo dell’essere umano “dipendente”, può fondare il suo
istintivo senso di sicurezza esclusivamente in base all’attenzione
ed alle cure che gli altri gli porgono. Abbandonato a se stesso
perirebbe senza scampo. Tanto il momento di disinteresse volontario
che quello di involontaria disattenzione sono percepiti dal neonato
come un estremo pericolo di “morte”. La propensione
all’attenzione ed alle cure per i neonati piccoli in genere è
insita comunque nella natura umana a garanzia della continuità della
specie (è sempre la qualità del rapporto che risulta determinante).
Tale propensione, arricchita da motivi accessori, è indicata
comunemente come “affetto”, l’affetto per eccellenza. Una sorta
di profondo riflesso condizionato stabilisce così nella percezione
istintiva del bambino un nesso insolubile tra ricezione di
manifestazioni d’affetto e “sicurezza” di restare in vita, tra
carenza d’affetto e pericolo di morte. Così il “senso di
sicurezza” potrà svilupparsi nel bambino se sarà stato oggetto di
soddisfacenti e compiute manifestazioni affettive. Subentrerà invece
il “senso di insicurezza”, come basilare ansietà, in logica
conseguenza di una insoddisfacente o instabile o incompiuta
manifestazione affettiva. Così insoddisfazioni e insicurezze di
natura istintiva possono distrarre parte delle energie tendenti allo
sviluppo psichico e arrestarlo a fissazioni relative a situazioni
ansiose.
iù tardi, nella personalità dell’adulto, portatore del
fenomeno di dipendenza, lo stesso anacronistico allarme, dovuto alle
insoddisfazioni ed alle insicurezze infantili, si perpetuerà a causa
del carattere inconscio – e quindi inattaccabile dal senso critico
– dell’antica carica emozionale che lo determina tuttora. Così
affiora nella coscienza un misterioso senso d’insicurezza e
d’insoddisfazione che, tuttavia, le facoltà mentali razionali
giustificheranno di volta in volta con motivi banali. Ad essi il
soggetto, ogni volta, presterà fede pur notando come l’insicurezza
e l’insoddisfazione permangono oltre il dileguarsi dei motivi che
per breve tempo hanno prestata loro una giustificazione. Tali
reazioni dunque, sono prive di una logica vincolata all’ambiente
presente (non è riconducibile a fenomeni oggettivi, realistici,
ecc.) e, perché siano spiegate logicamente, occorre risalire alla
loro genesi. Queste esperienze iniziali, come abbiamo visto, man mano
che passa il tempo, non solo creano un profondo malessere, ma possono
pregiudicare la vita relazionale successiva, determinando in chi
soffre un’irrequietezza e una sfiducia di base, spesso responsabili
del fallimento dei rapporti interpersonali (amicizia, lavoro,
coppia). Essere abbandonato è un’esperienza drammatica e, incide,
soprattutto in tenera età, sulla psiche in maniera indelebile. E’
talmente dolorosa che crea nel soggetto, come modalità reattiva, una
profonda disistima, insicurezza, un senso di autodistruzione psico –
fisico e un legame di totale dipendenza dagli altri. In realtà chi
ha sofferto di abbandono è convinto, pur avendo straordinarie
capacità, di non essere in grado di far niente da solo; chiede
continuamente consigli e pareri (che il più delle volte non
utilizza), ha una grande necessità di sentirsi sostenuto e
continuamente approvato in ogni scelta che fa.
oiché non ha mai
avuto (o perlomeno ne è convinto) l’attenzione desiderata, ama
passare per vittima e drammatizzare anche gli eventi più banali.
Attraverso questa strategia riesce ad attirare l’attenzione con i
mezzi più disparati (anche con problemi di salute) raggiungendo in
tal modo il suo scopo, ovvero il sostegno, l’attenzione degli altri
e qualche piccola porzione di dimostrazione d’affetto. Il
"dipendente" quando agisce da altruista non lo fa mai in
modo spontaneo, ma usa questo gesto per ricevere esclusivamente
attenzione, riconoscimenti e complimenti (si sente importante ed
aumenta la sua autostima). E’ una persona tormentata da notevoli
sbalzi d’umore, in quanto non essendo completamente autonomo e
incapace di gestire un semplice rifiuto, evoca lo spettro drammatico
della solitudine (che farò da solo? … che ne sarà di me?).
L’individuo dipendente, temendo profondamente la solitudine, ha
l’abitudine di aggrapparsi fisicamente agli altri in modo vischioso
(ecco perché predilige tutte quelle attività in cui c’è il
contatto fisico … ama i balli in cui ci si può "stringere")
e proprio per evitare di ripetere l’esperienza dolorosa di
abbandono, accetta situazioni drammatiche e rapporti di sofferenza
(marito etilista, violento, autoritario, ecc.). Non ha, inoltre,
particolare simpatia per le divise, perché tale abbigliamento, in
qualche modo, rappresenta l’autorità. La persona autoritaria
(tono, aspetto, comportamento deciso, ecc.), infatti, viene definita
dal dipendente come una figura fredda, indifferente e, soprattutto,
non attenta - proprio per queste sue caratteristiche - alle sue
esigenze affettive (continua la giostra dell’infelicità: si
aggrappa eccessivamente agli altri, li “soffoca” e … li perde).
Il dipendente, pur avendo un discreto appetito sessuale, usa il sesso
per sentirsi più importante in quanto si sente desiderato dal
partner. Anche quando non ne ha voglia non si oppone perché, a suo
dire, perde una opportunità o, meglio, una occasione per sentirsi
importante e desiderato (è un altro modo, non spontaneo, per
ottenere attenzione).
vendo, inoltre, vissuto l’esperienza di
abbandono, il più delle volte con il genitore di sesso opposto, non
solo gli risulterà più difficile il rapporto con le persone
dell’altro sesso ma il suo malessere si riacutizzerà anche ogni
volta che accantonerà un progetto cui gli stava a cuore, ogni volta
che si allontanerà da un luogo o da una situazione familiare,
oppure, cosa più grave, quando non si occupa in modo adeguato di se
stesso. I comportamenti e gli atteggiamenti propri del dipendente
(stili di vita, gesti imbarazzanti, indecisione, remissione) sono
dettati dal terrore di rivivere quelle drammatiche esperienze
abbandoniche sperimentate nell’infanzia. Poiché tali
caratteristiche non si presentano mai contemporaneamente, con le
stesse modalità e, soprattutto, non sono vincolati all’ambiente
esterno, il dipendente non avrà mai una profonda consapevolezza dei
vari comportamenti descritti ma li riconoscerà solamente quando essi
si presenteranno in modo ostacolante e dominante: fuga
dal senso di responsabilità, bisogno di essere curato, bisogno di
aiuto e protezione, dipendenza, ecc. (il tutto accompagnato da una
profonda insicurezza e insoddisfazione). L’individuo, con
queste caratteristiche, continuerà allora a cercare di scansare le
responsabilità proprie della sua età, si attenderà di essere amato
e protetto, vagheggerà in modo di sbarcare il lunario a “spese”
di una persona o di un ente o della società, e cercherà di
raggiungere tutto ciò con sistemi esibizionistici diretti a
suscitare, come un tempo, simpatia ammirazione affetto o pietà. Alla
ricerca di una “razionalizzazione” delle sue “pene” il
soggetto finisce per attribuirne la colpa ad altri (proiezione), o ad
uno spiacevole destino, o a qualche divinità, o ad un’assidua
sfortuna o a causa di carattere superstizioso, o addirittura al fatto
che tutto il mondo “è fatto a rovescio”. Poiché è “cieco”
verso i veri motivi delle sue esigenze - è condizionato dalla
necessità di non perdere la fiducia in se stesso - giustifica come
motivi di gloria (autoglorificazione) proprio i lati più negativi
del suo psichismo. D’altra parte tale processo ha una funzione
protettiva dell’equilibrio emotivo, dal momento che se l’individuo
perdesse del tutto la fiducia in se stesso tale equilibrio verrebbe a
mancare. Il mentire a se stessi (in modo più o meno consapevole)
diviene, sotto questo aspetto patologico, una necessità vitale. Il
bisogno di essere amato e protetto verrà considerato desiderio
d’amore ed il soggetto coltiverà un ideale di se stesso quale
generoso dispensatore d’amore.
a tendenza a fuggire le doverose
responsabilità dell’adulto verrà dichiarata come eccezionale
destrezza nel vivere. Il desiderio di vivere a “spese” degli
altri – altro tentativo di perpetuare l’antica situazione
infantile – quando fosse autosservato, lo sarebbe come eccellente
indice di astuzia e diventerebbe fonte di ammirazione. Poiché nulla
di male il soggetto si addebita, non riesce egli a vedere su che cosa
si fondi l’ostilità altrui (nel nostro caso specifico le reazioni
abbandoniche). Soffrirà allora di sentirsi (in ogni rapporto)
incompreso, angariato, disamato, deriso a torto e diventerà vittima
depressa oppure rabbioso di un destino senza speranza o di un
prossimo apparentemente perfido e ingannevole. E’ bene ricordare,
comunque, che questi modi di pensare, di sentire, di agire non sono
fenomeni “patologici” (ovviamente quando non ostacolano il
soggetto nelle più elementari attività quotidiane) ma sono modalità
reattive che permettono all’individuo di “adattarsi”, seppur in
maniera poco vantaggiosa, a situazioni ed esperienze particolarmente
dolorose (creando, attraverso l’equilibrio raggiunto, per quanto
possa essere strano, ulteriore sofferenza). Tale “equilibrio”,
inizialmente vantaggioso, a lungo andare però può creare
nell’individuo stesso malessere e sofferenza in quanto non gli
permette di condurre la vita in maniera spontanea, naturale, di
grande apertura mentale e di sana adattabilità all’ambiente
circostante. Tuttavia possiamo affermare che la dipendenza è
presente in altri stati emotivi ma resta sempre più marcata e
dominante nell’ambito dell’abbandono (è il tema dominante che
crea la “sofferenza”). Tutto quanto è
stato menzionato in questa breve esposizione non deve essere inteso
come un lungo elenco di “difetti” senza senso, ma devono essere
interpretati come piccoli ostacoli che non consentono di aprirci
mentalmente e a migliorare la nostra dimensione emozionale e
mentale. Attraverso tale conoscenza possiamo decidere se
continuare a salire sulla “giostra dell’infelicità” (che ci
siamo creati) oppure diventare consapevoli dell’inutilità delle
nostre risorse reattive che, pur non essendo soddisfacenti,
continuano a dominano la nostra vita.
Non
mandiamo in vacanza anche ... l'AUTOSTIMA
nche
in vacanza, se siamo sfiduciati, pessimisti, delusi e remissivi,
sempre con sguardo fugace, anziché ricaricarci e fare il pieno di
benessere, rischiamo di spegnere ogni vigore, la forza vitale, la
gioia e cancellare la voglia di vivere. E’ abbastanza comune -
quando si perde l’entusiasmo e la voglia di fare - sentirsi degli
stracci, scarichi, preoccupati, spenti, svogliati, stonati, stanchi,
privi di iniziativa, inadeguati anche nelle piccole azioni
quotidiane; ogni gesto diventa sciapo e sgradevole, proprio come una
pietanza più volte riscaldata. Si rimane fermi al palo avviliti e
sfiniti … una vita fredda e buia, piena di strazianti lamenti e di
continue rinunce. La sensazione di inadeguatezza paralizza anche la
cosa più desiderata e sognata da lungo tempo la meritata VACANZA.
Non si vede l’ora di mollare tutto, di andarsene, ma prima di
partire si è già in tensione perché si teme che qualche evento
disturbante possa portare cambiamenti repentini alla routine, agli
schemi di sempre e smantellare le vecchie abitudini … e allora -
proprio perché siamo dei campioni a rovinarci da soli - eccoci,
pronti ad accendere il semaforo rosso a tutte le passioni e voglie
estive. La paura di cambiare ci allarma e ci blocca; non ci distoglie
da questa fastidiosa situazione nemmeno un gesto gentile o sguardo
ammiccante di una graziosa fanciulla disponibile … niente riesce ad
accendere la passione, non ci schioda nemmeno un vero e proprio colpo
di fulmine!
’ l’entusiasmo invece che ci rende unici e speciali,
ci illumina lo sguardo, ci rende lucidi e le cose più facili, ci
sveglia contenti al mattino con la voglia di fare, ci rende attivi e
leggeri … è un patrimonio interiore davvero ineguagliabile che,
oltre ad annullare le delusioni, rende ricettivi, lucidi, intuitivi e
pieni di idee. Quando puntiamo su cose che non ci interessano davvero
è facile spegnere l’entusiasmo e riportare alla luce antiche
delusione paralizzanti … e così la DEPRESSIONE in punta di piedi
finisce per rovinare tutto. E’ un dramma perdere la fiducia in se
stessi perché ci si sente disarmati, deboli, estranei, smarriti, in
pericolo, completamente in balia di un mondo circostante ormai
ostile, minaccioso e incomprensibile. Sensazioni penose in cui non ci
sopportiamo, non ci stimiamo, non ci piacciamo e, soprattutto, non
crediamo più nelle nostre vere risorse e capacità (che sono sempre
tante, credetemi!). Sono tutte cose che, lentamente, minano la
sicurezza e trasformano le persone in svogliate, rinunciatarie e
prive di energia e di interessi … la sfiducia ci mette all’angolo,
alle corde, completamente in ginocchio anche in vacanza. Ma è
proprio grazie alla vacanza in modo “spensierato”, “stile
libero” che possiamo goderci la vita … ritrovare il piacere,
infuocarci ai sorrisi e stupirci del nuovo, dell’insolito, portare
l’armonia e la voglia di vivere alle nostre giornate. La vacanza è
il periodo dell’anno in cui risulta più facile “spassarsela”,
liberarsi della zavorra invernale e, se si è ben predisposti, tutto
può diventare possibile: il brivido, l’originalità, la
conoscenza, il divertimento, il gioco … ogni piccola cosa nuova può
arricchire la vita rendendola piena e ancora più completa. Se ci
allontaniamo dai percorsi obbligati, da cliché mentali triti e
ritriti, pieni di noia, di impegni e doveri, sempre accompagnati da
stanchezza e da profonda insoddisfazione, possiamo mettere le ali ai
nostri pensieri, ai nostri veri desideri e rendere la vacanza piena
di vitalità. Il cambiamento di abitudini, di schemi mentali e stili
di vita, infatti, oltre a portarci lontani da stress, sofferenze,
malattie e disturbi vari - attivando i “mediatori chimici del
benessere”, le famose molecole del piacere - crea uno stato di
felicità, di profonda armonia e di intenso piacere. Urge, allora,
“spezzare” quei percorsi obbligati, quei programmi forzati e
“rinsecchiti” con i quali non si era mai d’accordo … quando ci
si chiude in se stessi non si vede nient’altro, il mondo diventa
freddo e monocolore. Solo diventando “ingordi” di esperienze,
“famelici” di sguardi e bramosi di nuove esperienze si possono
riaccendere le antiche voglie e passioni; sono questi gli stimoli che
fanno incontrare sempre qualcosa di nuovo e aiutano a lasciare a casa
dubbi, insicurezze e incertezze. Solo aprendo la nostra mente a cose
nuove, a nuovi ambienti, alle novità, agli incontri e smontando
parecchie convinzioni ormai stantie, possiamo ritrovare entusiasmo,
fantasia, creatività, voglia di vivere, scacciare lo stress, la noia
e rinforzare in profondità le difese immunitarie … con uno sguardo
più aperto e curioso si riparte alla grande! Per ricevere, quindi,
il massimo benessere anche in vacanza dobbiamo abbandonare i luoghi
comuni, ma lasciarci influenzare dal nuovo, allontanarci dalla vita
piatta, insulsa e noiosa… il cervello “felice” sprizza salute
da ogni parte. Le vacanze non si giudicano mai, si vivono così come
sono, intensamente: se afferri al volo tutte le occasioni di piacere,
ti riappropri della tua vera identità (non si fa nulla di strano
perché è la “naturalezza” che fa il suo corso) avrai
sicuramente delle sorprese eccitanti. Lasciati guidare, “infiammare”,
dalle azioni spontanee, e dalle persone che ti danno piacere.
