I primi RAPPORTI con le FIGURE di RIFERIMENTO
Attaccamento insicuro - evitante (crea personaggi eccentrici, anche un po' strani).
uando il bambino
sperimenta un rapporto insicuro - evitante con la figura di
riferimento (mancanza di rapporti calorosi, l'altro quasi sempre
inaccessibile o inesistente) imparerà presto farne a meno. Il
rapporto con gli altri sarà caratterizzato dall'isolamento, distacco
e indifferenza (delimitare i propri confini, vietare l'accesso agli
altri). Attraverso il rifiuto delle relazioni cercherà di gestire e
difendersi dai rapporti con le persone considerate sempre minacciose,
invalidanti ed ostili. Da queste relazioni nascono vari disturbi
della personalità: paranoide, schizoide e
schizotipico.
Attaccamento insicuro - resistente (favorisce personaggi paurosi e ansiosi).
uando invece la figura di riferimento
viene vissuta come insensibile ed imprevedibile il rapporto che si
svilupperà è di nuovo insicuro ed ambivalente. Il bambino
sentendosi trascurato e non soddisfatto nei suoi bisogni primari
svilupperà ansia, chiederà continue conferme, attenzioni e
dimostrazioni. Metterà in atto atteggiamenti aggressivi e
provocatori, fino a sfinire ed esasperare l'altro. Non riuscendo a
gestire completamente questa ambivalenza affettiva cercherà, per la
propria salute emotiva, di ridurre lo spazio di libero movimento ...
metterà in atto il meccanismo di evitamento per evitare di trovarsi
di fronte a cose non conosciute. In tal modo selezionerà i rapporti
stretti e diminuirà il campo esplorativo per evitare critiche
sociali ed eventuali disapprovazioni. I disturbi che potrebbero
emergere da tale rapporto sono: dipendente,
evitamento e ossessivo compulsivo.
Attaccamento disorganizzato (determina individui emotivi, imprevedibili, melodrammatici).
uando la figura
di riferimento, invece, è dominata dalla tristezza, dall'ansia o da
forti conflitti irrisolti, viene percepita dal bimbo non come una
fonte rassicurante ma come una figura minacciosa ... un attaccamento
disorganizzato, pieno di ostilità e con atteggiamenti ambivalenti.
Il bambino impotente di fronte a tale rapporto cercherà di imporre
le proprie convinzioni e posizioni, con quello che può, ignorando
gli altri oppure manipolandoli ... li rende innocui screditandoli, si
sente davvero speciale. Da tali sviluppi interpersonali prendono
forma i disturbi: narcisistico, antisociale,
borderline e istrionico.
Come mai diventiamo così … “complicati”.
La trappola esistenziale … ANSIA.
n
questa breve esposizione non parleremo di ansia “normale”,
moderata, comune e familiare a tutti gli esseri umani - come
espressione di un desiderio, di un impegno o di un protendere verso
una meta - che permette di ottenere una buona performance nella vita
di tutti i giorni, ma di quella che avvelena l’esistenza, distrugge
i rapporti, ingabbia la vita e fa ammalare inesorabilmente mente e
corpo … ovvero, la regina della sofferenza psichica che si insinua
silenziosamente in ogni piega del vivere quotidiano. L’altra ansia,
quindi, quella patologica o fisiologica per intenderci, tenuta attiva
da un pensiero continuo e bizzarro, è una condizione emotiva di
allerta permanente, di smarrimento vertiginoso, di preoccupazione
eccessiva e incontrollabile, spesso del tutto immotivata e
sproporzionata, legata a vicende o situazioni particolari non
necessariamente “pericolose” (attesa penosa di qualcosa che di
“sicuro” farà star male o creerà difficoltà; finti allarmismi
e profezie che non si avvereranno mai). La giornata è “accompagnata”
da una fastidiosa sensazione che qualcosa di brutto, all’improvviso,
possa capitare, dal terrore di essere completamente soli e dalla
convinzione ossessiva di non farcela … ci si sente “sospesi”,
in bilico e dei perfetti estranei in “casa” propria. E’ una
condizione di precarietà, di perenne incertezza connessa a
condizionamenti esterni, a modi di pensare che non rispettano la
gioia di vivere, la naturalezza e la spontaneità. Anche i gesti più
semplici come i rapporti sociali diventano, spesso, una forzatura se
non una sudditanza… si recita in ogni circostanza la parte del
soggetto conformista, sempre pronto e disponibile, con il solo scopo
di farsi accettare dall’ambiente circostante. Può essere un
fenomeno temporaneo oppure - quando si presenta in maniera costante -
cronico e, quindi, portatore di sintomi come: confusione mentale,
difficoltà a respirare, sensazione di nodo in gola, tensione
muscolare, insonnia, vuoti di memoria, stanchezza, irritabilità,
palpitazioni, affaticamento e pensieri ossessivi. Al disagio fisico
si associa un malessere intellettuale, relazionale, familiare,
professionale, alimentare e sessuale. Un fenomeno emotivo
caratterizzato da scarsa concentrazione, facile distraibilità,
difficoltà ad apprendere e pensare, minore attitudine ad esprimere
un giudizio critico e coerente sugli avvenimenti che si sta vivendo.
