giovedì 30 ottobre 2014

-STUPRO.


STUPRO … un terribile ritorno

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entre scrivo questo articolo (nell'anno del Signore 2014), i giornali riportano quasi quotidianamente drammatici, infami e raccapriccianti episodi di stupro, commessi da criminali, con una vita “apparentemente” normale. Se prendiamo in esame la violenza carnale come fatto di costume e non come prodotto psicopatologico, la mente potrebbe immediatamente scivolare verso epoche lontane che, ovviamente, nulla ha a che vedere con l’attuale periodo storico caratterizzato da un clima liberatorio di cui tutti dovremmo beneficiare. Immaginiamo, infatti, soldati minacciosi coperti di cuoio e metallo, completamente insanguinati, che bruciano, saccheggiano e violentano donne della città appena conquistata. Oppure quei pittoreschi feudatari, baffuti e corpulenti, che invocano l’antico adagio Jus Primae Noctis. E, ancora, quelle feroci fasi rivoluzionarie, in cui la figura femminile rappresenta per chi è insorto un simbolo del sistema da smantellare e da distruggere. L’attività sessuale, in questo periodo storico, sembrerebbe per noi veramente tutt’altra cosa, definita con ben altre immagini: libera, responsabile e spontanea. Lo stupro, invece, è un atto criminale che apporta un devastante danno fisico e psicologico ad un’altra persona, è un gesto di appropriazione: lo scopo è di avere il corpo della donna nel senso acquisito del termine. La “preda” è percepita dallo stupratore tanto come una persona odiata quanto una proprietà desiderata.

ostilità contro di lei e il desiderio ossessivo di possesso possono essere interpretati come motivazioni coesistenti e il sentimento di odio viene espresso nello stesso atto con cui si tenta di “prenderla” contro la sua volontà. La violenza infame, perversa ed inaudita di un reato, come questo, che avviene con una simile frequenza mette ognuno di noi, ma in particolare gli uomini, di fronte alla responsabilità di prendere molto seriamente in considerazione, con gesti concreti, questo fenomeno criminale in continua espansione. Questo atto criminale, purtroppo, è assai più diffuso di quanto la gente non creda. Riveste, infatti, anche forme più sottili (la cosa sconcertante è che a volte agisce nell’ambito delle “norme civili”)  come ad esempio l’avventura di qualche balordo turista in Thailandia e l’incontro notturno sulle nostre strade (sfruttamento sessuale). Sono inclusi, inoltre, in questi atti, più frequente di quel che si pensa, i mariti, i fidanzati e gli amanti (tentativi di rapporto sessuale forzato, minacce verbali e attacchi fisici). Persino giovani professioniste durante il loro training professionale possono diventare vittime di queste violenze. Molti stupri, la cui spiegazione sfugge alla comprensione del mondo civile, sono oggi di abitudine un fenomeno di gruppo e si articolano in due tipiche modalità. La prima più frequente, è premeditata e realizzata con estrema cura e lucidità seguendo una strategia elementare e feroce. Le vittime designate sono irretite con un invito che si presenta “immacolato” o al limite come prospettiva di un’avventura galante e romantica. 


oi, piano piano degenera,  sono portate con forza in un luogo isolato, dove in genere sono lì in attesa altri balordi pronti a realizzare il loro progetto scellerato. La seconda versione, che non ha preliminari, è subito spietata: un’aggressione improvvisa a una donna che transita in un luogo poco affollato: la gente, anche se è presente, il più delle volte non vuole immischiarsi per paura di ritorsioni o coinvolgimenti violenti (in questo modo viene consumata un’ulteriore violenza con l’avallo di chi non vuole rischiare). Se leggiamo attentamente le cronache giudiziarie, notiamo che le figure dei violentatori, contrariamente a quello che si pensa (anche se personalmente ritengo siano particolarmente e profondamente disturbati a livello emotivo), in media sono dipinti come personaggi quanto mai “comuni” con un passato inseribile in una routine paesana o rionale, in gran parte adolescenti o molto giovani, sono qualche volta guidati da uno o più uomini maturi.  In questa breve descrizione non sono presi volutamente in considerazione, per la loro complessità politica, religiosa e sociale, quei fenomeni di stupro perpetrati da “gruppi” (che fanno lievitare sensibilmente le percentuali statistiche) i quali per la loro cultura soffocano ed escludono la donna dalla vita pubblica e da ogni pubblica attività, reprimendo ogni loro progresso intellettuale e morale (vista soltanto come strumento di gratificazione sessuale e per continuare la specie). 


