La
"COLPA"
na
oscura condanna morale, un'azione autopunitiva; convinzione di aver
commesso qualcosa di spregevole, di aver infranto delle regole: pena
e “risarcimento“ sociale; un’identità di gruppo a scapito
della propria: l’ombra degli altri che si sviluppa all’interno
del soggetto; un fenomeno radicato interiormente che crea disagio e
fastidio, condiziona e offusca completamente la gioia di vivere.
Tieni sempre presente che la colpa si esprime attraverso il
linguaggio corpo: colite, cefalea, vitiligine, artrite, alopecia,
menopausa.
olpa
è una parola che in sé non ha un suono piacevole, evoca vagamente
sentimenti spiacevoli e preferiamo allontanarci da essa. Riconosciamo
i nostri errori più prontamente di quanto ammettiamo le nostre
colpe. Sempre di più cerchiamo disperatamente di nascondere
agli altri la nostra colpa e persino di negarla a noi stessi.
Ma, perché tutto ciò? Perché è dolorosa? Sì, ma piuttosto
che essere dolorosa è difficile da riconoscere
e da gestire. La colpevolezza non ha la modalità di
espressione così chiaramente definite come la paura, il dubbio,
l’ostilità e gli altri sentimenti. E’ persino difficile per un
esperto chiarire i molti modi sottili in cui la colpevolezza si
esprime. Noi tutti teniamo una maschera
ragionevolmente accettabile, ma al di sotto della maschera approvata
dalla società c’è una complessa vita interiore che pochi di noi
possono a lungo celare … tenere a bada con una certa disinvoltura.
Abbiamo delle passioni e delle antipatie sepolte in noi fin
dal nostro più lontano passato e nutriamo anche sogni e desideri che
ci farebbero arrossire qualora fossero svelati, rivelati
indiscriminatamente agli altri. Nessuno è
senza segreti, sia che riguardino sia fatti semplici e banali sia
fantasticherie.

ebbene a volte sia abbastanza sciocco,
esistono molte cose che “dobbiamo” tenere segrete
per conservare il nostro equilibrio privato e sociale. Se ogni
cosa che abbiamo celato alla pubblica vista fosse interamente privo
di colpa, non perderemmo certamente tanto tempo per giustificare noi
stessi. Se, ad esempio, l’interesse sessuale di un uomo verso
qualche donna al di fuori del matrimonio non colpisse la sua
coscienza, egli non addurrebbe a pretesto quanto è incompreso dalla
moglie. Questa vecchia linea di condotta ormai logora è abbastanza
facile da “denunciare”, e poche donne trovano un uomo più
accettabile proprio per questo. Ma ciò aiuta
l’uomo ad accettare se stesso di fronte alla propria “perfidia”.
Riduce la sofferenza di tutto quanto per lui, ma questo
bisogno di conservare un’apparenza “pulita” e “cristallina”
per gli altri gli pone dubbi insinuanti sul concetto che ha di se
stesso. Specificamente, il senso di colpa è la
nostra reazione alla violazione o all’aver voluto la violazione di
alcuni valori morali e di alcune proibizioni. Ciò che
completa il quadro è anche il fatto che non esistono criteri
universali per stabilire la colpa. Ciò che fa in modo che una
persona si senta in colpa, non fa sentire necessariamente in colpa
un’altra persona. Siamo consapevoli del fatto che esistono diverse
norme di comportamento ma non le rispettiamo interamente. Sentiamo
il rimorso della colpa soltanto quando crediamo di aver violato una
norma che riconosciamo personalmente e, ancora di più, che
accettiamo e rispettiamo. Ad esempio, se due persone ricevono
come resto cinquanta o sessanta centesimi di € di troppo, una
persona può infilarsi in tasca il denaro e andarsene. Sa che ha
ricevuto un resto superiore, ma ciò non lo tocca un gran che. Se
glielo si chiede egli può anche ammettere che avrebbe dovuto
restituirlo, ma vorrebbe dire: “Perché
sollevare delle questioni su una cosa così ridotta quantità di
denaro?”. Un’altra persona potrebbe sentire che è
fondamentale restituire il resto ricevuto in più e sentirebbe di
essere in colpa se non lo facesse. Varia anche l’intensità con cui
una persona avverte la propria colpa in confronto ad un’altra
persona. La maggior variazione è, come vedremo, il modo con cui ci
comportiamo in conseguenza di una nostra colpa.