na forte spinta a cambiar stile di vita, per ridare piacere e
appagamento ai semplici gesti quotidiani, per riprendere in mano la
propria vita con grinta e felicità … quella gioia che non si prova
oramai da tempo. In questo modo la luce affiora, l’incertezza si
dirada, la vista si rischiara, l’animo si calma e ritrova la sua
spontanea, naturale quiete. La sua vera funzione - per dirla
brutalmente - è quella di riportare il soggetto alle vere passioni,
a vivere una vita più frizzante e autentica … stimola la
creatività e la voglia di fare cose nuove. Cosa fare. Dopo aver
verificato le condizioni fisiche (alcune malattie come quelle della
tiroide possono causare ansia) è necessario capire, con lucidità,
il senso “nascosto” di questo malessere psicofisico, per
“convertirlo” in una nuova forma di vitalità, di autenticità,
di creatività e di piacere nel fare le cose … spogliarsi dei
“personaggi” che il vivere quotidiano obbliga a vestire. Le
metodiche terapeutiche che placano l’ansia e aiutano a
“trasformarla” sono davvero tante. Agiscono sull’intera
dimensione psicofisica liberando il soggetto dai vari pesi
esistenziali che lo bloccano. La scelta è ampia dagli ansiolitici
naturali alla psicoterapia. Tutte tecniche psicosomatiche che possono
ridare una nuova leggerezza e ritrovare il vero equilibrio
quotidiano. Ridare all’ansioso il gusto della vita e il senso
concreto che le cose possono cambiare … senza dubbio in in meglio.
Quando una persona cara soffre …
OSTILITA’ … sentimento di avversione espressa o latente verso il prossimo
no
dei problemi dell’ostilità è che la riconosciamo abbastanza
facilmente negli altri ma raramente la vediamo in noi stessi. In una
discussione la cui animazione aumenta a dismisura, non è fuori del
comune che una persona dica all’altra: “Eh, ma sta un po’
tranquillo, non essere così eccitato!” cosa che implica che chi ha
parlato sia calma e del tutto razionale, e non è insolito che
l’altra persona replichi con la stessa “cecità”: “E chi è
eccitato?”. Noi tutti, chi più chi meno, abbiamo recitato una di
queste parti in un’occasione o in un’altra. Nei confronti
dell’ostilità, siamo un po’ come quel moralista che disse alla
moglie con convinzione: “Tutto il mondo è un po’ matto tranne te
e me” … ma dopo un po’ bisbigliò a se stesso: “A volte mi
domando se non lo sei anche tu”. Naturalmente, differiamo
enormemente l’uno dall’altro per la quantità di ostilità che
nutriamo in noi e per il nostro modo di esprimerla. Perciò la
maggior parte di noi è provocata in maniera del tutto banale e lo
dimostriamo. Ciò accade perché abbiamo leggi, poliziotti, giudici,
anche eserciti per proteggerci dall’ostilità (sempre) degli altri.
Quanto questi strumenti in sé contribuiscono all’ostilità,
dipende da come sono usati e da come vengono considerati. Gli
antropologi hanno evidenziato che la ricorrenza di certe parole nel
linguaggio di alcune persone (o popolo) è rivelatrice di una gran
quantità di particolari circa la loro società; ad esempio, è
logico aspettarsi che gli esquimesi abbiano un notevole numero di
parole per indicare la neve. Nel Medio Oriente, dove per anni il
cammello è stato il più importante mezzo di trasporto, esistono
diverse parole per indicarlo; per quello giovane, per quello basso,
per quello alto, eccetera. L’ostilità è il risultato di una
frustrazione. Diventiamo ostili quando siamo ostacolati o quando ci
viene impedito di ottenere soddisfazione. Nella nostra vita
quotidiana generalmente ci muoviamo nel senso che ci consente di
ottenere alcuni generi di soddisfazione; il nostro comportamento è
“diretto a uno scopo”. Quando qualcosa improvvisamente ci
impedisce di raggiungere determinati scopi, possiamo essere in un
primo tempo storditi e cominciare a pensare a possibili alternative.