orse il revival di questo infamante reato scandisce una ribellione assurda e squilibrata di giovani maschi particolarmente nostalgici di una cultura e di un tempo che assegnava loro privilegi e potere al loro sesso. In breve, una rivolta di frustrati infierisce come protesta sulle protagoniste dell’emancipazione femminile oppure sceglie le proprie vittime così indifese da ricreare in quegli attimi il mito del duro, dell’uomo virile e possente. A confermare questa mia ipotesi del “grande maschio spodestato” (confronto per evidenziare le dinamiche conflittuali connesse al rapporto con l’altro sesso) è l’aumento incredibile del malessere sessuale maschile: disfunzioni sessuali che coinvolgono la sfera della stimolazione, dell’eccitazione, dello svolgimento e della conclusione del rapporto. I dubbi, infatti, sulla propria virilità e la paura dell’incontro con il femminile sono espressi attraverso una disfunzione sessuale, oggi, molto comune: eiaculazione precoce. Sono uomini che hanno vissuto un rapporto di dipendenza psicologica molto forte con la madre, che si sono sentiti amati in funzione o a condizione di determinate cose oppure uomini che, pur essendo adulti, non sono usciti dalla fase adolescenziale.

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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – 0532.476055
 E mail: bonipozzi@libero.it

sabato 18 ottobre 2014

- LA SALUTE MENTALE...



La    SALUTE   mentale


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i pensa che, nel corso della vita, una persona su quattro sia colpita da un malessere emotivo, variabile per origine ed importanza. Un tema, quello della salute mentale, offuscato e dominato ancora oggi da tanti piccoli pregiudizi, senso di vergogna, timori ingiustificati e pressappochismi. Sono, infatti, numerosi e radicati i giudizi di valore che ostacolano, spesso in maniera silente, la prevenzione, la diagnostica e la cura di questo singolare tormento umano. Nessuno è ritenuto colpevole per il fatto di avere l’epatite, il diabete, il tumore o l’ipertensione, ma c’è la tendenza a guardare con sospetto, se non con disprezzo, chi ha problemi emotivi; soffrire di qualche problema psichico non è segno di debolezza personale o morale, più di quanto lo sia essere colpiti da qualsiasi altra malattia fisica. Il malessere emotivo non indossa mai vestiti comodi, vistosi e alla moda, meglio non farsi notare, non essere visti: perché la mente dei "sani", colta di sorpresa, di fronte a certe inspiegabili "stranezze", può spaventarsi. Ecco allora, tra la gente, figure furtive che con passo veloce e fugace - per evitare occhiate indiscrete e zittire domande inopportune - sono costrette a diventare trasparenti e invisibili. 


osì, lentamente, la vita sociale si spegne, i pochi rapporti interpersonali sono caratterizzati perlopiù da vile indifferenza e da un diffuso senso di fastidio, ogni piccola occhiata contiene un segnale ben preciso: rivolgiti altrove. La "diversità" porta sempre con sé, oltre a spese inestimabili, la compromissione dei rapporti interpersonali e il rapido deterioramento psicosomatico. Anche le forme più lievi delle malattie mentali possono determinare profonde sofferenze soggettive: paure diffuse, svalutazione, senso di inferiorità, torpore smanioso, incapacità di esercitare una professione, non essere in grado di occuparsi in maniera adeguata di se stessi e dei propri familiari. Il posto di lavoro, poi, diventa letteralmente una polveriera, un territorio di battaglia, un luogo arido e monocolore, ogni piccola cosa crea fastidio ed irritazione, un banale gesto diventa un pretesto per emarginare, umiliare e fare dispetti. La vita sociale, vissuta al minimo, è disorientata da scelte sbagliate, sommersa da desideri confusi, dominata dal dubbio, piena di continue rinunce e irragionevoli limitazioni. Si pensi, ad esempio, ad alcuni non gravi problemi della condotta sessuale, ai disturbi del controllo degli impulsi, agli sbalzi dell’umore, alle dipendenze patologiche, ai comportamenti evitanti e dipendenti. Manifestazioni che in passato sono state sistematicamente ricondotte a un difetto di volontà o ad una qualche imprecisata debolezza emotiva, e di cui attualmente si cominciano a cogliere gli aspetti morbosi, e quindi la necessità di integrare gli opportuni interventi terapeutici. Un malessere che segna la vita non solo alle persone che ne sono affette ma anche alle loro famiglie, ai pochi amici e ai colleghi.