Le
origini del senso di colpa.

a
dottrina cristiana, ponendo l’accento sulla nozione di peccato
originale, insinua che siamo nati con una colpa. Oggi siamo d’accordo
che impariamo come sentirci in colpa, siamo perfettamente consapevoli
sul fatto che originariamente per noi non esiste né il giusto né lo
sbagliato. Siamo nati senza principi morali, piccoli animali per i
quali esiste solo la mera soddisfazione … si rifiuta la
frustrazione! Dopo un po’, cominciamo a
riconoscere i sorrisi di approvazione o le occhiate di
disapprovazione. Diventiamo consapevoli di essere giudicati
per quello che facciamo o per quello che non facciamo. Dal momento
che siamo così totalmente dipendenti dai nostri genitori per le
necessità della vita, l’approvazione o la disapprovazione
diventano cruciali per la nostra autentica sopravvivenza: dobbiamo
avere l’amore dei nostri genitori, che è espresso in termini di
approvazione, se ci attendiamo che esso soddisfi i nostri bisogni
primari. Così cominciamo a vivere in un mondo di buono e di
cattivo, di brutto e di bello, di giusto e di sbagliato, di
obbediente e di disobbediente. Non esistono delle semplici etichette
che separino un genere di comportamento da un altro; vi sono delle
esperienze, rinforzate dalla punizione e dall’elogio. Ma
non un solo giorno della nostra vita, durante gli anni della nostra
infanzia, passa senza che vi sia qualche correzione, senza che
impariamo a distinguere il giusto dallo sbagliato. Sfortunatamente
molto di questo imparare primitivo riguarda la nostra vita
vegetativa, cioè le nostre funzioni più fondamentalmente
fisiologiche. Noi non dobbiamo soltanto mangiare; siamo rimproverati
o elogiati per quanto mangiamo e per come ci comportiamo a tavola.
Non andiamo semplicemente nel bagno; siamo elogiati o sgridati se vi
andiamo e per come ci andiamo, nonostante il fatto che durante i
primi due anni di vita il mondo sia ancora così nuovo per noi e noi
siamo così assorti in ciò che stiamo facendo che è naturale
dimenticare di andare nel bagno qualche volta. Non ci è nemmeno
possibile passeggiare senza ricevere qualche elogio o qualche
rimprovero; dipende dal posto in cui passeggiamo, da come passeggiamo
e da ciò in cui ci imbattiamo. Persino quando parliamo, incorriamo
in elogi o in rimproveri per ciò che diciamo, per come lo diciamo, e
per quando lo diciamo. La trasmissione culturale di ciò che è
giusto e di ciò che è sbagliato è frustrante per noi e una
frustrazione, come abbiamo visto (si veda “Ostilità”) conduce a
un comportamento ostile ed impulsivo. Quando manifestiamo questa
ostilità, i nostri genitori ci “annientano” con la loro forza e
con la loro autorità; essi sono più forti e più grossi e ci
dirigono. Ci puniscono in qualunque modo, da un dolce rimprovero a
un’autentica ritrattazione di amore e di aiuto. A volte ci
schiaffeggiano oppure ci privano di un prezioso privilegio, come
vedere la televisione o stare alzati fino a tardi. Così, la
punizione comincia ad essere identificata con il giusto e con lo
sbagliato … con il fare e il non fare! Nello stesso tempo, come
risultato dell’essere giudicati costantemente in questo modo,
impariamo da noi a giudicare gli altri. Tendiamo a reagire
aggressivamente (giudicare è una forma di aggressività) con
chiunque consideriamo faccia le cose sbagliate, con chiunque,
pensiamo, ci sentiremmo in grado di dire che sbaglia. Se reagiamo in
maniera spontanea, chiamiamo ciò rappresaglia; se invece ci
comportiamo nella faccenda in una maniera prestabilita, chiamiamo ciò
vendetta. In tutti i casi prendiamo in considerazione la punizione;
ci siamo autonominati giudici dando a chi agisce male proprio ciò
che “merita”.
