martedì 11 gennaio 2022

Mobbing … una guerriglia interminabile


Mobbinguna guerriglia interminabile


l primo incontro, Sonia, mi racconta, tra lacrime e singhiozzi, il suo fastidioso “mal d'ufficio”. Sa, dottore, è una continua guerriglia, si respira ogni giorno un'atmosfera tossica, velenosa, sia all'entrata sia all'uscita; si vive una sensazione di disagio e di continuo imbarazzo non solo difficile da gestire, ma il più delle volte infelice ed umiliante. Anche se, spesso, il tutto viene manovrato da pochi individui - all'inizio isolati - è un modo di fare crudele, ben congegnato nei minimi dettagli; un fenomeno lineare, ostinato, asfissiante, subdolo, noioso ed irritante che ti toglie il respiro; ti scioglie lentamente, mina la sicurezza e la fiducia in se stessi; una persecuzione fondata sul nulla, tenace, insistente, calcolata a tavolino, silenziosa e strisciante. A volte la situazione è davvero banale, basta poco, un nonnulla per trovarsi nell'occhio del ciclone: essere travolti da comportamenti aggressivi, situazioni confuse, penose e crudeli. Ci si trova improvvisamente di fronte a pretesti banali, motivi stupidi e basati sul vago, ma caratterizzati da un clima bollente e soffocante in grado di danneggiare o distruggere concretamente, in poco tempo, mente e corpo. Non condividere un atteggiamento, un'opinione, un pensiero diventa pericoloso se non rischioso: si è già dall'altra parte della barricata, additati, impestati, strani, diversi, emarginati, allontanati dal gruppo … una situazione incerta che, alla fine, produce solo conoscenti invadenti e nemici furiosi!!! Si arriva a poco, a poco, ad una comunicazione tesa, ostile, irragionevole, di malevolenza ingiustificata e di avversione immotivata. Un rancore sotterraneo, sistematico, da parte di uno o più individui verso un loro simile; la vittima, comunque, si trova, quasi sempre, in una posizione di impotenza e priva completamente di strumenti difensivi. 


ale pressione o meglio azioni continue e moleste, minano giorno dopo giorno l’autostima, compromettono alla fine la reputazione e, di regola, la prestazione lavorativa … ogni traguardo qualitativo raggiunto viene improvvisamente azzerato. Il loro segnale è sempre categorico, invadente, preciso ed inequivocabile: noi siamo i migliori, tu inferiore, un incapace, non puoi competere con noi, non sei all'altezza … vai altrove, questo non è il tuo posto!!! Tuttavia, per poter parlare di mobbing a livello “giuridico”, bisogna che tali comportamenti si verifichino con una certa insistenza e continuità; per definirlo tale deve manifestarsi almeno una volta alla settimana, per un periodo di almeno qualche mese. E’ propria a causa della loro frequenza e della eccessiva durata che questi maltrattamenti portano a conseguenze negative e devastanti per il soggetto da un punto di vista relazionale, psicologico, somatico e sociale. A volte, molte delle attività che danno luogo al mobbing non sono in sé negative, né distruttive, ma è il ricorso ad esse in modo continuativo ed abituale a costituirne un pericolo reale per chi subisce questa angheria ... è vittima del prepotente di turno! La persona attaccata risulta sempre in una posizione di svantaggio, di inferiorità e di debolezza rispetto ai suoi avversari. 


ueste complesse vicende relazionali spesso si protraggono per molto tempo con una certa insistenza, in casi seri anche alcuni anni e, di solito, degenerando progressivamente su tutti i fronti. E’ bene comunque precisare che il conflitto inteso come tensione, competizione, dissenso, è un elemento costante e, spesso, necessario per la vita relazionale … spinge a fare “meglio”, ad una buona evoluzione professionale e sociale … in breve, il sale della vita. Non è in sé una forza distruttiva, anzi può condurre spesso a buone riflessioni, a risultati positivi, stimolando e apportando cambiamenti benefici altrimenti irrealizzabili. Ma, così come il conflitto racchiude il germe del cambiamento positivo, del miglioramento e della crescita, allo stesso modo esso contiene anche quello dell’involuzione, dell'annullamento e della distruzione. Si dice, infatti, che il mobbing derivi da una degenerazione del conflitto, che si protrae modificando progressivamente i suoi contenuti:
da questioni puramente professionali ed oggettive, la disputa passa a coinvolgere non soltanto i comportamenti della vittima, ma la totalità della persona stessa e alcuni settori della sua vita sociale in modo del tutto negativo. A complicare il tutto, spesso entra in gioco anche l’aspetto sessuale, che confonde e distorce ulteriormente i rapporti interpersonali: in questo caso il successo nel lavoro non dipende più dalle capacità o competenze professionali ed il conflitto nasce per ragioni che nulla hanno a che fare con questioni di natura professionale


ell'ambito lavorativo, non è raro, infatti, che un “birbaccione”, operando ai “piani nobili”, possa influenzare il subalterno, condizionare facilmente il “narcisista” o semplicemente chi lavora ai piani bassi, attraverso gesti calcolati e un fare malizioso, con delle lusinghe ingannevoli, inviti e promesse truffaldine: andiamo a teatro, ci beviamo un prosecchino, qualche antipastino semplice, parliamo del futuro organigramma dell'azienda, di nuovi incarichi professionali che ho già in mente da tempo e poi via, non ci ferma più nessuno … la serata sarà lunga, serena, eccitante, magica avvolta completamente dal mistero … ma sì, dai, insieme la faremo diventare una notte fantastica, bellissima, piena di stelle, incantevole, tutta, tutta nostra. Non spetta sicuramente a me stabilire se tale strategia è lecita oppure scorretta, niente in contrario se succede, ma sono profondamente convinto che ogni relazione sia fondata sul rispetto e, soprattutto, su un criterio di parità e di libera scelta … da ogni paura, credenza e condizionamento!!!


Gli stadi “evolutivi” del processo di mobbing.

1. In questa prima fase il conflitto quotidiano non viene risolto e diventa piuttosto invasivo. Può accadere che la conflittualità lasciata in sospeso, irrisolta, continui il suo percorso, la sua esistenza sotto la superficie della normalità, aumentando però di intensità con il passare del tempo … con dinamiche piuttosto violente e drammatiche!

2. In questa seconda fase si verifica un netto peggioramento: la vittima subisce un processo di etichettamento secondo il quale viene costretta ad assumere un atteggiamento di difesa o di fuga (vedasi panico, stress) … nel contempo si accusano i primi problemi di salute sia fisica sia psichica.

3. Tutti ormai sono a conoscenza di questa situazione conflittuale. In questa terza fase emerge un abbassamento nel livello di prestazione lavorativa qualitativa e quantitativa. Questa è una situazione delicata, ma nello stesso tempo devastante. Le vittime sono spesso considerate responsabili del conflitto (anche dai propri familiari): si attribuisce loro - senza mezzi termini - una percezione distorta della realtà, l’incapacità di gestire i vari problemi relazionali, mancanza di competenza e con seri problemi emotivi, trascurando in questo modo il ruolo causale di fattori situazionali (dal danno alla beffa).

4. L’ultima e terribile tappa del processo di mobbing è l’esclusione dal mondo del lavoro: trasferimento, bene che vada, ad un incarico di minore importanza, magari nel piano ammezzato lontano da tutti, e spostamenti continui (la disistima non solo avanza, ma galoppa velocemente)


uesta situazione è, a dir poco, devastante sia a livello lavorativo sia nell'ambito familiare: responsabile di gravi patologie che portano la vittima a richiedere, con solerzia, aiuto medico o psicologico. I segnali psicosomatici, anche se lievi, non vanno mai, per nessuna ragione, sottovalutati. Ricordiamolo, ancora una volta, che il tempo non guarisce mai tutti mali, semmai li complica e li cronicizza. I disagi vanno ascoltati perché parlano della nostra vita. Più ci abbandoniamo ad un fiume di parole, più ci lasciamo andare a giudizi e all’autocritica, più ci riempiamo di falsi obiettivi e di percorsi insoddisfacenti ... più ci facciamo domande inutili, più ripensiamo ai vari eventi passati, più si inseguono progetti sbagliati ... più annulliamo i nostri desideri per compiacere gli altri, più ci “torturiamo” e “lamentiamo” di quelle cose senza senso. PIU’ le esorcizziamo, le cronicizziamo, più le facciamo diventare grandi e importanti: le teniamo lì dentro di noi come un vortice paralizzante. 


isorse completamente sprecate; forze seppellite nei luoghi comuni imperanti che inquinano la mente, in balia di un copione prestabilito e della recita quotidiana, tutto allora si trasforma in abitudini per il quieto vivere, domina i movimenti, un’energia che non scorre più, lentamente soffoca, una sofferenza che con i suoi meccanismi biochimici esaurisce, blocca, appieda ma, soprattutto, si trasforma in disturbo, in sintomi inspiegabili che fanno soffrire … così la VITA si spegne, attraverso il dolore e la malattia, altro non può fare che gridare la sua disperazione, ci chiede con grande saggezza, attraverso il suo linguaggio specifico e i suoi messaggi espliciti, di essere ASCOLTATA; fermati lì, non ingorgare il cervello di “spazzatura”, di cose che non servono nella vita, osserva, smettila di dichiararti guerra e fare confronti, basta battaglie contro i mulini a vento, non attaccarti ad eventi passati, pregiudizi, rimpianti e false idee, evita di commentare e passare a setaccio ogni cosa della tua vita, non lasciarti consumare dai pensieri in percorsi tortuosi e angusti ma dai SPAZIO alle emozioni, alle passioni, alla creatività e ai tuoi desideri, quelli che veramente contano ma che per qualche ragione nel tempo hai soffocato … tutte quelle cose “realistiche” che che desideri solo per te … e, soprattutto, non credere a chi ti considera un diverso, un incapace!!!


essuno può trarci d'impaccio meglio di noi stessi!!! Se facciamo attenzione ai piccoli segnali che il corpo ci invia, se siamo ottimi osservatori di noi stessi (attraverso i cinque sensi: vista, olfatto, tatto, gusto e udito) è possibile smantellare tutte le barriere con il corpo e recuperare il vero contatto “mente e cuore” - il legame con il proprio corpo - così, oltre ad anticipare l’insorgere di molte patologie, permette di fare scelte libere, felici e giuste in qualsiasi settore della vita, possiamo “sfruttare” questi segnali in qualcosa di più vantaggioso a livello energetico, ovvero, attivare tutte quelle risorse sprecate inutilmente, mettendole in tal modo al servizio, in primo piano, a vantaggio, a favore del nostro benessere, prevenire pertanto parecchi disturbi, ritrovare la nostra autentica identità, essere spontanei, vivere in salute e in armonia con gli altri; conoscere questo significa correggere tutti quegli atteggiamenti e schemi mentali che rendono infelici e allontanano da se stessi: trovare il vero equilibrio psicofisico … RICORDA, cercare il SENSO e non la CAUSA è uno dei principi fondamentali della psicosomatica … attraverso il corpo (movimento, posture, disturbi, espressione, vestiario) comunichiamo agli altri, più o meno consapevolmente, come ci sentiamo, come vorremmo essere o apparire, le nostre convinzioni vere o finte che siano … gesti che ci possono rendere naturali o falsare la nostra spontaneità … la muscolatura, liscia o striata, percepisce sempre il clima, l’atmosfera dell’ambiente in cui ci si trova e segnala nell’istante qualsiasi giudizio di valore, ostilità, insicurezza, competizione: il corpo realizza ciò che la mente, spesso, declina … ogni stato emotivo bloccato ci rende estranei all’organismo che altro non può fare che chiedere “aiuto” attraverso il disagio psicosomatico non TEMERE, il corpo non è mai un nemico o un estraneo, ma un alleato, ti dà ogni giorno “spie” specifiche sullo stato di benessere e di salute di tutti i tuoi organi: ascoltalo con più attenzione e conta su di lui, non far finta di niente.