iconoscere i problemi non significa essere dei mostri o dei falliti, ma semplicemente capire se c’è qualcosa che non funziona in modo tale da porre rimedio alla sofferenza invalidante: imparare a vivere in modo più gratificante, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, avere una buona immagine di sé, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni, ritrovare l’autostima e la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi e scoprire che ci sono sempre delle alternative e vi è, inoltre, al di là della visione pessimistica del bicchiere mezzo vuoto, la capacità di prendere le decisioni giuste. Un simile panorama impone, attraverso una corretta informazione scientifica, l’attivazione in tempo reale di strumenti terapeutici e preventivi, atti a promuovere la salute mentale. Ignorare la sofferenza emotiva - anche se tutto è circoscritto a qualche indefinita stanchezza, svogliato sentimento e ad un innocuo pensiero persistente - può fuorviare dagli impegni sociali quotidiani, minare la capacità lavorativa, rendere difficili i rapporti con la gente e, soprattutto, non essere più in grado di svolgere con soddisfazione le attività elementari di tutti i giorni. Un aspetto fondamentale della salute emotiva è l’autostima, il senso di fiducia in se stessi, un sano orgoglio che dà ad ogni individuo la sicurezza per adoperarsi a raggiungere gli obiettivi, per aprirsi agli altri, costruire solide amicizie e relazioni strette.
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 Alcune domande

Come sapere con certezza se esiste un problema. L’unico modo per avere questa certezza è verificare le proprie impressione con uno specialista esperto e preparato in materia di disturbi emotivi. Anche se l’autodiagnosi rappresenta un primo passo molto utile, il suo valore è per definizione limitato da piccoli preconcetti e da atteggiamenti interpretativi sbagliati. Non è possibile pretendere di padroneggiare le mille difficoltà di una vera diagnosi solo perché si è letto un articolo su internet o alcune pagine di un libro; quando i problemi sono significativi e debilitanti è sconsigliabile curarsi da soli. Come dice quel famoso proverbio cinese: ‘Un avvocato che si difende da solo non ha tra le mani che uno sciocco di cliente’. Capire quando una persona è affetta da un malessere emotivo è difficile, soprattutto perché la maggior parte degli individui manifesta solo sintomi lievi e occasionali. 


e mettessimo insieme tutti coloro che hanno sofferto di depressione per qualche giorno o di ansia per qualche settimana, che hanno vissuto anche un solo attacco di panico, che di tanto in tanto si abbuffano di cibo o bevono un po’ troppo o hanno fatto uso di droghe, arriveremmo ad includere almeno l’80% della popolazione. Circa un quarto di queste persone soffre di un disturbo diagnosticabile che richiede un trattamento. Non esiste, purtroppo, una linea di demarcazione netta fra chi è affetto da una sofferenza importante e chi soffre soltanto di malesseri e piccoli dolori che fanno parte della vita di tutti. Decidere se si è normali o no è molto facile quando ci si trova a uno dei due estremi, cioè se non si ha un segno di malattia o se i sintomi sono veramente conclamati, ma è molto più difficile se si è fra i tanti che si situano in posizione intermedie. E’ importante sottolineare che un sintomo non basta per diagnosticare un quadro clinico, sempre caratterizzato da un insieme definito di sintomi e da un decorso caratteristico. Prima di trarre conclusioni affrettate è importante sottolineare che i problemi per essere tali devono condizionare seriamente la vita in maniera continuativa e non essere soltanto causa di un leggero disagio.