ttenzione però a non lasciarsi influenzare da quei luoghi comuni,
da quelle mode assurde che sole, cibo e sonno sono già tutto. Il
corpo e la mente, non abituati alla “stasi”, se abbandonati a
queste condizioni di “stallo”, rischiano a dir poco il “collasso”
e, ancora, il troppo cibo ingurgitato, per il solo gusto di riempire
i “vuoti“, in assenza completamente di movimento, si andrà a
stratificare in un grasso che richiederà mesi, se non anni, per
essere “bruciato”. Mai fermare il corso della vita, al cervello
servono sempre nuovi stimoli per ritrovare l’entusiasmo, la
“grinta”, l’eccitazione e l’energia … lasciati guidare
liberamente dal momento, lasciati spingere e portare al largo dalle
passioni. Non preoccuparti di quello che pensano gli altri e,
soprattutto, quando ti spogli non confrontarti con il contesto
sociale del momento, con un corpo da top model, con il vestito che fa
difetto sui fianchi, concentrati, invece, sul tuo pareo … più
bello, vivace e colorato che hai. Quando partiamo per una breve o
lunga vacanza che sia, dobbiamo mettere sempre in valigia piccole
cose: autonomia (ricorrere sempre agli altri espropria dalla propria
identità), generosità (si esce dai dubbi e dalla meschinità) eros
(diventare “selvaggi” fa sentire vivi e ricarica di energia, è
il modo giusto per ritrovare fiducia in se stessi). Guai ai paragoni
e confronti estemporanei, e mai cercare di raggiungere obiettivi a
tutti i costi perché, senza volerlo, oltre a rubare la gioia del
presente, ostacoliamo il fluire continuo dell’esperienza e della
vitalità. E’ invece fondamentale godere quello che la vacanza ci
offre in quel preciso momento, in quel prezioso e forse
indimenticabile istante… se desideri fare una cosa è il momento di
buttarsi nell’onda travolgente del momento presente, non rovinarti
questa fantastica “stagione”, le tue preziose vacanze!
… vivere
il tempo presente è sempre la cosa migliore: se si guarda indietro
si obbliga la mente a rimanere dentro a una piccola cornice, la si
costringe a vivere dentro uno spazio angusto, controllata da certe
convinzioni e rimpianti … dolori, drammi e sofferenze passate,
sconfitte subite, situazioni che non esistono più, sono già passate
ma che bloccano, disperdono e tolgono energia al proprio benessere
naturale … afferra il presente e affidati al domani il meno
possibile. “Orazio”
LA PELLE
… specchio dell'anima
elimita,
separa, unisce, mette in contatto: termometro delle passioni … i
disturbi della pelle segnalano un pericolo, rivelano conflitti
profondi nei rapporti con gli altri: si entra in “guerra”… un
mondo esterno (anche interno: qualcosa che vuole emergere in
superficie) vissuto come minaccioso per i propri confini, la propria
identità, la propria integrità… un confine perennemente
minacciato.
…
non aver paura, i
disturbi cutanei parlano al posto nostro, arrivano per protestare,
per rivelare i propri conflitti, per segnalare le trasformazioni che
avvengono a livello psichico: le guerre e i disagi interiori lasciano
il “segno”, rivelano, a volte, modi di essere soffocati e
un’energia imprigionata (fame d’amore, rapporti sbagliati,
emozioni mal gestite … che si “depositano” sulla cute) … se
vuoi proteggere e mantenere la tua pelle sana non bloccare i tuoi
pensieri e prova ad esprimere le tue emozioni.
... rivela uno stato emotivo "invisibile"
a
pelle non è un tessuto, ma un vero e proprio organo. Essa, organo
più grande, più completo, più interessante del corpo umano, è
costituita da tre strati: epidermide, derma e ipoderma. E’ un
organo ben visibile e unico, di confine, uno schermo iterattivo, un
mezzo di comunicazione: costituisce il simbolo dell’identità
individuale. Il fatto che non esistano due soggetti con le stesse
impronte digitali è la prova dell’unicità di ogni persona. Molto
spesso si parla di qualcuno che “non si sente per niente bene nella
propria pelle”: ciò rileva un senso di impotenza, disorientamento,
profonda insoddisfazione e perdita di identità. Permette, inoltre,
di riconoscere in maniera inequivocabile lo stato emotivo di una
persona. Tale organo, psicosomatico per eccellenza, ha infinite
funzioni: delimitare e proteggere (primo compito), contatto,
espressione e rappresentazione, sessuale, regolazione del calore,
ecc. Non dobbiamo dimenticare che la pelle è il nostro limite, il
nostro confine e, nello stesso tempo, attraverso essa entriamo
direttamente in contatto con l’esterno. E’ un organo che
rispecchia il nostro mondo interiore, rappresenta l’immagine che
abbiamo di noi stessi, e lo fa in diversi modi. Ogni disfunzione
interna, infatti, viene proiettata immediatamente sulla pelle. Quando
si verifica qualcosa sulla cute, in maniera più o meno violenta -
arrossamenti, gonfiore, prurito, ascesso, infiammazione - l’area in
cui tale fenomeno si manifesta non è casuale, ma indica un processo
interiore corrispondente (carta geografica dello stato di salute
generale). Questo prezioso rivestimento esterno del corpo umano non
mostra esclusivamente uno stato organico interno, ma in esso si
estrinsecano anche molteplici processi e svariate reazioni emotive.
ono reazioni talmente imprevedibili, chiare ed evidenti che tutti le
possono rilevare: rossi come un pomodoro per la vergogna e bianchi
come un lenzuolo per la paura, sudare per l’agitazione, i capelli
si rizzano per l’orrore e, ancora, l’emozione è tanta che può
venire la pelle d’oca. In una reazione panica e nei momenti di
forte tensione, solitamente, i palmi delle mani sono completamente
pervasi da fastidiosi cambiamenti di temperatura e abbondante
sudorazione. Il rapporto tra disagio psicologico e malattie della
pelle è un fatto accertato. Non rivela soltanto la salute e la
vitalità del soggetto, ma anche il suo stato d’animo, i suoi
conflitti, i suoi desideri, i suoi modi di pensare, le sue credenze,
la sua autovalorizzazione, le sue passioni e, soprattutto, la sua
personalità: è il sito d’azione dei conflitti interiori. Ogni
condizione di aggressività o repressione, ogni sovraccarico psichico
o emotivo esplode violentemente all’esterno determinando, in tal
modo, allergie, foruncoli, acne, eczemi, indurimenti cutanei e
dermatosi. Come è stato più volte sottolineato, la pelle ben si
adatta ad esprimere disadattamento, disistima, insicurezza,
frustrazione, difficoltà nei rapporti interpersonali. Esprime una
importante reazione difensiva come risposta ad una minaccia, reale o
meno, rappresentata da profondi conflitti interiori. I
disturbi delle pelle hanno quindi un senso e un linguaggio specifico:
vediamo alcuni esempi. Eczema: è
una particolare reazione infiammatoria che causa prurito, vescicole,
gonfiore, croste e desquamazione. L’eczema psicosomatica, che si
presenta senza contatti con allergeni, è connessa all’insicurezza,
alla paura, all’incertezza e all’ansia. Sono a rischio le
persone, che trattengono le proprie emozioni e che non riescono a
manifestare apertamente la loro profonda passione, il loro talento e
la loro grande capacità: non si esprimono perché, oltre a temere il
giudizio degli altri, sono influenzati da figure dotate di autorità
e di autorevolezza (bloccano creatività e talento). Orticaria:
è un disturbo cutaneo caratterizzato da un’eruzione di
ponfi affossati e pruriginosi. E’ un fenomeno che generalmente
troviamo in persone che vivono con diffidenza e sospetto. I rapporti
interpersonali sono tendenzialmente ambivalenti: hanno timore, paura,
diffidenza ma allo stesso tempo sperimentano una forte attrazione. In
alcuni casi il prurito segnala una forte collera trattenuta, in
seguito ad una forte frustrazione inespressa che comunque non si è
in grado di esteriorizzare (impulsi aggressivi inibiti). Le persone
che reagiscono con irritabilità, insoddisfazione, stress, ansia ed
agitazione al tormento emotivo manifestano più frequentemente
sensazioni di prurito e di bruciore. Patomimia
cutanea: si tratta di un danno cutaneo (lesione) provocato dal
soggetto stesso. Tale “autopunizione corporale” insorge in
soggetti, prevalentemente donne, pienamente consapevoli, ma con
tratti psicologici assai particolari: inibizione
dell’aggressività, umore depresso, forti blocchi affettivi, bassa
soglia della frustrazione e profonde tendenze autoaggressive.
Psoriasi: è una dermatosi cronica e recidivante; pur avendo
una base ereditaria il suo decorso appare decisamente influenzato da
una componente emotiva. Alcune situazioni di stress, la minaccia alla
salute e alla sicurezza, sembrano inequivocabilmente coincidere con
un deterioramento della condizione. Sono a rischio quelle persone che
hanno vissuto in nuclei familiari i cui genitori erano assenti e
anaffettivi. Chi soffre di questa dermatosi, oltre a vivere con
estrema difficoltà le relazioni e gli scambi interpersonali, fa
particolarmente fatica ad esprimere le emozioni e a sostenere quelle
altrui.
a
Pelle … delimita, separa, unisce, mette in contatto: termometro
delle passioni senza finzioni… i disturbi della pelle segnalano un
pericolo, rivelano conflitti profondi nei rapporti con gli altri: si
entra in “guerra”… una spia, un mondo esterno (anche interno:
qualcosa che vuole emergere in superficie) vissuto come minaccioso
per i propri confini, la propria identità, la propria integrità …
un confine perennemente minacciato … testimonia quei contenuti
emotivi che non si vuol vedere.
… i
disturbi della pelle vengono perché manchiamo di tenerezza nei
nostri confronti, per farci osservare emozioni che tratteniamo e,
soprattutto, farci capire che non rispettiamo la nostra unica e vera
autenticità … NON avere paura, sono voci dell’anima, la pelle si
fa carico di sofferenze trascurate da tempo e di qualche imbarazzo
verso la vita… se non ti sfoghi sarà la dimensione cutanea ad
“alleggerirti”.
LA
PELLE … specchio della salute.
…
se il mondo interiore è
sofferente l’epidermide lo rivela con grande solerzia, si oppone -
attraverso il suo prezioso ed enigmatico linguaggio - di essere
"contaminata" da relazioni sbagliate, forzate e distorte:
grida la sua disperazione, smaltisce le "tossine".
e
malattie della pelle sono senza dubbio le più comuni e diffuse. La
cute è il primo apparato “preposto” a manifestare il disagio nei
bambini più piccoli e non potrebbe essere diversamente vista
l’immaturità psichica che li espone a un contatto più diretto e
meno schermato con l’ambiente circostante. Pelle e mente: il
connubio è perfetto, soprattutto quando abbiamo a che fare con
disturbi cutanei. Le reazioni “a pelle” non sono però
prerogativa dell’età evolutiva, si verificano in tutti quei
momenti in cui la mente non riesce a contenere adeguatamente emozioni
che sfuggono al controllo, ecco che, improvvisamente, i disturbi
dermatologici si incaricano di far affiorare il malessere: di
renderlo manifesto. La pelle non può essere considerata come un
organo “superficiale”. Essa è davvero di più: rappresenta
una dimensione dove i nostri modi d’essere si legano con il mondo,
dove il nostro essere, la nostra vita dialoga con l’esterno. Ecco
perché la sfera cutanea va “letta” in più modi, scoprendo cosa
significano e come vanno affrontati tutti i disturbi che
l’affliggono. La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo,
eppure difficilmente le diamo importanza come il cuore, fegato, reni,
polmoni. Il rapporto che abbiamo con la pelle è del tutto esclusivo,
nella nostra percezione non abbiamo la pelle ma “siamo” la nostra
pelle. E non è un caso, se analizziamo infatti il valore funzionale
e simbolico di questo apparato ci renderemo conto che esso è
strettamente connesso alla nostra identità più profonda ma anche
all’istintiva difesa della vita.
ntanto, grazie alla sua
elasticità che separa l’interno dall’esterno, protegge il corpo
da traumi, pressioni, colpi. Inoltre, è una barriera che impedisce
l’ingresso di agenti potenzialmente patogeni come batteri, sostanze
acide e alcaline, radiazioni solari. Da questo punto di vista
potremmo considerarla come una sorta di tuta protettiva che può
arrivare a diventare, all’occorrenza, vera e propria corazza
impenetrabile. Il limite dell’uomo è, quindi, la sua pelle. Essa
dà la forma e sembianza a ogni essere vivente, non solo rendendo
visibile all’esterno la forma del corpo, ma – attraverso i segni
che porta con se – esprimendo l’individualità. E’ il tratto
distintivo di ognuno di noi, poiché nessun altro può averne una
identica. E’ l’involucro vivente che cresce e invecchia con la
nostra persona, costantemente rinnovato, ma sempre uguale a se
stesso. E’ la linea di demarcazione tra noi e l’universo stesso.
Ci delimita e protegge, si costituisce come filtro e barriera
permeabile contro gli agenti nocivi. In questo senso svolge
un’importante funzione di limite e confine che consente alla
persona di percepirsi come distinto e delimitato. Contribuisce quindi
a determinare la consapevolezza di sé, l’individualità,
attraverso la consapevolezza di possedere un corpo. Tramite
la pelle tocchiamo e siamo toccati, definiamo il nostro spazio e
siamo definiti nello spazio. Ed è nel contatto tra pelle e
pelle che prende origine il processo di delimitazione psichica. Ma
non solo: la cute rappresenta inoltre un importante mezzo di
comunicazione interpersonale.
ttraverso la cute il corpo emana il
suo odore, che ha un suo codice di riconoscimento e una sua
“marcatura” in grado di influenzare il comportamento dell’altro
e la relazione con esso. La pelle è da sempre vettore di simboli e
idee, il cui fine è la comunicazione verso chi ci circonda. Può
essere territorio di bellezza e di attrazione, di un messaggio
particolare oppure anche di “repulsione”. Così, chi soffre di
una patologia cutanea cerca di condividere il problema di cui è
portatore, si sforza di portare in mezzo agli altri il vissuto
interno che sottende la patologia ma contemporaneamente prova
vergogna e disagio per la sua affezione. E’ in questo momento che
la malattia diventa “stigma”, ovvero marchio che spesso va a
bloccare l’emotività di chi ne soffre. E’ confine protettivo e
territorio di scambio emozionale: ma anche spazio dove appaiono i
disagi e le emozioni nascoste. Così la cute diventa autentica carte
di identità del nostro vivere quotidiano. Ma
da dove nascono i disturbi cutanei? Perché una mente che non
riesce a esprimersi invia i suoi “segni” proprio sulla pelle? In
realtà, l’acne, la vitiligine, gli eczemi,
la psoriasi vengono per farci osservare emozioni che
tratteniamo. Vediamo ora questi meccanismi, ovvero impariamo a
leggere quanto “sta scritto” sulla "mappa" cutanea: le
origini psicosomatici dei disturbi che l’affliggono.
... la pelle, attraverso i
suoi "segnali", dice tutto ciò che non si ha il coraggio
di ammettere ... esprime e fa sentire le sue risorse più preziose.
Problemi
alla pelle, un succo di: mela, ananas e uva può aiutare.