gni essere umano, volente o nolente, è il risultato di circostanze personali, genetiche, sociali, educative e culturali ... possiede una storia che non è simile a nessun altro, anche se i percorsi umani evolutivi sono quasi identici ... un percorso soggettivo in cui impara a reagire alle situazioni in maniera davvero unico ed originale (vedasi meccanismi di difesa) … un passato che, nonostante le nostre buone intenzioni, non riesce proprio a dimenticarsi di NOI! non dobbiamo mai dimenticare che l’idea che abbiamo di noi stessi è stata forgiata attraverso i rapporti con le nostre figure di riferimento, ereditata dai nostri genitori e imposta dall’atmosfera sociale in cui siamo cresciuti: un modo di pensare complesso di eventi esterni attivato per controllarci nel bene e nel male, una fotocopia sbiadita delle aspettative altrui che, spesso, ostacola benessere e successo soggettivo, rende difficile la scelta del proprio futuro. Non ci sono dubbi, il corpo parla!!! Il fatto che il corpo sia in grado di inviare messaggi utilizzando un sistema di comunicazione diverso e complementare rispetto al linguaggio che ben conosciamo è una evidenza ormai condivisa dai più. Si moltiplicano, così, le ricerche e gli studi relativi a quel linguaggio corporeo che sarebbe in grado di rivelare a se stessi e agli altri - al di là delle resistenze e delle censure messe in atto dalla coscienza - parti più o meno significative del nostro essere più intimo. Il sintomo racconta la nostra vita: il modo di stare nella realtà, di vivere le emozioni e di relazionarci … esprime qualcosa della persona che ne soffre ... parla di disagi, bisogni e contrarietà che, a livello consapevole, non riesce a manifestare o percepire … il malessere ha sempre un senso… è una modalità espressiva in codice, messaggi scritti con un linguaggio simbolico… un messaggio che parla un linguaggio antico e indefinito, porta l’attenzione sul problema e mette in contatto con il proprio corpo… se si trascurano alcune problematiche esse si fanno “corpo”: una impressionante corrispondenza tra funzioni fisiologiche e dimensione mentale… l’atmosfera mentale in cui si è immersi può influenzare la salute: ammalare o guarire… ricordiamolo, un’emozione trattenuta - creando tensione - scoppierà primo o poi in una forma organica … 


scoltare (SENTIRE) di più il corpo senza mai rimuovere e coprire è doveroso: tono, energia, desideri e sintomi… se non si coglie il segnale del malessere e non si prende in mano la situazione, sarà qualcun altro a “mettere le cose a posto”: il corpo… ricorda, c’è sempre una corrispondenza impressionante tra le funzioni corporee e quelle della dimensione psichica/mentale… in realtà, il corpo usa le malattie, l’anima e i turbamenti vari, per avvisare che abbiamo intrapreso un percorso esistenziale contro mano, pesante e pericoloso… i sintomi, pertanto, non vanno mai ammutoliti ma ascoltati: sentire quello che hanno da dire… il malessere arriva perché svolge una funzione importantissima, vuole guarire: riportare sulla propria strada unica e soggettiva… i disagi esprimono un’atmosfera mentale, danno voce a “desideri” profondi che non sono riusciti a trovare una corsia preferenziale per uscire … le emozioni per potersi placare, devono scaricare la loro energia, fluire come un fiume liberamente: altrimenti ci sarà una grande “esplosione” nel corpo e nella mente, non bisogna mai negarle… comprimendole si prepara la loro esplosione dirompente… sono invece il vero carburante della felicità, ci rendono unici. Questo è un modo di pensare a misura d'uomo, molto vicino alla sua vera natura (vis medicatrix naturae: gli organismi, secondo il grande medico Ippocrate, contengono "poteri innati di autoguarigione"... si riequilibrano interagendo).


vviamente, perché questo linguaggio interiore possa essere inteso è necessario che l’interlocutore ne conosca alcune chiavi interpretative e, soprattutto, che sia in grado di trasformare i codici, che il corpo usa per esprimersi, in significati più complessi ed elaborati relativi al mondo dei sentimenti e delle emozioni. E’ così che le braccia che si pongono in maniera conserta durante una conversazione indicano una chiusura nei confronti dell’interlocutore, un collo che si reclina invita a una seduzione e il toccarsi ripetutamente i capelli indica uno stato di regressione, volto alla ricerca di rassicurazioni all’interno di se stessi. Se il corpo, vorremmo dire fisiologicamente, parla, possiamo ben capire come quando si trovi sottoposto a situazioni di disagio, dolore o malattia che ne straziano le carni, più che parlare URLI. Attraverso la malattia parliamo a noi stessi … soffriamo nel corpo le pene dell’anima. Spesso ci sono cose che non riusciamo a confidare nemmeno a noi stessi, perché troppo aggressive, apparentemente “malvagie” (dure) o magari troppo dolorose, difficili da accettare (l’orgoglio ne esce sempre malconcio) e, allora, cosa facciamo, prendiamo semplicemente questo povero “involucro”, ma saggio, a testimone. Ogni patologia è una modalità comunicativa sia con se stessi sia con gli altri che permette di esternare la propria sofferenza. A differenza di quanto accaduto per il linguaggio del corpo nelle più svariate situazioni emozionali, il linguaggio del corpo sofferente sembra non attrarre e non incuriosire troppo… proprio per il suo vissuto, il senso di “responsabilità” che evoca questo orientamento (a volte risulta più facile delegare!). 


ioriscono le pubblicazioni sulle malattie dell’uomo e sulle loro cure, mentre scarseggia l’attenzione per quel complesso linguaggio psicosomatico che consente, a chi ne abbia nozione, in grado di decodificare, di capire a livello analogico quale sia la natura della malattie e, soprattutto, le sue origini. In realtà, l’ascolto del linguaggio del corpo e la comprensione di cosa effettivamente il corpo ci dice è ancora oggi lo strumento principale con cui il professionista per motivi terapeutici o il paziente che voglia responsabilmente cercare di capire cosa gli stia succedendo, può orientarsi per arrivare ad una conoscenza globale. Orientarsi nel mondo complesso dei sintomi soggettivi, ossia delle sensazioni che un soggetto avverte in caso di una patologia e dei sintomi oggettivi o segni, ovvero dei segnali che possono essere percepiti dalla propria sensibilità, costituisce a tutt’oggi il metodo principe per conoscere un vero e proprio disagio psicosomatico. Educarsi a cogliere questo linguaggio e ad interpretarlo è uno degli strumenti più elementari e necessari per un’efficace opera di educazione alla prevenzione (non dimentichiamolo mai che è lo scopo principale di questa iniziativa culturale, da anni attivata, grazie alle varie Associazioni o Centri culturali). Per ascoltare e registrare il linguaggio del corpo sofferente occorre, però, sapere che un certo segno o sintomo può avere un valore particolare tra tanti segni e sintomi che costantemente l’unità psicosomatica produce (non certo, comunque, in maniera silenziosa). A questo scopo la lettura e lo studio dei segni e dei sintomi, che in questa breve esposizione vengono presentati, così come il loro collegamento con stati emozionali e schemi mentali, costituisce uno strumento prezioso di formazione alla profilassi e alla salute in generale. 


quivale a conoscere la grammatica del linguaggio delle malattie e delle modalità con cui queste si esprimono nei vari soggetti sempre unici, originali ed irripetibili. Inoltre, è la premessa necessaria per una diagnosi e una terapia rispettosa e globale. Così, come una volta per guarire un uomo, il “sacerdote” doveva saper parlare ai demoni che lo possedevano per cacciarli, anche oggi conoscere il linguaggio delle malattie vuol dire saper riconoscere e comprendere i vari simbolismi più nascosti, in modo tale da porre le basi per una moderna “magia” di guarigione. Non esiste una regola che si possa estendere a tutti in maniera uniforme, possiamo però ascoltare i messaggi inequivocabili del corpo. Se non conosci il “problema” non potrai mai attivare strategie, mettere in atto soluzioni vincenti per il tuo benessere e la tua felicità … ATTENTO, però, non è “sufficiente” sapere che le cose non vanno per il verso giusto, la relazione con l'altro non funziona o che quella particolare attività non ti soddisfa più - perché è un disagio evidente, chiaro, palese, che ti “avvita” su te stesso, non ti fa vedere in maniera lucida la situazione, ti imprigiona nei luoghi comuni e nei pensieri altrui, ti fa dubitare delle tue scelte - ma piuttosto devi allargare lo sguardo sulle cose che ti circondano e che ti spettano di diritto, ovvero prenditi cura di te stesso con amore e, soprattutto, non sentirti responsabile di ogni cosa che accade        
lasciati incantare dalla gioia di vivere, piacere e desiderio, evita i soliti pensieri fissi e corrosivi, prendi le distanze in maniera consapevole da quel senso continuo di desolazione, di fastidio interiore, di imbarazzo, di solitudine, di disorientamento, di stordimento, di estraneità, solo in questo modo potrai riscoprire le tue risorse più preziose, avere finalmente gli occhi che brillano di felicità e, se vuoi, INSIEME ad un professionista “esperto e fidato” diventare protagonista della tua vitaregalati pace, vivacità, gioia e felicità: tutto ciò è POSSIBILE se impari a sorridere alla vita, a non rimuginare!!! NON cominciare a dire “fosse facile”, “siete tutti dei campioni a dare consigli” perché, disperdendo inutilmente energia cerebrale, ti allontani dalle tue vere potenzialità, che sono davvero tante … nessuno, dico NESSUNO può strapparci, annullare quando siamo in piena armonia, senza il nostro consenso, benessere, lampi di gioia nei nostri occhi e felicità. 