ato che il confine tra salute e malattia non è facile da tracciare, è importante fare attenzione a non sottovalutare né sopravvalutare la propria condizione. Il rischio più grave è quello di minimizzare i problemi: almeno tre quarti delle persone affette da un disturbo curabile non riceve l’assistenza necessaria. La tendenza alla sovradiagnosi è molto diffusa, ma si può incontrare in soggetti ipocondriaci che ingigantiscono i problemi fino a farli diventare malattie davvero terribili. 
Quali sono le cause di un problema. Rispondere a questo quesito può essere molto facile per alcuni malesseri, meno per altri: esistono però principi generali che possono essere applicati a tutti i casi. La maggior parte della sofferenza emotiva trova origine in una particolare vulnerabilità che interagisce nel tempo con le difficoltà che l’ambiente pone sul proprio cammino. Certe condizioni possono accrescere le probabilità di un singolo individuo di soffrire di depressione, di attacchi di panico o di alcolismo, nello stesso modo in cui possono incrementare il rischio individuale di soffrire di diabete, malattie cardiovascolari o tumori. Il tutto viene determinato in rapporto alle situazioni favorevoli o sfavorevoli cui andiamo incontro durante la vita. I fattori ambientali che svolgono un ruolo decisivo sono davvero numerosi: da traumi fisici a influenze familiare negative, a tutte le possibili difficoltà della vita; al contrario, un ambiente particolarmente idoneo può contrastare lo sviluppo del disagio emotivo.

 Come affrontare il senso di amarezza

Risultati immagini per faro Un problema emotivo rappresenta molto spesso una condizione difficile. Nessuno d’altra parte può essere certo di avere una vita facile, e molte persone soffrono di problemi fisici e psichici peggiori di quanto si immagini generalmente. L’atteggiamento più saggio è di accettare con un certo "savoir faire" le carte che sono state distribuite, cercando di giocarle nel miglior nodo possibile. Ovviamente deve passare un certo periodo di tempo prima che si possa raggiungere questo grado di "accettazione" e, soprattutto, una piena capacità di reazione davanti alle avversità. Il passo più importante consiste nel capire che la vita può essere ricca di soddisfazioni se si cerca di assumere il controllo del disagio e se si lavora seriamente per limitare le complicanze; ma se si lascia che sia il malessere ad avere il sopravento e a divorare dall’interno, il risultato è quello di vivere tra mille difficoltà e sofferenze. Capire che non si è soli e che si può uscire dai momenti di difficoltà rende più sicuri, più coraggiosi, più sereni … e più "pazienti".


erché iniziare un trattamento adesso. Riconoscere e trattare certi malesseri al loro esordio, prima che possono diventare parte integrante della vita e del modo di pensare, comporta vantaggi notevoli. E’ un po’ come riparare una perdita del tetto all’inizio, prima che danneggi il soffitto di casa: la tentazione quasi irresistibile è di lasciare perdere e di continuare a occuparsi delle proprie cose, ma prima o poi la perdita rovinerà l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere riparato in maniera semplice ed economica richiederà costosi lavori di ristrutturazione. Misure preventive e interventi tempestivi rappresentano la strategia più saggia e conveniente. Lo stesso vale per i disagi emotivi. Più si è depressi, compulsavi o soggetti al panico, più le zone cerebrali responsabili di questi sintomi diventano capaci di generarli; questo fenomeno viene definito con una strana parola kindling (l’atto di accendere un fuoco): è molto più facile domare le fiamme prima che il fuoco diventi un vero e proprio incendio. Molti studi dimostrano che numerose malattie rispondono in maniera più veloce e completa se la terapia è intrapresa nelle fasi iniziale del decorso, prima che i sintomi siano diventati per il paziente, e per il suo cervello, un modo di vivere. Un trattamento tempestivo riduce anche il rischio di successive ricadute e migliora nel complesso la qualità di vita del malato. Decidere di aspettare può essere una tentazione, ma è quasi sempre una cattiva idea, a meno che i sintomi non siano lievi, ambigui, di breve durata o legati a una condizione transitoria.