Qualche dubbio può penetrare nelle nostre deliberazioni; sia che
facciamo realmente qualche cosa oppure no, noi vogliamo fare
veramente qualcosa. Siamo come le piante che si protendono alla
ricerca della luce o dell’acqua. Soltanto che cominciamo ad agire
in modo incerto, incoerente: diventiamo irrequieti.
’irrequietezza
è un’attività disordinata e senza scopo. Si tratta di una specie
di attività che si espande intorno come i giochi dei bambini chiusi
in casa in una giornata di pioggia e che contagia, come forse
l’irrequietezza di molti adulti nei giorni di festa. I bambini
hanno un forte bisogno di attività e se vengono trattenuti divengono
irrequieti. Tutti gli animali, e ciò vale anche per l’uomo, quando
sono bloccati, tendono ad agire in modo indefinito, incoerente.
Possiamo osservare ciò molto semplicemente, mettendo un animale in
quella che è chiamata “ruota di movimento”. A volte nelle
vetrine dei negozi di animali domestici si vede un criceto o una
cavia che danno spettacolo correndo in una ruota. Nella maggior parte
dei casi essi corrono proprio prima di essere nutriti, perché sono
affamati e non possono soddisfare il loro bisogno. Dopo aver mangiato
cadono nel sonno. L’irrequietezza non è solamente irritante per
l’uomo o non spinge soltanto una tigre a percorrere a grandi passi
la gabbia; è un segno di insoddisfazione. Ci sentiamo ostacolati e
ben presto cominciamo a lamentarci e a brontolare. Vogliamo ciò che
vogliamo nel momento in cui lo vogliamo, ma in quel momento non
riusciamo ad ottenerlo. Se questi desideri sono fisici, per il cibo,
per il bere, per il sesso, per le comodità, è veramente difficile
posporre la loro realizzazione. Se sono desideri sociali che
coinvolgono altre persone, possiamo procrastinare la loro
soddisfazione più facilmente, ma rimaniamo insoddisfatti e
frustrati: cominciamo a sentirci respinti, avvertiamo che ci è
negato qualcosa, perciò naturalmente tendiamo a personalizzare le
nostre relazioni con la gente, e quando non possiamo ottenere ciò
che vogliamo non consideriamo ciò un nostro fallimento; diciamo
invece che qualcuno si è messo di traverso sulla nostra strada.
Questa è ostilità. Le fonti di frustrazioni, e quindi di ostilità,
possono essere “individuate” nella nostra infanzia. Una scuola di
pensiero insiste col dire che siamo nati ostili, ma l’evidenza è
insufficiente e certo non favorevole a tale ipotesi ai giorni nostri.
In ogni caso l’intera questione è accademica perché, sia che
siamo nati con l’ostilità o sia che l’ostilità sia stata
acquisita, il nostro metodo di trattarla non deve cambiare. Il fatto
di essere nati con qualcosa non significa che non possiamo
modificarlo… essere nati è la nostra prima esperienza di
frustrazione emotiva (si lascia l’acqua per l’aria).
a perdita
della sicurezza data dal grembo materno è così acuta che in segno
di “protesta” piangiamo. Sia che accettiamo questa teoria oppure
no, non c’è dubbio che la nostra prima e seconda infanzia sono
segnate da un profondo senso di dipendenza e di inadeguatezza. In
questo stato di totale dipendenza siamo destinati alla frustrazione
perché la gente che ci circonda non sempre capisce ciò che
vogliamo. Ci vogliono degli anni interi soltanto per imparare come
esprimerci con un certo grado di fluidità. Anche quando siamo
adulti, abbiamo delle difficoltà ad esprimerci. Figuriamoci la
situazione di un bambino. Deve gridare quando vuole qualcosa. E dopo
un po’ anche un grido non è abbastanza. Batte la testa contro la
culla e diventa rosso in viso proprio come facciamo noi quando siamo
sconvolti, oppressi. Noi tutti durante l’infanzia cerchiamo, man
mano che cresciamo, di reagire a questa oppressione. Lo sviluppo del
nostro modo di alimentarci ne è un esempio. Alcune madri credono che
avere dei bambini che “mangiano” più di altri bambini sia motivo
di vanto per loro come genitrici. Così insistono sull’alimentazione.