oco si parla dell’interiorità, delle risorse interiori, di quanto può influire uno stile di vita, certi atteggiamenti mentali e alcuni modi di vedere il mondo sulle somatizzazioni … delle potenti difese che il cervello possiede se non è schiacciato da regole rigide e controlli eccessivi, soffocato dalle cianfrusaglie, da un senso di impotenza diffuso, da una condizione esistenziale insoddisfacente e dagli stati d’animo fastidiosi protratti nel tempo …  RICORDA, un atteggiamento mentale distaccato e libero da ritmi frenetici risveglia le proprie risorse ed energie, fa davvero rinascere. Ogni stato d’animo, infatti, fin dalla tenere età, influenza in modo più o meno significativo e profondo le aree del cervello che agiscono direttamente sugli ormoni e sul sistema immunitario … TIENI sempre presente, che una vita piena di disagi, di delusioni, di insoddisfazioni e di frustrazioni sono tutte condizioni esistenziali che non solo minacciano in profondità la propria identità più autentica ma oscurano completamente il senso profondo della vita … disorientano e fanno ammalare!!! Ogni cambiamento ringiovanisce. Una nuova vita basata sulla passione e la creatività, attivando le aree cerebrali specifiche non solo ci allontana dallo stress, ma “spinge” anche a soffermarsi su se stessi, insegna ad avere più cura per la propria persona e aiuta ad esprimere tutte le emozioni represse … esprimere se stessi, la propria unicità. Esaminare attentamente il rapporto tra “malattia” e psiche permette di scoprire tutti quei veleni, apparentemente non visibili, ma che possono intossicare, soffocare e spegnere completamente la vita.

    osì lo stress lentamente prende forma e i suoi terribili effetti fisici e psicologici sono più che evidenti se non drammatici. In questo caso ci troviamo di fronte ad un problema più circoscritto, per lo meno a livello di cause: non si trovano in primo piano la natura del conflitto … anche il “mobbing” vero e proprio con tutte le sue sfumature, pur annullando e dequalificando, viene offuscato, di non facile gestione. Molte sono le cose confuse e poco chiare che emergono da tale situazione: compito, tempo investito, impegno profuso nel lavoro, relazioni interpersonali, rapporti con i colleghi e superiori che, se particolarmente deteriorati, non solo non decollano mai, ma compromettono l’esito delle prestazioni lavorative, nonché un abbassamento della qualità della vita (a questo punto diventa fondamentale offrire un intervento attivo, efficace e specifico a sostegno delle vittime). La chiave comunque per uscire da questa situazione non sta in nessun comportamento particolare, anche se il punto di partenza potrebbe essere l’acquisire consapevolezza e lucidità nell’analizzare la situazione e rivalutare l’importanza della rete di sostegno sociale.


    urtroppo quando si innesca il circolo vizioso, anche la famiglia può confondere, tendere ad attribuire colpe e responsabilità alla vittima, minando il suo già precario senso di autostima, smantellando ogni sicurezza, togliendole così un prezioso punto di riferimento e di supporto. Teniamo ben presente che, spesso, per gestire la situazione drammatica, non è sufficiente fare il proprio dovere e rispettare le regole lavorative. A volte, il corso degli eventi è indipendente dal nostro comportamento. In situazioni del genere, sensi di rabbia, impotenza e disperazione sono la regola. Sentimenti che non sono patologici, ma fanno semplicemente parte della nostra umanità … una sana modalità reattiva. Comunque sia, al di là della gravità delle situazioni specifiche, è la durata della relazione a costituire una variabile degna di considerazione. In ogni caso, sembra importante essere attenti, pronti e contrastare l’insorgere di azioni di mobbing su due fronti: quello dell’organizzazione del lavoro, dove procedure, regole e modi di esercitare l’autorità da parte dei responsabili possano alimentare comportamenti di sopraffazione; quello individuale e relazionale, dove l’esistenza di normali relazioni interpersonali di supporto possono invece impedire l’evoluzione di un potenziale processo di mobbing (la consulenza di un esperto in questo frangente risulta non solo fondamentale, ma diventa - considerato il clima drammatico e tossico - indispensabile).


    on dobbiamo mai dimenticare che il mobbing è un problema relazionale assai allarmante e particolarmente diffuso in questo periodo storico sia per motivi competitivi sia per la pandemia in atto. Con questo termine, per niente rassicurante, si indica l’assedio, l’attacco, l’aggressione del “gruppo nei confronti del singolo”: 'verticale' se perpetrato da superiori (bossing) oppure ‘orizzontale’ quando è praticato da colleghi di pari grado o qualifica. Una dinamica perversa che si sviluppa quando sul posto di lavoro l’individuo, quasi sempre isolato, subisce forti pressioni, continui soprusi, ripetute ed ingiustificate molestie psicologiche da parte di colleghi sleali, invadenti, invidiosi, gelosi, annoiati, frustrati, aggressivi e violenti; individui che - in maniera maldestra e sconsiderata - sono alla ricerca continua di 'qualcosa' su cui sfogare non solo il loro malessere lavorativo, ma anche la loro profonda insoddisfazione personale ... un assalto strisciante attraverso strategie subdole e occulte per neutralizzare o eliminare un ipotetico avversario indesiderato, vissuto come 'minaccioso' o 'pericoloso'. Spesso perfetti “incapaci” abituati a riversare sugli altri i propri difetti, errori e fallimenti di natura sentimentale - affettiva - sociale … sempre pronti a sbraitare, inveire, giudicare e condannare senza una vera ragione contro il mondo intero. Il vero Mobber (prepotente), comunque, è quasi sempre una figura con personalità complessa o profondamente disturbata e può rientrare in uno dei seguenti quadri clinici: antisociale, narcisistica, paranoica o borderline. La strategia di questo singolare personaggio è sempre la stessa: creare tensione, gioire per chi è in difficoltà, trarre piacere dai fallimenti altrui, boicottare i rapporti, eliminare la competizione il più delle volte inesistente, bloccare iniziative intelligenti, inibire la creatività e, soprattutto, impedire all’altro di emergere a livello professionale; l'altro deve essere immediatamente bloccato, neutralizzato perché vissuto come 'minaccia' sia nei rapporti sociali sia a livello lavorativo. 


    rovare nel gruppo, quindi, un capro espiatorio, una vittima designata su cui scaricare il malcontento, l'insoddisfazione e le pene esistenziali:
    ansia, rabbia, aggressività e ira repressa. Attraverso questo ‘meccanismo’ (proiettivo) il mobber (carnefice), evidenziando solo gli aspetti “negativi” dell’altro (segni comunque che tutti abbiamo … nessuno è perfetto!) - esagerati e, spesso, inventati di sana pianta attraverso la calunnia e il discredito professionale - si sente migliore, un gigante, forte e superiore ... è convinto di possedere un'anima candida come un cherubino. Una strategia relazionale malsana che - nonostante siano evidenti e ben visibili i tratti patologici non certamente sereni - fa dimenticare all'aggressore le sue profonde debolezze, nascondere le sue mancanze, imbavagliare le sue infinite insoddisfazioni, ignorare le sue reali difficoltà e 'annullare' i suoi dolori esistenziali: “Mors tua vita mea”, direbbe ancora una volta quella meravigliosa locuzione latina! Una comunicazione di tipo ostile, persecutoria diretta in modo sistematico da parte di uno o più individui verso un loro simile, il quale si trova sempre isolato, emarginato, ‘disarmato’, indifeso e soprattutto in una posizione di inferiorità e di impotenza ... anche per i più 'navigati' non è mai facile uscire ‘vivi’ o senza ‘lividi’ da questo intrigo hitchcockiano. Il mobbizzato si trova sempre allo scoperto, privo di difese adeguate, è sempre impreparato, non trova mai le parole giuste, non riesce a reagire e combattere perché non conosce ancora la 'cultura' del litigio e del rancore … non è ancora dotato di un agire in malafede. 




    ei confronti della vittima sono messe in atto critiche distruttive, assurde pratiche vessatorie e sofisticati comportamenti lesivi costringendola, nei casi più seri, ad abbandonare, fuggire dal posto di lavoro o liberarsi il più veloce possibile, senza riflettere, a volte in modo davvero frettoloso e confuso, della situazione stressante: sgombrare velocemente il ‘campo’ per sfinimento, per mancanza di autostima e per troppi sensi di colpa; dimettersi da quell'incarico, lasciare il lavoro, rassegnare le dimissioni o, 'bene' che vada, aumentare eccessivamente, finché dura, le assenze per malattia. Il congedo, tuttavia, non acquieta per niente il “manipolatore” di turno, la situazione in atto, ma la rende ancora più incandescente, tesa e conflittuale: può scatenare gelosie, invidie, ulteriori aggressioni e, soprattutto, comportamenti vendicativi più sofisticati e violenti … i molestatori, facendo leva su queste piccole “mancanze”, tentativi improvvisati di risoluzione del problema e difficoltà lavorative (assenze, stanchezza, isolamento, mutismo, obnubilamento mentale, confusione psichica) si sentono forti, vincitori, cercano di consolidare e diffondere tali opinioni negative tra i colleghi … diffamare il pover'uomo fino a rendergli la vita impossibile. Rapporti complessi, densi di sottintesi, pieni di trappole, carichi di tensione, sempre comunque difficili, se non impossibili, da gestire nelle varie forme presentate, a livello umano, individuale, relazionale e ansiogeno. 


      osì, piano piano, prende corpo nella mente del perseguitato - nonostante le sue reali capacità e il suo vero talento di cui, purtroppo, non ha mai la giusta consapevolezza - l’idea 'bizzarra' e confusa di essere incompleto, fragile, strano, difettoso e un fallito, non essere adatto a quella professione o a quel particolare ruolo … non idoneo a quel tipo di lavoro che spesso, paradossalmente, è l’unico ad essere in grado a realizzarlo a pieni voti ... si trova completamente isolato, ricolmo di rammarico e pieno di sensi di colpa per aver sprecato inutilmente anni e anni di studio e formazione per quell'attività diventata, a causa di altri, odiosa, fastidiosa, faticosa e frustrante. Il progetto infame è quello di gestire, controllare, umiliare, sfinire e annullare un collega “competitivo” e competente, con buone risorse professionali e culturali; sabotare la personalità, smantellare non solo tutti i punti di riferimento che da tempo con meticolosità, costanza, fatica e dedizione si è creato, ma boicottare anche il suo lavoro in modo tale da costringerlo a rifarlo più volte senza una vera ragione. Sono dinamiche relazionali - messe in atto nei confronti di soggetti spesso fragili, particolarmente “influenzabili”, “suggestionabili” e “sensibili” - sempre silenziose, ostili, inappropriate, complesse e persecutorie, rivolte a produrre confusione, amarezza, logorio psicofisico e profonda insoddisfazione; un modo di agire che isola, fa sentire 'indesiderati' e scomodi, rende infelici, azzera talento, creatività, smantella interessi, passioni e voglia di fare. Sono atteggiamenti che col tempo sfiniscono chiunque, minano l'equilibrio psico - fisico del malcapitato, mettono completamente al tappeto la vittima designata ... lentamente la spengono, la rendono innocua, la distruggono letteralmente, fino a farla diventare una presenza trasparente, insignificante e di poco valore. 


