sabato 30 aprile 2022

Bulimia ... fame da bue


BULIMIA …  fame da bue

Una grande “voracità“ d’ amore e, contemporaneamente, il suo rifiuto; tratto ossessivo compulsivo connesso a un sentimento di abbandono o di colpa.


in dalla nascita, l’uomo mangia non soltanto per vivere: su questo atto biologico si radicano fattori emozionali e sociali che rendono indissolubili gli aspetti sia fisiologici sia psicologici dal comportamento alimentare … non si vive solo di companatico, in questo istinto c'è qualcosina in più!!! Il primo contatto sociale, infatti, consiste nel ricevere il nutrimento, si ottiene in questo modo la soddisfazione della fame, conforto, gratificazione dei bisogni e dei desideri … calore, affetto e, soprattutto, protezione; più tardi, man mano che si cresce, insorge la possibilità di opporsi, di non ricevere, di rifiutare, di sputare il cibo e, infine, con la dentizione, di mordere … un essere aggressivi che per qualcuno potrebbe essere insopportabile. Il bambino quindi porterà alla bocca e inghiottirà tutto ciò che gli sembra “buono”, desiderabile, suscettibile di soddisfare i bisogni, rifiutando e sputando ciò che considera “cattivo”. Come hanno messo in evidenza alcuni autori, lo stomaco può subire, per condizionamento, influenze simboliche (si veda in particolare la ricerca di Pavlov … produrre acido cloridrico anche senza aver introdotto proteine); man mano che passa il tempo, i vari rospi ingoiati e la personalità, il suo funzionamento sarà in rapporto più o meno stretto con il mondo esterno. Le vestigia del rapporto nutritizio con la figura parentale sono sottese da affezioni come nausee o vomiti emozionali, la sensazione di bolla faringea, la difficoltà di digestione. 


elle fasi iniziali della vita, quindi, nessuna altra funzione vitale svolge un ruolo importante nella crescita quanto l’alimentazione. Soddisfare la fame produce un sentimento di gratificazione, sicurezza e benessere; nell’allattamento il bambino prova il primo sollievo dal disagio fisico, e il contatto “caloroso” con la pelle della madre gli dà la sensazione di essere amato e sentirsi al sicuro. Inoltre, durante l’allattamento egli sperimenta sensazioni piacevoli nella bocca, nelle labbra e sulla lingua, che poi cercherà di produrre, in assenza della madre, succhiandosi il dito. Così le sensazioni di sazietà, di sicurezza e di essere amato sono indivisibili nelle prime esperienze del bambino. Alcune ricerche (Luban, Plozza, Poldiger, Kroger) hanno dimostrato che se i bisogni vitali sono prematuramente frustrati - in un modo che il bambino non è in grado a quella determinata età di capire e gestire - creeranno un disagio che può trovare la sua espressione nel pianto parossistico, eccessi nervosi, disturbi del sonno, irrequietezza e disturbi della digestione. In breve, quando il bambino è frustrato troppo precocemente chiederà più attenzione rispetto a coloro che hanno ricevuto risposte attente e soddisfazioni tempestive. Durante l’alimentazione questi bambini tendono a bere rapidamente, desiderano grandi quantità e, apparentemente, non sembrano mai soddisfatti. Questo modello comportamentale pare predisponga in futuro a sentimenti di avidità, invidia e gelosia. Per certi versi è possibile affermare che la relazione tra madre e bambino è ancora più importante del metodo di alimentazione attivato (ovviamente questa affermazione non intende assolutamente mettere in risalto difetti o, peggio ancora, a colpevolizzare la madre: ognuno dà quello che ha … che ha ricevuto a suo tempo). Fattori, comunque, quali amore e attenzione insufficienti, disattenzione, alimentazione poco attenta e frettolosa suscitano il primo sentimento di aggressività … di voracità incontrollata, si tende a mordere ogni cosa si incontra. Tali reazioni conflittuali provocano esperienze vegetative. Da una parte l’organismo del bambino è pronto per assumere il cibo, dall’altro la persona che accudisce viene respinta. In questa condizione si creano stimolazioni nervose negative con crampi allo stomaco e vomito, che possono predisporre a un vero o proprio disagio psicosomatico. Alcuni studi recenti affermano che le pause per il caffè abituali negli uffici e in altri ambienti lavorativi non hanno la finalità di soddisfare un bisogno calorico ma piuttosto quello di alleviare l’irrequietezza collegata a quella situazione particolare del momento, esattamente come il bambino collega l’esperienza della poppata al sollievo del disagio fisico. L’atto del mangiare è in realtà molto adatto a far rivivere umori, timori, paure e sentimenti provati in passato in un’atmosfera simile. Oltre a queste considerazioni sembra, inoltre, che la bulimia sia un disturbo della nostra epoca. I mezzi elettronici di comunicazione di massa bombardano la popolazione con immagini di donne snelle che “hanno tutto”. In molte aree della cultura occidentale vi è cibo in abbondanza, precondizione necessaria per una condotta caratterizzata da “abbuffate” alimentari. Gli individui affetti da questi disturbi tendono ad essere istruiti, economicamente avvantaggiati e radicati nella cultura occidentale (non è più, però, prerogativa femminile come fino a poco tempo fa si pensava). Le immagini delle donne fornite dai mass media, inoltre, suggeriscono che l’apparenza esterna è assai più importante dell’identità interna. Questi dati, pertanto, indicano che il malessere bulimico non ha un’unica causa ma è il prodotto di una serie di fattori stressanti: intrapsichici, familiare e ambientali.