Alcuni bambini in seguito continuano a risentirne: anche da adulti,
davanti ad abbondanti porzioni di cibo, perdono improvvisamente il
loro appetito alla vista delle grandi portate, per quanto possano
essere affamati, non hanno mai superato l’impressione di nutrizione
forzata di cui hanno sofferto sul seggiolone. Nell’infanzia siamo
frustrati ugualmente in altri campi significativi. I genitori sentono
la necessità di imporre ai figli i propri valori educativi. Con
riferimento alla pulizia, ciò significa metterli sul vaso, spesso a
sei o a otto mesi, anche se il controllo sfinterico che regola la
defecazione non può svilupparsi in nessun caso prima dell’età che
va dai tredici ai diciotto mesi. Più tardi, a circa cinque o sei
anni, i bambini scoprono i propri organi genitali e cominciano a
trastullarsi con essi perché lo trovano piacevole. La reazione
abituale dei genitori è di tirar via la mano del bambino, di
sgridarlo e di raccontargli delle storie in tono punitivo. Il bambino
sente che nonostante quello che fa sia piacevole, le persone che ama
veramente gli impediscono di farlo … ciò è frustrante. Un neonato,
nella famiglia è causa di nuove frustrazioni e di rivalità tra
fratelli. I genitori dicono al loro bambino che avrà un fratellino o
una sorellina con cui giocare. Ma quando il bambino è nato, il
maggiore non può far nulla con lui e, ancora peggio, il nuovo nato
attira l’attenzione di tutti lontano da lui.
iamo soggetti a
frustrazioni così grandi nei primi sei – otto anni di vita, che
non c’è da meravigliarsi se incominciamo a diventare ostili,
irosi, aggressivi. I nostri genitori, naturalmente, influenzano la
nostra ostilità con l’urlo delle loro frustrazioni e collere con
la nostra collera. Se non facciamo le cose che essi vogliono, si
arrabbiano. Esternano le loro frustrazioni e la loro ostilità.
Nell’adolescenza sentiamo il bisogno di affermare noi stessi di
fronte ai nostri genitori. Guardiamo tutti come competitori. Questo
ci carica così fortemente che siamo pronti a dispiegare ostilità
per un nonnulla. E poiché difficilmente passa giorno in cui questa
ostilità non è tirata fuori in un modo o nell’altro, l’intero
schema frustrazione – aggressione si rinforza, diventa abituale. La
famiglia non è la sola fonte di ostilità. Ricaviamo ostilità anche
dal mondo esterno. Viviamo in una società violenta. I nostri
telegiornali, le nostre riviste, i film la rafforzano. Questi mezzi
di comunicazione sono così spesso ispirati a una tematica
turbolenta, che non solo esprimono i nostri sentimenti ostili, ma li
ampliamo. Naturalmente nella nostra società si suppone che siamo
aggressivi e che tendiamo ad affermarci, a servirci della gente a
nostro vantaggio. Tratta bene gli affari chi sa concludere un affare
vantaggioso. Si raccomanda ai venditori di essere aggressivi per
ottenere ordinazioni. Nelle relazioni uomo – donna, un giovane
tenta di capire fino a che punto potrà arrivare con la ragazza.
L’ostilità diventa una parte del nostro modello di vita sessuale.
Infine, aumentiamo lo schema aggressione – frustrazione facendoci
delle illusioni e rifiutando di essere realistici. Ci poniamo spesso
dei fini così irreali che siamo costretti a essere frustrati.
Premiamo su noi stessi di gran lunga troppo accademicamente o secondo
principi sociali; andiamo alla ricerca di lavoro al di là delle
nostre possibilità, assumiamo incarichi oltre le nostre capacità.
Nel matrimonio, inoltre, gli scopi non realistici sono un problema
comune. Una breve relazione si alimenta delle promesse che ci si fa a
vicenda. Il matrimonio richiede compimento; quando questo compimento
non compare, frustrazione e ostilità seguono naturalmente. Ma come
esprimiamo tutta questa ostilità? Quando ci adiriamo, ciò influisce
sulle nostre condizioni fisiologiche.