      nizia, il più delle volte, in sordina, in modo apparentemente banale: un saluto negato oppure troppo formale, uno sguardo assente, a volte sofferente, scherzi pesanti, cattive parole, battute a doppio senso, insulti gratuiti, critiche ingiustificate, sabotaggio degli strumenti lavorativi (allentare i cavi del computer, riempirlo di virus, cancellare o nascondere le password) … piano, piano si fa terra bruciata intorno a lui, lo si isola sia dalla comunità lavorativa e produttiva sia da quella sociale e familiare. Una situazione che porta - per alcuni - ad una “inspiegabile” confusione ed un ingestibile nervosismo, ad un calo significativo della produzione e dell'attenzione … e così il richiamo per scarso rendimento, incombe, arriva improvvisamente, diventa realistico e fa godere immensamente l'istigatore, che si rinforza, si fa sempre più 'credibile' agli occhi dei colleghi, dei dirigenti e, soprattutto, appare di fronte a tutti il bravo e il salvatore dell'azienda perché ha individuato finalmente, a suo dire, l'incapace, il fannullone che rema contro l'azienda: il grande “sabotatore” silenzioso. Ritagliato un suo piccolo spazio di fama presunta, non certo per meriti personali, si gode il suo momento di fragile “notorietà”. Contento, felice, soddisfatto perché sono, al momento, “confermate” le sue affermazioni, cattiverie e maldicenze ... i suoi sofisticati e maldestri disegni diabolici. Un atto terroristico che crea nel soggetto delusione, complesso di inferiorità, insicurezza, lo spinge nel vortice depressivo, lo fa cadere in una profonda disistima, lo predispone a malesseri psicosomatici e a una sua precisa ed invalidante sintomatologia da non sottovalutare MAI: ansia, attacchi di panico, fobie, mania di persecuzione, tachicardia, gastrite, emicrania, insonnia, calo della libido e depressione. 


      nche se non esiste una vera e propria predisposizione ad essere una vittima, il mobbizzato ha, purtroppo, curiose caratteristiche psicologiche evidenti e ben visibili, facilmente individuabili dal carnefice narcisista e megalomane: molto sensibile, taciturno, difficilmente si esprime o dice la sua opinione, non prende mai posizioni nonostante sappia le cose o abbia ragione, particolarmente accondiscendente e tendenzialmente passivo. Pensa di essere un perdente ancora prima di iniziare qualsiasi attività o rapporto, è convinto di non essere 'completo', mancante di qualche fantomatico ‘anello’ (così amava definirsi anche Cristina all'inizio della sua esperienza terapeutica), si crede 'difettoso' in ogni settore della sua vita: familiare, affettivo, professionale, sociale e lavorativo. 



nche stati emotivi ricorrenti come ad esempio il timore costante di fallire, forti sensi di colpa per ogni possibile errore commesso o solamente pensato e il terrore del giudizio altrui, nel tempo per lui, sono devastanti, diventano un fardello eccessivamente pesante da sostenere, difficile da affrontare con sereno distacco, complicato da portare avanti sia da solo sia con il supporto di altri. Ha poi un curioso e continuo chiodo fisso, un invalidante ritornello mentale, un ricorrente, preciso e inconfondibile turpiloquio psichico negativo che, sicuramente, oltre a sfinirlo a livello psicosomatico, non lo aiuta nei rapporti relazionali e negli scambi produttivi con i colleghi: è tutta colpa mia, non valgo nulla, sono un fallito, non riesco a concludere niente nella vita … un eterno pessimista e stravagante fatalista! Ma, attenzione, a volte appare diverso, si presenta in modo del tutto singolare, abbiamo a che fare con un personaggio completamente diverso, il suo opposto: appare forte, disinvolto, distaccato, minaccioso, saccente, deciso, arrogante e “sicuro”. Nella sua forma più negativa, comunque, si flagella continuamente con l’accusa di non aver nessun valore, di possedere - pur avendo alle “pareti” parecchi titoli importanti - scarse capacità e poca cultura … appartenere di diritto al mondo dei mediocri! Questo turbamento, accompagnato da tanta sensibilità, incertezza, insicurezza e tormento, non solo crea problemi sul posto di lavoro, ma non lo aiuta nemmeno a livello affettivo - relazionale e, soprattutto, non è agevolato, accettato, compreso nell'ambito familiare; luogo in cui, dopo una giornata difficile se non terribile, dovrebbe veramente sentirsi tutelato, protetto e al sicuro … ovvero, sentirsi finalmente a “casa” sua!!! Quando torna in famiglia, infatti, l'atmosfera non migliora, ma peggiora notevolmente, diventa tesa e soffocante in tutte le circostanze possibili, trova spesso poca sensibilità, scarsa attenzione e tanta, tanta tensione.



l tormento e l’incomprensione vissuti in ufficio continuano senza sosta, non lasciano scampo nemmeno nascondendosi nella sua tana, nel suo posto segreto si sente protetto … peggiora esacerbando i sintomi e il tormento del mal d'ufficio; la serata si fa sempre più tesa e complicata, diventa la 'fotocopia' della giornata appena trascorsa. E allora via … si apre finalmente la dispensa e si fa piazza pulita di ogni ogni cosa che sia commestibile … si svuota completamente anche l'ultimo ripiano, tutto impolverato e nascosto. Ricorda, fastidio, insoddisfazione, dubbi, amarezza e stress sono tutti stati emotivi che sono “affamati” di anestetici… ATTENTI, il piacere e le piccole gioie che non si trovano nel quotidiano e nell'ambiente lavorativo si cercano poi di sera nel frigo o svuotando completamente la dispensa di nascosto, solo e soletto al lune di candela. I CHILI di troppo non sono solo un problema sociale di energia, lucidità e, soprattutto, sanitario ma coinvolgono SEMPRE quel mondo emozionale che non si riesce MAI a manifestare liberamente, apertamente nell'ambiente lavorativo e, soprattutto, a livello relazionale: esprimere spontaneamente e direttamente ogni cosa all’esterno; la ”famosa” stramangiata, infatti, cerca di neutralizzare le arrabbiature e i dissidi quotidiani con questo o quel collega, di un lavoro poco sereno e conflittuale, addolcire una vita piena di sacrifici, di autolimitazioni, di continue insoddisfazioni e umiliazioni, smantellare quelle relazioni affettive deludenti, quel vissuto complicato, vuoto senza nessuna novità, sorpresa e passione, eliminare i ricordi ingombranti trasformati inesorabilmente in rimpianti: tutte fatiche che “appesantiscono” la voglia di vivere, annullano la “leggerezza” e la voglia di fare, prendono il posto a un modo di essere poco felice;

una difesa psicologica messa in atto per consolarci, ingoiare e sopportare tutte quelle esperienze noiose e ripetitive che non ci soddisfano più, per riempire il vuoto di una vita fredda priva di affetti veri e sinceri, per placare ansia e zittire la depressione, per mettere a tacere tutti quegli amori andati “persi”, per togliere quell’indigestione di frustrazioni, di mortificazioni e di delusioni ingurgitate ogni giorno, per tenere sotto controllo quella fastidiosa paura di fallire o quel senso diffuso di sconfitta, per placare quel timore di non essere capiti, compresi e accettati, per spazzar via quella drammatica sensazione quotidiana di non essere all’altezza nel gestire i vari incarichi o di non avere più il controllo delle situazioni, per liberare dai veleni emotivi quotidiani, per cercare di resettare quelle convinzioni balzane di valere meno, di inferiorità e di nullità: uscire da quel tunnel esistenziale pieno di limiti, apatico, monocolore e monocorde, resuscitare da una vita controllata e compressa, oramai “spolpata” nei rapporti affettivi fino all'osso, senza sorrisi e piaceri … le gratificazioni negate e i desideri schiacciati vengono inutilmente imbavagliati dalla pancia “gonfia” e tormentata, che cerca di zittire la voglia di esprimersi, di dire e di fare ... controllare e gestire il “demone” aggressivo. 


loccando così le energie mentali, entriamo in conflitto con la voglia di vivere che, non essendo più coinvolta perché messa sullo “sfondo”, vuole essere considerata, ascoltata, gratificata e “saziata”; una situazione che fa pestare i piedi, urla cambiamento, trasformazione e leggerezza, invoca una nuova sensazione di “pienezza”, ma soprattutto, una vita soddisfacente, sana ed appagante … la chiave del successo di un fisico snello e leggero è AMARLO volergli BENERICORDA, attraverso l’esercizio fisico, il modo in cui rispondi allo stress e mangiando cose giuste e buone non solo rendi felice il tuo corpo, stimoli il metabolismo e liberi le emozioni che ti “appesantiscono” ma, depurandoti e liberando la tua vera creatività, smaltisci cellulite, elimini il “girovita”, fai emergere le tue energie più profonde … quando si è FELICI ci si sente davvero “diversi”, non dovrebbe quindi sorprendere - soprattutto per alcune categorie di persone, ovvero gli innamorati che “vivono” solo di aria - che il mondo emozionale, in particolare i modi con cui si affrontano gli aspetti non razionali della vita, possano avere un “PESO” (impatto) enorme sul funzionamento del corpo … impara ad “accudire” te stesso, mettiti sempre al primo posto e vedrai che la tua “zavorra” e i tuoi “pesi” si ridimensioneranno. La propria felicità va difesa e conquistata a spada tratta … a volte può richiedere un po' di tempo, un certo impegno, ma con un buon allenamento non è difficile ed i risultati sono certi, i suoi gesti - per ottenerla - possono diventare una discreta fonte di soddisfazione!


ome abbiamo sottolineato più volte, gli sbruffoni incalliti o i prepotenti tutto fare, in qualsiasi ambiente essi si trovino, non solo cercano di prevaricare il mondo intero in modo disonesto, imporre sugli altri la loro volontà, ma - a lungo andare - intossicano ogni cosa, inquinano la realtà, creano malumore e producono ansia distruttiva; le persone invadenti, intransigenti, sbagliate e “scomode”, quindi, creano disagio e tolgono completamente le forze … succhiano ogni energia, fanno ingrassare e ammalare!!! Le emozioni sono il “cibo” dell’anima, ma è sempre il corpo a segnalare i “bocconi amari”, soprattutto quelli difficili da “digerire” da solo o in compagnia. Il cibo “tappabuchi” cerca di compensare il tempo sprecato, di riempire il vuoto affettivo, placare i timori, frenare quel senso di protezione eccessivo che paralizza ogni iniziativa, tenta di neutralizzare la noia, di bloccare l’infelicità e l’insicurezza … cerca in qualche modo, fin che può, di pareggiare insoddisfazioni, tormenti e dolori.