Che cos’è


a bulimia è una forma di compulsione* che induce chi ne soffre a mangiare a dismisura o, in casi peggiori, a inghiottire tutto ciò che gli passa sotto gli occhi, senza nessuna distinzione (*impulso irrefrenabile a compiere un atto; tendenza a ripetere alcuni atti rituali, inutili e ingiustificati; nel compiere questi atti il soggetto non prova alcun piacere, ma la sua ansia ne risulta momentaneamente alleviata. Quando la patologia è grave, l'individuo può addirittura passare la maggior parte del suo tempo in attività compulsive: svuotare completamente frigo e intere dispense appena rifornite). In brevissimo tempo, infatti, vengono ingurgitati enormi quantitativi di cibo ad alto contenuto calorico (in alcuni casi si arriva, in poco tempo, fino a 15.000 calorie). A tutto ciò segue, in genere, vomito autoindotto, abuso di lassativi e di diuretici. Queste grandi mangiate sono spesso pianificate o fanno parte di un rituale quotidiano. Dopo un breve periodo di particolare soddisfazione, questo fenomeno è seguito da forti tensioni interiori e da profondi sentimenti di colpa e di vergogna. I disturbi dell’alimentazione hanno a che fare, come già menzionato più volte, con il contatto, il nutrimento, la relazione con il proprio ambiente ma, soprattutto, con la rabbia, la delusione, il dolore; è un segnale rivolto direttamente a qualcuno o qualcosa, difficile da decifrare (ciascuno può dare significati diversi allo stesso gesto, indispensabile, quindi, sempre un aiuto esterno qualificato). Non è ancora ben noto il numero preciso dei casi, la cifra sommersa sembra piuttosto elevata. Pare che in circa la metà delle persone anoressiche, il disagio si estenda alla bulimia - quest’ultima è definita la “sorella segreta” dell’anoressia - dopo un decorso di vari mesi. Essa comunque è conosciuta come quadro clinico a se stante.
 
l decorso abituale è cronico e intermittente su un arco di molti anni. Di solito le abbuffate si alternano con periodi di alimentazione normale e di digiuno. Nei casi estremi comunque, ci possono essere alternativamente eccessi e digiuni senza periodi di alimentazione normale. Benché molti individui affetti da Bulimia siano nei limiti di una fascia di peso normale, alcuni possono essere leggermente sotto peso, e altri soprappeso. Alcune persone sono soggette a intermittenti abusi di sostanze, più frequentemente barbiturici, anfetamine o alcol. Altre persone possono manifestare grande apprensione per la loro immagine corporea e il loro aspetto, frequentemente in relazione con la mancanza di attrattiva sessuale; tale inquietudine è focalizzata su come gli altri possono vederli e su come possono reagire nei loro confronti.

Alcuni comportamenti alimentari nei bambini

Che cos'è il cibo?


l cibo è una fonte di vita. sul piano psichico costituisce un legame tra il piccolo e l'ambiente esterno; il primo legame che lo collega con il mondo dopo la nascita, perché la figura di riferimento si occupa soprattutto di lui nelle ore della poppata o del biberon. fin dalla nascita, o quanto meno alcune ore dopo di essa, il bimbo è spinto verso il cibo con lo slancio di tutto il suo essere, il che costituisce una delle forme più profonde dell'istinto di conservazione. è quel che più semplicemente si suol chiamare appetito. di fronte a un lattante affamato le cui urla cessano solo al contatto. il bambino che mangia normalmente con soddisfazione e che digerisce bene, è in generale un bambino in buona salute, che possiede un buon equilibrio, che vive in armonia con il proprio organismo e con l'ambiente circostante. ma questo stato ideale, certamente molto piacevole per coloro che lo circondano e specialmente per la madre, è soggetto - come ogni stato umano - a fluttuazioni e può essere bruscamente o progressivamente sostituito da uno stato di malessere ... di crisi più o meno profonda. il fatto è che nel bambino avviene un'evoluzione interiore che si scontra con molteplici incidenti i quali comportano reazioni più o meno evidenti da parte sua: e particolarmente per quanto riguarda l'alimentazione. tali reazioni sorprendono i genitori, poi li gettano in uno stato di inquietudine, perché essi non ne comprendono la causa e si domandano quale ne sarà lo sviluppo. d'altra parte, spesso tutto si aggiusta soprattutto quando i genitori muniti di pazienza e saggezza lasciano che la crisi si sviluppi intervenendo il meno possibile sul piccolo. quasi sempre, invece, la situazione si complica se la famiglia, e specialmente la madre, assume un atteggiamento di inquietudine, supplicante o autoritario, di fronte alla mancanza d'appetito del bimbo. il rifiuto di mangiare può avere la stessa importanza di un vero e proprio fenomeno morboso chiamato "anoressia" e che deve essere oggetto di una visita medica specialistica in un centro psicopedagogico o di neuropsichiatria infantile. fin dai primi giorni di vita, possono sorgere incidenti che derivano dal pasto steso: costringiamo il bambino a mangiare più rapidamente di quanto egli non voglia o non possa; lo disponiamo in una posizione che per lui è scomoda, o tra rumori e confusione, oppure in un luogo che non gli piace; lo costringiamo a mangiare quel che non gradisce. il bambino comincia allora a protestare. noi insistiamo, alziamo la voce, e la resistenza diviene allora più decisa, più forte, più decisa. per ambedue le parti in causa entra in gioco il prestigio. con l'intervento della testardaggine e dell'abitudine, ha inizio una lotta che si ripete e si aggrava a ogni pasto successivo. questi sono però i casi più semplici: quelli che dovremmo essere in grado di risolvere. in altri casi il conflitto presenta cause indirette. il bambino non vuol mangiare perché è infelice o scontento, depresso o nervoso, per diverse ragioni spesso inconsce e perciò difficili da individuare immediatamente. forse ha creduto di essere abbandonato, ha perso la fiducia, il senso di sicurezza che gli sono necessari. il rifiuto di mangiare è allora una difesa che si assomma ad altre: tutto ciò è particolarmente frequente e significativo.