L’INSICUREZZA
… quando il primo ostacolo paralizza il vivere.
ddio
credo proprio che non riuscirò a concludere un bel niente … Povero
me non so proprio che pesci pigliare … Vorrei ma non riesco… Oggi
proprio non me la sento … e ancora … Non valgo niente… Non
riuscirò mai a controllarmi… Chissà se avrò fatto bene, se avrò
fatto la cosa giusta … Accidenti! Queste sono alcune delle famose
frasi emblematiche che riassumono, sintetizzano in maniera
inequivocabile la dimensione psicologica in cui è calato l’insicuro.
E’ una condizione emotiva, il più delle volte legata a circostanze
temporanee, in cui il soggetto si sente spesso vittima e prigioniero
di situazioni che, di per sé, non hanno assolutamente niente di
drammatico o pericoloso. Una esperienza che incredibilmente opprime,
blocca, soffoca, impedisce di realizzare - perché offusca la mente e
fa perdere la lucidità - i progetti e i vari sogni della vita. Tale
disagio, però, non deve essere confuso con una sana riflessione
creativa, con quella fase ponderata, una “paralisi” benefica,
quella pausa momentanea in cui si sta prendendo tempo per poi fare la
cosa giusta. Riflettere attentamente prima di decidere, soppesare le
possibili conseguenze è sempre indice di buon equilibrio tra la
propria autostima e una corretta valutazione della realtà.
L’indeciso cronico, al contrario, non si sente mai all’altezza
della situazione, ha un’immagine svilita di sé, una modestia fuori
misura, eccessiva, esprime un’insufficiente conoscenza di se
stesso, delega all’infinito ogni decisione e si inchioda sui propri
dubbi amletici rimandando continuamente ogni decisione. Per questi
atteggiamenti l’insicuro rischia parecchio: l’immobilismo, il
blocco evolutivo e la dipendenza dagli altri (fenomeno che nel tempo
può dar vita a tratti depressivi).
ominato dalla disistima, da un
forte senso di fallimento e dal complesso di inferiorità ha
sviluppato la convinzione che gli altri sono migliori e valgono più
di lui. E’ un soggetto che appare senza grinta, smarrito,
spaventato, convinto di non riuscire a farsi valere e cavarsela da
solo, sempre imprigionato e relegato nel suo guscio protettivo del
non fare, del non esporsi. Un rigagnolo che è diventato un enorme
torrente, un grande baratro in cui si ha paura di essere
completamente fagocitati. Spesso viene etichettato come un soggetto
debole, fragile, inattendibile e problematico. L’insicuro non passa
mai inosservato, sempre aderente ai muri, lascia sempre le sue
impronte, segnala le sue difficoltà relazionali e sociali, a seconda
dei casi, attraverso l’eritrosi al viso, il balbettio,
l’incespicare e un fare davvero goffo. Per mascherare questa sua
forte dipendenza, questo suo sentimento di inferiorità, spesso, si
nasconde dietro una facciata di “falsa sicurezza” con un fare
polemico, aggressivo ed oppositivo. Questa finzione, tuttavia, oltre
ad essere particolarmente rischiosa, non porta da nessuna parte, il
suo atteggiamento sostanzialmente non cambia: la ricerca di consigli,
di sostegno, di suggerimenti, le forti pretese di essere
continuamente rassicurato rimangono sempre i suoi tratti principali.
Quando si indossa la maschera di un personaggio forte e sicuro, per
fini compensativi, si corre il rischio - oltre a creare facili
illusioni e false aspettative negli altri - di trasmettere un
immagine fuorviante, confusa e non realistica: non farsi conoscere
per quello che si è veramente (valore e talento). Il più delle
volte, infatti, il nostro entusiasmo viene bloccato, soffocato da
abitudini di vita, di pensiero e di relazione.
’insicuro, inoltre,
temendo il giudizio degli altri risulta perennemente contratto e
teso, si sforza continuamente, ed è costantemente concentrato su
come offrire l’immagine migliore di sé. Proprio per questa ragione
a livello somatico la rigidità, la tensione e il bruciore intenso,
si assumono l’onere di richiamare il soggetto alle sue reali
difficoltà decisionali. Ignorare o non prestare attenzione
necessaria a tale fenomeno provocherà uno stato doloroso di ansietà.
Il perenne tentennamento si trasforma a livello fisiologico in una
fastidiosa sensazione di debolezza alle gambe, capogiri e vertigini.
Spesso l’ansia è talmente forte da spingere il soggetto ad
esprimersi attraverso piccole manie o rituali ossessivi come ad
esempio perfezionismo, pulizia, ordinare le cose: tutte modalità che
permettono all’insicuro - seppur in maniera goffa - di gestirla e
tenerla in qualche modo sotto controllo. Il ronzio mentale e il
costante rimuginare, inoltre, fanno il resto, spingono il soggetto ad
un cattivo riposo o, ancora peggio, a contare le pecore per intere
nottate. L’insicurezza, come per tante altre condizioni
psicologiche, non è un fenomeno genetico: appartiene in maniera
inequivocabile all’autobiografia del soggetto. Entrano in gioco
esperienze evolutive traumatiche precoci in cui il bambino non
vivendo in un clima rassicurante e tranquillo rimane in balia
dell’incerto e dell’imprevedibile. Quando si cresce in un
ambiente privo di protezioni adeguate anche l’immagine di sé
diventa instabile (disistima), vacillante e basta un piccolo
imprevisto per sgretolarla. In tal modo si rischia seriamente di
minare l’intero processo di crescita del piccolo. Cresciuto in
questa atmosfera educativa incerta il bimbo impara ad affrontare le
varie situazioni impegnative della vita con apprensione e allarmismo:
ogni decisione, anche la più banale, può diventare fonte di disagio
e di pericolosità per l’integrità psicologica … un’impresa
titanica.
osa fare. Il primo passo è migliorare il concetto di se
stessi: nei rapporti non è necessario essere presuntuosi o magari
vanagloriosi ma nemmeno essere dominati da un forte sentimento di
svalutazione acuta. Quando si ha una buona considerazione di se
stessi si è più fiduciosi, decisi e sicuri nell’affrontare le
sfide della vita. Gran parte del lavoro, comunque, è diretto
all’autovalorizzazione e allo sviluppo di un crescente senso di
indipendenza (autostima). Resi più sicuri dal sostegno
psicoterapico, questi soggetti imparano ad esprimere i loro
sentimenti in maniera genuina, prendono le loro decisione e sanno far
fronte ai vari episodi ansiogeni. Tra le altre metodiche terapeutiche
che possono contribuire a gestire stress ed ansia - proprio per il
fatto che ogni processo decisionale accompagna tensioni e contrazioni
- ricordiamo le combinazioni di respirazione controllata e le varie
tecniche di rilassamento.
…
si chiede continuamente
supporto, sostegno, aiuto esterno perché ci si sente fragili, si ha
la convinzione di non essere in grado di affrontare il peso della
vita … si è incapaci fronteggiare da soli gli impegni quotidiani.
AUTOSTIMA
…
essuno,
purtroppo, riesce a vivere in una condizione di constante e completa
salute emotiva. Proprio per la sua stessa natura, la vita ci mette a
dura prova, ci fa piangere, ci fa preoccupare, ci pone di fronte a
frustrazioni e a insuccessi. Si calcola che, nel corso della vita,
una persona su tre sia colpita da un disagio emotivo, variabile,
naturalmente, per origine ed importanza. Eppure i pregiudizi, i
timori, il pressappochismo su tali malesseri sono ancora
innumerevoli. E, forse, la maniera migliore per combatterli consiste
proprio nell’essere informati sui vari sintomi, sulla diagnosi e
sulle terapie: la condizione di salute dei pazienti, infatti,
migliora nettamente nel momento in cui comprendono cosa sta accadendo
dentro di loro e quando vengono messi al corrente delle terapie
disponibili, senza contare che i loro familiari, conoscendo a fondo
la patologia, possono aiutare i propri cari in modo più efficace.
Come è possibile fare molto per raggiungere e mantenere una buona
salute fisica, allo stesso modo è possibile adottare misure e
strategie per affrontare e risolvere più efficacemente i problemi
psicologici quotidiani. Una maniera vantaggiosa di iniziare consiste
nel capire veramente che cos’è la salute emotiva. Molti sono gli
autori che, in maniera diversa e unica, hanno cercato di dare una
risposta a questo quesito: alcuni parlano di salute mentale quando si
ha la capacità di lavorare ed amare, per altri invece è la capacità
di dare una risposta soddisfacente al problema dell’esistenza. Ma
al di là delle varie interpretazioni, tutti gli individui in
“equilibrio” mentale hanno in comune determinate caratteristiche;
sono accomunati dall’insieme di elementi - ovviamente costanti nel
tempo - di pensiero, sentimenti e comportamento di un individuo.
Rimangono in contatto con le proprie condizioni emotive e sanno
riconoscerle ed esprimerle; sanno percepire la realtà come è.
Rispondono in maniera appropriata alle sfide della vita e sviluppano
strategie razionali per vivere il meglio possibile. Benché non
estranei ed immuni da problemi o conflitti, essi sanno affrontarli in
un modo che consente una indubbia crescita psicologica. Sanno
trattare con gli altri, il più delle volte, in maniera vantaggiosa e
ragionevole. E, poiché stimano se stessi e il proprio ruolo, provano
un senso di soddisfazione e di realizzazione che dà un significato
davvero stimolante alla routine della vita quotidiana e allo sforzo
che questa richiede.
no degli “ingredienti” fondamentali della
salute emotiva è l’autostima, il senso di fiducia in se stessi o
di orgoglio di sé che dà a ognuno la sicurezza per adoperarsi a
raggiungere un obiettivo o per aprirsi agli altri, formarsi nuove
amicizie e relazioni strette. Non è uno sforzo della mente, ma
corrisponde a un diverso atteggiamento della coscienza, che apprezza
e accetta ciò che si è nel tempo presente, ovvero “Carpe diem,
quam minimum credula postero”. L’autostima fa in modo che ogni
individuo si senta “importante” (significativo) in quanto essere
umano provvisto di doti uniche ed irripetibili, di capacità e di un
ruolo nella vita. L’autostima non si basa su elementi esterni come
la ricchezza o la bellezza, non è qualcosa di genetico né tanto
meno non si può ottenere dagli altri. L’autostima si costruisce,
si sviluppa nel tempo. Fa la sua comparsa appena nati, se abbiamo chi
ci accudisce e ci dimostra sensibilità ed affetto profondo mentre
sviluppiamo le abilità di base come il camminare e il parlare. In
seguito viene incoraggiata quando, da bambini piccoli, impariamo a
prenderci cura del nostro corpo e a controllare gli impulsi, sempre
che ci venga restituita una risposta positiva riguardo a questi
nostri “traguardi”. Una bassa autostima comunque è più comune
tra gli individui che da bambini hanno subìto abusi psicologici o
fisici, ed essa aumenta la probabilità di contrarre patologie come
depressione, disturbo d’ansia e l’abuso di sostanze. Al
confronto, gli individui che hanno una buona autostima, nonostante
possano essere colti da dubbi sulla propria persona, incertezze del
resto connaturate nell’essere umano, si concentrano su quello che
hanno di buono e accettano i propri limiti e benché questo non
indichi che sono completamente esenti da problemi dolorosi, molte
indagini cliniche suggeriscono che una prospettiva fiduciosa e
positiva è vantaggiosa per l’equilibrio emotivo. Esiste una
correlazione infatti tra l’autostima e alcuni quadri clinici: la
presenza di un alto livello di autostima si accompagna a un basso
livello di ansia e di depressione. L’autostima segnala una
valutazione in positivo o negativo di sé, il grado in cui un
individuo si considera capace, importante ed efficiente. E’ una
condizione psicologica complessa, frutto delle varie esperienze che
hanno forgiato e modellato, sin dalla prima infanzia, ogni individuo.
entirsi in armonia con se stessi, accettarsi per ciò che si è
veramente e avere la consapevolezza di poter dare in ogni momento il
meglio di sé consente di prestare alla vita un’attenzione totale e
partecipe e di ricercare tutto ciò che può contribuire al proprio
benessere. Una buona autostima coinvolge anche il senso di
autoefficacia. Termine che definisce la fiducia nelle proprie
capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessarie a
gestire adeguatamente le situazioni che si incontrano, in modo tale
da raggiungere gli obiettivi prefissati. E’ sicuramente un senso di
efficacia personale che deriva dalla convinzione (o meno) di essere
in grado di affrontare una determinata situazione, grazie ad una
fiducia realistica e autentica nella possibilità di riuscire a
cogliere le opportunità più vantaggiose della vita. Gli individui
che riescono ad adattarsi meglio alla vita sono proprio quelli
caratterizzati da questa personalità: sono curiosi, sensibili,
capaci di trasformare eventi spiacevoli e carichi di stress in
stimoli creativi, fiduciosi della vita. Affrontano i compiti
difficili (familiari, sociali, lavorativi) con impegno e costanza e
non si allontanano intimiditi di fronte alle difficoltà, si pongono
obiettivi ambiziosi sapendo di potercela fare, e di fronte agli
insuccessi riescono a recuperare, a riorganizzarsi … in breve a
scegliere l’alternativa valida.
… l’autostima
non deve essere mai confusa con l’autocontrollo o con uno stato di
equilibrio … l’autostima è la consapevolezza di quello che si è
realmente, di cosa si prova in quel preciso istante, nel tempo
presente… bisogna dare spazio a quello che c’è dentro se stessi …
un mondo interno che non va combattuto, giudicato o cambiato a tutti
i costi.
ECZEMA
… il dolore che scava
a
pelle delimita, separa, unisce, mette in contatto: termometro delle
passioni senza finzioni… i disturbi della pelle segnalano un
pericolo, rivelano conflitti profondi nei rapporti con gli altri: si
entra in “guerra”… una spia, un mondo esterno (anche interno:
qualcosa che vuole emergere in superficie) vissuto come minaccioso
per i propri confini, la propria identità, la propria integrità …
un confine perennemente minacciato … testimonia quei contenuti
emotivi che non si vuol vedere.
’eczema
esprime sempre una battaglia interiore, un conflitto che brucia.
I sintomi, rossore e prurito, rimandano a un fuoco interno che
tende a distruggere un involucro vecchio … espressione
di una identità che vuole trasformarsi. Chi ne soffre ha
energie forti che vorrebbe esprimere in ambiti diversi, ma paura,
timidezza, sensi di colpa e fobie lo bloccano. Nella fase acuta,
cioè quando si avvertono maggiormente i disturbi dell’eczema,
compaiono vescicole sulla pelle, che possono rompersi liberando
il liquido chiaro. Successivamente, le vescicole si trasformano
in una crosticina. L’eczema provoca intenso prurito, che può
impedire il sonno. Nelle dermatiti da contatto le lesioni
compaiono per l’appunto nelle zone di contatto tra parti del
corpo e sostanze irritanti. Nell’eczema atopico le parti del
corpo più colpite sono il viso, il collo, la pelle dei gomiti,
delle ginocchia, dei polsi e delle caviglie. Molto frequente nei
bambini allergici, è espressione di una difesa nei confronti di
un mondo sentito pericoloso a causa della sua progressiva
artificialità: giochi in materiale sintetico, cibi dalla
provenienza incerta, aria sempre più inquinata. Come alterato è
anche lo stile di vita di molti genitori sempre di fretta e di
corsa. La caratteristica “migrante” di questo disturbo, che
può spostarsi in parti diverse del corpo, indica che la pelle
del bimbo si difende in zone che man mano rappresentano - in modo
simbolico - i punti più vulnerabili in quella precisa fase di
sviluppo. La dermatite seborroica, invece, che colpisce
adolescenti e adulti di mezza età, è proprio collegata a un
conflitto con l’ambiente esterno dovuto a discrepanze tra la
capacità di produrre risultati da parte dell’individuo e le
richieste della società.
on è un caso che essa si manifesti
soprattutto al cuoio capelluto, cioè sulla testa (il luogo dei
pensieri), in persone fortemente stressate e che si “spremono”
per impegni professionali frenetici. La seborrea inoltre indica
che il soggetto non sta vivendo una quota importante della sua
carica erotica, costretta ad uscire in forma indiretta sotto
forma di sebo. L’eczema classico ha a che fare in modo
prevalente con la difficoltà a esprimere un fuoco creativo che,
per quanto si cerchi di nasconderlo, non può essere mai
veramente domato. Una creatività intesa non solo in senso
artistico ovviamente, ma anche possibilità di portare la propria
impronta in ciò che si sta facendo. In molti casi la persona
“arde di interesse” per qualcosa o per qualcuno, ed è così
sensibile da “accendersi” per un non nulla … ma non sente
legittima la decisione di seguire questa via perché teme che
potrebbe portarla lontano dalle scelte e dallo stile di vita
consueti, a cui è legata per abitudine ma non per passione. A un
atteggiamento conciliante e comprensivo corrisponde
nell’interiorità un temperamento sanguigno che facilmente si
irrita: un filtro di autocontrollo molto forte inibisce le loro
reazioni, lasciando che affiorino sulla pelle. Una vita interiore
ricca e profonda ma che poco traspare all’esterno: per
chi soffre di eczema è difficile parlare di sé, sfogarsi per un
dolore o un’ingiustizia, raccontare o condividere. Ma
la loro tenuta ha un limite e spesso uno sfogo sulla pelle è
l’equivalente di una parole.