Colpa
e punizione.

oiché
le azioni che fanno nascere il senso di colpa sono le stesse che
incorrono in una punizione, impariamo rapidamente ad attendere una
punizione quando ci sentiamo colpevoli. Sempre di più ci troviamo in
situazioni nelle quali incorriamo in disapprovazione; non solo ci
viene insegnato di sentirci colpevoli per queste violazioni della
condotta, ma siamo puniti. Dopo un po’ pensiamo alla punizione come
a un “prezzo del peccato” e riteniamo che se siamo colpevoli di
qualcosa, di qualunque cosa, saremo puniti. Teniamo conto
dell’inevitabile connessione tra colpa e punizione, tanto quanto
teniamo conto del fatto che il giorno segue la notte. Cominciamo ad
immergerci nei particolari di ciò che successivamente sarà
conosciuto come un nostro giudizio morale. Quando un lupo attacca e
divora un agnello, tutti dicono “povero agnello”. Nessuno dice
“fortunato il lupo”. Ci attendiamo che gli eroi vincano e che i
codardi perdano. Siamo molto commossi dai grandi temi morali delle
opere letterarie come ‘Delitto e castigo’ di Dostoevskij (il
senso di colpa, dopo il doppio omicidio, si impadronisce di lui -
Raskolnikov - a nulla valgono i continui ragionamenti ed insistenti
pensieri razionali) o ‘I miserabili’ di V. Hugo. Attraverso le
nostre esperienze paghiamo per le nostre trasgressioni, reali o
immaginarie, con un sentimento di colpa … può diventare uno dei
nostri più forti, più costanti sentimenti. Quattro fattori
contribuiscono, in qualche modo, al suo formarsi.
In
primo luogo, colpa e punizione sono associate così
intimamente, che quando facciamo qualcosa e pensiamo che sia
sbagliato sviluppiamo contemporaneamente una paura e un bisogno di
punizione. E’ naturalmente poco confortevole volere e temere la
stessa cosa.
In
secondo luogo, nonostante il detto biblico “non giudicare se
non vuoi essere giudicato”, il giudizio è la nostra più comune
reazione a ogni azione. Giudichiamo non soltanto gli altri ma anche
noi stessi e ciò di gran lunga più dannoso.
In
terzo luogo, impariamo troppo sui nostri principi morali a
causa delle emozioni associate ad essi. Ci viene insegnato che buono
e cattivo sono veramente diversi rispetto all’informazione
effettiva che ne abbiamo a scuola. Ogni volta che il nostro imparare
coinvolge un giudizio sul buono e sul cattivo, toni fortemente
emotivi ed invadenti sono presenti. Al posto di un cenno meramente
intellettuale di accettazione o al posto di un distaccato rifiuto, la
nostra emotività ci coinvolge più personalmente in qualsiasi punto
in discussione. In realtà siamo così coinvolti per il fatto che non
è il punto in discussione che si deve giudicare, ma siamo noi
stessi. La posizione che assumiamo in ogni discussione morale non è
mai tanto importante quanto ciò che pensiamo e sentiamo su noi
stessi alla fine della discussione. Ciò significa sopravvalutare i
nostri principi morali. E’ molto più difficile cambiare la
disposizione morale che cambiare la nostra accettazione di
un’informazione di fatto.