nche in età evolutiva, la Bulimia si caratterizza per le cosiddette “crisi bulimiche”, durante le quali vengono ingerite, in breve tempo, esagerati quantitativi di cibo ad alto contenuto calorico. Come per l’adulto, la Bulimia può accompagnarsi sia a dimagrimento che a incremento ponderale. Anche i giovani si lamentano, nonostante varie contrapposizioni, di non riuscire a controllare l’impulso a mangiare. A volte questo impulso incontrollabile si verifica improvvisamente, esplodendo come un fulmine a ciel sereno; altre volte, invece, l’abbuffata viene abilmente programmata nei minimi particolari. Durante l’eccesso iperfagico si determina nel giovane una sensazione di stordimento misto a benessere tale da paragonarla all’assunzione di una droga con effetti “miracolosi”. In questo quadro clinico sono frequenti ed evidenti tratti depressivi, instabilità affettiva e disturbi della sfera sessuale; così come un profondo senso di disagio che contribuisce a rendere sempre più marcata e difficile la vita sociale. Il giovane bulimico, nonostante manifesti una profonda inquietudine per il peso, è generalmente consapevole dell’anormalità della propria condotta. Numerosi saranno, quindi, i tentativi e le procedure adottate - anche con diete fortemente restrittive - per controllare il proprio peso che generalmente, il più delle volte, rimane nella norma. Il trattamento psicoterapico di questa patologia, pur essendo estremamente delicato per le frequenti ricadute, si è dimostrato particolarmente efficace. Poiché questo quadro clinico è caratterizzato essenzialmente dalla tendenza di perdita di controllo, il principale obiettivo sarà rivolto a far acquisire un maggior autocontrollo. In realtà si cerca di intervenire su quella erronea convinzione che la “grande abbuffata” è uno strumento antiansia, bensì evidenziare che tale procedura è patologica. Intervenendo a livello cognitivo, o meglio su queste idee, può indurre il giovane a sperimentare un comportamento alimentare (meno dispersivo) normale, più lucido, che fino a quel momento era vissuto come fonte di angoscia. Tutto ciò potrà contribuire a ridurre quelle sensazioni di incapacità e di impotenza nel gestire, in modo più idoneo e produttivo, la propria vita.


ericismo (ruminazione, risalita del cibo non digerito dallo stomaco)E’ un vomito provocato; il bambino elimina una parte più o meno cospicua degli alimenti, ma una parte del bolo alimentare viene riutilizzata per una specie di ruminazione, alla quale sembra talmente attento da disinteressarsi completamente dell’ambiente circostante. La dispersione alimentare è di entità praticamente variabile. Il Mericismo, che spesso si verifica quando il bambino è solo, può tranquillamente sfuggire all’osservazione dell’adulto. Lo si rileva per lo più nel quadro di un rapporto con l’adulto caratterizzato da piccole incomprensioni e impercettibili carenze affettive (rapporti freddi, anaffettivi, ostili). L’aspetto più significativo della sindrome non è costituito tanto dai disturbi a livello alimentare ma, soprattutto, dal disinteresse che il bambino mostra per l’ambiente circostante. E’ per questo motivo che si è ritenuto di poterlo considerare una forma precoce di isolamento autistico. Tale comportamento, con prognosi quasi sempre positiva e a breve termine, cessa quando una persona si dedica interamente, in modo caloroso, al bambino.


otomania. Si tratta di un bisogno imperioso di bere grandi quantità d’acqua o, in sua mancanza, di qualsiasi altro liquido. Quando si ostacola in modo brutale questa condotta alcune ricerche hanno dimostrato che i bambini arrivano a bere la loro stessa urina. Per effettuare, comunque, la diagnosi di potomania è necessario escludere una causa organica (come ad esempio il diabete). Sembra che questo comportamento si presenti a cavallo dell’alimentazione liquida e quella “solida”. L’angoscia per la paura del soffocamento e un comportamento oppositivo possono favorire l’espressione di episodi di potomania che regrediscono, a volte, spontaneamente.


ica. Con questo termine che in latino significa gazza, si descrive un quadro clinico in cui il bambino ingerisce sostanze non commestibili (uccello che gode della reputazione di inghiottire qualsiasi cosa; termine usato anche per designare i “capricci” alimentari delle donne incinte). La caratteristica essenziale è l’ingestione persistente di sostanze non nutritive. Ingerisce sostanze più varie (anche se tendenzialmente è attratto da un’unica sostanza): chiodi, monete, sabbia, bottoni. Questa condotta sembra osservarsi sia in bambini in situazione di carenza affettiva profonda o di abbandono, sia in bambini con personalità psicotica (autismo infantile, schizofrenia, disturbi organici: in questi casi non si potrà emettere la diagnosi di Pica). Il decorso assume caratteristica di remissione nella prima fanciullezza, ma può persistere fino all’adolescenza o, più raramente, nell’età adulta. Fortunatamente la Pica è un disturbo raro e viene riscontrato in percentuale simile ai due sessi. I fattori predisponenti sono: ritardo mentale, carenza di minerali (zinco o ferro), trascuratezza e scarsa sorveglianza.

Complicanze fisiche della bulimia.



a Bulimia raramente inabilita, se si eccettuano alcuni individui che passano l’intera giornata dietro alle loro abbuffate e al vomito autoindotto. La maggior parte delle complicanze fisiche deriva dal comportamento di “eliminazione” e di “purificazione”. Il vomito autoindotto porta all’erosione dello smalto dei denti incisivi e all’ipertrofia dolorosa delle ghiandole salivari. A volte si crea un ipopotassiemia particolarmente grave. L’abuso di lassativi e diuretici può provocare squilibri elettrolitici ed edema; il vomito di succhi gastrici provoca esofagite, lesioni dentali, ingrossamento cronico della parotide. La masticazione frequente induce ipertofria del massetere che conferisce ai pazienti tratti facciali caratteristici. Completano il quadro somatico la distensione dello stomaco, stipsi conseguente all’abuso di lassativi e disturbi mestruali.