Chi rischia di più
• Persone
che trattengono le proprie emozioni anche in contesti protetti in
cui potrebbero lasciarsi andare; • Persone ricche di
passioni e di talento che però temono il giudizio degli altri e
che sono molto influenzabili dalle figure dotate di autorità e
autorevolezza; • Persone insicure riguardo alle proprie
capacità, che tuttavia sanno di avere, ma che non riescono a
manifestare e utilizzare come è nelle loro possibilità; •
Persone timide e sensibili, poco propense a parlare delle cose
importante di sé.
a pelle è un grande organo che non sa
fingere e non dipende dalla volontà… segnala al mondo
circostante - sempre a modo suo - i sentimenti, a volte i
conflitti più profondi, quelli, in particolare, che non si
vogliono guardare direttamente … delimita e nello stesso tempo
contiene… le lesioni cutanee raccontano e disegnano chi siamo
veramente.
|
Autostima …
questa grande sconosciuta.
uante
volte abbiamo pensato che la nostra esistenza (lavoro, studio,
rapporti sociali, convivenza, matrimonio) è una continua
tribolazione, ci fa star male, ci crea disagi e sofferenze a non
finire, ansie e, per non farci mancare proprio nulla perché spesso
siamo dei veri campioni in questo campo, anche depressione più o
meno grave. Nonostante questa consapevolezza - con un immobilismo
davvero da artisti - proiettati nel futuro colmo di ansia, lasciamo
passare le ore, i giorni, i mesi, i “secoli” con la speranza di
un futuro migliore. Il futuro blocca, uccide il presente, rende sordi
e ciechi di fronte alle esperienze della vita: angoscia, tensione e
ansia lentamente dominano la scena quotidiana spegnendo completamente
passione e vitalità. Quante volte, ancorati nel passato - che genera
solamente rimpianti e rimorsi - abbiamo ritagliato un “pezzo” di
tale tempo burrascoso pieno di rancori, di ricordi negativi, di
obblighi, di risentimenti, rendendolo attuale, fatto sopravvivere per
- a seconda delle proprie condizioni emotive - rassicurarci,
rallegrarci, consolarci, rattristarci e eventualmente per espiare. In
questo modo, allontanandoci dalla vera esistenza, prendendo le
distanze da quello che si vive nel tempo presente, essendo estranei a
se stessi, si vive un atteggiamento mentale non reale, lasciando
spazio a tempi “inesistenti” come passato e futuro (tempi che
inquinano il terreno mentale). A volte - dando spazio a questi
meccanismi mentali - siamo davvero decisivi nel rovinarci con le
nostre stesse mani sprecando, nel contempo, le grandi occasioni che
rinfrescano la vita. L’autostima, infatti, oltre ad essere parte
integrante di una vita di qualità, significa piacere di vivere,
sentirsi bene con se stessi e gli altri, adesso, ora, nel tempo
reale. Il presente è l’unico momento in cui è possibile sentirsi
bene perché si è direttamente in contatto con le proprie sensazioni
in tempo reale … ciò che è ora, in questo momento, in questo
istante.
’ una grande apertura mentale attraverso la quale si
attivano zone cerebrali e mediatori chimici che portano lontano da
stress, sofferenza e insoddisfazione. Cosa diversa è l’abitudine,
la noia e la routine che riattivano sempre le stesse aree, gli stessi
circuiti cerebrali ormai logori, vecchi e “atrofizzati”. Avere
una buona stima di se stessi significa piacersi, essere soddisfatti
di come si è e, soprattutto, volersi bene. Con questi atteggiamenti
si diventa indubbiamente più creativi, più rilassati e si diffonde,
in maniera davvero contagiosa, felicità e buonumore. Al contrario,
la disistima scatta quando il nostro modo di pensare si traduce
immediatamente in un vero e proprio tormento: rimpianti, rancori,
sensi di colpa, giudizi, autocritica, confronti. Il tutto ruota
attorno al passato (malinconia, sensi di colpa, rabbia), si è colti
dal dubbio di non essere all’altezza in quello che si fa (timore di
non riuscire), ci si sente inferiori (gli altri sembrano sempre
migliori, più capaci), perennemente concentrati sugli insuccessi (il
pensiero torna sempre lì, avvitandosi su se stesso, con lo stesso
tormento). Basta una piccola delusione per “sgonfiarsi”, sentirsi
dei falliti, degli incapaci. Ci si giudica continuamente, non si va
mai bene, si è completamente in balia e vincolati al modo di pensare
della gente. Arriva all’improvviso, senza trombe e tamburi, in un
momento apparentemente tranquillo: un banale riassunto quotidiano, un
superficiale bilancio giornaliero ed ecco che si affaccia un profondo
senso di insoddisfazione, di malessere diffuso. Quando la disistima
domina la scena, ci si vede brutti, non si ha più fiducia e manca un
buon rapporto con se stessi, le malattie cosiddette organiche possono
fare la loro comparsa. Una specie di autoaggressione corporea che,
per analogia, corrisponde all’autoaggressione emozionale inflittaci
in maniera continuativa a livello “cerebrale”. In breve, se la
contentezza latita anche il fisico ne soffre. Il benessere del corpo
e della mente, non vanno mai a velocità diverse, ma sempre di pari
passo: una mente felice fa bene a tutto il corpo. Una vita confusa,
piena di insoddisfazione, con la sensazione di non fare sempre le
cose giuste, caratterizzata da lunghi ed interminabili periodi di
scontentezza creano un drammatico sconvolgimento biochimico
all’interno dell’organismo. I rischi più immediati sono
indebolimento del sistema immunitario, depressione, sovrappeso,
colite, gastrite e ipertensione. Non a caso, secondo recenti studi
della medicina ufficiale, uno degli elementi fondamentali della
salute psicosomatica è l’autostima.
’autostima è la base di
una “saggia” sicurezza attraverso la quale si raggiungono gli
obiettivi, non solo di ordine esistenziale, ma anche di natura
fisiologica: equilibrio psicosomatico, amicizie e relazioni strette.
Tale condizione fa in modo che ogni individuo abbia una giusta e
soddisfacente collocazione in questo mondo: consapevolezza del
proprio valore e di essere sempre originale, unico ed irripetibile.
L’autostima non si basa su elementi esterni (denaro, potere,
bellezza), è uno stato interiore, si sviluppa nel tempo, mattone su
mattone, dentro di noi. La sua costruzione è riconducibile a momenti
lontani, alla notte dei tempi, all’infanzia. Se chi ci accudisce ci
accoglie senza remore, ci rispetta per quello che siamo e ci ama
senza riserve sarà più facile per noi accettare le sfide della
vita: imparare sarà sempre entusiasmante e una grande gioia (le cose
nuove saranno sempre una sfida, uno stimolo costruttivo perenne, mai
un timore paralizzante, pauroso, rinunciatario). Quando il piccolo ha
la consapevolezza di poter contare sull’adulto e di avervi facile
accesso nei momenti di bisogno, si dedica fiducioso all’esplorazione
dell’ambiente circostante. Con queste caratteristiche il bambino
svilupperà uno stile cognitivo caratterizzato da curiosità e
ricerca attiva (autonomia, libertà, sicurezza). Se poi veniamo
incoraggiati a prenderci cura del nostro corpo (come amico non come
antagonista) saremo più liberi, spontanei e naturali: sarà più
facile concentrarci su quello che si ha di buono e non sui sentimenti
negativi e distruttivi. La disistima è più comune tra gli individui
che da bambini sono stati trascurati, hanno subito in qualche modo
abusi psicologici o fisici. Dati clinici, purtroppo, confermano che
tali deprivazioni determinano predisposizioni a disagi emotivi come
depressione, disturbi d’ansia e dipendenze fisiche da sostanze
specifiche, quali ad esempio nicotina, alcol, farmaci e droghe. Ma
anche dipendenze di natura psicologica in relazione al cibo, al
lavoro, al gioco e allo shopping compulsivo.
a
disistima spesso dipende da noi … ma attenzione ai soggetti che
frequentiamo, in particolare quelli con cui non ci sentiamo sulla
stessa lunghezza d’onda, in sintonia ... che manipolano, vogliono
cambiare gli altri a tutti i costi perché solo loro sono migliori e
perfetti, hanno sempre le soluzioni a portata di mano, notizie
fresche, le più vere e le più importanti, che stendono al tappeto
con lamenti continui, sono sempre nella ragione e mai nel torto,
semmai gli altri sono difettosi … alla larga dai lamentosi che
trascinano inesorabilmente nel vortice della depressione … se siamo
in linea con noi stessi nessuno è in grado di manipolarci!
PSORIASI
…
la pelle si “spacca” per
far emergere quel mondo emozionale che, a tutti i costi, si vuole
occultare nella vita quotidiana … soggetti prevalentemente con
tratti depressivi e fobici.
a
psoriasi si manifesta con placche secche di forma e dimensioni
variabili, ricoperte di squame bianco e argento facilmente
staccabili, al di sotto delle quali è presente un eritema più o
meno spiccato. Le alterazioni descritte si generano per un difetto
del turnover cellulare che da 28 giorni passa a soli 2 o 3 giorni:
così la pelle si squama e si stacca quasi fosse una pelle morta
esprimendo il bisogno di cambiare, ossia di rompere i limiti
difensivi imposti e lasciar emergere il nuovo, ciò che si nasconde
nel profondo. Ma tale desiderio è tutt’altro che sereno e lineare
e l’accatastarsi delle cellule morte rivela un profondo conflitto
tra un desiderio di rinnovamento e la paura di "perdersi".
Ma da cosa si difende il malato di psoriasi? Dagli istinti più
sanguigni, dall’aggressività, dall’impulsività, dalle passioni
brucianti che rischiano di minare il suo bisogno di ordine e di
pulizia, il suo candore morale e la sua immagine. Il rosso che si
manifesta potrà essere espressione di una aggressività non vissuta
e di sensi di colpa di cui non è facile liberarsi. Spesso la
psoriasi si associa e si alterna a episodi diarroici, veri tentativi
di scarica liberatoria verso gli impulsi inaccettabili. La
scelta della sede dove la psoriasi attacca è casuale o ha un senso?
Esaminando attentamente la sua localizzazione scopriamo che ha
la tendenza a localizzarsi nelle pieghe delle giunture: gomiti
e ginocchia sono articolazioni che consentono di muoverci in maniera
autonoma, rappresentano da una parte la libertà di movimento e la
possibilità di difendersi ... servono, infatti, a parare i colpi
così come ad attaccare.
na localizzazione alle giunture
parla del timore dell’aggressività, di subirla, come di
manifestarla. Diverso è il caso delle mani: lesione difficile da
nascondere, quella che colpisce le mani è in stretta relazione con
la paura e il desiderio di entrare in contatto con l’altro ma anche
con l’emergere di una carica aggressiva, un desiderio di “menar
le mani”, fortemente colpevolizzato e represso. Una malattia
da cui non si guarisce facilmente. Già nel modo di presentarsi
racconta il mondo interiore di chi ne soffre (rosso
sangue: aggressività non agita, le scaglie bianche è il tentativo
di purificarsi da elementi che si accumulano e fanno da corazza di
protezione).
Le
persone affette da questa patologia hanno in comune alcuni tratti
importanti:
•
Per quanto possano sembrare socievoli, non mettono mai in gioco,
nella relazione, il loro nucleo profondo: l’interlocutore, anche il
partner, sente che “oltre un certo punto” essi non permettono di
entrare e che non si mettono mai in gioco del tutto;
• Fanno
fatica ad esprimere le emozioni in modo diretto e lineare, e
altrettanta ne fanno per accettare dall’esterno senza mediazioni
verbali che ne riducono l’intensità e l’immediatezza;
• Si
percepiscono fragili in alcuni ambiti (soprattutto affettivi), e per
non affrontare il problema si dichiarano indipendenti, senza
accorgersi di cadere spesso in un atteggiamento di continua richiesta
di supporto.
l
problema centrale dunque - la vulnerabilità - viene risolto eludendo
e lasciandolo immutato. Il tutto, ovviamente, in modo inconsapevole.
Quando l’energia che si esprime nell’eritema viene “coperta”
dalla corazza, finisce per spingersi in profondità, dove si
trasforma in intensi episodi di cefalea o di
colite, a testimonianza di come essa contenga un’energia
incomprimibile che cerca comunque di essere elaborata ed espressa.
L’estensione della psoriasi è in proporzione alla insicurezza che
la persona sente di avere: tentare di eliminare
drasticamente il sintomo (psoriasi), quando è esteso, è pericoloso
e mette a rischio di forti disagi psichici (ansia, depressione e,
spesso, episodi psicotici), perché la malattia è, evidentemente,
l’unico modo che la persona ha trovato per stare in equilibrio con
il mondo. Va quindi sempre rispettato! La psoriasi esprime, in
ultima analisi, un problema di identità. Chi soffre di psoriasi si
muove a disagio nell’ambito emotivo, mentre si trova molto a suo
agio in quello razionale. Discreti e riservati, lasciano trapelare
poco i loro sentimenti, e si "lasciano" ferire facilmente
dagli altri. L’intimità emotiva è difficile da raggiungere anche
se spesso è fortemente desiderata. Si aspettano tanto da se stessi e
dagli altri e reagiscono male quando rimangono delusi. Nell'ambito
evolutivo, di frequente, si registra la presenza di genitori poco
espansivi, piuttosto esigenti e moralmente rigidi, più attenti al
versante disciplinare che a quello emotivo. La lontananza affettiva
talvolta dipende anche dall’assenza vera e propria che induce a
vissuti di abbandono e di rabbia impotente.
e
infiammazioni nell’organismo segnalano conflitti inconsci, disagi
interiori non risolti vissuti, spesso, come estranei, opposti o
pericolosi per il proprio equilibrio, vediamo il tema conflittuale e
il processo infiammatorio ad esso collegato:
•
identità personale …
il processo infiammatorio riguarderà le infezioni, intestino e
tiroide;
•
rapporti
interpersonali … si esprimeranno attraverso dermatiti, problemi allo
stomaco, bronchiti;
•
potere decisionale …
artrite, tendinite;
•
sfera morale …
colite, artrosi, problemi agli occhi;
•
sentimenti di rabbia
e aggressività … fegato, patologie autoimmuni, esofagite;
•
area indipendenza e
autonomia … apparato respiratorio, tensioni muscolari.
icorda, una visione
diversa verso se stessi evita al corpo di farsi carico di tutte
quelle cose che non vanno o che, con un grande sforzo di volontà, si
vuole dare intendere agli altri, costi quel che costi, di essere
nella “norma”, la somatizzazione, quindi, arriva per segnalare
che in quel personaggio finto, partorito da una mente fissa, rigida e
sempre uguale non c’è felicità, che dietro quella maschera non si
poi a proprio agio, non si vive bene, non si è contenti, ma che
bisogna cambiare qualcosa: chiede di dare una svolta alla propria
esistenza, si è saturi dell’attuale stile di vita … non
guardiamo dalla parte opposta, cambia lo sguardo sui tuoi vissuti
senza troppo giudicarli.