Il
quarto e più dannoso fattore è che lo schema di colpa e di
punizione ci fa sentire privi di valore … ci mette in contatto con
una profonda disistima. Dal momento in cui siamo stati puniti per la
prima volta come bambini, il nostro Io è aggredito. Ci si dice che
siamo cattivi o insofferenti, o che siamo qualche volta meno di
quello che dovremmo essere, contrariamente alla lode che otteniamo
quando facciamo piacere ai nostri genitori. Giudizi elogiativi
guidano l’espansione e lo sviluppo dell’Io. Incorriamo in danni
della personalità, in perdita della stima che abbiamo di noi stessi
e anche dell’accettazione che abbiamo di noi.
Espressioni
tipiche del senso di colpa.

ome
trattiamo il senso di colpa che andiamo accumulando? Il modo più
semplice e diretto è soffrire la punizione. Troviamo anche sollievo
dal senso di colpa nella riparazione, facendo ammenda del nostro
agire sbagliato. Naturalmente ciò suona come un modo razionale di
trattare la colpa. Ma la riparazione non è sempre così razionale
come sembra; spesso coinvolge dei sacrifici irrazionali. Siamo così
imbevuti di una combinazione di colpa e punizione che ci attendiamo
di dover pagare per ogni cosa di cui ci rallegriamo. Ad esempio, se
abbiamo una settimana di giornate soleggiate e stupende, possiamo
immediatamente dire: “Dovremmo pagare per
questa settimana con una settimana di pioggia e bufera!”. Un
altro modo di trattare la colpa è la confessione. Sappiamo che
saremo puniti se ci confessiamo. Ma speriamo
anche che la confessione ci procurerà un giudizio molto severo.
Cerchiamo anche di reprimere la colpa, tentando di dimenticarla. La
scacciamo completamente dal nostro pensiero. Ma
nello scacciare l’ostilità e il senso di colpa dal nostro
pensiero, frequentemente lo spostiamo e ciò conduce a proiettarla
sugli altri attribuendo ad essi i desideri per i quali ci siamo
sentiti colpevoli. Quando un uomo dice: “Mia moglie va
continuamente cercando di litigare”, egli sta spesso esprimendo il
suo desiderio di aggredirla, nonché la sua personale ostilità nei
confronti della moglie. Infine razionalizziamo quegli atti che ci
fanno sentire colpevoli. Troviamo buone ragioni per fare ciò per cui
ci sentiamo segretamente in colpa. Se nell’ira neghiamo ai nostri
bambini qualche cosa, diciamo che lo stiamo facendo per il loro bene.
Oppure, se indulgiamo nel trattare un affare in modo tortuoso,
chiamiamo ciò un modo astuto di fare gli affari.
Come
il senso di colpo agisce nel nostro intimo.

olto
più importante di quello che facciamo quando ci sentiamo in colpa, è
che cosa il senso di colpa fa per noi. Siamo tutti capaci di
mantenere un aspetto esteriore che ci rende funzionali in maniera
accettabile nella società. Ma al di sotto di questa facciata
esteriore alimentiamo ostilità, rabbia, invidia, gelosia e desideri
che ci fanno sentire colpevoli. Siamo spiacenti di avere questa
facciata esteriore straziata dalla forza di questa ostilità e di
questi desideri. Sopprimiamo, giustifichiamo, compensiamo
ininterrottamente; facciamo riparazioni e ci confessiamo persino. Ma
il sollievo è sempre breve. Anche se sappiamo che molte cose sono
sbagliate continuiamo a volerle. Questo ricorrente, corrosivo senso
di colpa inevitabilmente ha dei segni esteriori. I suoi segni
rivelatori nel nostro comportamento possono essere raffinati, ma ci
sono … eccome!. L’autorecriminazione è uno dei modi raffinati
con cui il senso di colpa contamina il nostro comportamento
quotidiano. Se siamo chiamati nell’ufficio del direttore, ad
esempio, ci chiediamo invariabilmente: “Che
cosa avrò mai fatto di sbagliato?”. Il direttore può
volerci vedere per dirci semplicemente quanto sia compiaciuto per un
particolare lavoro che abbiamo fatto; noi invece ci aspettiamo
richiamo e disapprovazione. Se i nostri amici non ci telefonano, non
ci scrivono o non ci fanno visite supponiamo che in qualche modo li
abbiamo offesi. Non pensiamo naturalmente che possono essere occupati
o fuori di città. Se qualcosa va storto, ci attendiamo di essere
biasimati. E se il nostro senso di colpa è sufficientemente forte,
pensiamo persino che le nostre disgrazie fortuite siano colpa nostra.