uesti mutamenti fisiologici alternativamente condizionano il nostro comportamento e ulteriormente l’espressione della nostra ostilità. Che cosa succede? In primo luogo il sangue (che in una normale attività vegetativa come il mangiare o il dormire, tende a concentrarsi negli organi centrali) viene pompato negli organi periferici, le braccia, le gambe, la pelle. Il sangue affluisce di meno anche al cervello, e soffriamo di un leggero caso di anemia cerebrale; ciò spiega perché, se siamo abbastanza adirati, ci sentiamo quasi presi da un senso di vertigine. Questo è anche il motivo per cui non possiamo pensare molto bene quando siamo adirati; fattori fisiologici e psicologici ce lo impediscono. Poiché il sangue è pompato di più alla superficie, il cuore batte più rapidamente, le pulsazioni aumentano, aumenta la pressione; tendiamo a sentire e a percepire tutto ciò. Il cuore che ha battuto senza che ce ne accorgessimo durante tutto il giorno, ora improvvisamente rimbomba nel torace. Diventiamo intensamente consci del nostro stato fisiologico. Nello stesso tempo le ghiandole surrenali pompano adrenalina nel sistema circolatorio. Poiché l’adrenalina accentua la reattività, la nostra ira è sottoposta a un secondo potere. Possiamo solo valutare gli effetti dell’adrenalina sull’ira: poiché non c’è niente da opporre ai suoi effetti, non c’è antidoto per essa. E possiamo illuderci che, essendo sufficientemente ben adattati, non ci arrabbieremo mai. E’ proprio il contrario: non adirarsi è il segno di una schizofrenia e non di adattamento. La schizofrenia (vedasi sezione “psicosi”) è una seria forma di psicosi la quale, non stroncata da una cura, peggiora tagliando fuori la persona dal suo mondo affettivo e spingendola verso uno stato di mitezza totalmente apatico… allora, e solo allora, non abbiamo più sentimenti ostili. L’ostilità può anche causare una spiacevole condizione, come l’infiammazione alla mucosa orale. Gli studi dimostrano che l’ipertensione, l’alta pressione, è spesso in relazione con l’ostilità silenziosa dovuta alla pressione e alla tensione della nostra educazione altamente oppressiva. La nostra ostilità, inoltre, distrugge completamente la nostra energia. Vi sono altri che non riescono a respirare, soffrono di una respirazione troppo rapida. Se tali persone hanno l’opportunità di esprimere la loro ostilità, la loro respirazione ne è molto facilitata. L’ostilità è inevitabile perché la frustrazione è inevitabile. In ogni momento c’è qualcosa che noi vogliamo o desideriamo. E questi desideri molto semplicemente non possiamo soddisfarli. Qualche frustrazione deve seguire per forza.
nostri desideri non possono essere soddisfatti perché spesse volte
sono complessi, oscuri o persino inconsci, e in conflitto gli uni con
gli altri. I nostri desideri corrono incontro a ostacoli certi, cioè
ci viene costantemente impedito di esaudirne alcuni. Spesso sembra
che la vita consista di una serie di cartelli che indicano il divieto
di parcheggio. Quando siamo bambini troviamo delle grandi difficoltà
di adattamento, perché quando vediamo qualcosa di nuovo che ci
attrae tendiamo a volgerci ad esso con tutta la nostra persona; ci
sporgiamo e tentiamo di afferrare ciò che vediamo, e naturalmente ci
dicono continuamente di non toccare. Eppure continuiamo a vedere le
cose che ci piacciono, anche durante l’età matura. Viviamo in una
società ricca, fluida, dove le seduzioni di ogni genere, i cibi, le
comodità, le eccitazioni, gli stimoli, sono spiegati su di noi in
una forma o in un’altra. Ma mentre i nostri appetiti sono stimolati
continuamente, troviamo che molte di queste seduzioni, che dipendono
dal nostro assetto fisico, mentale e finanziario, non sono sempre
conseguibili. Persino se i nostri desideri sono stimolati quando
passeggiamo davanti alle vetrine, accettiamo la barriera di vetro fra
il desiderio e il compimento del desiderio. Ma molte altre tentazioni
sono continuamente spiegate davanti, di fronte a noi in un modo più
tentatore. Qualche volta ce ne accorgiamo, qualche volta non ce ne
accorgiamo. Piuttosto stranamente, persino la soddisfazione frustra
alcuni di noi. La realizzazione di un desiderio ci lascia spenti,
vuoti, stanchi, incapaci di passare ad altri desideri. E alcuni di
noi sono così abituati a sognare eventuali soddisfazioni che non
sono capaci di rendersi conto della realtà della soddisfazione in se
stessa… è come se uno mentre sta facendo l’amore pensasse alla
prestazione successiva. Come abbiamo potuto vedere, la più ovvia
espressione dell’ostilità è l’ira. Ma dal momento che tale
espressione non è piacevole ed è antisociale, l’ira è di solito
contenuta. Nell’infanzia i nostri genitori la sopprimono con la
loro autorità, con minacce, punizioni e respingendoci. Questa
soppressione dell’ira non può, naturalmente, liberarci dall’ira;
semplicemente la sospinge al di sotto della superficie cosciente,
dalla quale fortunatamente riemerge in una forma di comportamento che
è più accettabile dal punto di vista sociale. Un bambino che è
sufficientemente arrabbiato a causa di qualche suo bisogno, può
tentare di sviluppare una muscolatura più potente, di diventare il
primo della classe o anche quello che ha il maggior numero di amici.