Ma cosa si nasconde dietro questa fame insaziabile? Qual è la funzione che svolge il cibo in questi casi?


bbiamo visto che la funzione alimentare, per quanto essenziale, non è tutta quanta innata, ma ha bisogno di essere formata, e ciò equivale a dire che tale funzione può essere deviata dalla propria destinazione originaria, qualora la formazione in questione sia mal condotta da mani inesperte. E’ come se i bulimici non fossero capaci di avvertire la sazietà; come se continuassero a mangiare pur essendo da un pezzo sazi. Mangiano dunque per altre ragioni che non per la soddisfazione dei loro bisogni fisiologici, per lo più per ragioni d’ordine emozionale. Molti autori (tra cui H.Bruch) sostengono che quando la madre non risponde in maniera adeguata ai messaggi del figlio, questo perde ben presto la capacità di discriminare fame e sazietà. Vi sono madri che alimentano il proprio figlio tutte le volte che piange, proprio perché sono incapaci di immaginare questo segnale ... altri bisogni specifici. Il rapporto madre - figlio, quindi, svolge sicuramente un ruolo importante nello sviluppo (almeno in buona parte) della sintomatologia bulimica. Si sviluppa in tal modo il nesso simbolico in cui il cibo rappresenta amore, sicurezza, protezione e soddisfazione del bisogno; nel bulimico il cibo sarà utilizzato in maniera inadeguata ed esagerata allo scopo di risolvere tutti i problemi della sua esistenza. In età adulta, quello che per alcune persone è un “buco nero”, per altre è un “vuoto incolmabile” e mangiare diventa l’unico modo per riempirlo e riempirsi, per non sentire il vuoto affettivo e relazionale circostante. Quando è una carenza affettiva ad aver segnato e caratterizzato l’infanzia, quando non si riesce a percepire il calore e l’amore di chi sta attorno, ingerire una grande quantità di cibo è un modo per “scaldarsi” e gratificarsi … di “riempirsi” di un qualcosa di buono, di caldo … di affetto. L’attacco bulimico si distingue da un eccesso di fame o di “golosità” in quanto l’individuo sembra da un lato non percepire un vero e proprio stimolo di fame, dall’altro non discriminare, in quel frangente, i diversi sapori dei cibi che sta mangiando. Le sostanze più svariate vengono così consumate insieme, dando luogo ad abbinamenti a dir poco non solo “improvvisati” e pasticciati, ma “azzardati”. Questo comportamento sopraggiunge per lo più all’improvviso, difficilmente all’ora dei pasti, spesso durante la notte. Il tentativo di soddisfare questa “fame insaziabile” avviene generalmente in casa, in assenza di qualunque altra persona, o al limite di nascosto.
 


ale atto segue un forte senso di colpa (che si caratterizza nella paura di ingrassare) e il bisogno di espellere tutto il cibo introdotto. Compare allora il vomito, quale tentativo di liberarsi di un cibo dapprima indispensabile poi riconosciuto come “tossico”, velenoso. A livello “superficiale”, questa strategia di gestione dell’aggressività può sembrare interessante, l’espulsione della “cattiveria” sotto forma di vomito consente, momentaneamente, al paziente di sentirsi bene. La maggior parte di coloro che sperimentano questo disagio danno un’immagine, un’impressione iniziale di forza, indipendenza, ambizione, franchezza e anche di autocontrollo. La loro immagine esteriore, però, differisce enormemente da quella che hanno realmente di se stessi: in alcuni casi di vuoto estremo e assenza di scopi. Inoltre, si abbandonano ad umori pessimistici o depressivi causati da modelli di pensiero e di comportamento che alimentano sentimenti di impotenza, di vergogna e di inadeguatezza. Tendono a vivere una vita particolarmente felice in pubblico e una vita infelice in privato. Spesso provengono da famiglie in cui è contraddistinta da una elevata tendenza al conflitto e all’impulsività, da pochi legami con la famiglia biologica, da stress eccessivo, da scarsa capacità di risolvere i problemi, mentre il loro ambiente esercita una elevata pressione sociale a raggiungere grandi traguardi (fama, successo). Anche tutti i membri della famiglia del bulimico apparentemente hanno un forte bisogno che chiunque li veda come grandiosi, “tutti buoni”. La grande mangiata in sé ha funzioni integrative e di riduzione dello stress, come atto di autoconsolazione, ma il sollievo è temporaneo e il soggetto successivamente percepisce questo episodio bulimico come una perdita di controllo che mette radicalmente in pericolo la sua autonomia e la padronanza di sé … crea un profondo senso di colpa. Il vomito come condotta di eliminazione (enteroclismi, lassativi, diuretici) è utilizzato per mantenere costante il peso corporeo. Questo comportamento viene vissuto come “ripresa” di autocontrollo e autodeterminazione. I conseguenti sentimenti, come è già stato sottolineato (colpa e vergogna) per quanto è successo sono, quindi, molto spesso causa del ripiegamento emotivo e sociale, oltre che della separazione tra un’immagine esterna di sé molto presentabile e un’immagine interna nettamente diversa. La differenza tra concezione di sé e immagine sociale può provocare, inevitabilmente, sentimenti di vuoto e di forte tensione che, a loro volta, possono essere attivati in situazioni di stress e disistima, e così si riprende nuovamente la “giostra dell’infelicità”.

Cosa fare

aspetto fondamentale nel trattamento della bulimia è la personalizzazione del programma terapeutico (ogni caso è unico ed irripetibile). Concomitanti disagi emotivi, come la depressione, i disturbi della personalità, l’abuso di sostanze, dovrebbero rientrare sempre nel piano di intervento globale. L’approccio terapeutico a questo particolare disagio, certamente non facile, prevede spesso interventi integrati ma, soprattutto, un aiuto esterno continuo, sapiente e qualificato. Poiché chi vive questa difficoltà appartiene ad un gruppo sociale in cui il livello di confusione e contrapposizione è molto forte, gli obiettivi terapeutici sono rivolti a favorire la definizione dei confini generazionali, separazione e differenziazione dei membri di tale sistema (definire i ruoli). In realtà si cerca di promuovere lo sviluppo del processo di autonomia (indipendenza), rafforzare quelle parti della personalità indebolite e ad aumentare il livello di autostima. Sarà indispensabile elaborare, successivamente, le tematiche collegate alla dipendenza, alla simbiosi e all’aggressività. Riassumendo, come per l’anoressia, la psicoterapia individuale di natura espressivo - supportiva è la pietra miliare del trattamento bulimico. Anche gli interventi sulla famiglia sotto forma di sostegno e di educazione sono in genere necessari per rafforzare la terapia individuale. Ogni trattamento, al di là dei vari orientamenti scientifici, deve sempre armonizzare - se non si vuol fallire - con gli interessi e il sistema di credenze del paziente. Le tecniche ipnotiche, abbinate a terapie psicoterapiche, saranno di estrema utilità per rilassare alcuni distretti corporei, riequilibrare a livello biochimico l’organismo e stimolare, nel contempo, i contenuti profondi in modo tale che essi abbiano la possibilità di esprimersi attraverso il variegato linguaggio delle immagini.