Maggiore è il senso di colpa, meno possiamo permetterci di essere in
errore su qualche cosa. Lo sforzo costante per ottenere approvazione
può essere espresso come un bisogno costrittivo di essere dalla
parte giusta, di perfezionarsi. Il pensiero implicito è molto
semplice. La colpa ci fa sentire svalutati ma non dobbiamo svelarlo.
Il modo migliore per non svelare il nostro senso di mancanza di
valore è quello di farsi valere, di eccellere in ogni cosa, nel
gioco, negli affari, nella conversazione; vogliamo essere perfetti,
in modo che nessuno sia capace di scoprirci con le mani nel vasetto
della marmellata ... in difetto, in errore. Sfortunatamente, nel
nostro bisogno imperativo di essere impeccabili tendiamo ad eccedere
nello sforzo di far bene. Dobbiamo vincere qualsiasi argomentazione,
non importa quanto insignificante essa sia, perché temiamo che, se
sbagliamo in qualche cosa, la gente ci guardi come se sbagliassimo
tutto. La coercizione generalmente è un
aspetto significativo nello sviluppo del senso di colpa, e una delle
sue più evidenti espressioni. Parlando in maniera non
spontanea, ad esempio, controlliamo le nostre reazioni. Se facciamo
ciò durante tutta la conversazione, non può saltar fuori nulla che
potrebbe rivelare la nostra insufficiente naturalezza. Qualche volta,
chi conversa in maniera costrittiva parla parecchio di se stesso.
Infatti può in maniera ossessiva invitarvi a pensare bene di lui
raccontando alcuni incidenti in cui qualcuno vergognosamente si è
servito di lui senza che egli alzasse un dito per protestare, tanto
grande era la sua generosità. Oppure può sollecitare il nostro
amore e la nostra pietà parlando incessantemente delle sue malattie
o della sua malasorte.
può essere eccessivamente sollecito:
“Desidera un altro bicchiere? Una sigaretta?
Una sedia più soffice? Ha abbastanza caldo?” e così via.
Questo genere di controllo eccessivo di una relazione può nascondere
sentimenti del tutto contrari a quelli espressi. Ciò impedisce
all’altro di esprimersi completamente. Un
contatto coercitivo o l’essere troppo calcolatori o il dubitare
eccessivamente, esprimono anche la nostra paura di sbagliare e di
essere scoperti. Alcune persone impongono di comprare a prezzi
vantaggiosi. Questo è il loro modo inconscio di giustificarsi nel
caso siano stati accusati di essere indulgenti con se stessi.
Difficilmente potevano non comprare, dato il prezzo; era realmente un
risparmio!!! In altre parole era meglio comprare, non lasciarsi
sfuggire quel grosso “affarone”. A volte esprimiamo
intenzionalmente il nostro senso di colpa, perché pensiamo che ciò
ci darà la possibilità di dimenticare, di redimerci. Ma come molti
studiosi hanno dimostrato, coloro che esibiscono in maniera
drammatica la propria colpa raramente mostrano l’umiltà o il
rincrescimento che ci attendiamo sia unito ad essa. Proclamano la
loro colpa per disarmarci. Accusano se stessi prima che possiamo
accusarli noi; così, pensiamo di loro che sono persone “per bene”.
Il bisogno di un tale “perbenismo” facilmente sfugge. Maggiore è
il nostro senso di colpa, più acutamente sentiamo questo bisogno. Il
nostro comportamento comincia a essere dominato, quindi tiranneggiato
da esso. Ci sono persone che arrivano con
appena cinque minuti di ritardo e sprecano mezz’ora per scusarsene.