Un giovane manifesterà la medesima ira in maniera di gran lunga meno
accettabili: sbagliando un tema a scuola, ad esempio.
ltre ovvie espressioni di ostilità l’insulto, il condannare, il criticare e la resistenza. Fra gli adulti, la resistenza assume normalmente forma di assenza di volontà nel cooperare. I bambini esprimono generalmente resistenza e disubbidienza. Potete dire a un bambino un centinaio di volte di appendere il suo vestito alla gruccia quando torna a casa, ed egli lo ammucchierà regolarmente in un angolo del pavimento. Lo stesso bambino, messo sul vaso troppo presto, potrebbe reagire continuando a sporcarsi più tardi. Un bambino che è costretto a mangiare spesso, inconsciamente sviluppa una tendenza al vomito. Dei molti modi di esprimere l’ostilità, alcuni sono costruttivi, la maggior parte no. Alcuni di quelli che sembrano costruttivi, come la dedizione alla verità, una moralità elevata, un dissimulato candore, di fatto non sono costruttivi. Quali sono quindi le vie costruttive per trattare l’ostilità? Che cosa dovremmo fare della frustrazione, dell’ostilità che troviamo in noi stessi. In primo luogo dobbiamo imparare a vivere con l’ostilità poiché essa è un aspetto inevitabile della nostra vita. Anche la più chiusa relazione umana, quella fra madre e figlio, è carica di ostilità reciproca. Molto spesso può capitare che una madre rimanga profondamente sconcertata quando il figlio le dice: “Ti odio”. Ma se guarda onestamente e con serenità in se stessa, vedrà che nonostante non dica al figlio “Ti odio”, essa sente ostilità per lui. Un aspetto importante per essere una buona madre è imparare a non odiare se stessa perché a volte odia il proprio figlio. Ci sono occasioni in cui odiamo persino noi stessi, così non è sorprendente che ci siano occasioni in cui odiamo coloro che amiamo di più. Ciò, naturalmente, non significa che possiamo esprimere la nostra ostilità in maniera indiscriminata. Niente di tutto ciò. E’ soltanto una riconciliazione con ciò che è inevitabile. Il lavoro più importante è imparare a evitare l’ostilità o esprimerla in maniera costruttiva. Spesso declamiamo o vaneggiamo senza cambiare la situazione che ci affligge; se, ad esempio, un cameriere in un ristorante ci serve in maniera scortese e frettolosa, più ci adiriamo, più disturbiamo la nostra digestione, non la sua. Egli non sta mangiando, così l’ira e l’ostilità nei confronti del cameriere finiranno col fare più male a noi che a lui. Idealmente, alcuni modi per accattivarci la sua attenzione e migliorare il servizio dovrebbero essere il nostro scopo. Oppure, come alternativa, potremmo utilizzare il tempo libero che abbiamo con i nostri commensali per una piacevole conversazione. Possiamo solo evitare di ripetere l’errore nello scegliere il ristorante e stabilire di non tornarci. Imparare a vivere con l’ostilità significa imparare come attenuare la sua intensità (questa grande energia vitale). Questo è un compito difficile. Ci sono occasioni in cui le espressioni di ostilità sono appropriate, persino necessarie.
uando si percepisce
nettamente che un’azione vendicativa è appropriata, forse è
meglio farla. Bisogna, però, cercare di compiere un’azione che
gioverà alla situazione e che non esprimerà soltanto la bile
personale. In secondo luogo dovremmo sviluppare tanti interessi
quanto ne possiamo nella vita. ciò aumenta le fonti della nostra
soddisfazione e d’altro canto diminuisce la suscettibilità alla
frustrazione. Molti di noi sono troppo limitati. Siamo come delle
estese praterie che non sono state irrigate e rese fertili. Non
facciamo abbastanza per noi stessi. Abbiamo troppo pochi interessi, e
quando siamo oppressi abbiamo una tendenza al collasso, a diventare
irritati e adirati, a perdere il controllo della situazione. Se
avessimo cominciato a essere assorbiti in una maggiore quantità di
azioni che valga la pena di fare, non appena la frustrazione nasce
potremmo facilmente sublimarla in una o nell’altra di queste
attività per la nostra soddisfazione. Potremmo sviluppare
l’abitudine a un adattamento istantaneo. Alcuni interessi
naturalmente sono migliori di altri. Il gioco, ad esempio, è
eccitante ma coinvolge il più delle volte il rischio di fallire.