NB.
 Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.



Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
 E mail:  bonipozzi@libero.it




giovedì 28 aprile 2022

Ansia ... un altro punto di vista

 

ANSIA … un altro punto di vista


e 'ansie'. Endogena (nasce all'interno: una insicurezza senza un apparente motivo), anticipatoria (un futuro che spaventa), prestazione (ci si sente già sconfitti prima di iniziare), ipocondriaca (ogni sintomo è una malattia). Quando si è presi dall'ansia il respiro si fa più frenetico, ci mette in condizione di affrontare e superare gli impegni della vita o un pericolo; il cervello, in quel frangente, attiva immediatamente il Sistema Nervoso Periferico per consentire di reagire efficacemente; il corpo si prepara ad affrontare l'imprevisto: i bronchi si dilatano per incamerare più ossigeno, la pupilla si dilata per mettere bene a fuoco ogni particolare, il battito cardiaco aumenta, la digestione rallenta: è il momento di agire! Diventa un fenomeno negativo quando la fisiologia corporea blocca anziché favorire l'azione; un mostro con molte teste che si può incontrare al mattino - appena si aprono gli occhi - pensando alla giornata, oppure di notte che non lascia riposare, ma anche più semplicemente in un incontro galante. Può diventare un disagio anche quella smania di riempire la vita a tutti i costi di cose inutili, offuscando in tal modo ogni momento piacevole ... cioè rinunciare di vivere almeno qualche volta con semplicità e leggerezza.

ccade frequentemente, nella vita di ogni giorno, di avvertire una tensione spiacevole derivante da un contrasto o da un disaccordo fra noi stessi e il nostro ambiente circostante. A volte il contrasto si svolge fra noi e altre persone che hanno a livello soggettivo un significato importante come familiari, colleghi di lavoro, superiori; altre volte il contrasto lo avvertiamo dentro di noi tra desideri e tendenze opposte, oppure tra le nostre aspirazioni e le regole che ci sono imposte. In generale, comunque, una certa dose quotidiana di contrasti fa parte della vita normale; la tensione che li accompagna rappresenta il segnale della loro presenza e la spinta per superarli e ad andare avanti. Ma se i problemi non vengono affrontati e quindi le tensioni, invece di essere chiarite, vengono soffocate, spente al nascere, esse si accumulano e possono trasformarsi in disagio, in malessere diffuso o vera e propria sofferenza … in un vero e proprio calvario, tormento continuativo. Si usa il termine conflitto quando il contrasto con se stessi (conflitto interno) o con gli altri (conflitto esterno) si prolunga nel tempo tanto da diventare un elemento importante o prevalente nella vita delle persone coinvolte.


a parola conflitto non indica necessariamente qualcosa di specifico: essa designa ogni situazione in cui vi sia la contrapposizione di interessi, di aspirazioni, di volontà. A livello delle singole persone, i conflitti non chiariti non scompaiono mai in modo spontaneo; possono essere avvertiti più o meno chiaramente, e la persona può anche raggiungere un certo equilibrio e “nascondere” a se stessa e agli altri la tensione derivata dal conflitto. Alla lunga però, se il conflitto coinvolge profondamente la persona e non viene chiarito, è sempre causa di sofferenza e può dare origine a stati d’ansia. L’autentica “salute” non significa vivere una vita spensierata e priva di conflitti non affrontati e non chiariti. E’ un errore pensare di raggiungere la “tranquillità a tutti i costi” illudendosi di evitare ogni contrasto e ogni tensione. Va detto che “chiarire” un conflitto non significa sempre poterlo risolvere. Il conflitto fa male e può diventare patogeno (che produce malattia) quando rimane oscuro e la tensione emotiva non trova vie di scarico utili. La visione di un ostacolo evidente e concreto di fronte a noi è sempre meglio dell’oscura sensazione di tensione o di scontento che non permette mai di arrivare a decisioni equilibrate, lucide e razionali. Saper accettare i propri conflitti affrontandoli con chiarezza fa parte della maturità di una persona. La “salute” comporta anche la capacità di confrontarsi o scontrarsi apertamente difendendo le proprie esigenze, ma rispettando, nel contempo, anche quelle degli altri. Quando certi conflitti non sono risolti in modo utile e diventano intollerabili, possono sfociare in un tormento continuo … in situazioni acute di crisi. Sia che abbia un carattere momentaneo, sia che riguardi più profondamente i rapporti tra le persone o il significato che una persona ha dato alla propria esistenza, la crisi in fondo non è altro che l’espressione di un problema che non può essere ignorato; essa, volenti o nolenti, si fa sentire, costringe a prendere coscienza che una difficoltà c’è e va in qualche modo risolta.

Che cosa è l’ansia


a tensione che accompagna e segnala un conflitto o, più in generale una difficoltà dell’esistenza può assumere le caratteristiche dell’ansia.

’ansia è un fenomeno profondamente umano e fa parte delle nostre normali reazioni. Tutti abbiamo provato ansia in qualche momento della nostra vita. Si tratta di un sentimento spiacevole di allarme e di attesa che possa accadere “qualcosa” che più o meno vagamente temiamo, qualcosa di indesiderato o minaccioso. Entriamo in ansia, come si usa dire, quando avvertiamo che viene meno la nostra sicurezza perché non possiamo più controllare gli avvenimenti o contare su punti di riferimento certi. La forma più semplice dell’ansia è di sentirsi spaesati, cioè il sottile sentimento di disagio che ciascuno ha provato trovandosi di solito in luoghi a lui estranei, una città lontana o una camera di albergo sconosciuta. In questo caso basta appropriarsi del nuovo ambiente e renderselo familiare (esplorandolo, scoprendo punti di riferimento: colori, profumi, arredo) per superare l’ansia e riacquistare la piena sicurezza.