colpa mia. La maggior parte delle persone che soffrono di questi problemi tende a sentirsi colpevole. Da un lato, purtroppo, atteggiamenti sociali non particolarmente elastici contribuiscono spesso a rinforzare questa sensazione, attraverso una serie di ingiuste stigmatizzazioni. Nessuno è ritenuto responsabile, come è gia stato accennato in premessa, di avere il diabete, l’ipertensione, una malattia cardiovascolare o un tumore, ma c’è la tendenza a guardare con sospetto, o addirittura con disprezzo chi è depresso, ansioso o dipendente da una sostanza, in qualche modo è come se ci aspettassimo di poter esercitare un controllo maggiore sui disturbi mentali. Questo atteggiamento è illogico, ingiusto, inutile e controproducente: soffrire di un disagio emotivo non è segno di debolezza personale o morale, più di quanto lo sia essere colpiti da una qualsiasi malattia. C’è una sola eccezione importante riguardo a questa considerazione; avere un problema di tipo psichico non solleva quasi mai da eventuali responsabilità legati a comportamenti criminali o immorali. Negli ultimi tempi si è diffusa sempre più, in alcuni ambienti giuridici, l’assurda tendenza a presentare la malattia mentale come scusa per giustificare tutta una serie di atti illeciti e spregevoli; per fortuna, questo atteggiamento si rivela in genere fallimentare in sede legale e si spera che possa progressivamente sparire anche dai programmi televisivi che si occupano di tali problemi. La maggior parte di coloro che commettono atti spaventosi non ha problemi di natura psichiatrica, e la maggior parte di coloro che hanno problemi di natura psichiatrica non commettono atti criminali. Se si fa parte della ristretta minoranza di persone affette da un disturbo psichiatrico che commettono atti criminali, non si è responsabili della malattia ma lo si è del comportamento. Gli individui con qualche problema emotivo spesso devono compiere sforzi maggiori rispetto agli altri per controllare gli impulsi e per rispettare i sentimenti e i diritti altrui; capire questo fa parte della responsabilità che comporta essere malati.

Risultati immagini per faroChe cosa fare per stare meglio. Cercare di assumere il controllo della situazione anziché subirla. Sapere, diceva quel saggio di cui mi sfugge il nome, equivale a potere: è fondamentale cercare di informarsi e di imparare tutto il possibile sulla propria malattia. L’impegno per cercare di rimanere aggiornati deve essere costante; grazie ai progressi della ricerca le proprie conoscenze aumentano in maniera rapida e continua. Ancora più importante è essere seguiti da un professionista "sensibile" a questi temi, capace di aiutare a capire sempre di più le problematiche emotive e a porle nella giusta prospettiva: è fondamentale fare attenzione a questo particolare aspetto, sono molti i pazienti che si lamentano del fatto che il professionista scelto non li tiene sufficientemente al corrente della patologia in atto. All’inizio è meglio che il soggetto sia informato su quanto sta succedendo e sulle diverse possibilità terapeutiche: se lo specialista non è anche un buon docente capace e volenteroso, non è necessario insistere … meglio sceglierne un altro (per entrambi!). Infine, è importante cercare di conoscersi meglio. Gli esseri umani sono dotati di un grande spirito di osservazione per quanto riguardo tutto ciò che li circonda … eccetto se stessi. Una buona conoscenza di sé è un requisito fondamentale per cercare di migliorarsi, e succede facilmente di trovarsi davanti anche zone oscure quando si guarda l’unico oggetto che non si riesce mai a distinguere chiaramente: se stessi. Cercare, con calma, di imparare di più sui propri comportamenti caratteristici, su quello che piace e che non piace, sui punti di forza, le debolezze, le inclinazioni, le attitudini, i pregiudizi e le paure presenti; per comprendere e rendere più obiettivo questo quadro introspettivo può essere d’aiuto verificarlo con persone che si ritengono affidabili. Per superare un problema di questa natura bisogna veramente "mettercela tutta": impegno costante e duro lavoro sono di importanza cruciale, ed essere un buon paziente non è davvero facile. I veri progressi si ottengono a poco a poco, compiendo piccoli passi, azioni normali che prima della terapia si cercava di evitare, accettando più tranquillamente se stessi. Quello che si riesce a fare a casa, per conto proprio (il vero banco di prova) è in genere di uguale importanza del lavoro svolto durante le sedute terapeutiche: mettere in pratica ciò che si è imparato e affrontare le situazioni che normalmente si cerca di sfuggire. Molti disturbi hanno un decorso cronico o, più spesso, ricorrente. Se si sono vissuti parecchi episodi di malattia, è altamente probabile che accada ancora, a meno che non si cerchi di affrontare il problema in maniera seria, radicale e decisa: questo significa, di solito, cercare di acquisire una visione a lungo termine della patologia e prendere le misure necessarie per mantenerla costantemente sotto controllo … ricordarsi che l’amore per se stessi, può dare soddisfazioni maggiori di quelle derivanti da successi lavorativi e mondani o dall’accumulo di beni di cui in realtà, a volte, non si ha veramente bisogno.