olte sono le fantasie che girano nella mente di chi è tormentato da uno stomaco su di giri, dal sovrappeso e dall'obesità: nascondersi, scomparire, dileguarsi, annullarsi, sottrarsi da ogni cosa. Se nella vita si perde il “gusto”, si smantellano i progetti e latita la passione, la mente ci getta in pasto al pane e al companatico per consolarsi … attenuare le tensioni; legandosi al piatto cerca di tappare quel senso diffuso di fastidio, profondo vuoto emotivo, quella inquietudine esagerata e, soprattutto, quel mal d'ufficio continuo. Ricorda, se la vita si arricchisce di nuovi stimoli, interessi e gioie il sovrappeso fugge a gambe levate terrorizzato!!! Si mangia sempre senza sosta per rabbia, noia e delusione; il corpo si riempie solo se la vita è povera, spenta, insulsa e vuota… quando invece si è innamorarti, felici, eccitati, soddisfatti, attratti, coinvolti nei rapporti, il mangiare non esiste, passa in seconda posizione, perde importanza ed interesse ... non si mangia più solo quando sono sazi e soddisfatti tutti i “sensi”!!! I piaceri e i divertimenti, invece, sciolgono il grasso, rendendo intraprendenti e leggeri ... la routine, la noia e l’abitudine fanno ingrassare, mentre la fantasia “brucia” i grassi e snellisce mente e corpo (risveglia la voglia di vivere): si vola in alto, davvero lontano … lontano dal tormento e dai guai quotidiani! Ricorda, il “giro-vita” dipende sempre dalla qualità della nostra reale esistenza!!! 


 veri nemici dell’intestino non vengono solo dal piatto ma possono scaturire dai nostri gesti impacciati e dagli atteggiamenti spenti, banali e monocolore; ci ammaliamo, infatti, quando non facciamo più scelte di “pancia”, quando non si hanno più desideri, progetti e sogni quotidiani, ci si chiude in se stessi, si è perennemente indecisi (crampi), si trascinano continuamente i problemi (infiammazione). Tieni ben presente che se ti trattieni lo infiammi, se liberi invece le emozioni profonde, anche quelle meno “pulite”, in modo “sano”, la pancia si alleggerisce, si sblocca completamente, la metti al “sicuro” e, alla fine, vedrai che ti ringrazierà: serve uno stile di vita più rispettoso dei ritmi quotidiani e un modo più genuino di esprimere pienamente talento e creatività … colite, stipsi e altri mal di pancia fastidiosi li tieni lontani - dai salute, equilibrio, ritrovi il vero benessere - solo se lasci spazio alla spontaneità e alla naturalezza: BASTA stress, isolarsi, lamentarsi, timore del giudizio altrui, diffidenza, insicurezza, giudizi di valore, lottare all’infinito contro tutti queii pensieri considerati “scomodi” … la pancia “riparte” quando ti trovi bene con le tue emozioni e le esprimi senza aver il terrore di sbagliare o essere tormentato dalla paura di offrire un’immagine di te stesso scarsa o negativa … quando non offri più quell'aspetto voluto e preteso dagli altri


a “lievitazione” corporea nasce, quasi sempre, dalla disperazione, dalla disistima, da una vita bloccata, spenta e poco gratificante … le emozioni “soffocate” si fanno “pesanti”, deformano lentamente il tuo involucro: il corpo e la mente. Un’esistenza deludente avvelena la vita, crea una inutile e ingombrante “zavorra”: il corpo allora si riempie se la vita è vuota, si gonfia di illusioni e di desideri inappagati. A scatenare un comportamento alimentare sbagliato e distruttivo può essere un evento sconvolgente carico di stress, come una professione poco gratificante, una relazione amorosa tormentata, il timore di prendere decisioni, la paura di affrontare i cambiamenti evolutivi o un’attività lavorativa conflittuale con colleghi, non del tutto soddisfacente … abitudini mentali che portano direttamente al soprappeso. 


l cibo placa i timori, tampona l’ansia, scarica la rabbia da litigio, tiene a freno “altri appetiti” invadenti, dilata e, spesso, riempie il vuoto esistenziale: più ci riempiamo di cose inutili, più ci svuotiamo di felicità (senso di colpa). La fame compulsiva, ribelle, ostinata, subdola, gonfia lo stomaco ma non lo “riempie” perché il vuoto è da un’altra parte … bisogna dare alla propria vita il “peso” giusto e il gusto reale della “leggerezza”. Non è del companatico che siamo carenti: ci mancano i sogni, i desideri, gli obiettivi e le novità … non c’è più avventura, abbiamo bisogno di “nutrirci” di nuovi stimoli; non servono i sacrifici per mantenere un fisico statuario ma una giusta carica, una visione delle cose più ampia. Al cibo è difficile rinunciarci perché, oltre ad essere un buon anestetico, è un ottimo tappabuchi relativamente poco costoso, facilmente raggiungibile e con effetto immediato: diventa la piccola droga quotidiana.


a fame nervosa non nasce mai dallo stomaco, ma da meccanismi psichici invadenti, dal malumore, dalla nostra mente inquieta. Gli atteggiamenti mentali e gli stili di vita errati si fanno sentire, urlano giorno e notte, non ci abbandonano mai, la fanno sempre da padroni. Ogni conflitto psichico - accompagnato da depressione mascherata e ansia - sposta l'attenzione sul piatto, completamente sul cibo e sulla propria immagine in cui si annulla nel grasso … azzera ogni forza creatrice e, sopratutto, il vero talento naturale. Si rischia di essere “ostaggio” del cibo quando: ci si lamenta in continuazione senza mai reagire o prendere posizioni determinanti nella vita, si dipende emotivamente dagli altri, si scappa dalle responsabilità e si rimanda ogni cosa a tempi “migliori”, si ha una cattiva considerazione di se stessi (non valere nulla, disistima) ... si cova rabbia senza mai esprimerla!!!


osa fare. Il segreto principale per scacciare dalla mente i “bocconi amari” quotidiani è coltivare e dare spazio alle proprie sensazioni … essere presenti a se stessi, dare valore alle sensazioni … godersi le cose, vivere il presente in ogni istante; significa favorire la massima espressione dei propri sensi, riscoprire le vere sensazioni che ci fanno star bene in ogni momento, luogo e situazione: dare spazio all’eccitazione, coltivare i propri desideri, risvegliare la gioia e riaccendere la passione per la vita (chi si innamora dimentica il cibo … salta i pasti, li dimentica). I piccoli gesti quotidiani gioiosi, infatti, oltre ad innescare profondi cambiamenti interiori, rendono la mente priva di vincoli, molto più ricettiva, riflessiva, autonoma e libera. Realizzare le cose che piacciono, inoltre, senza vincolarsi ai modi di fare altrui, fa sentire bene, rende soddisfatti, indipendenti, liberi, unici e allontana i sensi di colpa. Si può togliere cibo dal piatto o dalla dispensa solo se rompiamo le abitudini e schemi mentali che “appesantiscono”, creano zavorra, portano al soprappeso. Se riscopriamo il piacere nei gesti quotidiani, ed eliminiamo il più possibile, senza rimorsi, tutte le fonti di tensioni che condizionano la libertà, l’autonomia, il nuovo e l’entusiasmo, tutte quelle cose caratterizzate da poco impegno, la vita non solo sarà in discesa, ma ci sembrerà di volare anche se non abbiamo le ali! 


on questo atteggiamento sereno e modo di fare pacato e tranquillo, quell'esistenza chiusa e ristretta, pian piano, diventerà “leggera”, prenderà il volo e ritroverà finalmente, senza alcun compromesso, la sua vera dimensione, la sua “forma" ideale … migliore sia a livello fisico sia in quello mentale. L'attività ginnica (sport vicino alle proprie esigenze, senza troppi sforzi e fatiche), l’alimentazione sana (conoscere le varie sinergie aiuterà a fare un pieno di leggerezza e benessere ... ottimizzare, infatti, l'assorbimento degli alimenti migliorerà in profondità le difese fisiologiche e lo stato di salute in generale), imparare a dire di no, inserire nella vita quotidiana azioni piacevoli, evitare di farsi assorbire da certe atmosfere svalutative e critiche inutili, scansare i rapporti pesanti e relazioni - gabbia, sono tutti “ingredienti” ed esercizi antifame indispensabili per innescare un potente e fantastico meccanismo dimagrante. Si dimagrisce perché dentro scatta qualcosa di importante, interessante, curioso ed entusiasmante, che ci solleva da ogni cosa scontata, noiosa e monotona … in questo modo ci sentiamo in forma, forti e determinati, con una carica energetica fantastica. La vita allora diventa “movimentata”, ci si sente davvero più vivi che mai. Diversamente, piano piano, tra piatti sporchi e bicchieri vuoti, incomprensioni varie e chili di troppo, ci si ritrova completamente impantanati, intorpiditi e, soprattutto, appesantiti, storditi dalla nostra passività; coinvolti in rapporti poco chiari, di scarsa empatia ed utilità, inquinati solo da consigli inappropriati, arroganti, banali ed inutili, ci abbandoniamo completamente ad un continuo rimuginare, ad un vuoto emotivo intollerante e ad un cuore arido privo di ogni passione. 


uando torna a casa, poi, non appena inizia a girare a vuoto, a sbottare, si lascia andare al suo tormento interiore, comincia finalmente a scoppiettare, ad esprimere il suo ‘mal d’ufficio’, viene aggredito, offeso, ridicolizzato, insultato e colpevolizzato ancora una volta: “Sei te che non funzioni, non sai impegnarti, collaborare, non sai socializzare … non sei attivo e determinato in famiglia figuriamoci in gruppo”!!! Come se la sua ‘storia’ vissuta in tempo reale non fosse il prodotto di quelle dinamiche familiari e sociali in cui è cresciuto, il risultato dell’incontro - scontro con quell’ambiente in cui, dopo infiniti compromessi, ha sviluppato il suo modo di fare e di reagire … hanno forgiato la sua personalità … prodotto le sue scarse difese e la sua identità “addomesticata”. Mi pare già di sentire quei famosi giudizi di valore e ridicoli ritornelli accusatori: “Sei tu che non riesci ad adattarti, integrarti nel gruppo, nel mondo del lavoro, ti metti sempre di traverso, in disparte, non partecipi mai, sei una 'pecora nera, ingrata e solitaria'. Figurati, con quella testa che ti ritrovi, poi, come puoi pretendere di andare d’accordo con la gente e realizzart8i nel lavoro!!! Bisogna lavorare, sforzarsi, darsi da fare nella vita, prendere posizioni, avere forza di volontà, un indole battagliero, grinta, essere decisi, imporsi, dare delle spallate, affilare le unghie, farsi largo con forti gomitate! In questo mondo di piccole iene, di vampiri ingordi e serpenti velenosi, nessuno ti regala nulla, bisogna farsi furbi, ricordatelo ... capito ... mi hai capito, sì o no!!!”. Arrivato in famiglia, quindi, il tormento non da tregua, il malumore continua, invece di trovare una buona accoglienza, comprensione, solidarietà e un clima sereno, viene aggredito con un linguaggio accusatorio e colpevolizzante che lo fa scivolare ulteriormente nella frustrazione, nella disistima e nella palude depressiva … è la storia del pesce che voleva fuggire dalla gratella, ma purtroppo sarebbe andato poco lontano: “dalla padella alla brace” ... viene sottolineata, rinforzata e amplificata ancora una volta la sua sofferenza, si genera un problema maggiore. 