i legano sempre alla condizione dell’uomo, con i suoi affetti, i suoi valori, le difficoltà che ciascuno incontra nella vita, altre ansie: l’ansia per la possibile perdita di una persona cara, l’ansia di fronte alla morte. In periodi di insicurezza diffusa nella società si acuiscono le ansie per la salute, la possibile perdita del posto di lavoro, per il proprio avvenire e quello della propria famiglia e così via. Molto frequenti – anche se si sottovaluta a volte l’intensità della sofferenza che esse comportano – sono le ansie che accompagnano certe età delicate della vita in cui è in gioco la sicurezza della propria identità e dell’avvenire: le ansie dei bambini alle prime separazioni dai genitori, le ansie degli adolescenti e quelle delle persone anziane. In breve, il sentimento d’ansia, con tutte le sue possibili sfumature, va riconosciuto come una parte normale dell’esistenza umana. Ad esso è possibile portare sollievo con un atteggiamento di sincera solidarietà (l’espressione comune “condividere le ansie” di qualcuno racchiude una grande verità terapeutica) e soprattutto cercare di modificare le condizioni che producono insicurezza e ansia. Ad esempio, nel caso dei bambini e degli anziani è fondamentale garantire la continuità dei rapporti con persone e ambienti familiari. 


uando siamo in ansia soffriamo anche fisicamente: ecco che il cuore batte all’impazzata, lo stomaco fa le bizze e qualche volta ci si mette anche l’intestino … facendo correre velocemente! Accade così che il fatto di sentirci “scombussolati” ci metta ancor più in allarme e ci faccia sentire deboli, impauriti indisposti proprio nel momento in cui avremmo bisogno di tutte le energie per essere nella forma migliore. L’ansia è, come già sottolineato più volte, quella sensazione psicofisica che avvertiamo quando ci sentiamo minacciati da qualcosa, o immaginiamo che nel nostro futuro imminente stia per accadere proprio ciò che maggiormente temiamo. Una certa quantità di ansia è però da considerarsi normale: tutti ne soffriamo, chi con manifestazioni notevoli ed evidenti, chi, invece, con una silenziosa e sottile tensione nella maggior parte delle persone. Il ritardo di una persona cara a un appuntamento, per esempio, genera apprensione, un diverbio non ci fa sentire tranquilli; per non parlare della sgradevole sensazione che proviamo quando abbiamo un debito e temiamo di non riuscire a pagarlo. Apprensione, nervosismo, inquietudine, preoccupazione, presentimento, costernazione, presagio, timore, tormento, affanno, eccitazione, tensione, paura, apprensione, malessere, trepidazione, sconforto, terrore, spavento, angoscia, panico, agitazione, batticuore, stress sono alcuni dei nomi con cui definiamo l’ansia (con questo lungo elenco di vocaboli difficilmente siamo i soli a sperimentare l’ansia)


ansia, inoltre, pur essendo poco piacevole nel momento in cui la viviamo, non è del tutto negativa; un pizzico di tensione rende più saporita ed eccitante la nostra esistenza. L’ansia amplifica le nostre sensazioni, ci fa vivere più intensamente, imprime in noi, i maniera indelebile, le esperienze della vita. Nelle forme più leggere l’ansia e la paura possono anche risultare utili. Infatti ci spingono ad agire rapidamente quando c’è un pericolo in vista e ci aiutano a rimanere in allarme quando siamo in una situazione difficile (migliora le prestazioni dell’individuo, neutralizzando l’apatia e la tendenza a “sedersi”). L’essere umano non può mai stare tranquillo. L’ansia è intrecciata alla sua vita come l’amore, la malattia, la morte, la crescita, l’errore e tutte le altre caratteristiche che lo rendono umano e non “divino”. La causa più profonda dell’ansia può infatti essere ricercata proprio nella condizione esistenziale stessa dell’uomo. Il nostro bisogno fondamentale è quello di mantenersi sani, vitali, amati e accettati dagli altri quanto più ci sia possibile, adeguatamente soddisfatti di noi e di ciò che ci circonda, mentre d’altro canto sappiamo con certezza che le cose non sono mai così lineari … non siamo mi al sicuro, da qualche parte nel nostro futuro ci può essere una incognita. E che la pienezza e la felicità non sono mai raggiunte in modo stabile e definitivo, ma sono frutto di una continua ricerca. Quando l’ansia non è disturbante (o invalidante) la persona non teme nuove situazioni e può sopportare rischi e incertezze; non ha bisogno che ogni cosa sia pianificata e organizzata in precedenza; soprattutto non ha paura di tentare; se non ci riesce impara qualcosa dall’esperienza che le sarà utile per fare meglio la volta successiva. La persona è anche realista, ha una visione precisa delle cose e non confonde ciò che è con ciò che dovrebbe essere. Sapendo di non poter fare tutto, si dedica alle cose che ritiene più importati. I suoi valori sono realistici; non cerca l’impossibile ma considera sufficiente fare del suo meglio. Accetta, inoltre, l’esistenza di certe condizioni: se vuole risparmiare del denaro, non deve spenderlo tutto; se vuole dimagrire, deve magiare di meno.


ono cose che tutti sanno, ma pochi vivono secondo queste regole. Cerca di migliorare ciò che è suscettibile di miglioramento e si rende conto che con grandi fatiche e adeguate motivazioni si possono fare molte cose. Accetta tuttavia anche i propri limiti e non prova disagio (o compensazioni particolari) per le proprie insufficienze. Ha sicuramente il controllo della propria vita; ascolta gli altri ma decide da solo e se ne assume la responsabilità. E’ capace di lavorare ma anche di giocare. Ha un buon grado di rispetto e di stima per se stesso, considera tutti gli esseri umani, lui compreso, degni di valore. Non ha bisogno di cercare la costante approvazione degli altri né di fornire continue prove delle sue capacità. E’ in rapporto continuo con i suoi sentimenti e riesce ad esprimerli. Egli sente in modo profondo, si tratti di tristezza o di gioia, amore, rabbia, frustrazioni, fame o stanchezza. Sa cosa gli piace e cosa vuole, anche se non può ottenerlo. Se viene ferito prova una collera immediata e non gli capita il giorno dopo di soffrire di un inspiegabile “mal di testa”. Sa quando è adirato e reagisce immediatamente e in modo semplice e diretto a qualsiasi cosa accada. Tutte le persone che soffrono di stati d’ansia, momentanei o persistenti, sanno come questa sia profondamente legata a una serie di piccoli e fastidiosi disturbi: ecco che le mani iniziano a sudare, la pancia si fa sentire, appaiono tremori o rossori.


utti abbiamo la tendenza a somatizzare quando alcune circostanze dentro o fuori di noi oltrepassano i livelli di guardia; anzi, da un certo punto di vista possiamo dire che sono spesso proprio questi piccoli segnali che ci fanno accorgere di come in realtà siamo in ansia. Ma a volte questi disturbi diventano costanti e proprio per questo preoccupanti quando si trasformano in: insonnia persistente, ulcera o gastrite, cervicale o mal di schiena, emicrania e colite.

