domenica 30 giugno 2013

- DISTURBI ALIMENTARI. Dieta...


DIETA … togliamo dalla mente i bocconi amari


Risultati immagini per dieta nei dipinti

iceva Platone, con grande saggezza, che non si dovrebbe mai, per nessuna ragione, tentare di curare il corpo separato dall’anima, e per ottenere la salute di quest’ultima e del corpo è necessario curare la mente. Questo prezioso insegnamento, ancora oggi di grande attualità, lo ritroviamo nella massima latina “mens sana in corpore sano. Fin dai tempi antichi era ben noto lo stretto legame tra mente e corpo, di cui quotidianamente, attraverso sofisticate ricerche di neurofisiologia o esperienze personali dirette, ne abbiamo conferma. L’uomo è ammalato nel corpo perché la sua mente è ammalata e la mente ha perso la sua salute perché si è avvizzito il suo “involucro”. Il benessere, quindi, dipende sempre dal perfetto equilibrio corpo - mente: il primo può influenzare, in ogni momento, l’altra e viceversa. Quando una di queste componenti non funziona bene, o magari la si trascura, è segno che c’è qualcosa che non funziona nella propria vita: la “scorza” adiposa non fa eccezione e può essere un segnale davvero inequivocabile. Quante volte, dopo una giornata storta, piena di delusioni, di litigi, di frustrazioni oltre ad aprire il frigo e mangiare in modo sconsiderato ogni cosa, ci siamo ulteriormente anestetizzati con un buon bicchiere colmo di nutella o buttati a capofitto in un profumato calice di pinot? Quasi quotidianamente annuisce, con un certo pudore, la signora Lucia in un recente incontro terapeutico, pure Maria afferma, a malincuore, tale abitudine, ma anche Camilla, nella sua timidezza, ammette di aver fatto ricorso più volte a questa “magra” consolazione  e, poi, Ettore che non sa proprio darsi pace per queste sue grandi abbuffate … tutte vittime di qualche chilo in più. 


e la vita è immobile, scorre senza passioni e soddisfazioni, la mente “capricciosa” cerca delle compensazioni altrove, ci butta in pasto al cibo per consolarci. Quando i problemi della vita si fanno “pesanti”, anche il corpo, con la sua difficoltà a “digerire”, lentamente si fa carico di una vistosa ed inutile zavorra; una vita “piatta”, vissuta nell’anonimato, che non emoziona più, allarga la cintura, fa lievitare pancia e fianchi … fa perdere la linea. L’alimentazione, infatti,  può rientrare in questo intricato meccanismo psicosomatico, è legata al benessere, non solo fisico ma anche mentale; più si escludono dalla vita i veri interessi, i desideri profondi, più l’orco con tutta la sua voracità, risorto prepotentemente dagli inferi, si scatenerà a tavola facendo piazza pulita di ogni cosa.


urante il giorno, con gli altri, sempre ben misurati, ordinati, scrupolosi, responsabili, controllati, ossessivamente attenti all’immagine, mentre di sera, al rientro, invece di godersi un meritato riposo, l’aggressività repressa, finalmente, trova la sua modalità espressiva, ogni tensione accumulata improvvisamente esplode: i ruoli svaniscono, i veli di colpo cadono, ci si trova completamente privati della maschera quotidiana, spogliati, nudi, faccia a faccia con il vuoto profondo, travolti e confusi da quelle paure vaghe da tempo trascurate, mai espresse, calati in una atmosfera affettiva e sociale che dà veramente poco, convinti di non valere, il timore di non riuscire, di rimanere soli, di perdere quel che si ha … tutto si colora di sofferenza e disistima. Per calmare la grande inquietudine, dunque, è necessario azzittire questa allarmante confusione ecco, allora, presentarsi un potente ansiolitico, la soluzione è lì a portata di bocca… la grande abbuffata, è pronta e servita. Un altro tratto caratteristico di chi tende ad ingrassare è quello di non riuscire a dimenticare ipotetiche umiliazioni, eventuali sconfitte, presunte offese o torti subiti: si lega ogni cosa al dito, lasciando sempre - attraverso un estenuante rimuginare - tutto in sospeso. Più la vita lascia il comando alla noia, ai sacrifici e alle rinunce, più si cerca la felicità, la compensazione e il piacere nel piatto … in questo modo il giustiziere della dispensa può operare indisturbato. 