uando si innesca il circolo vizioso, anche la famiglia può tendere ad attribuire colpe e responsabilità alla vittima, minando il suo già precario senso di sicurezza e togliendole così un prezioso punto di riferimento. Spesso, purtroppo, per il nucleo familiare non è sufficiente fare il proprio dovere e rispettare le regole. In questo caso la colpa degli aggressori passa, paradossalmente, al mobbizzato in quanto la vittima, a loro dire, ha ciò che si merita; il verdetto è univoco, chiaro e preciso: personaggio incapace di relazionarsi, inadatto a vivere con gli altri … anzi, sono tutte azioni utili per “svegliarlo”, scuoterlo, farlo uscire dalla sua “turris eburnea” … razionalizzano il loro comportamento dicendo di perseguire l'interesse del mobbizzato, si giustificano sostenendo di volergli bene, dargli un'educazione e una buona dritta sociale … una scusa per avallare tutta una serie di atti illeciti e spregevoli … estraniarsi dalle loro responsabilità. In breve, sarebbe come dire: “Quella fanciulla è stata violentata perché indossava una succinta minigonna” e ancora “La mossa finanziaria, caldamente consigliata dal quel “solerte, brillante, attento”, ma birbaccione promotore, è andata male, anzi un vero fallimento, semplicemente perché l'investitore non aveva nozioni di economia”. Figuriamoci! Ma dove siamo! Assurdo, inquietante, diabolico e VERGOGNOSO. Non dimentichiamo mai, invece, che il “mal d'ufficio” rivela sempre un'aggressione brutale, violenta ed ingiustificata, un'azione ANTISOCIALE, che blocca il dialogo, annulla la comunicazione e, soprattutto, è LESIVA verso i più deboli … quelli più sensibili agli sbalzi di umore altrui e che non hanno ancora imparato a difendersi.


on dobbiamo mai cadere nella trappola di questi atti persecutori caratterizzati da ripetizione assillante, controllo meticoloso ed esagerata sorveglianza che causano solo sofferenza ingiustificata. Bisogna smascherare questi personaggi odiosi e malvagi il più presto possibile, mettere a fuoco queste relazioni odiose, sgradite, dolorose e perverse, perché oltre ad allontanarci dai sentimenti e renderci schiavi, ci danneggiano sia nel corpo sia nell'anima; è sempre una strategia a beneficio dell'altro, bisogna esaminarla e considerarla in modo attento e lucido, per quello che è realmente, nelle sue sfumature più profonde e bizzarre; rimane sempre una cattiva comunicazione che toglie le forze, l'autostima, crea un rapporto pieno di insidie e soprusi, “ingorga”, inquina e devasta il cervello; un fenomeno poco 'pulito' e per nulla trasparente, a senso unico, sottile, falso, contorto, conflittuale, fondato su luoghi comuni, continui richiami, lamenti e consigli fuori luogo … distrae, annulla, distrugge il senso di identità e fa ammalare più facilmente. Trattato come un estraneo, non trovando serenità e comprensione, quindi, nemmeno nel suo ambiente 'naturale', altro non può fare che chiudersi a riccio e arrendersi: convincersi, a torto, che il vero problema non sono gli altri ma lui stesso … tutto si complica, si accumula ulteriore disagio, si rivive un'altra pesante sconfitta e profonda delusione. Ma in tutta questa confusione, sofferenza e ostilità - vissuta emotivamente e fisicamente - come farà a rialzarsi, a difendersi, uscire indenne da questa profonda sofferenza silenziosa … dal mobbing?


osa fare. Prevenzione e interventi. E' bene precisare subito che non esistono formule magiche universali per risolvere questo problema drammatico ed invalidante: ogni situazione è diversa e, soprattutto, unica, non esistono casi uguali. Non ci sono in commercio, purtroppo, vaccini prodigiosi o sieri miracolosi per guarire da questa infamia. La prima cosa comunque è riflettere accuratamente sull'aggressione in atto, percepire attentamente con calma il clima e l'atmosfera lavorativa in atto, mettere a fuoco il momento con lucidità e avere consapevolezza della situazione reale; individuare quelle dinamiche lavorative letali in modo tale da difendersi, al momento giusto, con strategie mirate ed efficaci, il più delle volte risolutive. GUAI arrendersi, isolarsi o tirare i remi in barca! RICORDA c'è sempre “qualcuno” sensibile e disponibile a condividere un progetto di difesa oppure persone “qualificate” pronte a sostenere, aiutare ad affrontare con determinazione certi disegni diabolici ... sconfiggere il “DEMONE” ... se ti guardi attorno NON sei MAI solo!!! E' fondamentale, inoltre, avvalersi dei nuovi strumenti tecnologici: fotografare la situazione con prove concrete, registrare, raccogliere ogni elemento sempre in forma scritta … dati che potrebbero servire in futuro come prova da portare davanti all'autorità giudiziaria (richieste chiare e precise, fotocopie, luoghi, foto, persone). Documentarsi sulla sintomatologia, informarsi cosa si rischia a livello psicosomatico quando si è dominati da un disegno diabolico, persecutorio ed infamante come quello del mobbing.


olto importante è conoscere anche cosa rischia sul piano giuridico il carnefice. Al di là delle varie strategie messe in campo per evitare di cadere vittime di questi comportamenti vessatori e terroristici sul posto di lavoro, credo sia utile non avere MAI fretta e, soprattutto, “impegnarsi” con un certo interesse nella propria attività lavorativa, cercare in qualche modo gratificazioni ma, soprattutto, evitare di rendere l'attività in questione il solo, unico scopo della vita. Per mantenere un adeguato equilibrio è utile definire in modo più chiaro possibile il proprio ruolo, perseguire i fini con impegno e migliorare con responsabilità la preparazione personale (aggiornarsi, documentarsi con testi qualificati, assistere dibattiti, approfondire la materia su cui si lavora, confrontarsi … se le cose si mettono male, può essere utile frequentare un corso di autostima o sulla resilienza … capacità di metabolizzare lo scontro, gestire lo scontro senza “rompersi”); rivolgersi a specialisti o chiedere una consulenza psicologica se può servire a chiarire, eventualmente, i propri rapporti personali “difficoltosi”, conflitti relazionali o problematiche generali; non c'è mai nulla di vergognoso nel voler conoscere e approfondire il proprio stato emotivo, anzi è sempre una strategia vincente, se non nell'immediato sicuramente nel futuro prossimo. Imparare ed esprimere sempre, con le buone maniere, pacatezza e diplomazia, i propri disappunti, le proprie ragioni ed opinioni in modo da non abbandonare o lasciare il cervello a ruota libera: rimuginare continuamente. Ricorda, se lo stato d'animo è buono aumenta, inevitabilmente, non solo la sicurezza e la fiducia in se stessi, ma si crea anche a livello biochimico equilibrio e forza. A tenere tutto dentro non conviene mai, perché le “schegge” emotive a lungo andare creano nei vari organi e tessuti tensione, contrazione, infiammazione e, infine, lesione … ammalano lentamente e fanno piazza pulita delle difese immunitarie. 



ltri comportamenti indispensabili per scongiurare questi fenomeni terroristici e mantenere un giusto equilibrio, sono la cooperazione e la capacità di adattamento dell'individuo … bisogna mettere in cantiere, inoltre, molta, e ancora molta pazienza … poca frenesia e tanta, tanta lucidità. Queste abilità individuali permettono di realizzare validi rapporti interpersonali, un buon affiatamento (coinvolgimento) tra colleghi e, quindi, realizzare il lavoro più facilmente, con maggior soddisfazione, gratificazioni e riconoscimenti ... ovviamente se il tutto è seguito da una buona capacità di adattamento ai cambiamenti e si è in grado di rispondere con prontezza alle trasformazioni repentine. L'adattamento comunque non è un fenomeno 'genetico' ma un processo sociale acquisito, di grande fiducia e rispetto, attraverso il quale è possibile stabilire una condizione di equilibrio con il proprio ambiente: allenandosi e impegnandosi è possibile raggiungere tale modalità sociale e, quindi, vivere in sintonia con se stessi e il proprio gruppo … imparare l'ABC del rapporto e delle regole sociali porta sempre buoni frutti! Il gruppo coeso è fondamentale per contenere lo stress e, soprattutto, tenere sotto controllo i malumori individuali. Comunque sia, al di là delle situazioni specifiche è IMPORTANTE, DOVEROSO, in una società civile, offrire sempre un intervento attivo ed efficace a sostegno delle vittime. Non va dimenticato, inoltre, che in alcuni paesi il mobbing è già riconosciuto come malattia professionale, quindi, se vogliamo veramente cambiare qualcosa anche da noi dobbiamo uscire dall'anonimato, dalla riservatezza patologica … documentiamoci, aggiorniamoci continuamente, prepariamoci e facciamoci aiutare quando non è possibile risolvere la questione da soli.


'attività lavorativa ben fatta, se svolta con un certo grado di soddisfazione, rimane sempre una delle fonti più comuni di felicità, ma anche - se lasciata in balia degli eventi - di profondo stress. Quando continue frustrazioni ed insistenti pressioni si aggiungono a ritmi decisamente intensi di lavoro, emerge nell’individuo uno stato di insoddisfazione, un senso di inutilità e un profondo malessere psicosomatico (disturbi dell’umore, agitazione, infarto, ipertensione). Ovviamente, i lavoratori esposti maggiormente a questo fenomeno devastante di logorio continuo sono quelli “collocati” in fondo alla catena professionale, i quali non possono controllare e gestire - a differenza di quelli che operano ai piani alti - in maniera libera, autonoma ed indipendente la propria situazione professionale. Naturalmente questo stato di ripetute delusioni, esagerato impegno ed eccessive energie profuse, porta lentamente ad annullare, indebolire il lavoratore ma, soprattutto, è causa scatenante di disturbi emotivi particolarmente seri. Questo fenomeno, pertanto, di esaurimento fisico, emotivo e mentale, definito con un termine inglese burn - out (“malessere” determinato da esagerata delusione ed eccessivo impegno) può manifestarsi attraverso irritabilità, stanchezza ingiustificata, tratti depressivi e demotivazione; in breve, un soggetto privo di iniziativa e con un senso diffuso di incertezza e precarietà. Tutti sintomi da non trascurare mai, in quanto mettono a rischio il rendimento generale, la qualità dei rapporti interpersonali, la felicità del soggetto e soprattutto la sua salute in generale. Non bisogna mai dimenticare inoltre che ogni lavoratore è unico ed irripetibile, ha un proprio modo di relazionarsi, di agire, un suo ritmo specifico e spontaneo che si esprime nel corso dell’attività lavorativa. Esiste quindi una connessione significativa tra l’andamento della professione e la personalità del lavoratore. 