Disturbi acuti e cronici


disturbi ansiogeni possono essere suddivisi in disturbi acuti o disturbi cronici. I malesseri acuti si differenziano da manifestazioni analoghe della vita psichica “normale” soprattutto per la loro intensità (attacchi di panico: è una crisi d’ansia acuta che compare in modo imprevedibile e incontrollabile. I sintomi neurovegetativi consueti dell’ansia si manifestano al massimo dell’intensità fino a provocare la paura di morire, di impazzire o di perdere il controllo). A tutti, come è già stato sottolineato, può capitare di provare ansia e paura. Ma quando questa giunge a bloccarci e a impedirci di “funzionare” allora ci troviamo per analogia nella situazione in cui si trova il nostro corpo quando deve far fronte a un attacco di influenza con febbre molto alta: tutte le sue funzioni vengono ostacolate in modo più o meno grave. Il disturbo acuto ha comunque una durata limitata, dopo di che rientra nelle abitudini del suo stile di vita e che quindi può letteralmente essere chiamato normale. Per disturbo cronico non si intende assolutamente inguaribile (fobie: in questo caso l’ansia è scatenata da un oggetto o una situazione - luoghi chiusi, animali, esami, aereo - che viene temuta e si riduce quando ci si allontana o si riesce ad evitare lo stimolo che lo innesca; ossessioni - compulsioni: è un disturbo d’ansia caratterizzato dalla presenza di ossessioni, immagini e idee ricorrenti che sfuggono al controllo della volontà. Parallelamente sono presenti comportamenti compulsivi e rituali che hanno lo scopo di tenere sotto controllo l’ansia e scongiurare le paure). Cronico significa che in qualche modo l’organismo ha trovato un equilibrio che gli permette di vivere in un modo sopportabile, ma nello stesso tempo esclude la possibilità di un ritorno alla normalità (come si verifica nello stato acuto). Le varie contromisure messe in atto in modo consapevole o inconsapevole da parte della persona giungono a modificare la personalità. E’ proprio il raggiungimento di questo stato di convivenza con rimedi parziali che impedisce da una parte un possibile peggioramento e dall’altra, purtroppo, un radicale miglioramento. E’ un po’ come se la persona, pur continuando a soffrire per i propri disturbi, si “affezionasse” nello stesso tempo ad alcuni aspetti di sé che pensa possano proteggerlo. Così per esempio qualcuno si sente spaventato dalla gente può decidere di affrontare determinate situazioni solo se accompagnato. Fino a quando si farà accompagnare proverà probabilmente meno paura ma il prolungarsi della situazione può giungere a modificare l’immagine che egli ha di se stesso. Credersi e accettarsi come una specie di “fifone” bisognoso di aiuto costante lo farà sì vivere meglio, ma gli impedirà di affrontare la gente da solo. Inoltre, i rapporti sociali tenderanno a strutturarsi in base all’immagine che ha di sé e vivrà in modo molto conflittuale chiunque rifiuti di accettarla. D’altra parte qualunque intervento drastico (per es. un accompagnatore che lo pianti in asso) non farà altro che aumentare l’ansia, bloccandolo ulteriormente e confermandolo nelle proprie convinzioni. Da tutto ciò si può comprendere come la terapia in questi casi necessiti di un punto di riferimento esterno qualificato capace di stimolare le potenzialità senza colpevolizzare le mancanze.



Ricapitolando

L’ansia che cos’è.


i per sé è una condizione connaturata all’esistenza stessa dell’uomo, una risposta adattiva che mette l’organismo in condizione di rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente e di sopravvivere alle situazioni che mettono a rischio la vita stessa. Essa è dunque una tensione psicofisica che mobilita le risorse fisiche ed intellettive del soggetto per migliorarne le risposte. Ma non sempre è così, spesso l’ansia diventa una condizione patologica.

Come si manifesta.

ansia patologica corrisponde alla cosiddetta ansia generalizzata è caratterizzata da uno stato di costante attesa di eventi negativi e catastrofici. I sintomi con cui si manifesta sono: agitazione, tensione muscolare, irritabilità, palpitazioni, tremori, senso di oppressione toracica, ironia, difficoltà digestive.

Perché soffriamo d’ansia.


ossiamo dire che è un disagio tipico della nostra era moderna e del mondo occidentale. Le ragioni vanno ricercate nel nostro stile di vita, nei modelli mentali che influenzano il vivere quotidiano e orientano le nostre azioni e scelte. Ma perché ci affligge l’ansia? Perché non concediamo alla nostra energia vitale abbastanza spazio per scorrere liberamente e realizzare in tempo reale i nostri bisogni e desideri. Troppi vincoli e limiti, troppi giri di pensieri a vuoto. Il nostro tempo distribuito tra mille attività, la necessità di far sottostare ogni gesto a macchinosi ragionamenti e pianificazioni. Il cervello è fatto per realizzare quello di cui abbiamo bisogno nel modo più lineare e immediato possibile. Per funzionare bene ha bisogno di mantenere la sua apertura e plasticità. Quando la intrappoliamo in un tipo di pensiero troppo ordinato e condizionato ci troviamo in presenza di un cervello che si “contrae”, si “atrofizza”: ecco allora l’ansia che improvvisamente ci tormenta, ci attanaglia. Tutte le volte che ci costringiamo ad essere molto diversi da come siamo, che incanaliamo le nostre energie nelle strettoie di obiettivi insulsi, valori banali, convinzioni unilaterali e rigidi, esercitiamo su noi stessi un vero e proprio atto di forza: l’ansia interviene allora come una “contro - forza” che ci costringe a fermarci e a rimetterci in discussione.