ome può contribuire la terapia rinsaldare i rapporti. Spesso i disagi emotivi sono fonte di grande tensione e continue incomprensioni all’interno della famiglia o dell’ambiente di lavoro. E’ particolarmente importante, anche se spesso difficile, che tutti i membri della famiglia cerchino di evitare un atteggiamento di biasimo reciproco. Bisogna rendersi conto che il disturbo emotivo può creare una situazione in cui è difficile vivere serenamente (non è facile convivere) non è esaltante stare vicino a una persona sempre depressa, eccitata, terrorizzata, in preda agli sbalzi di umore e alla collera o assorbita in rituali privi di senso, per fare qualche esempio. E’ comprensibile che i familiari perdano la pazienza e diventino a loro volta irritabili, frustrati e intolleranti nei confronti di chi soffre. La situazione da affrontare non è quella che si aspettavano e possono non essere preparati. Più i familiari impareranno a conoscere il problema, meno tenderanno a biasimare per eventuali comportamenti bizzarri; in caso contrario potrebbero pensare che il malato è ostinato, irresponsabile, egoista, ostile o incapace di amore. Una maggiore conoscenza della malattia permetterà loro di capire quello che il sofferente sta attraversando e di attribuire la colpa non al soggetto ma alla malattia; li aiuterà anche ad accettare aspetti del comportamento che in precedenza avevano giudicato sconcertanti, e a reagire meglio quando si ripresenteranno. La speranza è di riuscire ad aiutarsi reciprocamente e a diventare ancora più uniti di prima della comparsa della malattia: condividere il problema (sempre se lo vogliono entrambi) può spingere tutti a rivolgere una maggiore attenzione alle cose veramente importanti della vita.


 
i solito i disturbi mentali non compaiono all’improvviso. Si possono determinare cambiamenti nel comportamento, impercettibili all’inizio, che il partner, i genitori, i fratelli o gli amici intimi notano, ma attribuiscono a stress o a un recente insuccesso. Se il cambiamento diventa più visibile o perdura per settimane o mesi, essi possono manifestare preoccupazione, ma ancora non sono in grado di intuire che davvero esiste un problema. In questo frangente è utile fare un passo indietro e guardare nella maniera più obiettiva possibile al proprio amico o parente. Che cosa precisamente è cambiato? In che maniera la persona agisce diversamente da prima? Da quanto tempo si sono notati questi cambiamenti? Sembra che stia peggiorando? 

In particolare è corretto chiedersi se la persona cara:

- Da diverse settimane sembra triste, depressa o di cattivo umore.
- Pare che stia perdendo le energie e si sente sempre stanca.
- Non sembra trarre alcuna soddisfazione da attività piacevoli.
- Lamenta problemi di sonno.
- Pensa con insistenza alla morte o parla di suicidio.
- Manifesta forti oscillazioni dell’umore.
- Sembra tesa, nervosa o irrequieta.
- Appare confusa o ha problemi di concentrazione o di pensiero.
- Prova improvvise sensazioni di panico o di terrore.
- E’ diventata estremamente sospettosa o timorosa degli altri.
- Fa fatica ad andare d’accordo con gli altri in casa o al lavoro.
- Beve più del solito.
- Usa sostanze illegali. Non si è ripresa da una crisi che risale a parecchi mesi addietro.
- Sembra incapace di controllare o di fermare comportamenti autodistruttivi, come il gioco d’azzardo.
- Ha perso interesse per il sesso o non ha più le stesse prestazioni.
- Si lamenta di sintomi fisici preoccupanti senza che ci sia una causa medica precisa.
- Accenna a idee bizzarre e grandiose.
- E’ diventata minacciosa, aggressiva o violenta.

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 CONCLUDENDO

Incoraggiare la volontà di star bene. Parlare sempre in termini non drammatici ma realistici (della guarigione, di una nuova vita, di un nuovo lavoro), non a scapito dell’onestà dei propri sentimenti e dei propri timori. Dare e aspettarsi rispetto e fiducia. Assegnare a tutti membri della famiglia dei doveri nella conduzione della casa e un posto nelle discussioni familiari. Mai essere iperprotettivi con il malato, non fargli un trattamento speciale e mai permettere che si nasconda dietro la sua "diversità".


ercare delle informazioni. Sebbene ci siano poche risposte già confezionate alle molte domande che insorgono quando una famiglia di trova ad affrontare un disagio emotivo, esistono alcune linee guida generali che potranno essere d’aiuto. Domande sull’istruzione, sulle opportunità d’impiego e su altre questione pratiche devono trovare risposte sicure. Fare delle verifiche con il terapeuta, leggere libri e articoli. Essere preparati "prima" del malessere.