ui entrano in campo atteggiamenti molto importanti, come ad esempio capacità di adattamento, cooperazione e autostima, che sono sempre requisiti fondamentali per il benessere e la salute di ciascun individuo, non solo per le competenze e la riuscita professionale, ma indispensabili anche per la sua vita sociale serena. Queste conoscenze, spesso trascurate nell’assegnazione dei ruoli e dei compiti, se non utilizzate sapientemente portano a danni significativi per il soggetto e i vari interlocutori. Infatti, se le disposizioni individuali e le attitudini dell’individuo sono in contrasto con una certa attività - che non c’entrano assolutamente nulla con il vero talento - provocano scarsa produttività, un rendimento inadeguato, antieconomico per il lavoratore e antiproduttivo per l’azienda. E’ risaputo, infatti, che quando si svolge un’attività lavorativa piacevole quasi non sembra di lavorare. Per questo motivo è un diritto e un dovere, se non subito ma col tempo in base alle proprie esperienze, cercare un lavoro - senza bruciare le tappe e sconfinare nel narcisismo puro - che fa sentire vivi e permette di esprimere in maniera inequivocabile il proprio talento e creatività. Altro fenomeno veramente devastante, presente nel mondo del lavoro è, come abbiamo più volte sottolineato in questi articoli, è il continuo terrorismo psicologico, fino a strutturarsi nel vero dramma sociale: mobbing. Con questo termine, mutuato dall’etologia, si indica l’aggressione di un gruppo nei confronti di un singolo. Si manifesta attraverso un fenomeno di accanimento, prevaricazione e sopruso nei confronti del lavoratore; se invece l’attenzione e l’interesse verso la persona è decisamente morbosa si ha a che fare con un comportamento chiamato stalking. Verso la vittima designata viene attivata, in maniera continuativa, una persecuzione sistematica che, a lungo andare, porta alla destabilizzazione. Questo terrorismo psicosomatico, o “mal d’ufficio”, si sviluppa quando sul posto di lavoro la persona, presa di mira, subisce ripetute molestie non solo da parte dei superiori (bossing: comportamento messo in atto dalla dirigenza per sradicare il lavoratore dal suo posto) ma, a volte, anche dai colleghi. Questo comportamento vessatorio ha ripercussioni non solo a livello professionale, con calo di produttività, riduzione della capacità di concentrazione e alterazione dell’umore, ma anche nel privato logorando i legami affettivi e familiari con disturbi psicosomatici quali mal di testa, gastrite, tachicardia, sessualità inesistente, panico e tratti depressivi. Le dinamiche del mobbing sono banali e allo stesso tempo complesse: boicottaggio nel lavoro in cui il soggetto deve realizzare più volte lo stesso lavoro senza alcun motivo, battute a doppio senso, insulti gratuiti, alternare i saluti o toglierli completamente. Un altro comportamento definito persecutorio nei confronti del lavoratore è lo straining. E’ un fenomeno devastante caratterizzato da un unico atto terroristico in cui l’individuo è sottoposto a una forte pressione in maniera coercitiva sul posto di lavoro (assegnare al lavoratore mansioni inferiori alla qualifica posseduta sempre in maniera umiliante e dequalificante).



OSA FARE. Per evitare di cadere vittime di questi comportamenti vessatori e terroristici sul posto di lavoro, credo sia utile “impegnarsi” con curiosità e interesse nella propria attività, cercare in qualche modo gratificazioni ma, soprattutto, evitare di rendere l’attività lavorativa il solo scopo della vita. Per mantenere un adeguato equilibrio è importante definire in maniera giusta il proprio ruolo, perseguire i fini con tenacia e migliorare con responsabilità la preparazione professionale (libri, dibattiti, confronti, aggiornamenti, consulenza anche psicologica se può servire a mettere a fuoco rapporti personali difficoltosi o problematiche generali … non temere si può fare ogni cosa basta lasciarsi coinvolgere e raggiungere, sempre con l'aiuto di persone qualificate, buoni risultati in ogni settore della vita). Imparare, inoltre, ad esprimere, con le dovute maniere, pacatezza e diplomazia, i propri disappunti, le proprie ragioni in modo da non rimuginare continuamente: se lo stato d’animo è buono aumenta, inevitabilmente, la forza, la sicurezza e la fiducia in se stessi, ma anche a livello biochimico ci si sente meglio, più forti e decisi. Altri comportamenti indispensabili per scongiurare questi fenomeni terroristici e mantenere un giusto equilibrio psicofisico sono la cooperazione e l’adattabilità dell’individuo in maniera naturale senza l'aggiunta di sacrifici vari. Queste abilità individuali permettono di realizzare solidi e validi rapporti interpersonali, un buon affiatamento (coinvolgimento) tra colleghi e quindi realizzare il lavoro più facilmente, con maggior leggerezza, soddisfazione, gratificazioni e riconoscimenti. Il gruppo coeso, inoltre, è fondamentale per contenere lo stress e, soprattutto, tenere sotto controllo i malumori individuali. Sono tutti concetti che vanno ripetuti all'infinito!!!


ome abbiamo sottolineato più volte, per comprendere la complessità del mal - essere umano, sia professionale sia sociale dicevano gli antichi "saggi", è necessario prendere in considerazione, non solo l’ambito lavorativo, familiare e ambientale, ma anche l’interiorità del soggetto in questione. Un modo di pensare a misura d'uomo, molto vicino alla sua vera natura (vis medicatrix naturae: gli organismi, secondo Ippocrate, contengono "poteri innati di autoguarigione" ... si riequilibrano interagendo tra loro). Il soma usa le malattie, l'anima i disagi emotivi per segnalarci che abbiamo intrapreso percorsi esistenziali "pericolosi". Solo in questo modo è possibile conoscere la vera causa della malattia, diventare consapevoli della propria sofferenza: cosa in realtà essa ci vuole comunicare o insegnare. La struttura corporea offre infinite modalità espressive, alcune legate a precisi significati soggettivi accessibili unicamente all'individuo perché connesse ad esperienze personali, altre, invece, esprimono un linguaggio universale legato all'inconscio collettivo. Il corpo costituisce il mezzo attraverso cui lo stato emozionale trova la più autentica capacità comunicativa: se vogliamo comunicare con esso dobbiamo imparare il suo linguaggio che ha regole proprie. Ogni disturbo fisico è un messaggio, un codice segreto specifico che segnala, in ogni caso, complessi disagi emotivi: uno stile di vita spesso deludente, intriso di sofferenza e tormento. Il corpo ci manda messaggi usando un linguaggio specifico. Interpretare questo linguaggio è fondamentale per favorire l’armonia, raggiungere il ben - essere e prendersi cura dei propri bisogni, modificare ciò che ci tormenta … non accontentarsi mai di essere una comparsa ma diventare la prima donna, la vera first lady, l'attore principale della propria esistenza. 


ueste brevi conclusioni hanno lo scopo di orientare il lettore sensibile e "curioso", oltre ad indicare la strada da percorrere, a capire le cause delle diverse patologie e a decodificare il messaggio silenzioso della coscienza, comprendere quindi quel legame sottile che intercorre tra squilibrio emotivo e malattia fisica. Allenare a comprendere la disarmonia interiore, stimolare la curiosità e insegnare a leggere il sintomo in modo tale da decodificare i conflitti per superarli … focalizzare lo sguardo più in profondità per riprendersi quel senso di unità che lega il corpo alle emozioni. Un dizionario del linguaggio simbolico, quindi, utile a tradurre i messaggi del corpo che, attraverso il sintomo, ci invia sempre per ritrovare un giusto benessere … puntare lo sguardo su una migliore espressione di sé e una diversa qualità di vita più armoniosa. Questa "riflessione" concreta, quindi, in maniera semplice ed elementare costituisce, a seconda delle proprie necessità, un valido supporto per comprendere, orientare e superare i malesseri non “gravi” evitare, pertanto, di cercare nei "posti" sbagliati. Mettere a disposizione preziosi strumenti di lettura per favorire la consapevolezza delle proprie reali condizioni psichiche e fisiche. In tal modo può risultare più semplice attivare tutte quelle risorse naturali che ciascuno possiede per raggiungere la propria serenità e armonia. 


i possono così acquisire buone conoscenze di base, sviluppare maggiore cautela nell'auto - cura e più fiducia nelle proprie capacità di intervenire sui problemi quotidiani. La ripetizione di alcuni concetti è stata una scelta consapevole per favorire la memorizzazione e rendere più "maneggevole" questa materia complessa che deve essere sempre, in ogni caso, metabolizzata e a misura di uomo. Gli argomenti trattati - anche quando non sono stati ben evidenziati – spirito comunque di questa iniziativa culturale, riguardano esclusivamente disturbi funzionale, non patologie genetiche o malformazioni. Altra cosa importante è che questo approccio non è rivolto alla ricerca ossessiva di difetti ed imperfezioni umane ma semplicemente ha lo scopo di orientare il "curioso" a comprendere atteggiamenti e comportamenti che spesso, a livello energetico, non sono davvero vantaggiosi per il suo ben - essere. Diceva Platone, con grande saggezza, che non si dovrebbe mai, per nessuna ragione, tentare di curare il corpo separato dall’anima, e per ottenere la salute di quest’ultima e del corpo è necessario curare la mente. Questo prezioso insegnamento, ancora oggi di grande attualità, lo ritroviamo nella massima latina “mens sana in corpore sano”


in dai tempi antichi, quando il “pensiero” non aveva ancora preso il sopravvento sull'anima, era ben noto lo stretto legame tra mente e corpo, di cui quotidianamente, attraverso sofisticate ricerche di neurofisiologia o esperienze personali dirette, ne abbiamo conferma. L’uomo è ammalato nel corpo perché la sua mente è ammalata e l'anima ha perso la sua salute perché si è “avvizzito” il suo “involucro”. Il benessere, quindi, dipende sempre dal perfetto equilibrio corpo – mente – mondo sociale: il primo può influenzare, in ogni momento, l’altra e viceversa, il terzo direttamente entrambi … ancora una volta, il tutto, vicendevolmente. Quando uno di queste componenti non funziona bene, o magari la si trascura, è segno che c’è qualcosa che non funziona, non va per il verso giusto nel proprio corpo, nella propria vita non solo lavorativa, relazionale e sociale, ma anche nel modo di alimentarsi … intendo mangiare bene e meglio: la “scorza” adiposa, quindi, risultato di quest'ultimo malessere profondo, non fa eccezione e può essere un segnale davvero inequivocabile. 


uante volte, dopo una giornata storta, piena di delusioni, di litigi, di frustrazioni oltre ad aprire il frigo e mangiare in modo sconsiderato ogni cosa, ci siamo ulteriormente anestetizzati con un buon bicchiere colmo di “.......” o buttati a capofitto in un profumato calice di pinot? Quasi quotidianamente annuisce, con un certo pudore, la signora Lucia in un recente incontro terapeutico, pure Maria afferma, a malincuore, tale abitudine, ma anche Camilla, nella sua timidezza, ammette di aver fatto ricorso più volte a questa “magra” consolazione e, poi, Ettore che non sa proprio darsi pace per queste sue grandi abbuffate … tutti personaggi vittime di qualche chilo in più. Se la vita è immobile, scorre senza passioni e soddisfazioni, la mente “capricciosa”, allora, cerca delle compensazioni altrove, ci butta in pasto all'orco insaziabile: al cibo per consolarci. Quando i problemi della vita si fanno “pesanti”, anche il corpo, con la sua difficoltà a “digerire”, lentamente si fa carico di una esagerata, vistosa ed inutile zavorra; una vita “piatta”, troppo lineare, vissuta nell’anonimato, che non emoziona più, allarga la cintura, fa lievitare pancia e fianchi… fa perdere la linea e cadere la ciccia. L’alimentazione, infatti, può rientrare in questo intricato meccanismo psicosomatico, è legata al benessere, non solo fisico ma anche mentale; più si escludono dalla vita i veri interessi, i progetti, i desideri profondi, più l’orco con tutta la sua voracità, risorto prepotentemente dagli inferi, si scatenerà a tavola facendo piazza pulita di ogni cosa. 