SAPEVATE
che ... la vitamina D e gli omega 6 (EPO) possono aiutare nei casi di
PSORIASI
TIMIDEZZA …
un disagio che condiziona la vita
apita
a tutti di sentirsi intimiditi ed imbarazzati in situazioni
impegnative, nuove o inconsuete. La timidezza, quella occasionale, è
una condizione del tutto normale, mentre quella permanente -
caratterizzata da un senso di disagio che paralizza l’azione - è
un tratto “patologico” della personalità legato a carenze
affettive, scarsa autostima e a profondi sentimenti di inferiorità.
E’ una condizione che ostacola lo sviluppo, impedisce di conoscere,
vivere il proprio talento, toglie l’entusiasmo, rovina la vita
quotidiana. L’obbligo che il timido si autoimpone di incontrare
persone e situazioni fa sì che i suoi tentativi di socializzazione
risultino sofisticati, maldestri e sempre fuori tempo. Il soggetto,
quindi, man mano che passa il tempo, tende ad isolarsi, evita
l’intimità ed ogni tipo di incontro sociale. Il timido sembra
colpito da paralisi psichica, dominato da rossori e tremori, non osa
mai, ipersensibile alla critica, perennemente terrorizzato dall’idea
di rendersi ridicolo, teme costantemente l’umiliazione, la vergogna
e il rifiuto. Sempre dotato di una eccessiva dose di insicurezza,
oltre a nascondersi agli occhi altrui, vede in sé carenze e difetti
inesistenti: un vero agnello tra lupi affamati. Un disagio che può
portare a totale sottomissione o ad incontrollabile aggressività
(frustrazione = aggressività). A volte, infatti, usando un
atteggiamento di compensazione al proprio sentimento di inferiorità
e al basso livello di autostima, reagisce a certe situazioni in
maniera eccessiva ed impulsiva, adottando spesso comportamenti
autoritari ed aggressivi. Poiché le occasioni sociali sono incubi da
evitare ad ogni costo, il timido nei vari rapporti fa di tutto per
non essere notato, assume un atteggiamento “trasparente”,
rannicchiato, con testa e collo completamente infossati sulle spalle;
parla con voce strozzata e bassa, evita lo sguardo diretto, si
rinchiude negli angoli con posture da vero contorsionista.
’essere
osservato dagli altri poi lo fa sentire ancora più insicuro, goffo,
inetto e continuamente sotto esame perché teme di rendersi ridicolo
con qualche fantomatico gesto mal coordinato, maldestro e sgraziato.
Rossori improvvisi, tachicardia, la voce con suono flebile… in
cantina. Segnali corporei precisi, da interpretare come un linguaggio
affascinante e particolarissimo. Arrossire non è altro che la
manifestazione di una concentrazione di energia libidica nel volto e
nel capo. Ben lungi dal potersi esprimere in un bacio o magari in una
relazione aggressiva, confluisce tutto nella testa. E la pelle del
viso avvampa, d’un rossore che svela, nostro malgrado, le nostre
intime e segrete intenzioni. Anche la voce strozzata ci parla. Di un
discorso che non vorremmo fare, una conversazione cui non vorremmo
prendere parte, un aspetto di noi che non vorremmo svelare. Così, le
parole si fermano giusto sulla soglia della gola. Mani e gambe
irrequiete? E’ il corpo che, più saggio di noi, ci vuole portare
altrove lontani dalla situazione imbarazzante. La testa, invece, nega
la possibilità di una salubre evasione. E il tremore è il risultato
più logico di questa lotta interiore. Allora compaiono tic facciali
e buffi gesti nervosi, tutto il corpo si ritrae, lo stomaco si
contrae e si avverte un crescente senso di nausea, le mani tremano e
sudano copiosamente, le gambe irrequiete si muovono incessantemente,
una fastidiosa vampata di calore si impossessa del volto, il cuore
rimbomba in ogni piccolo segmento del corpo, la bocca improvvisamente
si asciuga e le parole prendono forma in maniera confusa e
pasticciata, le braccia si incrociano come segno di protezione o di
resa… si ha la sensazione di non padroneggiare più le reazioni
fisiche e di essere in balia degli eventi. Il solo pensiero di non
essere all’altezza delle aspettative, di poter dire o commettere
qualcosa di sbagliato lo spaventa terribilmente. Questi soggetti
sottovalutandosi, terrorizzati dall’idea di ogni nuova relazione,
pur desiderandola, arrivano a rinchiudersi in se stessi, isolandosi e
ripiegandosi ancora una volta sulla loro sensazione di incompetenza
sociale. Il timido teme gli altri perché odia il confronto, li
ritiene estremamente esigenti, critici, impossibili da accontentare e
soddisfare. Lui stesso è diventato un giudice particolarmente
severo: la paura, i luoghi comuni, l’incertezza, la frenesia
dipendono da ideali di perfezione, diktat, modelli sociali, spesso
irraggiungibili, a cui deve aderire completamente: “Devo muovermi
con grazia e stile”, “Devo parlare senza arrossire”, “Devo
trovare argomenti originali”, “Devo dimostrare … essere …
comportarmi”; condizionato da schemi mentali e blocchi emotivi;
segue regole, si adegua rigidamente a qualcosa che non ha niente a
che fare con lui.
embra che in ogni rapporto rievochi un vecchio
copione, un’antica paura, riapra di colpo una vecchia ferita
affettiva: dal lontano passato, appare una vita povera di stimoli,
piena di apprensione, insicurezza, rifiuti, indifferenza e timori. Un
fenomeno conflittuale e di disagio spesso vissuto con una figura di
riferimento distante, dalla personalità particolarmente ingombrante,
schiacciante e incapace di valorizzare gli altri. Una terribile
“ombra” giudicante che ha bloccato, soffocato, sepolto,
inchiodato, spaventato, mai stimato, considerato ed incoraggiato. Un
astuto manipolatore affettivo che si esprimeva attraverso derisione e
severi giudizi di valore: “Tanto tu nella vita non concluderai mai
niente… non ce la farai mai… non diventerai mai come Tizio… sei
troppo debole per farti spazio nella vita… non ti impegni a
sufficienza…guarda invece tizio, caio e sempronio… ci vuole
coraggio e spina dorsale… Avrai tutto il tempo che vuoi per
conoscere… ogni cosa a suo tempo… figlio mia la vita è dura!”;
tutti “ritornelli” che, oltre ad ostacolare l’interazione col
proprio ambiente - e quindi la vera conoscenza diretta della vita -
rendono insicuri, predispongono alla solitudine, preparano una vita
infelice e senza amore. La sensazione di non protezione e le
esperienze precoci di instabilità sono gli “ingredienti” che
hanno minato in qualche modo la sicurezza e l’autostima del
soggetto. Questo timore eccessivo di inadeguatezza trasforma ogni
piccolo rapporto interpersonale in una terribile sfida, soffoca la
personalità e predispone ad un perenne imbarazzo. Ecco i luoghi dove
si trova sotto processo. Il timido, come è già stato sottolineato,
sogna la solitudine come il naufrago la sua isola felice. Perché è
proprio nelle “occasioni mondane” che l’imbarazzo e le
difficoltà diventano insopportabili. Entrare in un negozio. ‘Detesto
andare a far compere. Sono così insicura che spesso non vedo nemmeno
cosa sto guardando: la mia preoccupazione per quello che dovrò dire
al commesso aumenta al punto da farmi dimenticare cosa dovevo
chiedere. I timidi devono vincere il timore di essere guardati, di
dover parlare con persone estranee, di essere al centro
dell’attenzione. Per questo non riescono dire di no e si sentono
obbligati a comprare qualcosa. Parlare in pubblico. Parlare davanti
ad altre persone è la situazione più temuta in assoluto dai timidi,
per i quali essere al centro dell’attenzione è il peggiore degli
incubi. L’ansia da “esibizione” è proprio intollerabile e può
produrre effetti inabilitanti quali sudorazione, rossore, tremore,
balbuzie e incapacità di parlare, talvolta anche nausea. La paura
che tutto questo possa accadere porta ad una perdita di lucidità: la
mente si svuota per il terrore. E l’unico rimedio per molti
consiste nel fuggire davanti al problema, cercando di evitare le
situazioni di cui ci si deve esporre, con gravi conseguenze per lo
sviluppo della carriera scolastica e professionale. La toilette
pubblica.
i chiama disuria, o sindrome della vescica inibita:
familiare a molti timidi, è l’incapacità di urinare in un bagno
pubblico, o in alcuni casi in casa d’altri o anche nella propria se
è presente qualcuno. E’ più diffusa tra gli uomini, e si presenta
con modalità differenti. Alcuni sono inibiti dalla presenza di
estranei, ma non di amici o familiari, per altri è esattamente il
contrario; per alcuni l’inibizione deriva dall’essere sentiti,
per altri dall’essere visti. Alla radice di questa sindrome, vari
fattori, tra cui la vergogna del proprio corpo, l’identificazione
della minzione con la sessualità, l’ansia da impotenza e un senso
di colpa che porta al desiderio di punizione. Stare al telefono.
Evitano l’uso del telefono ogni volta che possono e nelle loro case
c’è sempre la segreteria telefonica a fare da filtro verso
l’esterno. Ciò che più temono tutti è di essere presi alla
sprovvista senza avere nulla da dire, senza rispondere a “tono”.
Sono timidi con la fobia della cornetta, quelli che paventano silenzi
imbarazzati e imbarazzanti, l’incapacità di sostenere una
conversazione “come si deve”. C’è la preoccupazione di inviare
un segnale di debolezza e di inadeguatezza, senza poter verificare
“de visu” le reazioni dell’interlocutore. Occhi negli occhi.
Per molti timidi guardare qualcuno negli occhi è un’impresa
insostenibile. Per altri l’ansia nasce invece quando si è
guardati. La preoccupazione è come rispondere allo sguardo altrui e
come controllare il proprio, perché si è consapevoli che il
contatto oculare ha un ruolo nei rapporti sociali e che lo sguardo
diretto ha una connotazione positiva di chiarezza e sincerità. La
paura del linguaggio degli occhi ha significati diversi per uomini e
donne. I primi temono di apparire minacciosi e aggressivi,
incontrollati o “strani”. Le seconde sono invece più preoccupate
di trasmettere messaggi non voluti di seduzione o di disponibilità
sessuale. Mangiare al ristorante. In genere non riescono a mangiare
al ristorante, ma talvolta succede anche a casa in presenza di
ospiti. L’essere osservati dagli altri li fa sentire sotto esame e
ciò che li blocca, perché li terrorizza, è la paura di rendersi
ridicoli con gesti goffi: rovesciare il cibo, mancare la bocca,
mandare il boccone di traverso, non riuscire a deglutire, soffocare o
vomitare.
olto spesso l’umiliazione che si prova in casi del
genere, porta ad escogitare strategie complicate: dalla scelta del
ristorante, informale e poco affollato, al cibo, che deve essere
semplice e facile da mangiarsi. E, per finire … un goccino. Si
comincia a bere un bicchierino prima di andare a una cena o a un
impegno importante, per la sensazione di benessere e sicurezza che
l’alcol trasmette. E’ così, per l’illusione di spazzare via
quella paura degli altri che li opprime, che molto spesso comincia il
rapporto privilegiato dei timidi con il bicchiere. E in effetti basse
dosi di alcol agiscono sulle aree del cervello che controllano il
comportamento, per cui chi beve si sente più libero e si comporta in
modo “sciolto”. L’alcol libera nel cervello dei
neurotrasmettitori che inibiscono l’ansia, producendo una
sensazione di benessere sociale e di rilassamento. Il problema è che
con il passare del tempo le dosi di alcolici aumentano gradatamente e
cresce la tolleranza nei confronti dei suoi effetti, che diventano
l’unico mezzo per combattere la timidezza, l’ansia che ne deriva,
la paura della solitudine. Così l’alcol a lungo andare,
interferisce con il processo psicologico che dovrebbe portare ad
affrontare le proprie ansie e paure mano a mano che si presentano. Il
problema è molto presente anche tra gli adolescenti: è provato il
maggior ricorso a sostanze psicoattive da parte dei timidi. Sono
soprattutto i maschi - anche se le femmine attualmente se la cavano
molto bene – estremamente timidi che tendono a fare abuso di alcol.
Non bisogna mai dimenticare che l’alcol dà coraggio ma è solo in
prestito … chiede poi tutti gli interessi. Cosa fare. Il primo passo
è quello di essere più flessibili e tolleranti con se stessi. Tutto
ciò che è malleabile, morbido e fluido, trasforma e sviluppa la
vita, mentre ciò che è rigido, inflessibile blocca ed “avvizzisce”
ogni cosa vitale. Essere “sciolti” aiuterà ad eliminare la
sensazione di “goffaggine” prima che degeneri in “patologia”.
Attraverso massaggi psicosomatici, rilassamento, e visualizzazioni si
possono sciogliere gradatamente la tensione e la rigidità legate a
questo vissuto emotivo che limita l’immaginazione e lo spazio di
libero movimento. Alzare, poi, il livello di autostima è
fondamentale perché fa sentire bene con se stessi, al comando della
propria vita, pieni di risorse e creativi. Poiché il sentimento di
inferiorità è un terreno fertile per la depressione sarà
importante “lavorare” sulla consapevolezza del legame tra
pensieri e stati emotivi, che si modificano e variano di intensità
grazie all’influenza reciproca. E’ una strategia che permette di
controllare ed integrare pensieri ed emozioni, così da modificare in
maniera più vantaggiosa il “comportamento” nelle relazioni
interpersonali. Gli altri giudicano? Giudicherebbero ugualmente,
anche se “andasse tutto bene… anche quando si è quasi perfetti”,
anzi forse di più! Provaci, si può vincere da soli o, in casi più
gravi, con l’aiuto di un professionista qualificato, su la testa …
non fare il timido!
TIMIDEZZA
nei BAMBINI
’
un fenomeno moto diffuso che rende difficile l’integrazione sociale
dei ragazzi d’oggi. Secondo la mia esperienza clinica, un buon 25%
dei ragazzi (più maschi che femmine, perché avvertono in maniera
schiacciante il giudizio dell’adulto e il peso di vivere secondo un
modello prestabilito; alla femmina nella nostra cultura è concessa
una più vasta gamma di reazioni emotive) che si rivolgono ad una
psicoterapia presenta serie difficoltà relazionali. L’elemento
fondamentale di questa richiesta è proprio la timidezza. Spesso, la
timidezza esprime una condizione esistenziale momentanea, legata alla
difficoltà di trovare un’identità solida. In questi casi
intervenire è davvero superfluo, se non addirittura dannoso. La
timidezza sfocia nella patologia quando dà sintomi di scarso
adattamento sociale, distinguendosi così da profonda ansia e
depressione. I segnali? Insicurezza, difficoltà di articolazione del
linguaggio, problemi scolastici gravi e ritardo nello sviluppo
intellettivo. Ma anche un comportamento aggressivo, può essere una
valvola di sfogo per esprimere il disagio. In ogni caso,
un’attenzione sensibile e costante verso i figli e un intervento
tempestivo sono la chiave per risolvere il problema. La timidezza non
è sempre un male silenzioso. Spesso si esprime con il linguaggio
della malattia. O, persino, della devianza, in età
preadolescenziale. L’asma, ad esempio, insorge solitamente intorno
a tre o quattro anni, come richiesta di calore, attenzione e di
coccole di un genitore distante. Si accompagna, soprattutto nell’età
prescolare, ad un vissuto di isolamento. Ed esprime un bisogno di
contenimento che il bambino non comunica, per paura di un rifiuto.