Giudicando dalle apparenze il loro scusarsi è eccessivo in
confronto alla colpa. Ma a livello psicologico più profondo si
stanno scusando non per il piccolo errore di comportamento costituito
dall’essere in ritardo, si stanno scusando per tutti i loro
“misfatti”, passati, presenti, futuri, reali, immaginari o
potenziali. Questo è il motivo per cui si scusano così
profondamente e man mano che diventano sempre più esperti nello
scusarsi, possono anche riuscire ad avvilire se stessi, a farsi
sentire importanti, così si risparmiano ogni eventuale attacco che
potrebbe essere rivolto contro loro. Cominciamo ad apparire umili,
modesti, e perciò veramente accettabili. Le loro scuse hanno lo
stesso effetto di un narcotico dall’odore dolce; la nostra
irritabilità scompare, e ci calmiamo in una passiva accettazione.
Alcune persone dominate dal senso di colpa
impiegano mezzi di espressione che sono esattamente l’opposto dello
scusarsi. Semplicemente non permettono mai a se stessi di
sbagliare. Invece di sfoderare le loro nobili intenzioni sempre di
più con le scuse che vogliono addurre per avere sbagliato, parlano
ripetutamente del loro successo, di ciò che fanno costantemente per
gli altri e per se stessi, per dimostrare le loro buone intenzioni.
Che cos’altro posso essere se non degno di stima, ben presentabile
e accettabile, domandano silenziosamente, se mi sforzo tanto di
essere fidato, consenziente, caritatevole? Il fatto è che il mondo
esterno, il più delle volte, accetta queste persone; esse sembrano
generalmente esempi di virtù. E’ l’individuo che non accetta se
stesso e continua a lavorare eccessivamente, come se la sua vita
dipendesse veramente da ciò.
ontinua ad essere azionato
meccanicamente, lavorando come se stesse facendo penitenza, senza
reagire con sufficiente chiarezza alle necessità logiche del lavoro,
tanto è minacciosa e paurosa l’interpretazione che dà a queste
necessità. In breve, agisce reagendo a qualcosa che sta dentro di
lui, qualcosa di profondamente personale, emotivo e di lunga durata.
E’ probabile che tutto ciò ha a che vedere con quello che egli
crede necessario per l’edificazione di un’immagine accettabile di
sé agli occhi del mondo. Maggiore è la nostra sensazione di colpa,
tanto più dobbiamo sacrificarci a questo compito. Il guaio di tutto
ciò, sfortunatamente, è che questo mezzo, come molti altri, induce
la gente a pensare meglio di noi in quelle circostanze, ma spesso ha
effetto opposto su di noi. Lo scaricatore può anche pensare che gli
altri valgano poco, e così tenere viva la propria ostilità
interiore, restando così esposto ai ripetuti attacchi del suo stesso
senso di colpa. Una persona che lavora eccessivamente si stanca
troppo per rallegrarsi della compagnia e spesso critica
eccessivamente la pigrizia degli altri. Più a
lungo manteniamo viva la nostra ostilità, non importa come la
nascondiamo, più il nostro senso di colpa rimane vivo. Il più
penetrante e serio effetto del nostro senso di colpa è il bisogno
che esso crea di soffrire. Abbiamo visto che il senso di colpa e la
punizione si susseguono come il giorno e la notte. Soffrire è una
punizione speciale che applichiamo a noi stessi. Se
soffriamo che cosa accade? Suscitiamo la
pietà, la simpatia, il cameratismo. La gente è spiacente per
noi, invece di accusarci si aver fatto qualcosa di sbagliato e di
soffrirne; naturalmente ci aiuta a pensare che abbiamo pagato il
prezzo che dovevamo per “aver agito male”. Inoltre soffrire non è
realmente ciò che vogliamo; noi tutti lo sappiamo. E’ il nostro
modo di purificare la nostra personalità. Sfortunatamente scegliamo
per purificarci qualcosa che è troppo forte. Nel purificare la
nostra personalità, diamo alle fiamme la nostra vera parte di noi
che stiamo tentando di purificare. Soffriamo molto di più di quanto
dovremmo. Sommergiamo noi stessi nella miseria, nell’infelicità,
nell’impotenza, in un senso di privazione di valori. Alcuni fanno
di ciò un’abitudine, diventano professionalmente flagellanti.