ibo, emozioni e atteggiamenti mentali agiscono sempre in maniera sinergica. Il cibo non è solo materia da cui trarre proteine e vitamine ma è connesso - metabolismo e tiroide permettendo - a bisogni emotivi, con le parti più profonde del mondo infantile; é legato, spesso, a tendenze svalutative, a valori familiari, alla sensazione di infelicità, a quella insaziabile fame d’amore che non abbandona mai … nemmeno di notte. Quando poi il cibo è sempre in testa, oltre a diventare l’unico motivo di consolazione, può trasformarsi in un comodo e potente analgesico nei confronti di  una vita spenta, priva di vitalità, che per quanto ci si impegni non emoziona più … soprattutto, quando si è a “dieta” di gratificazioni e di libertà. Il piacere, il divertimento, l’innamorarsi perdutamente, il riscoprire la passione sono gli ingredienti fondamentali utili a modellare il corpo, il vero ed unico antidoto ai chili di troppo … fanno dimenticare di mangiare e bloccano veramente l’ago della bilancia. Il cibo è, erroneamente, un buon rifugio contro l’ansia e l’insicurezza, un vero antidepressivo, mette a tacere sofferenze, abbandoni, mancanze, rimpianti, delusioni e privazioni affettive; un’abitudine negativa che, prima o poi, si fa sentire con voce grossa per riscuotere i sospesi, da tempo depositati nel corpo e nella mente … sempre, però, con gli “interessi”.


OSA FAREPoiché una esperienza simile espone sempre a una potenziale fragilità e vulnerabilità, nel corpo e nella mente, addentrarsi in tale avventura è possibile solo quando si è davvero convinti, sereni e tranquilli: sentire il desiderio di cambiamento, la voglia di liberarsi di vecchie abitudini e condizionamenti vari; trattarsi e volersi bene al punto di cambiare non certo per gli altri ma per se stessi, riscoprire quel senso di benessere che si è perduto nella routine e nella banalità. Quando le giornate sono “alleggerite” e gli stati emozionali più clementi, sarà più facile raggiungere fino in fondo gli obiettivi …  sempre con i risultati sperati.

Se soffri non rimandare, 
non rinviare un affettuoso e genuino sostegno:
l’aiuto deve essere chiesto quando serve realmente!
 … altrimenti puoi cronicizzate e soffrire inutilmente in silenzio. Se, poi, ti ritrovi continuamente inchiodato al dolore forse è davvero il momento di farti aiutare, di mettere fine ai tuoi patimenti reali o immaginari, non è un gesto di debolezza ma di grande forza.



NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
E mail: bonipozzi@libero.it

mercoledì 19 giugno 2013

- DIPENDENZA


DIPENDENZE  perché è così difficile uscirne?


a dipendenza è una condizione di “resa”, una forma di “schiavitù”, un atto con cui si “consegna” la propria vita a qualcuno o a qualcosa. Un comportamento altalenante, con effetti distruttivi, in base al quale un individuo attiva una relazione distorta con altre persone, situazioni, luoghi o cose. Un abbandonarsi a situazioni che gradualmente dominano e gestiscono la vita del soggetto fino a distruggerla completamente; impulsi forti che spingono l’individuo a compiere azioni dannose non soltanto per se stesso ma anche per gli altri (familiari, amici, colleghi). Un modo sbrigativo per sfuggire ai problemi o per alleviare sensazioni di impotenza, colpa, ansia o depressione. E’ una ricerca confusa del “piacere” attraverso qualche surrogato che, paradossalmente, pur limitando il potere decisionale, rende “accettabile” e “vivibile” il disagio quotidiano: un modo davvero singolare per alleviare la sofferenza quotidiana e sedare il malessere interiore. L’aspetto veramente distruttivo della dipendenza è l’impossibilità assoluta di gestire il comportamento ripetitivo, anche se consapevoli della sua inadeguatezza e del disagio che comporta. Il soggetto getta via il suo tempo, dissipando completamente la sua energia, perdendosi in lunghi ed inutili rituali. Questo rapporto “maldestro”, soprattutto se profondo ed intenso, oltre a far crescere l’ansia, può produrre sbalzi d’umore e modificare negativamente i rapporti interpersonali; la dipendenza - a causa di pensieri “spazzatura” e comportamenti forzati - avvelena, domina, controlla, distrugge, rende schiavi ed impoverisce l’esistenza fino a diventarne la padrona assoluta. 