ivere la propria vita. Per quanto sia difficile farlo, quando si è costretti a confrontarsi con un membro della famiglia con dei problemi, ogni persona deve continuare a coltivare i propri interessi e a vedersi con i propri amici. Sfoghi come questi rilassano, aiutano a controbilanciare l’atmosfera tesa che c’è in casa e tengono in contatto con comportamenti "normali".


mparare a riconoscere i segnali d’allarme. Cercare di valutare le parole, le azioni o gli atteggiamenti che precedono i problemi, e cercare di calcolarne le ricorrenze. Se si hanno dei dubbi di fronte ad una certa gravità, è doveroso consultarsi con un specialista di questi disagi.


on aspettarsi troppo da se stessi. E’ probabile che di tanto in tanto ci si senta stanchi, adirati o risentiti. Accettare che il proprio lavoro e le relazioni personali incontrino delle difficoltà per questa situazione. Ricordarsi che non si è di ferro, poche persone possono sempre essere pazienti e generose.


on darsi inutilmente la colpa. Un disagio emotivo può essere causato da stress ambientale, da squilibri biochimici (stili di vita, modi di pensare, atteggiamenti) e da molti altri fattori conosciuti e sconosciuti. Rotture dell’armonia familiare o fatti particolari nella storia della famiglia hanno di certo contribuito, ma essi sono raramente la causa della malattie.


arlare della situazione. Può darsi, come in molti casi, sia molto difficile discutere della propria condizione con gli amici intimi, perché essi non hanno alcuna percezione, o ne hanno ben poca, di quello che realmente si sta attraversando e quindi non sanno come reagire.


on scoraggiarsi troppo presto. La ripresa di un disagio emotivo richiede del tempo (è sempre in funzione della cronicità, quadro clinico, età, cultura). Come una ferita, la sua guarigione è graduale e non può essere affrettata. Non ci si deve scoraggiare per temporanee battute d’arresto: non cercare un colpevole quando le cose vanno male. Anche le piccole ricadute possono essere parte integrante della terapia… quando il bambino ha imparato a camminare, anche se inciampa e cade, è sempre in grado di rialzarsi!


e strategie. L’esercizio fisico si è dimostrato positivo non solo per il corpo, ma anche per la mente. E’ anche un modo efficace per ridurre l’ansia: camminare, nuotare, fare attività semplici e senza sforzo. Una possibile spiegazione consiste nel fatto che l’attività fisica aumenta l’afflusso di sangue e l’ossigenazione del cervello e altera il livello delle varie sostanze chimiche del cervello provocando così modificazioni nell’umore.


na corretta alimentazione. Tanto il corpo quanto la mente per funzionare in piena efficienza hanno bisogno di un’alimentazione corretta. Le abitudine sbagliate - saltare i pasti, ingozzarsi in fretta e furia, sgranocchiare cibo-spazzatura - possono creare malessere fisico e disagio psicologico, come l’incapacità di concentrarsi sui propri compiti, di rilassarsi e di godere della compagnia degli altri.


e tecniche di rilassamento. Esistono speciali tecniche di controllo dello stress che aiutano a produrre, attraverso l’attivazione di endorfine, uno stato di rilassamento, cioè uno stato di calma fisica e mentale che è l’opposto del riflesso attacca o fuggi, caratterizzato da ritmo cardiaco rapido, sudorazione, aumento della pressione arteriosa.


erapie psicologiche e biologiche. Per la maggior parte dei disturbi emotivi esiste un gran numero di terapie efficaci e questa è un’ottima cosa, perché dà la possibilità di scegliere il trattamento o i trattamenti che meglio si adattano ai propri bisogni e desideri, alle proprie preferenze e possibilità economiche.  Se soffri non rimandare, non rinviare un affettuoso e genuino l’aiuto deve essere chiesto quando serve realmente!

 … altrimenti puoi cronicizzate e soffrire inutilmente in silenzio. Se, poi, ti ritrovi continuamente inchiodato al dolore forse è davvero il momento di farti aiutare, di mettere fine ai tuoi patimenti reali o immaginari, non è un gesto di debolezza ma di grande forza.



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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


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