Stipsi e diarrea presentano una chiara matrice simbolica: l’intestino
trattiene e rilascia in maniera irrazionale, testimoniando la
difficoltà del ragazzo a porre se stesso in relazione con il mondo.
Quando la timidezza soffoca l’aggressività, non è raro rilevare
problemi digestivi. E in alcuni casi, persino ulcera. Stessa
eziologia anche per i problemi dermatologici, croce di molti
preadolescenti: le difficoltà di relazione esplodono sulla pelle,
che delimita simbolicamente lo spazio interno in funzione del
(temuto) contatto con gli altri. E quando timidezza ed aggressività
convivono?
’associazione di timidezza e aggressività, alcuni
studi lo confermano, può essere un fattore di rischio per le
“dipendenze” … l’abuso di sostanze stupefacenti. Cosa fare.
Innanzitutto, evitare comportamenti errati, come quello di
etichettare il bambino con definizioni improprie. Dargli del timido è
decisamente sbagliato: magari il piccolo è solo poco socievole, a
volte con la sua ritrosia esprime un’antipatia istintiva per
qualcuno … si rischia di etichettarlo, di farlo identificare in
quella parola – immagine (rendere una cosa permanente che invece è
solo momentanea). Per di più si corre il rischio che il bambino si
comporti da timido per non tradire le aspettative di un genitore che
lo considera tale, finendo così per eleggere la timidezza a unica
modalità di rapporto con gli altri (o come alibi: tanto io sono così
quindi non posso …). In secondo luogo, se proprio di timidezza si
tratta, è bene utilizzare il gioco per risolvere il problema. Tanto
meno poi si “medicalizza” il piccolo (ti porto dal dottore, dalla
dottoressa, dallo specialista …), tanto più facilmente si uscirà
dal problema. In questo modo è possibile evitare che nel bambino si
instauri un sentimento di inferiorità che sarebbe molto
controproducente.
FINALMENTE
MI PIACCIO … adesso però!
a è proprio vero che
piacere agli altri sia anche piacere a se stessi? Avere un fondo
schiena come l’attrice del momento o possedere un “fisico
bestiale” come auspica quel famoso ritornello musicale, sia
davvero sufficiente? Purtroppo, non funziona in questo modo.
Sentirsi belli non è solo una questione di immagine riflessa
allo specchio, ma è un qualcosa che coinvolge molti aspetti
della personalità; quello che conta realmente è già dentro di
noi, a volte in maniera celata, ma è sempre lì, pronto a fare
la sua comparsa. Non è raro, infatti, per chi - come me - si
occupa di disagi emotivi verificare, accanto ad ogni
“guarigione”, un cambiamento di atteggiamento verso la
propria immagine; rievocare improvvisamente quella vera, unica,
quella che, inspiegabilmente, nel tempo, è stata dimenticata e
sepolta. L’immagine non è mai statica, è in continua
evoluzione, cambia molte volte durante l’esistenza; può essere
influenzata da pensieri, emozioni e aspettative catastrofiche. Il
modo di vedersi e le varie convinzioni sull’attrattività
fisica costituiscono, spesso, un forte ostacolo ai rapporti
sociali, tale da mettere in pericolo l’aspetto affettivo, la
serenità e l’equilibrio psicofisico. Il difficile rapporto con
lo specchio nasce quando l’immagine riflessa non ha niente a
che fare con la realtà. In base allo stato d’animo, infatti,
lentamente prende forma - accanto ai lineamenti veri - una
potente immagine di riferimento: figure idealizzate, modelle
impeccabili, perfette e seducenti, quelle dei rotocalchi, della
pubblicità onnipresente; modelli a dir poco “difettosi” e
sempre irraggiungibili, fuori dal tempo e dallo spazio, che non
tengono mai conto dell’unicità della persona. Tale errore
nasce in parte dalla visione confusa ed appannata della
“bellezza”, imposta sempre da una pressante cultura
consumistica, che spesso disorienta e crea - propinando modelli
non del tutto disinteressati - problemi nel percepire
correttamente la vera immagine, imprigionandola in un persistente
vortice di infelicità, in ruoli forzati, in copioni sempre più
sterili e futili. Un’immagine, secondo questa visione, che per
apprezzarla bisogna essere completamente diversi da come si
è; aggiungendo alla propria esistenza sempre quel fastidioso e
snervante qualcosa in “più”: ma chi può stabilire realmente
il limite per quel “più”?
n questo modo, calandosi nel
territorio dell’immagine falsificata, dell’insicurezza e
sopraffatti da una persistente frustrazione, oltre a non piacersi
mai abbastanza, ci si allontana dall’originalità e dalla
propria identità. Quando si esibisce una bellezza estranea a se
stessi, non in sintonia con il proprio stile, si è costretti ad
“elemosinare” con insistenza l’attenzione della gente per
verificare la gradevolezza del proprio aspetto; pareri forzati,
continue conferme ed approvazioni inutili che non portano da
nessuna parte (distraggono, indeboliscono e sfiniscono come un
interminabile giorno di lavoro). Basta un attimo di distrazione
da parte di qualcuno perché il tutto si concretizzi in una
profonda angoscia, in piccoli dubbi e oscure incertezze. Non ci
si sente mai abbastanza attraenti perché i “cattivi censori”
(noi compresi), ci hanno inculcato che dobbiamo essere diversi da
come siamo, che è fondamentale correggersi continuamente - pena
l’esclusione dal “gregge” - prendendo modelli di
riferimento completamente estranei e distanti dalla propria
natura, che spesso si rivelano irraggiungibili e frustranti.
Modelli idealizzati e seducenti, perseguiti più per farsi
accettare e piacere agli altri che per il proprio benessere.
Spinti sempre più dalle mode del momento, dal timore del
giudizio altrui, dall’apparire sempre più giovani e avvenenti,
si perde di vista la vera e propria bellezza “interiore”,
quella che rende davvero soddisfatti, sicuri, liberi, felici, in
pace con se stessi e con gli altri, e fa sentire bene in ogni
momento della giornata.
on quella bellezza sofisticata,
instabile, affannosa, fatta di lifting e trattamenti ingannevoli,
in cui basta davvero poco per sentirsi “fuori posto”. Le
giornate in questo modo trascorrono svogliatamente con la
convinzione di essere dei perdenti, in un clima di sfiducia,
sotto il segno dell’ inadeguatezza e avvolte da un profondo
senso di fallimento; ci si sente perduti, abbandonati in un mondo
- sebbene non proprio pericoloso - che appare incerto, squallido
e un po’ spaventevole. Fenomeno che allontana, in maniera
subdola, dalla propria vera “trama”, fino a perderla
completamente. L’immagine non riguarda solo l’aspetto
estetico, è uno stato d’animo, un fenomeno soggettivo che
coinvolge altri fattori della personalità come ad esempio lo
sguardo, il profumo, la naturalezza, la spontaneità, le parole,
il tono di voce, il modo di parlare, di ridere e gesticolare, di
accarezzarsi i capelli, il muoversi in maniera armoniosa, il
look, la sicurezza, il senso di libertà, indossare “bene” un
vestito. Una condizione che favorisce l’armonia psicofisica, il
senso di soddisfazione, il volersi bene e, soprattutto, stimola a
mettere in atto tutte quelle risorse e strategie per vivere bene
nel proprio corpo. Quando ci si sente “attraenti” tutto
diventa armonioso: l’unità psicosomatica, essendo in perfetto
equilibrio, annulla quel senso di inadeguatezza che paralizza
l’esistenza e vincola a modelli troppo distanti da se stessi.
Non si dubita più del proprio aspetto perché anche quel ‘peso’,
quel ‘naso’ e quell’altezza’, se portati con naturalezza,
senza condizionamenti, ruoli obbligati e immagini stereotipate,
possono diventare un punto di forza, un qualcosa di speciale ed
originale (… che attrae).
a bellezza che nasce dall’armonia
mente - corpo, non ha bisogno di “trucchi”, orpelli e
maschere varie perché, in ogni momento, è autentica ed è
costruita su valori solidi e sicure fondamenta emotive. Vedersi
più belli significa saper “giocare”, ogni giorno, con il
proprio corpo, uscire allo scoperto, alla luce del sole ... non
strisciare più sui muri all’imbrunire del giorno per essere
ancora una volta “invisibili”, “trasparenti” e impotenti
sul palcoscenico della vita, ma essere sempre protagonisti …
ritornare padroni del proprio destino. Mai arrendersi ed
accontentarsi, tirare i remi in barca significa lasciare le cose
al caso, la bellezza, invece, va coltivata, coinvolge ogni
dimensione dell’esistenza, colora ogni aspetto della vita e,
soprattutto, spinge a navigare, in maniera davvero originale, nel
grande mare della vita. I miglioramenti devono avvenire sempre
senza sforzo ed apprensione perché, diversamente, si crea
fastidio, tormento, confusione, imbarazzo, instabilità e
tensione ingiustificata nel corpo. Per piacersi, quindi, sarà
utile concedersi anche quei “trattamenti” che - rispettando
il proprio stile - contraddistinguono e valorizzano ogni tratto
della personalità. Ogni processo di “cambiamento”, perché
abbia valore nel tempo, deve essere sempre firmato da un grande
autore: il soggetto stesso. Non è mai vanità, ma un’attenzione
particolare che va a ricomporre, unificare, riconciliare e
valorizzare quelle parti profonde trascurate che - proprio perché
non ascoltate o considerate - si fanno sentire attraverso giudizi
di valore, sfiducia, insoddisfazione e auto - commiserazione; la
sensazione che manca sempre qualcosina … ancora e ancora, poi
ancora di nuovo, all’infinito … risultato, non piacersi mai.
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Mettiti
il vestito più bello… indossa l’AUTOSTIMA.
utostima
significa piacersi, volersi bene ed essere soddisfatti di come si è
adesso… sentirsi bene nella propria pelle. Se la “incontri”, te
ne accorgi subito, ti cambia davvero la vita. Un processo interno che
produce fiducia in se stessi e, soprattutto, permette di affrontare
con serenità , lucidità e sicurezza tutte le esperienze della vita:
la famiglia, la coppia, il lavoro e le amicizie. E’ uno stato di
coscienza che - oltre a portarci fuori dai labirinti del quotidiano e
dal pantano esistenziale - nasce quando si ha un buon rapporto con se
stessi e gli altri… non ci si lascia mai influenzare o condizionare
- per quanto allettanti - da aspettative “miracolose” esterne.
L’autostima, impossibile farne a meno, è la colonna portante della
nostra salute, restandoci accanto ci regala, in maniera naturale,
senza sforzo alcuno, felicità, benessere e voglia di vivere. Si
esprime attraverso la fantasia, la creatività, il talento, il
buonumore e la voglia di fare. Chi si stima, infatti, è pieno di
energia, ha una salute di ferro, diventa sereno, creativo, rilassato,
meno svogliato e sa trasmettere il suo buonumore agli altri… sa
prendere le decisioni e le “strade giuste”. Chi non si stima,
invece, si giudica, si autocritica, si sente in soggezione, non
riesce a rilassarsi in mezzo agli altri, presta troppa attenzione a
ciò che la gente può pensare di lui, ragiona con la testa non sua,
non sa mai cosa dire, si muove poco per paura di fare brutta figura …
si sente sempre in prestito a casa propria. In breve, non va mai
bene, non è all’altezza delle situazioni e pensa sempre male di
sé. Soggetti sempre pronti a soddisfare gli altri e far contento -
sopprimendo le proprie esigenze - chi vive al loro fianco …. pendono
letteralmente dalle labbra altrui. Quando manca la giusta percezione
di se stessi, la consapevolezza delle proprie qualità e del proprio
valore è facile creare rapporti interpersonali difficili e
conflittuali, e crescere figli che a loro volta avranno problemi
relazionali (recita un vecchio adagio: oggi a me domani a te… di
ripete la fotocopia del disagio).
hi si svalorizza lo si riconosce
subito, in genere non si espone mai, usa frasi fatte con voce
flebile, senza vitalità, con un eloquio incerto, evita - per
bypassare le critiche - di mettersi al centro dell’attenzione,
guarda in basso, si contorce in preda all’ansia: offre un’immagine
di sé scarica, rinunciataria, perdente e pessimista. La disistima si
manifesta attraverso una profonda insoddisfazione, un senso costante
di inadeguatezza, un continuo nervosismo e una stanchezza generale…
ci sentiamo dei perfetti falliti, ci vediamo incredibilmente goffi e
brutti. Ogni volta, poi, che questo soggetto intravede la possibilità
di un cambiamento viene preso dai dubbi, dall’incertezza e dai
sensi di colpa che lo portano a “transennare”, se non bloccare
completamente, il processo innovativo, condannandolo in tal modo ad
un’esistenza senza via d’uscita. I danni più immediati della
mancata autostostima, sempre incalcolabili, non si esprimono solo a
livello psichico (depressione, ansia, panico) ma anche
nell’organismo: se la soddisfazione latita anche il corpo ne
soffre. I disturbi del corpo, spesso, riguardano fenomeni di rigidità
e di trattenimento: mal di schiena, torcicollo, cefalea, artrite, mal
di stomaco, stipsi e colite. Malattie classiche di chi è
eccessivamente rigido, contratto e severo … tipico di chi non si
vuole molto bene. Tutti malesseri che denotano una difficoltà a
rilassarsi, lasciarsi andare e di essere se stessi, completamente
estranei ad un agire spontaneo, autonomo e libero… così, l’ansia
è di casa e il panico nell’androne. I danni del mancato amor
proprio, alcuni studi lo confermano, sono anche fra le concause di
patologie piuttosto serie e frequenti: abbassamento delle difese
(scontentezza, rimpianti, rancori), infarto (agitazione, tensione e
sforzo mettono a rischio il cuore) e soprappeso (la mancanza di
creatività lascia un “vuoto” interiore incolmabile). Il pericolo
maggiore quando si è presi dalla disistima è probabilmente quello
di inciampare nella depressione. Quando la vita è caratterizzata da
insoddisfazione, da frustrazione, da un profondo senso di
inferiorità, dalla convinzione di non riuscire a fare nulla di
buono, di essere inferiori, incapaci e inconcludenti (tendenza di chi
non si piace) può cronicizzarsi in un drammatico quadro clinico
depressivo.
olti sono i modi di pensare che si traducono
immediatamente in sofferenza e frustrazione: credere di raggiungere
la felicità solo quando si avrà successo, si incontrerà il partner
giusto, si metteranno via più soldi, si comprerà l’auto di moda,
la casa e il vestito più bello… l’autostima invece comincia
subito, non domani, si vive ora, adesso! In questo modo, legando
l’autostima ad obiettivi futuri, altro non si fa che rimandarla ad
un tempo incerto e lontano… e così, proiettati pericolosamente nel
futuro, gli anni passano tra illusioni e delusioni per obiettivi non
raggiunti. I progetti mai realizzati e le ambizioni mai raggiunte
sono tra i motivi principali che fanno entrare nel tunnel della
depressione e cadere nella disistima. Anche il passato ha i suoi
grattacapi: un tempo che fa cambiare lo stato d’animo attuale a
seconda dei ricordi (positivi o negativi). Ritagliamo una sequenza,
un pezzo del passato, un tempo che non esiste più, pieno di
confronti, rimpianti e rimorsi, con tutti i suoi perché e i sensi di
colpa (trappola della disistima), e lo facciamo rivivere
nell’attualità. L’autostima, quindi, non è un lusso ma una
preziosa chiave che apre la porta al benessere e mantiene in perfetta
salute l’intero psicosoma nel tempo presente … vivere nel tempo
presente fa incontrare se stessi e aiuta ad appropriarsi del proprio
spazio fisico e mentale. Ma come si recupera la fiducia smarrita?