ansia ci coglie quando si forma un pensiero: tutte le volte che non viviamo interamente nel presente e interrompiamo il flusso della vita con i nostri pensieri non stiamo più vivendo. Se invece assecondiamo il fluire continuo dell’esperienza e del tempo le cose vanno come devono andare, allora sì che riusciamo a vivere consapevolmente e pienamente. E a realizzare ciò che ci fa stare veramente bene. Così come un fiore non programma di dover crescere, né si preoccupa, ma vive immerso ella natura, e asseconda il flusso e sempre naturalmente, senza dover fare nessuno sforzo, sboccia e porta a compimento tutte le potenzialità contenute nel suo seme. Per affrontare l’ansia dobbiamo essere disposti a “sprofondare dentro noi stessi” scendere in profondità non significa cadere i un abisso insondabile ma precipitare in un luogo dove lentamente sparisce la nostra identità. Liberarci dalle nostre identificazioni è una vera e propria operazione salutare: l’identificazione è la nostra malattia più grave, la nostra abitudine più dannosa. L’ansia nasce dal fatto che siamo identificati in un modello. L’ansia viene proprio per far morire quel modello, perché soltanto così possiamo tornare vivi. La vita è un continuum, un flusso ininterrotto, non ci sono tappe da inseguire, o da raggiungere, siamo noi che frammentiamo il tempo, che pensiamo che quello che facciamo adesso è diverso da quello che faremo tra un’ora o che abbiamo fatto un mese fa. L’ansia nasce proprio dalla rottura di questo continuum. Se non riusciamo ad essere questo istante sempre più totale che è la vita, se non dividiamo il tempo vissuto in un prima e in un dopo, possiamo diventare una eterna consapevolezza, uno stato in cui la coscienza accoglie tutte le energie che cercano di uscire, e come tale le trasmette. L’ansia così si trasforma in creatività. Perché l’ansia è tutta la creatività, tutto l’istinto e tutta la potenza vitale che non stiamo usando. Il presente è l’unico punto fermo. Ma come porsi in questa perenne e caotica mutazione. Raggiungendo la consapevolezza che ciò che è passato ormai non esiste più e non potrà più in futuro ripetersi con modalità uguali e che neanche il futuro esiste perché non si è ancora realizzato e se mai si realizzerà sarà comunque diverso da come oggi lo possiamo immaginare. L’attuale punto di vista è necessariamente diverso da quello che ci vedrà osservatori quando l’evento si verificherà. Il presente costituisce l’unica certezza: la prova della nostra presenza lì dove il verbo “restare”, pur nella sua limitatezza linguistica, è il fulcro e la motivazione della nostra stessa esistenza. Esistenza che si realizza sempre e soltanto per punti continui che vivono e muoiono nel momento stesso in cui vengono alla luce nel mondo. Se noi, in quanto parte integrante del mondo, siamo in grado, solo con un respiro, di modificarlo e di esserne modificati, significa che noi stessi siamo il mondo. Un mondo che vive, si trasforma, si evolve in un processo unico nel quale siamo tutti coinvolti, consapevolmente o inconsapevolmente, in ogni istante nel nostro percorso vitale. Senza di noi, infatti, il mondo non sarebbe lo stesso. Sarebbe privo di un elemento che concorre alla sua stessa esistenza e al suo programma in quel preciso e unico momento temporale.


ome possiamo gestire al meglio il presente, spesso troppo proiettato verso eventi futuri? Forse non si può prevedere il futuro, ma si può sicuramente incidere su ciò che ci aspetta per il futuro, cercando di modificare al meglio il proprio presente. Questo sì che si può fare!!! E se si possono cambiare le regole del gioco, si può anche, se lo si desidera, indirizzare le proprie scelte comportamentali verso il miglioramento del nostro stato attuale di benessere psicofisico. Scelte che sono determinanti per il nostro futuro. L’attitudine a gestire gli eventi in modo naturale ci porterà, anche, a dare più spazio e seguito a quanto nella nostra vita suscita emozioni e a seguire il richiamo di ogni nuovo percorso che possa far nascere in noi l’entusiasmo della novità e della curiosità. Il presente è proprio questo: la concretizzazione di un momento nuovo che, per essere vissuto intensamente, deve suscitare la curiosità della sua conoscenza. L’abitudine uccide il presente perché delegittima la sua stessa forza vitale relegandolo in un passato già vissuto. Se la costruzione della nostra vita è fatta di attimi irripetibili e sempre nuovi, nuovo deve sempre essere, quindi, anche il nostro approccio dinanzi alle novità che il futuro fattosi presente ci porta. Il nostro percorso della vita non è già segnato e compromesso al momento della nascita: siamo noi che lo costruiamo e lo possiamo modificare giorno dopo giorno.

Evitiamo di ricadere nel ricordo ossessivo degli eventi che sono già passati o nella anticipata preoccupazione di ciò che ancora deve (ipoteticamente) verificarsi; 

 Impariamo ad acquisire maggiore consapevolezza del presente e cerchiamo di valorizzarlo;

Convinciamoci dell’ineluttabilità di certi eventi, nei confronti dei quali il nostro compito deve limitarsi ad assecondare il loro passaggio nel presente;

Impariamo ad utilizzare le “antenne” dei nostri sensi per identificare, nella natura che ci circonda, il richiamo di quegli elementi che possono fornirci le risorse energetiche di cui abbiamo bisogno per ristabilire il nostro equilibrio psicofisico … dobbiamo cominciare a sentire;

Ed infine proponiamoci di vivere intensamente e serenamente ogni istante che caratterizza la nostra esistenza, considerandolo come qualcosa di unico e irripetibile, che potrebbe essere l’ultimo in assoluto, ma anche il primo di un nuovo percorso di vita iniziato all’insegna della naturale consapevolezza del nostro essere.

icorda, uscire dall’ansia si può, è necessario mostrarsi disponibili a mettere in discussione le nostre “certezze”, e abbandonarsi al flusso mutevole degli eventi. Ricordando che anche la tensione può essere utile e passeggera!

NB
Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un valore informativo ed educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
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