Giungono ad un punto in cui la tristezza è un aspetto integrante
della loro personalità, fino al punto che piangono per la gioia e
trovano persino, come fece Romeo, che la tristezza sia una cosa
piacevole. Una delle forme più comuni di sofferenza è l’abitudine
a sentirsi vittime. Vediamo ciò in espressioni come: “Non
me ne hanno dato l’opportunità”, oppure “Capitano tutte a me”.
La gente che dice queste cose trova diletto in storie pietose. Non
deve trattarsi necessariamente della loro personale, sfortunata
storia. Può essere quella di chiunque. Questi sofferenti cronici si
fissano su una tragedia, su una malattia, su qualche incidente, sul
senso di fallimento, sulla morte, sulle infermità, ciascuna delle
quali cose concede loro di dire: “Non
controlliamo noi stessi; siamo le vittime innocenti di forze aspre e
crudeli al di fuori di noi”. L’infermità psicosomatica è
un’espressione più sofisticata di un’abituale tendenza al
vittimismo.
erte persone sono sempre
vagamente sofferenti. Durante l’inverno sono congelate dal
freddo; in estate sono allergiche al calore; in primavere ed in
autunno sono sensibili alle fluttuazioni della temperatura. Queste
modalità di comportamento le possiamo tradurre così: “Non
mi è permesso di stare bene. Se sto
bene, devo trovare un nuovo meccanismo per esprimere il fatto che mi
sento vittima, sofferente, che sento di dovermi punire. Ma se
sono malato, se sono vittima delle circostanze, tu non mi puoi
accusare degli impulsi ostili che sto nascondendo o del mio senso di
colpa. La malattia è debilitante, dolorosa, costosa, ma in quale
altro modo posso esprimere il mio bisogno di soffrire?”. Una paura
reale di punizione è anche una forma di sofferenza. Paghiamo poiché
abbiamo degli impulsi ostili o indegni. Paghiamo vivendo nella paura
di una punizione. Pensiamo di morire di terribili malattie, di
perdere una gamba, di perdere il lavoro, tutto come punizione.
Che
cosa possiamo fare contro il senso di colpa.
oi
soffriamo. Perché? Perché ci sentiamo colpevoli di tutti i nostri
desideri proscritti e di tutti i nostri impulsi ostili. Alcuni fra
questi sentimenti risalgono molto indietro nel tempo. Pochi li
abbiamo risolti, ma per la maggior parte sono rimasti insoluti. E
sono mantenuti vivi dalle circostanze della nostra vita. Così
soffriamo di un senso di colpa a causa di essi. Ci chiediamo
ripetutamente: “Per che cosa sto provando un senso di colpa?”