Pensar male di sé, l’abbiamo visto, produce una grande quantità
di effetti negativi sia nella mente sia nel corpo. Se cambiamo
mentalità, la sicurezza, la salute e il benessere sono a portata di
mano. L’autostima si crea giorno dopo giorno, mattone su mattone,
quando si è presenti a se stessi, facendo piccole e semplici cose
quotidiane: riattivando antiche sensazioni e realizzando qualcosa per
se stessi che si vuole davvero. La rinascita dell’autostima,
quindi, essendo un fenomeno interno non esterno a noi, passa
esclusivamente attraverso una serie di atteggiamenti, pensieri e
operazioni pratiche che hanno un unico obiettivo: dare spazio alle
nostre risorse e recuperare un buon rapporto con noi stessi. Gesti
che possono cambiare la percezione di noi stessi e delle cose. Una
via maestra per ricominciare a rispettarsi e a volersi bene… fare
di se stessi sempre un capolavoro. Uno stile di vita più spontaneo e
un “sano egoismo” spengono i disagi e fanno ritrovare
l’autostima … benessere che si può raggiungere da soli o, nei
casi più delicati, con l’aiuto di uno psicoterapeuta qualificato.
ICORDA,
l’autostima, non solo ti libera l’organismo da pesi inutili e
dannosi, ma è anche l’arma più potente a tua disposizione per
sconfiggere ogni malattia … anche il cancro. Alla larga da tutti
quei rapporti “tossici” che ti contaminano, ti fanno sentire
sempre difettoso, allontanati da chi ti fa sentire “piccolo”, ti
toglie aria e invade il tuo spazio di libero movimento … stai con
quelli che ti fanno sentire spontaneo e naturale in ogni momento …
senza maschera … tieni bene in mente, come la mucca caccia via
istintivamente con la coda la mosca sulla sua schiena, anche tu hai
il diritto di opporti a tutte quelle aspettative altrui che non ti
appartengono e che spesso ti senti costretto a seguire, quei vincoli
che non fanno per te … quelle cose che ti spingono a sacrificare le
tue inclinazioni naturali, le tue vere esigenze: prenditi il tuo
spazio, segui i tuoi progetti, le tue priorità, esprimi le tue
passioni … la tua unicità (non è difficile, con l’allenamento
emergerà un senso di soddisfazione, di piacere e di libertà).
FIDUCIA
IN SE STESSI
a
parola fiducia deriva dalla radice latina “fides”: sentimento
di sicurezza che si esprime nel confidare in qualcuno o in
qualcosa. Si tratta, pertanto, di un particolare legame che
unisce l’individuo con l’ambiente circostante; la fiducia può
essere considerata un elemento chiave del funzionamento psichico,
per affrontare tutte le prove della vita semplici o complesse.
Avere fiducia significa affidare all’altro, in maniera libera,
autonoma, senza timori di sorta e ansie, qualcosa di importante,
come ad esempio sentimenti, incarichi, segreti, ruoli, amicizia.
La fiducia è un ingrediente fondamentale per una relazione
significativa, sia nei rapporti interpersonali, sia nell’ambito
lavorativo, in quanto rende, senza dubbio, più incisiva la
comunicazione e più forte un legame. Questo termine viene
utilizzato quindi per definire non solo la capacità di un
individuo di percepirsi globalmente, nella sua totalità, in
maniera positiva - riconoscere le principali risorse personali -
ma anche la consapevolezza di possedere tutte quelle competenze
necessarie per far fronte e gestire le evenienze della vita. Tale
percezione realistica del proprio valore, che nasce dalla stima
di sé, è estremamente importante per l’individuo, non solo
per definire e programmare gli obiettivi realisticamente, ma
anche per la loro realizzazione in maniera più concreta
possibile (senza aspettarsi molto dagli altri). Senza questa
condizione psichica, la convinzione, l’impegno e la fermezza
verso la realizzazione di qualsiasi progetto diventano
impossibile. Con una mediocre ed incerta valutazione
delle proprie capacità l’individuo dubita di essere in
grado di gestire le varie richieste che si trova di fronte ed è
perennemente insoddisfatto anche dei risultati che ha raggiunto,
convinto di non essere all’altezza dei colleghi, degli amici e
dei familiari (… un perenne confronto e dubbio amletico). Chi è
insicuro delle proprie capacità e teme l’insuccesso, non solo
affronta gli impegni della vita con eccessiva apprensione, ansia
e dubbi, o nei casi estremi li evita adducendo qualche pretesto,
ma si assicura inevitabilmente - con questa “strategia” di
chiusura, rifiuto e pessimismo - insuccesso e delusione,
consolidando ulteriormente l’immagine negativa che ha di se
stesso. Considerato che noi siamo le nostre decisioni (la fiducia
in se stessi influisce sul modo in cui si vedono le cose, si
interagisce con la gente e l’ambiente circostante), se non
crediamo in noi stessi saremo certamente disimpegnati nei loro
confronti.
a supportati dalla fiducia, fondamenta indiscutibile
del benessere e della felicità di ciascun individuo, diventa
possibile raggiungere soddisfazioni, risultati consoni alle
proprie esigenze ma, soprattutto, padroneggiare - in maniera
veramente gratificante - qualsiasi compito, impegnativo o meno,
si presenti davanti. Molto spesso la disistima viene compensata
attraverso una facciata di millanteria e vanagloria, che non
aiuta sicuramente a creare fiducia in se stessi, anzi aggiunge
tensione e preoccupazione maggiore, in quanto tutte le persone
con cui ci si rapporta inviano di riflesso, amplificando
ulteriormente, un’opinione scadente e una pessima immagine. Se
l’autostima è scarsa e la fiducia in se stessi risulta
mediocre, determinando una situazione di stallo, invalidante e di
grande sofferenza psichica, per sciogliere questa difficoltà
emotiva può essere necessario arrivare alle cause che ne sono
all’origine, e in tal caso il supporto di un professionista
competente può essere opportuno e consigliabile. La fiducia in
se stessi comunque può essere rafforzata, non in modo
superficiale ma autentico, quando ad esempio ci si riconosce in
maniera consapevole di avere più talento e risorse di quanto si
possa pensare, senza criticarsi eccessivamente, senza porsi
esagerate evoluzioni e aspettarsi cose grandiose, in breve,
quello che si è veramente (con pregi e difetti). Il vero
problema è che molte persone hanno perso il contatto con quello
che costituisce le risorse personali.
on dobbiamo dimenticare
che una solida fiducia non è un fenomeno genetico ma
semplicemente un’abilità che si costruire - mattone su
mattone, giorno dopo giorno - attraverso una relazione positiva
con l’ambiente circostante: non troppo frustrante e non troppo
protettiva. Lo sviluppo della fiducia è legata sempre alle
caratteristiche soggettive e alle richieste ambientali, quando
questi due elementi entrano in conflitto viene compromesso il
senso di fiducia e di autostima. I primi momenti di vita del
bambino sono fondamentali per la formazione della sua
personalità. Sono formativi in quanto consentono, attraverso i
vari apprezzamenti e i riconoscimenti dei suoi successi, di
garantire il senso di sicurezza, continuità, affidabilità e
regolarità. Si diventa adulti a poco a poco, sempre
gradatamente, non bisogna bruciare le tappe evolutive. E’ in
questa fase che si gioca tutto, il bambino riceve impressioni
molto profonde e prende solidissime abitudini: diventa pauroso o
intraprendente, fiducioso o dissimulatore, gioioso o triste. Deve
diventare adulto, attraverso una sufficiente libertà - nel
massimo rispetto dei suoi tempi e delle sue competenze - e
contemporaneamente deve percepire la sicurezza che scaturisce
dall’autorità che il genitore esercita (caratteriste mai
contrapposte: libertà e autorità sono bisogni inscindibili e
complementari). Tutto ciò che va ad accelerare la crescita
(competenze fisiologiche, cognitive, sociali) non fa altro che
turbarla e ritardarla, ma soprattutto, crea una profonda
fragilità. I figli non imparano esclusivamente attraverso le
parole e consigli, ma vivendo con loro in maniera realistica e
reagendo sempre in maniera spontanea a ogni avvenimento. Superare
insieme le piccole difficoltà esistenziali permette di
sviluppare una valida capacità emotiva in grado di superare
disagi molto più importanti. Le cose più spiacevoli per un
bambino sono le incomprensioni e i continui litigi familiari in
quanto con tali comportamenti si distrugge il senso di fiducia
futuro: i genitori, è bene ricordare, sono gli strumenti e
l’equipaggiamento per gestire la vita.
uando si vive in funzione degli altri, si
cerca continuamente l’approvazione dell’interlocutore non si
è più se stessi, qualcosa si spegne lentamente, si ha la
sensazione di essere incompleti, dentro manca qualcosa: calano
gli interessi, perennemente stanchi, pesanti nel corpo e nella
mente, si è spinti solo dal dovere, non dalla curiosità e
dall’interesse: si è semplicemente impacciati, disorientati,
annoiati, NOIOSI e OBESI!!!
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Le SCELTE
“giuste” …
nterrompere
un rapporto in crisi o tenere duro? Coi familiari, essere severi o
tolleranti? Cambiare attività o “restare lì”? In amore, in
ufficio, con i figli, di fronte a situazioni più o meno complicate,
volenti o nolenti, scegliere tra diverse linee di condotta è
inevitabile. Nessuna persona, sana o bloccata che sia, può sottrarsi
al processo decisionale. Tutti i giorni la vita impone la necessità
di compiere delle scelte. La scelta, comunque la si veda, è sempre
espressione di libertà. Ogni decisione può risultare faticosa e
dolorosa: se si segue una possibilità, se ne deve abbandonare
un’altra. Di solito, quando il malessere controlla la vita, si
sceglie la cosa peggiore: rimandare… alle calende greche. Una vita
“serena” non presuppone la capacità di non sbagliare mai, ma
quella di prendere una strada anziché un’altra. In pratica,
l’incapacità di scegliere non è semplicemente una disinvolta e
spassionata analisi delle alternative. E’ un fenomeno che coinvolge
molto di più del proprio essere, il proprio mondo emotivo; la
propria capacità nel trovare delle soddisfazioni è in gioco. Nei
fatti l’immagine autentica di se stessi è in ballo. Si è
soddisfatti di se stessi quando si è fiduciosi, e ci si considera
deboli, impotenti, e minacciati quando il potere decisionale è
annullato. Spesso una quantità di seccature giunge ad infastidire il
soggetto quando è dominato da questo stato di indecisione:
irritabilità, insonnia e la semplice capacità di disfarsi di pochi
problemi. L’opposto dell’incertezza è l’assenza di paura.
iducia, sicurezza, certezza, convinzione non sono affatto associate
con le condizione di questo turbamento emotivo. E’ il peso
dell’incertezza che deteriora il proprio modo di vedere in alcune
importanti biforcazioni della propria strada. Quando l’incertezza è
dominante viene ostacolata non solo la crescita emotiva che porta ad
innumerevoli insuccessi - soprattutto a livello interpersonale - ma
crea dei presupposti per una cattiva condizione di salute
psicosomatica. Spesso, la maggior parte delle vittime coinvolte in
questo fenomeno non è consapevole del “veleno” in esso
contenuto, anche se può essere cosciente della paralisi e dei
sintomi che ne derivano. Il soggetto è calato in una dimensione di
estraneità e di incertezza, ha la sensazione di essere fuori luogo,
ma soprattutto, di essere perennemente a disagio, in “prestito”,
in “affitto” in casa sua. Un atteggiamento di “stallo”
determina sempre sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia,
amarezza e disperazione senza rimedio. Certe scelte, senza rendersene
conto, oltre a non far dormire, possono complicare in maniera
esagerata la vita (la morale condiziona…mentre i preconcetti
rallentano, bloccano, deviano). Ancor più difficile è fare delle
scelte solide e positive in uno stato di disperazione, tensione o di
grande agitazione. Ci sono situazioni, poi, in cui si deve agire con
la massima solerzia e con coraggio perché non c’è molto tempo, ma
anche “riposarsi sopra”, quando si devono prendere decisioni
importanti, non è del tutto sbagliato. Decisioni come ad esempio
matrimonio, convivere o rompere un rapporto devono essere sempre
ponderate: l’arte di conoscere le persone e se stessi in relazione
con gli altri richiede più tempo e molta attenzione (… soprattutto
se si è confusi). Il successo in ogni settore teso verso conquiste
che partono da scelte libere - in linea con la propria natura - che
riflettono quello che l’individuo effettivamente è, i suoi valori
reali, è un buon punto di partenza per rendere la vita più
soddisfacente.
attaglie vinte in sintonia con la propria vera natura
sono un terreno fertile per giungere alla felicità e farsi una
“flebo” di autostima. Al contrario, conquiste derivanti puramente
da un atteggiamento di aggressività compulsiva (bisogno di dominare
gli altri), dall’obbedienza conformista ai dettami culturali e
sociali, o da un bisogno di trionfo vendicativo (sentimento di
vendetta… la testa piena di rancori rende confusi, produce
incertezza e la sensazione di sbagliare sempre tutto) lasciano un
senso di vuoto, di sbandamento, di tristezza e di povertà interiore,
nonostante l’apparente grandezza della conquista. Ma perché è
così difficile decidere, trovare le risposte? Sembra facile, ma come
si fa a decidere? Quale “oracolo” ascoltare? Di fronte a certe
situazioni complicate qual è la vera strada? All’origine di tale
fenomeno ci possono essere molte cause come la paura di sbagliare,
una importante fragilità emotiva, la mancanza di fiducia e
conoscenza di se stessi, l’ansia, lo stress e, soprattutto, la
bassa autostima (quella purtroppo è come il prezzemolo, non manca
mai!). Queste condizioni emotive avvolgono e permeano quasi tutti gli
aspetti della vita, ma sono particolarmente deleteri nel processo
decisionale. Come per tutti i malesseri di natura psicosomatica, la
diagnosi è di primaria importanza, e questo è particolarmente
valido nel caso dell’indecisione. Conoscere, individuare e capire
perché si rimane al “palo” è fondamentale per vincere la
battaglia contro l’indecisione e realizzare se stessi; è del tutto
impossibile, infatti, combattere un nemico che non si vede e, ancor
peggio, che non si conosce (non comprendere le origini, le cause e le
declinazioni concrete di un fenomeno, non solo rende impotenti a
livello risolutivo ma si amplifica nel tempo la produzione e la
dimensione). Cosa fare. Saper fare delle “buone” scelte può
davvero cambiare la vita e farle sicuramente bene; è una qualità
che si impara nel tempo “allenandosi” ad evitare gli errori più
comuni. E’ molto importante - per ripulire il cervello da dubbi e
indecisioni - comprendere la differenza che esiste tra scelte false e
quelle vere. Ogni volta che ci si trova davanti ad una decisione,
piccola o grande che sia, e non si sa bene come affrontarla sarà
importante ridurre le parole e i pensieri: evitare la tentazione di
parlare con il primo che si incontra. Evitare, insomma, di
addentrarsi in un labirinto di dubbi e di pensieri: la mente nitida e
leggera è sempre più efficace. In questo modo, “spurgando” il
cervello da tutti quei pensieri inutili, che non servono
assolutamente a nulla (mettendo a tacere interferenze interne ed
esterne), la scelta giusta può prendere forma. No diventare pesanti
e lamentosi, parlare poco e con una persona fidata (che sa ascoltare,
non da consigli e non giudica… perché l’unica cosa di cui si ha
realmente bisogno è di fare chiarezza dentro se stessi) è la cosa
più saggia che si possa fare in questi frangenti.