ale esperienza, inoltre, contrariamente a quel che si pensa, non è prerogativa di un’età a rischio e tanto meno circoscritta ad un particolare ceto sociale. E’ un problema endemico che si acuisce con i “crolli” emotivi e si insinua indistintamente, senza misericordia, nelle case dei ricchi, nelle chiese, nelle case popolari, nei colti e negli ignoranti. E’ un fenomeno intenso e travolgente che in maniera subdola prepara il terreno a patologie psicosomatiche ricorrenti davvero importanti come insonnia, eruzioni cutanee, ulcere, cefalea, attacchi di panico e depressione. Il logorio associato alle varie dipendenze, inoltre, può esacerbare o peggiorare alcune condizioni fisiche, spesso già compromesse: intestinali, epatiche, respiratorie, cardiovascolari, neurologiche ed endocrini. La dipendenza, alterando la visione della realtà dell’individuo, non è un’abitudine innocua, una banale scusa, una mancanza di responsabilità o un’incapacità di esercitare il controllo su determinate situazioni, ma è - secondo il DSM IV - un vero e proprio quadro clinico che coinvolge aspetti sia fisici sia psicologici. 
Il ventaglio delle dipendenze è particolarmente ampio: da sostanze chimiche (collegate al consumo: alcol, cibo, nicotina, farmaci, psicostimolanti) e psicologiche (collegate al comportamento: - shopping, tentare di colmare un vuoto interiore oppure sentirsi più potenti in virtù del fatto di lasciarsi andare a spese pazze - gioco d’azzardo, difficoltà a gestire la propria affettività - sessuale, distrazione e sollievo emotivo - affettiva, scarsa autostima e bisogno di definire il proprio valore in base all’opinione altrui - lavoro bisogno ossessivo di garantirsi il futuro attraverso l’accumulo di ricchezza e beni - internet, mezzo per evitare qualsiasi approccio costruttivo al vivere con se stessi e gli altri). La distinzione tra fisica o psicologica è comunque solo teorica perché tutte le forme di dipendenza alterano e modificano la chimica cerebrale attraverso complessi messaggeri chimici (neurotrasmettitori). Al riguardo si veda la complicata natura della dipendenza da gioco d’azzardo, definita drugless, in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica esterna. 


gni dipendenza, infatti, proprio perché agisce su precise zone cerebrali, dando un senso di  esaltazione e piacere provvisorio, alimenta la ricerca del benessere illusorio e scatena il desiderio di ripetere l’esperienza “tossica”. Per la complicata natura assuefante del fenomeno, quindi, non è possibile fare una netta distinzione tra fattori biologici della dipendenza ed elementi psicologici della stessa. Le sostanze psicoattive (in maniera più marcata) e i vari sentimenti umani attivano sempre uno scambio di informazioni  tra milioni di cellule nervose. Questa alterazione, agendo sullo stato emotivo, si impossessa lentamente della persona fino ad annullarla completamente: si diventa, man mano che passa il tempo, sempre meno padroni della propria vita. Un ebbrezza altamente distruttiva che assorbe completamente tutte le energie mentali e conduce ad una vita di sterile infelicità. Gesti e rituali che danno un sollievo temporaneo ma che fanno aumentare l’angoscia anziché ridurla.



ome è stato più volte sottolineato, più si è dipendenti, depressi o compulsivi, più le aree cerebrali di questi sintomi diventano capaci di generarli (kindling). Un programma terapeutico tempestivo ed adeguato, oltre a ridurre il rischio di ricadute e aiutare il dipendente ad affrontare il senso di vuoto che emerge nella fase di recupero, permette di velocizzare i trattamenti e migliorare, fin da subito, la vita del malato. Il piano di recupero deve basarsi sulla comprensione del significato della dipendenza per il singolo soggetto e delle valenze specifiche attivate in ciascuna situazione.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
E mail: bonipozzi@libero.it