a
questa non è una domanda che ci può aiutare di più. Ciò che
dovremmo chiederci è: “Qual è la funzione di questa condanna,
autorecriminazione, di questa disposizione, ricerca continua a
soffrire?”. Fondamentalmente, la sofferenza è
la nostra ostilità che si è volta contro di noi stessi! E’
la punizione che diamo a noi stessi per aver voluto cose che abbiamo
supposto non siano da desiderare, per aver fatto cose che abbiamo
supposto non siano da fare. L’associazione di colpa e punizione
lascia in noi un bisogno di punizione, così ci imponiamo delle
privazioni, ci martirizziamo, e in questo modo puliamo, laviamo i
nostri peccati. Il nostro soffrire, bilanciando l’assenza di valori
che sentiamo per il nostro senso di colpa, ci aiuta a conservare la
stima in noi stessi; ma sfortunatamente diminuisce la nostra abilità,
la nostra capacità di godere della vita, poiché non permette un
sufficiente sviluppo della nostra personalità per ciò che
intraprendiamo che è di prima importanza e per la possibilità di
godere della compagnia degli altri. Che cosa
possiamo fare? Il moralista dice: “Agisci
giustamente, sii caritatevole, cammina umilmente con il tuo Dio”,
oppure “Non fare agli altri ciò che non
verresti fosse fatto a te”. Un psicoterapeuta non può
guardare al senso di colpa o alle sue cause in termini morali. Egli
riconosce i desideri dell’uomo non come buoni o cattivi, ma
semplicemente in quanto ci sono e costituiscono una parte
incancellabile dell’essere umano. Non possiamo cambiare le
nostre “macchie”. Tutti abbiamo dei desideri che sono in qualche
modo antisociali, ma ciò non ci rende psicopatici o criminali. La
moralità può impedirci di agire sulla base di desideri antisociali,
ma non impedirli di averli, e impedirci di provare un sentimento di
colpa a causa di essi. Noi li esprimiamo e li soddisfacciamo nel
nostro pensiero, nella nostra fantasia, se non nell’azione. Così
il sentimento di colpa è in noi per restarci.

on possiamo
liberarci di esso più di quanto non possiamo liberarci del freddo
dell’inverno o del caldo dell’estate. Ma proprio come ci
proteggiamo contro il clima col cambiare qualcosa secondo la
situazione contingente, mettendoci un cappotto d’inverno, usando
aria condizionata d’estate. Possiamo
ammortizzare il nostro senso di colpa strutturando la stima di noi
stessi tramite il “sentire”, il piacere, la gente e la
partecipazione a interessi di diverso tipo. Ogni cosa che
facciamo per rallegrarci un po' di più, per aumentare i nostri
divertimenti ed essere consapevoli, tende a bilanciare il dolore che
la sofferenza ci causa. Ogni sforzo che facciamo nell’aumentare il
numero e la varietà delle nostre amicizie o delle nostre relazioni
con la gente, tende a sostenerci.
La
personalità si sviluppa nel momento in cui comincia a identificarsi
con gli altri. Ci
sentiamo meglio perché la nostra accettazione degli altri ci aiuta
ad accettare noi stessi.
iò
non significa che dovremmo diventare parassiti e vivere della forza
degli altri. Dovremmo poter dare qualcosa a ogni persona con cui ci
mettiamo in relazione, e se conserviamo una disposizione d’animo
aperta e andiamo in cerca di qualcosa che ci faccia gioire della vita
e partecipiamo ad attività che ci danno un senso di soddisfazione e
di compimento dei desideri, troveremo molte cose da portare con noi
nelle nostre relazioni con gli altri.
Ora,
naturalmente, è facile riconoscere che ciò è un buon consiglio
generale. Ma non c’è qui un consiglio specifico sul problema della
colpa, non c’è un modo che ci permetta di annullare la nostra
tendenza a giudicarci così duramente?
C’è,
ma prima dobbiamo riconoscere e ammettere che noi, nei fatti, ci
giudichiamo troppo e troppo sbrigativamente.
uesto
è il primo modo specifico. Noi tutti soffriamo. E non a causa della
malasorte. Soffrire è una punizione. La punizione deriva dalla
colpa. E tutti abbiamo, anche se non lo vediamo chiaramente, un senso
di colpa. Ora questa conoscenza in sé non ci renderà più semplice
reprimere la nostra tendenza a giudicare noi stessi, ma ci può
aiutare a essere più comprensivi nei confronti degli altri. Finché
ci ricordiamo che il senso di colpa non resta mai impunito perché
l’individuo stesso che si sente colpevole si punisce, anche se la
società manca di scoprire la colpa e di agire contro di essa,
potremo non sentirci forzati a giudicare gli altri.
Perché
giudicare e punire se sappiamo che tale azione ha già preso posto
dietro le quinte?
Possiamo
rilassarci: possiamo
vivere e lasciar vivere e, ancora meglio, in breve tempo potremo
perfino trattarci con un po’ più di indulgenza.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it
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