Meglio essere ostile che fallito. Spettacolare, un’altra via di
uscita per l’ostilità, può costarvi le vostre amicizie. Se
dedicate voi stessi a qualcosa che possa farvi diventare un qualcosa
“assurdo ed esagerato”, potreste essere delusi da ciò che di
fatto riuscite a raggiungere. Gli hobby più semplici sono vie di
uscita molto più costruttive per l’ostilità. Dipingere, scrivere,
far collezioni, fare lavori di falegnameria, pescare, darsi al
giardinaggio … Una persona può lavorare sodo al giardinaggio e
dipingere, e ciò significa cacciar fuori gran parte di energia
accumulata come risultato dell’ostilità. L’abilità di
modificare i nostri programmi e le nostre reazioni alle frustrazioni
che ci circondano, è qualcosa che deve crescere insieme a noi, come
l’opera d’arte cresce insieme all’artista. Un pittore comincerà
a dipingere un oggetto in un modo, e quando la luce cambia muterà la
sua interpretazione in maniera analoga e continuerà a fare
operazioni di questo tipo man mano che ne sorgerà la possibilità.
Nello stesso modo, c’è in noi una sorta di attesa su ciò che
possiamo fare per i nostri amici, per i nostri bambini, per chiunque.
Ma essendo materiale umano, questa gente, inclusi noi stessi, mostra
una certa predisposizione a cambiare. Inoltre, noi non siamo in grado
di controllare ogni situazione. Abbiamo i nostri programmi, ma dal
momento che ci adattiamo alle situazioni dobbiamo spesso modificare i
nostri fini nel cambiamento costante della realtà. Rivoltare i
nostri fini è un aspetto dell’adattamento emotivo. Dobbiamo essere
in movimento prima in una direzione e poi in un’altra. Quando
cominciamo a muoverci in questo modo, risparmiamo noi stessi dal
genere di frustrazione di natura ossessiva. Noi fronteggiamo dinieghi
e frustrazioni in vari piccoli modi ogni giorno della nostra vita.
Superiamo le frustrazioni e le ostilità che esse generano, in gran
parte grazie allo sviluppo di un modo flessibile di considerarle.
Dobbiamo imparare che il mondo non è contro di noi ogni volta che
soffriamo di qualche piccolo rifiuto o negazione. Anche gli altri
vengono respinti. Ciò che dobbiamo imparare è come chiedere per
ottenere determinate cose in maniera efficiente. Ciò cambierà la
proporzione che diamo alle frustrazioni in modo che l’ostilità
diventerà meno pronta a manifestarsi al di fuori.
Il senso di inferiorità … e di superiorità.
Il “partner” più pericoloso del vivere quotidiano …
’uso
della parola “stress” nella lingua inglese è molto antico e può
essere tradotto letteralmente con “stretto” o “costrizione”.
Poche parole della lingua italiana soffrono di un uso altrettanto
diverso ed ambiguo. Nell’ambito della comunità scientifica, le
definizioni dello stress psicologico e fisiologico variano
confusamente dalle fonti dello stress ai risultati dello stress. In
tale termine, comunque, è implicita l’idea di violenza, tensione,
pressione e sforzo. Più semplicemente, il concetto - ai tempi nostri
- indica l’adattamento dell’organismo a nuovi contesti e ad
eventi imprevisti. E’ uno stato di tensione acuta dell’organismo
“spinto” a mobilitare le sue capacità di difesa per fronteggiare
una situazione di minaccia (vera o solo pensata). Il fattore
aggressivo (reale o immaginario) può essere fisico - trauma, agente
tossico o infezione - oppure psicologico (emozione). La reazione
fisiologica è caratterizzata da modificazioni neuroendocrine
strettamente connesse tra loro, che fanno intervenire l’ipotalamo
(centro cerebrale delle emozioni), l’ipofisi e le ghiandole
surrenali (centro della reattività). Un malessere psicosomatico
capace di minare completamente il corpo ed è potenzialmente
all’origine di svariate patologie: il disagio psicologico porta a
una caduta delle difese immunitarie e crea il terreno per il disturbo
organico. Quando l’individuo vive perennemente in uno stato
ansiogeno, lo stress “aggredisce” le cellule del sistema nervoso
iniziando a “deformare” le aree fisiologiche coinvolte.