er rendersi, poi,
più liberi, autonomi ed efficaci nel decidere ci vuole sicuramente
un buon addestramento. Molto spesso si fatica a fare scelte giuste
perché si è terrorizzati che possa spiacere a qualcun altro. In
questi particolari momenti risulta fondamentale rispolverare un “sano
egoismo”. Se non si è allenati a questo amore per se stessi, cioè
la capacità di tenere in primo piano le proprie esigenze, diventerà
sempre più difficile prendere decisione giuste ed in linea con la
propria natura. Si sarà sempre in balia dei giudizi della gente e
non si sarà mai in grado di dire di “no” a tutti coloro che sono
abituati a raggirare, a calpestare la libertà altrui o, ancor
peggio, ad usare gli altri. Uno sguardo, poi, distaccato e un po’
più neutro, da soli o con l’aiuto di un esperto se il quadro
clinico è complesso oppure quando ostacola completamente la vita,
aiuterà a purificare la mente, ad essere più obiettivi, a ridurre
l’ansia. Se sono ben chiari gli obiettivi si riuscirà a prendere
decisioni vincenti… favorire soluzioni nuove, inaspettate e
originali. Riassumendo. Ma sempre, comunque … al di là di Cosa
fare. E' fondamentale fermarsi un attimo e con consapevolezza
formulare questo pensiero: “E adesso tocca proprio a me”. È un
pensiero un po’ fantasioso ma che porta al centro di se stessi. Una
espressione che rappresenta la propria unicità perché, non
dimentichiamolo mai, la vita è nostra (non degli altri), la felicità
da conquistare dipende solo da noi. Saper fare scelte giuste può
davvero cambiare la vita e farle bene. Altro non è che sapersi
offrire il lato migliore delle cose, quindi una vita migliore. E’
umano quando non riusciamo a levare un ragno dal buco, non saper cosa
fare, lasciarsi abbattere dallo sconforto, dal dubbio. Allora ogni
volta che si pone una difficoltà, piccola o grande che sia, e non si
sa come affrontarla è fondamentale ricordarsi di alcune strategie
per attivare strumenti semplici e concreti attraverso i quali ci si
avvicina in un modo nuovo al mondo delle soluzioni: Ridurre parole e
pensieri. Prima di tutto evitare di addentrarsi in un labirinto di
dubbi e pensieri.
a mente leggera è decisamente più risolutiva ed
efficace. No a lamenti, parlare poco e solo con una persona fidata,
il cui ruolo è fare “da specchio”: mentre si parla, le parole
aiuteranno a rappresentare la situazione in ogni prospettiva. Non è
di un consiglio che si ha bisogno, ma di lasciar emergere le parole
evitando che i dubbi ridondino in testa. Diventare spettatori.
Un’altra strategia efficace è quella di guardare se stessi come
uno spettatore e non come un attore sul palcoscenico. Per fare la
scelta giusta occorre per un po’… non decidere (a tutti i costi).
Si è più lucidi quando si osserva un evento senza essere coinvolti
in prima persona. Anche questa mossa sarà molto utile al
conseguimento del risultato finale. Far parlare l’interiorità. Il
terzo intervento colpisce il centro o, meglio, per usare un semplice
eufemismo va dritto al “cuore” del problema. E’ il cuore, non
la testa, che sa cosa serve alla propria felicità, che conosce il
percorso giusto, la propria autorealizzazione. Il cuore, centro degli
affetti, non può essere condizionato come la mente, lui batte al suo
ritmo e non si è in grado di modificarlo. Pensare con il cuore
significa far decidere a lui. Nutrire la propria autostima. Per
rendersi più liberi, più autonomi ed efficaci nelle scelte ci vuole
un po’ di allenamento. Spesso si è disorientati perché si teme
che qualcuno, in base ad una eventuale scelta, possa essere ferito.
In questi casi è utile riesumare un pizzico di egoismo: è un’ottima
mossa per formare e nutrire le proprie decisioni rendendole sempre
più lucide e autonome.
… è lo
STUPORE che ci ricarica!!!
ACNE
.Fenomeno di natura infiammatoria, segnala, spesso, una persona che
"ribolle" continuamente nella sua colera, sempre pronta ad
esplodere, che non vuole essere avvicinata (difficoltà a far
“uscire”), molto sensibile, imbarazzata, insicura, esigente con
se stessa e con scarsa autostima … tende a isolarsi e a svalutarsi.
Quando si riscontra negli adolescenti denota un rifiuto della propria
persona e una riduzione dei contatti con gli altri … un ritiro
sociale anche con l’altro sesso. Vista da questa angolazione, la
manifestazione acneica serve ad alleviare lo stato ansioso del
soggetto. L’acne, sotto questa luce, diventa un alibi per ridurre
tutti quegli incontri che generano stati ansia ingestibili.
Solitamente sono fanciulli che si sentono criticati, messi da parte,
impazienti, sottomessi, dubitano delle loro capacità e hanno
difficoltà ad inserirsi nel mondo sociale … sono particolarmente
sensibili al giudizio altrui, paura di essere se stessi, di ciò che
sono veramente. Sono alle prese con continui confronti e dilemmi a
livello fisico: bello, brutto, alto, basso, grasso, magro. Chakra. La
malattia acneica, se localizzata sul viso, segnala una forte tensione
al Terzo C. (libertà, agire, potere, controllo, rinuncia). Mentre se
l'acne è diffusa nell'area corporea del collo il C. in tensione sarà
il Quinto (ricevere, prendere). Quando si manifesta sul tronco è il
Quarto C. (amore).
AFTA
.
Ulcera sulla mucosa orale. Un problema di scambio con
l'ambiente circostante... un rapporto pieno di tristezza e carente
dal punto di vista affettivo (baci). Colpisce soggetti spesso ansiosi
e irritati dalla vita; il loro vivere è accompagnato da una perenne
collera e frustrazione.
CISTI
.
Cavità in un tessuto o in un organo che racchiude una
sostanza liquida. Sono personaggi "chiusi" in antichi
rancori, in sofferenze, in vecchi risentimenti, un processo evolutivo
bloccato, "incapsulato"... una preoccupazione passata che
fa la sua comparsa e, guarda caso, presenta il suo conto "salato".
CELLULITE
.
Infiammazione sottocutanea ... il blocco della creatività e
delle emozioni. Persona che si svaluta sul piano estetico e che si
lascia influenzare facilmente. La cellulite si sviluppa lentamente a
partire dalla pubertà e negli adolescenti. All'inizio in forma
leggera: lieve ritenzione idrica nei tessuti sottocutanei e
sensazioni di gonfiore. I sistemi venoso e linfatico drenano con
difficoltà i liquidi che continuano a ristagnare. Il processo di
smaltimento di grassi e tossine diventa via più lento, difficoltoso.
Così, la cellulite si concentra in punti particolari. Circonda,
pertanto, tutti i Meridiani (Meridiani: canali energetici che mettono
in comunicazione le regione esterne del corpo umano con i nostri
organi e i visceri interni) o, le più fortunate, il Meridiano.
Quando si verifica una disfunzione energetica, liquidi e tossine si
accumulano. Anche il fattore psichico può mantenere o aggravare uno
stato celluitico. Infatti, l'effetto ansiogeno causa uno squilibrio
neurovegetativo che si ripercuote sull'apparato digerente
determinando varie disfunzioni (biliare, coliti, gastriti,
stitichezza): fermentazioni e putrefazioni intestinali contribuiscono
ad aggravare la situazione. L'equilibrio psichico indubbiamente gioca
un ruolo di primo piano perché l'ansietà, come sappiamo, è la
causa principale di alcune forme di obesità e di cellulite. Gli
stress psichici, alterando il normale rapporto ipotalamo -
ipofisarico, determinano un aumento dell'appetito, da cui errori
alimentari qualitativi e quantitativi con tutte le negative
conseguenze. Tipologie di cellulite (si veda l'apparato
corrispondente): di origine epatica, gastrointestinale è determinata
da accumuli di sostanze tossiche e da alterato metabolismo dei lipidi
(Meridiani coinvolti: fegato - cistifellea, intestino crasso e tenue,
stomaco). Di origine pancreatica per alterato metabolismo dei glucidi
(Meridiano: milza - pancreas). Quella di origine endocrina,
corticosurrenale, ovarica, tiroidea per stasi e rallentamento
circolatorio e alterato metabolismo linfatico, ormonale (Meridiano:
circolazione - sesso). Poi quella di origine idrometabolica per
ritenzione idrica nei tessuti (Meridiani reni e vescica). Per quanto
sopra evidenziato appare evidente che l'approccio di tipo
esclusivamente cosmetico esterno, come pure il trattamento unicamente
interno, risulta insufficiente nella risoluzione del problema. Solo
dopo aver individuato la disfunzione specifica (Meridiano),
attraverso un approccio olistico, è possibile iniziare il
trattamento, eliminando le tossine e, nel contempo, ripristinare
l'energia. Un modo di difendersi dalla aggressività affettiva,
rinuncia alla sessualità e svalutazione a livello estetico.
ECZEMA
(dermatite)
.
E' un'affezione cutanea caratterizzata - a seconda dei casi -
da: gonfiore, chiazze rosse, trasudazione, croste, squame, papule,
macule e da piccole vescichette (bruciore e prurito indicano
l’eccesso di energia). Tutti questi sintomi possono recidivare o
peggiorare in situazioni di stress, dell’ambiente familiare e di
conflitti psicologici. Chi è affetto da questo disturbo tende ad
essere bloccato, introverso, trattenuto, ed è un campione nel
reprimere le proprie energie più profonde (sessuali, sociali,
relazionali) … ha il timore di mostrare le proprie emozioni
(trattiene). Un vulcano di emozioni che ribollono nelle profondità
dell’individuo. Essendo individui facilmente influenzabili,
bloccano le emozioni perché in tal modo evitano eventuali critiche e
giudizi di valore ... tendono ad esercitare un eccessivo controllo su
ogni cosa. La persona, pur essendo molto passionale, ha paura di dare
ascolto alla propria istintualità e, quindi, si trattiene perché
teme le conseguenze. Conflitti che vorrebbero esprimersi ma sono
bloccati da paura, disistima, incertezza, timidezza, senso di
inferiorità e sensi di colpa ... tende ad essere sensibile e, come
gli asmatici, a tenere sotto controllo le emozioni. Quando si
arrabbia si tiene dentro la rabbia. Quando poi ha voglia di piangere
si sforza a far finta di nulla.
HERPES
(Simplex, Zoster)
.
L’herpes simplex (labiale) è un’eruzione cutanea di
vescicole particolarmente dolorose ed evidenti che interessano
prevalentemente le labbra. E’ facile riscontrare l’insorgenza di
questo fenomeno - oltre in persone che stanno attraversando un
momento di grande stress - anche in soggetti in cui la collera è
rimasta a “fior di pelle … anzi di labbra”. Tale sentimento è
stato al punto di essere espresso ma poi, all’ultimo momento, è
stato bloccato, trattenuto. Può segnalare anche una profonda
frustrazione vissuta nei confronti di desideri inascoltati, o una
forte rabbia che non si è riusciti ad esprimere attraverso la
modalità verbale. L’herpes zoster (fuoco di Sant’Antonio),
invece, è una infezione (riattivazione virus varicella) che colpisce
a vari livelli i nervi sensitivi. Ha come sede elettiva la regione
dorsale ma lo possiamo trovare nella zona del trigemino, del retto e
dei genitali. In tale regione, particolarmente dolorante, sono
presenti vescicole ed eritemi. Riguarda la riattivazione di uno o più
eventi negativi vissuti da diverso tempo, vecchi conflitti rimossi
(amori non corrisposti, umiliazioni subite e non espresse,
separazione non accettata). Eventi che hanno ferito la propria
sensibilità e che riaffiorano in superficie … attraverso i nervi a
“fior di pelle”.
ORTICARIA.
.
E' una manifestazione cutanea caratterizzata da gonfiori, lesioni,
pomfoidi e papule, di varie dimensioni, biancastre o rosa pallido; il
tutto accompagnato da pruriti e da una sensazione di bruciore:
fenomeno simile a un contatto diretto con l'ortica. Di solito è un
fenomeno scatenato da forti emozioni, da rapporti fastidiosi, da
fantasie sessuali vissute come peccaminose ma molto allettanti
(attratti) e dalla paura legata a una situazione esasperata in cui si
è obbligati a sopportare, come se non si fosse in grado a tener
"testa alla vita" ... qualcosa nella vita pesa davvero
troppo. Persone molto religiose che negano e impediscono il fluire
della sessualità. Svela un desiderio ardente, un eccesso di energia,
una rabbia che affiora e brucia la pelle ... qualcosa che irrita e
tormenta l'anima. Sono persone, spesso ansiose e depresse, che vivono
con inadeguatezza, sospetto e diffidenza le relazioni con il mondo
esterno ... con grande difficoltà i rapporti di natura lavorativa,
scolastica e affettiva.
PSORIASI.
.
E’ una malattia cutanea - cronica e recidivante - caratterizzata da
macchie rosse ricoperte di abbondanti squame secche compatte di
colore grigiastro. Il fenomeno - accompagnato da intenso prurito e
dolore - è localizzato prevalentemente nei gomiti, nelle ginocchia e
nel cuoio capelluto, ma può interessare tutto il corpo unghie
comprese (mai in viso). Colpisce individui con problemi di identità
… non si permettono di essere se stessi; soggetti molto sensibili,
vulnerabili e fragili che vorrebbero essere diversi da come sono …
“cambiare pelle”. Sono di natura introversa, rigida, con poca
fantasia, con tratti depressivi molto evidenti … difficilmente si
lasciano andare all’emotività. E’ una malattia complessa legata
al sentimento di vergogna, al senso di colpa o di impotenza … un
modo per gestire e stare in “equilibrio” con il resto del mondo,
tenere sotto controllo l’angoscia e l’ansia. Una potente
“corazza” protettiva per ridurre la comunicazione emotiva con
l’ambiente circostante perché vissuto come pericoloso. Un
"carapace" per proteggersi dal mondo minaccioso in cui
vive. Molti psoriasici per paura di essere feriti, infatti,
nonostante la loro apparente socievolezza, sono isolati e
completamente terrorizzati nel mettersi in gioco: un modo di
sottrarsi ai problemi della vita e ai rapporti interpersonali.
VITILIGINE
.
Patologia caratterizzata da un’assenza più o meno diffusa
della melanina (sostanza che non solo colora ma protegge la pelle).
E’ un problema di depigmentazione cutanea, un danno prevalentemente
estetico. L’individuo cerca la propria identità attraverso la
“ferita” cutanea che, in realtà, diviene una specie di “firma”.
Queste macchie di colore biancastro, che variano per numero e per
dimensione, rivelano emozioni connesse ad esperienze di separazione
in cui il soggetto ha la convinzione di essere stato ingannato e
umiliato. C’è una grande difficoltà ad accettare la rottura di un
rapporto perché è vissuto come un rifiuto … qualcuno ha
imbrogliato o si è approfittato della buona fede del soggetto.
Alcuni studiosi hanno messo in evidenza il ruolo familiare nella
comparsa della vitiligine: una figura paterna carente e assente nel
processo educativo.
ULCERA
.
Lesione della cute o di una mucosa. Le ulcere superficiali sono
collegate alla rabbia nei confronti dell'ambiente circostante. Mentre
quelle profonde riguardano persone rose dentro da qualcosa ... i loro
risentimenti sono irremovibili.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
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