Somatizzazioni che comportano evidenti alterazioni del sistema
nervoso neurovegetativo e del metabolismo. Solitamente si esprime con
sintomi psichici come ansia, disturbi ossessivi compulsivi, attacco
di panico oppure, a livello fisico, con tensione muscolare, cefalea,
gastrite, ipertensione, tachicardia, dermatite, cefalea e, da non
sottovalutare mai, stanchezza improvvisa… e molti altri guai,
seppur in forma silente ma sempre invalidanti, come mal di schiena,
insonnia, ulcera, allergie. E’ una risposta biologica (secrezione
ritmata dei neurotramettitori cerebrali) a qualsiasi stimolo o
richiesta ambientale; reazione d’allarme che si evidenzia
attraverso modificazioni biologiche e comportamentali e si acuisce
quando la sollecitazione persiste nel tempo.
olti sono i fattori che
influiscono sul fenomeno stressogeno: il dolore cronico, le malattie
invalidanti, le attività ripetitive ed insopportabili, la
frustrazione, un diffuso senso di inadeguatezza, i cambiamenti
repentini, le delusioni delle proprie aspirazioni, i lutti, la fine
di rapporti importanti. Il vero problema, comunque, contrariamente a
quello che si pensa, non sono solo i ritmi frenetici (lavoro,
traffico, parcheggio, troppe spese, troppe tasse, comunicazione
difficile) ma anche gli stati emotivi che minano le difese,
indeboliscono e logorano in profondità l’individuo (continuo
alternarsi di fasi attive e passive; il passare da uno stato di
tensione ad uno stato di rilassamento). Gira voce, in molti ambienti
qualificati, che per lo stile di vita che si conduce, soffrire di
stress sia quasi un percorso obbligato. Non sempre è così. Il più
delle volte non è responsabile la vita moderna, non è da lì che
inizia lo stress, come spesso si preferisce credere. Quando
l’esistenza viene scandita da un ritmo innaturale, sempre uguale a
se stesso, privo di creatività, vuol dire che si sta alimentando un
“compagno” di viaggio veramente fastidioso e pericoloso: lo
stress. I veri imputati, quelli più infidi, che condizionano
“l’esistenza” sono i comportamenti, gli atteggiamenti mentali
sbagliati. In pratica, produce stress, tutto ciò che ostacola un
ritmo spontaneo, naturale e fluido. Si diventa prigionieri di modi di
dire e di fare che incrementano una tensione continua. Lo stress
compare tutte le volte che non si è naturali e spontanei, quando la
novità diventa uno sforzo (lavoro, trasloco, matrimonio, nascita di
un figlio). Prende corpo, il più delle volte, da una mentalità
“confusa” che porta a vivere una vita frammentata, in conflitto
con un mondo percepito sempre come nemico, dentro un percorso che non
dà felicità e, soprattutto, vincola ad un modello esistenziale che
altri hanno deciso.
osa fare. Quando si è stressati, non bisogna commettere l’errore di fermarsi, crogiolarsi al dolce far niente, illudendosi così di sfuggire alla vita: quando il riposo termina, la tensione è lì pronta a riprendere il suo posto. Non è escluso, poi, che il tempo trascorso a riposare sia immune da logorio, agitazione e ansia. E’ proprio l’inerzia a trascinare la mente nel vortice della tensione. L’inattività, nel tempo, oltre a determinare uno stato depressogeno, crea una vita opaca e decisamente noiosa. E’ il “non fare” ad innescare cerci sintomi come: depressione, emicrania, attacco di cuore, malattie infettive. L’antidoto giusto non è, quindi, il riposo assoluto tanto meno la fuga, ma le “giuste attività” che danno spazio alla vera creatività (potente anti stress) e vanno a riattivare con grande soddisfazione le energie spente o assopite. Quando si sente che la tensione sta raggiungendo i livelli di guardia, i pensieri creano confusione e le preoccupazioni assediano senza tregua è giunto il momento di mettere in atto tutte quelle cose che danno un senso di sollievo e di serenità. Evitare, nel contempo, di coltivare l’inutilità e confondere le priorità. Se lo sconforto prende il sopravvento e si è in balia di un disagio costante è doveroso esaminare e considerare la possibilità di cambiare alcuni atteggiamenti nei confronti della vita (da soli o con l’aiuto di una persona qualificata). Non bisogna mai dimenticare che la struttura mentale può influenzare enormemente la salute, il benessere e il senso di soddisfazione. Ricordarsi, inoltre, che ogni individuo è il miglior laboratorio fisiologico di se stesso. Prestare attenzione, quindi, a come si reagisce agli eventi ed alle circostanze. Alcune metodiche distensive psicosomatiche (ipnosi, meditazione, massaggio), inoltre, non solo svolgono una azione di benessere diffuso, ma riducono efficacemente la possibilità di malattie cardiovascolari (ricerche effettuate da American Medical Association).
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
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