urante il giorno, con gli altri, sempre ben misurati, ordinati, scrupolosi, responsabili, controllati, ossessivamente attenti all’immagine, mentre di sera, al rientro, invece di godersi un meritato riposo, l’aggressività repressa, finalmente, trova la sua modalità espressiva, ogni tensione accumulata improvvisamente esplode tra le mura di casa: i ruoli svaniscono, i veli di colpo improvvisamente cadono, ci si trova completamente privati della maschera quotidiana, spogliati, nudi, faccia a faccia con il vuoto profondo, travolti e confusi da quelle paure vaghe da tempo trascurate, mai espresse, calati in una atmosfera affettiva e sociale che dà veramente poco, convinti di non valere, il timore di non riuscire, di rimanere soli, di perdere quel che si ha… tutto si colora di nero, di diffidenza, di sofferenza e disistima. Per calmare la grande inquietudine, dunque, è necessario azzittire questa allarmante confusione, ecco, allora, presentarsi un potente “ansiolitico”, la soluzione è lì a portata di mano, anzi di bocca… la grande abbuffata, è pronta e servita ora, e per sempre!!! Un altro tratto caratteristico di chi tende ad ingrassare è quello di non riuscire a dimenticare rifiuti, ipotetiche umiliazioni, eventuali sconfitte, presunte offese o torti subiti: si lega ogni cosa al dito, lasciando sempre - attraverso un estenuante rimuginare - tutto in sospeso. Più la vita lascia il comando alla noia, ai sacrifici e alle rinunce, più si cerca la felicità altrove, la compensazione e il piacere nel piatto… in questo modo il giustiziere diurno o notturno della dispensa può operare indisturbato. 


ibo, emozioni e atteggiamenti mentali agiscono sempre in maniera sinergica. Il cibo non è solo materia da cui trarre proteine e vitamine ma è connesso - metabolismo e tiroide permettendo - a bisogni emotivi, con le parti più profonde del mondo infantile; è legato, spesso, a tendenze svalutative, a valori familiari, alla sensazione di infelicità, a quella insaziabile fame d’amore che non abbandona mai… nemmeno di notte. Quando poi il cibo è sempre in testa, oltre a diventare l’unico motivo di consolazione, può trasformarsi in un comodo e potente analgesico nei confronti di un lavoro mediocre, di una vita spenta, priva di vitalità, che per quanto ci si impegni non emoziona più… soprattutto, quando si è a “dieta” di gioie, di gratificazioni e di libertà. Il piacere, il divertimento, l’innamorarsi perdutamente, il riscoprire la passione sono gli ingredienti fondamentali utili a modellare il corpo, il vero ed unico antidoto ai chili di troppo… fanno dimenticare di mangiare, bloccano, spingono veramente l’ago della bilancia sul basso. Il cibo è, erroneamente, il più delle volte un “buon” rifugio contro un lavoro banale, l’ansia e l’insicurezza, un “vero” antidepressivo, mette a tacere sofferenze, abbandoni, mancanze, rimpianti, delusioni e privazioni affettive; un’abitudine negativa che, prima o poi, si fa sentire con voce grossa per riscuotere i “sospesi”, da tempo depositati nel corpo, nella mente e nell'anima… sempre, però, con gli “interessi”. Poiché una esperienza simile espone sempre a una potenziale fragilità e vulnerabilità, nella struttura psicosomatica, addentrarsi in tale avventura di contenimento è possibile solo quando si è davvero convinti, sereni e tranquilli: sentire il desiderio di cambiamento, la voglia di liberarsi di vecchie abitudini e condizionamenti vari; trattarsi e volersi bene al punto di cambiare non certo per gli altri ma per se stessi, riscoprire quel senso di benessere che si è perduto nella routine e nella banalità quotidiana. Quando le giornate sono “alleggerite” e gli stati emozionali più clementi, sarà più facile raggiungere fino in fondo gli obiettivi… sempre con i risultati sperati.

icorda, se dai spazio al piacere - non dovendo più colmare quel vuoto interiore di solitudine, inquietudine, apprensione ed affanno - esci dall'impasse, ti togli dalle cose noiose, dall’insoddisfazione e soprattutto ti “allontani” dal bancale dei pasticcini e dai soufflé vari … solo se si “gusta” la vita con cose “buone” e genuine dell'esistenza, che fanno stare bene cuore e testa, si ha il senso della “pienezza” diffusa e, quindi, non avendo più bisogno del cibo spazzatura - tappabuchi, ci si toglie completamente la zavorra inutile, ci si alleggerisce e si dimagrisce DAVVERO!!!


Conclusioni.


gni giorno la vita - nel campo del lavoro, nell'ambito della famiglia e in qualsiasi relazione sociale - ci impone la necessità di prendere delle posizioni, di compiere delle scelte … di assumere determinati atteggiamenti a proposito di una o più controversie. Ogni scelta è, lo sappiamo per esperienza diretta, complessa, faticosa e, spesso, dolorosa. Se seguiamo una possibilità, dobbiamo abbandonarne un'altra, che, a volte, sembra la peggiore, intensa e più ingarbugliata. Normalmente scegliamo, ma quando siamo particolarmente tesi e confusi, la soluzione appare, dopo un po', la peggiore, amara ed infelice: rimandiamo e, ancora una volta, rimandiamo!!! Una vita serena non presuppone, infatti, la capacità di non sbagliare mai, ma quella di prendere una strada invece di un'altra (a una scelta sbagliata c'è, come ho sottolineato più volte nei vari articoli, “sempre” un rimedio, un modo di cavarsela non certo con il sorriso, ma sicuramente con la sensazione di aver “combattuto” … un modo comunque che ci permette di prendere le distanze, allontanarci dagli scarti mentali e uscire dal “traffico” cerebrale quotidiano con un certo grado di soddisfazione ... è sempre possibile!!!)


on l'aiuto di un esperto è possibile affrontare, aggirare o distruggere, con semplici strategie, tutte quelle forme di blocchi psicologici che ostacolano, annullano silenziosamente ogni iniziativa, che ci impediscono di agire con decisione, determinazione e, soprattutto, attraverso il nostro vero talento ... la paura di sbagliare, l'ansia, lo stress, la depressione, il mobbing, invece frenano, boicottano, la voglia di fare e scegliere ... nello stesso tempo, allontanano da se stessi, a capire in profondità che cosa vogliamo veramente, cosa desideriamo davvero dalla vita. Basta, ma basta davvero nascondersi dietro quel famoso ritornello ossessivo: fosse facile … siete tutti dei campioni a dare consigli, ma al lato pratico le cose si complicano!!! Se, infatti, avremo ben chiari quali sono i nostri obiettivi, riusciremo a prendere sempre - senza consumare energia inutile - importanti decisioni e valide scelte … buone e vincenti!!! Costituisce un fantastico e straordinario incentivo per tutti coloro che sono impegnati nel promuovere la “responsabilità” individuale nei confronti dell'ambiente e della salvaguardia della salute. Ricordiamolo ancora una volta che il “successo” in ogni settore della vita, teso verso conquiste che iniziano da decisioni basate sulla libera opzione, scelta che riflette noi stessi, i nostri valori e priorità, è un discreto punto di partenza per arrivare ad obiettivi concreti, raggiungere traguardi importanti ... tradurre ogni idea in azione e realizzare i veri desideri … ovvero raggiungere quello stato d'animo chiamato felicità. 


l contrario, conquiste derivanti puramente da un atteggiamento seduttivo o di aggressività compulsiva (il bisogno di controllare gli altri), dall'obbedienza conformista ai dettagli culturali o sociali, oppure da un bisogno di trionfo vendicativo, come ad esempio un atto di ritorsione, lasciano sempre un vuoto, surriscaldano il cervello, uno struggimento cronico inutile e un senso di mediocrità interiore, nonostante l'apparente grandezza della conquista. Non credo neanche che una conquista reale - e meno che mai la felicità - possa essere ricavata nel possesso di status symbol o di agi materiali: questi usati solo come contorno, in modo esibizionistico, diventano un'appendice gravosa … anche nel caso di una buona e genuina stima di sé possono essere spiacevoli!!! Da ultimo, la felicità, in questo mondo limitato non può mai essere considerata una euforia smodata, senza limiti, continua, oppure libertà eterna e disgiunta da altri legami, battaglie, posizioni e decisioni. Ma entro i limiti della “ragionevolezza”, della realtà umana. Ricorda, il massimo di “potere” e autorevolezza non sono mai isolati, staccati dal rapporto con gli altri, sono traguardi raggiungibili attraverso conquiste in armonia con il resto del mondo e, soprattutto, con la realtà stessa … con quello che effettivamente siamo, senza ruoli fittizi e maschere di cera indossate. Poter scegliere e decidere, insieme alla straordinaria autonomia e profondo senso di libertà che ne deriva, rende possibile traguardi insperati … pagati con ogni tipo di felicità!!! Ricordati che la felicità si trova sempre nei gesti semplici, sta nelle piccole cose quotidiane: avere una sguardo aperto, libero, lontano dai tarli mentali, dall'invadenza altrui e dalle rimuginazioni continue … perdersi, inoltre, nei dettagli inutili ci assicura l'infelicità. 

Salute Mentale a lavoro: perché é importante promuoverla | Jointly

l senso di benessere è ora, adesso, nel tempo presente, non domani. Ricordo con grande affetto e stima Mario il quale era solito dire con una certa insistenza, nei suoi momenti particolarmente difficili e bui, il seguente ritornello: ”””Quando vado in pensione mi ritiro su un'isola deserta, lontano da occhi indiscreti, libero dal mondo intero, mare e sole tutto l'anno … non vedo l'ora!!!. Finalmente mi lascerò alle spalle ansia, smog, invidie, gelosie, cattiverie varie e ritmi frenetici ... prenderò finalmente le distante dall'inquinamento mentale, da un modo di vivere piatto, banale, insulto, pieno solo di sacrifici, malessere e attese catastrofiche”””. Mario ora non è più con noi, stroncato improvvisamente da un male incurabile. Non ha potuto realizzare il suo sogno. E' stato tradito ancora una volta dal suo continuo differire; nemmeno il suo fantasticare è riuscito, per un attimo, a renderlo felice nei momenti di sconforto, di tristezza e di profonda solitudine. Non c'è nulla di male fantasticare, sognare, desiderare cambiamenti e cercare soluzioni interessanti; non dobbiamo però dimenticare che con questo modo di fare non si agisce, nulla si muove, tutto si ferma e la vita rimane in stand by ... ma per quanto tempo? … guai lasciarsi dominare dall'immobilità, prendere le distanze dal proprio corpo, se ci distraiamo da esso non sentiamo più niente!!! Solo se questo pensiero ci fa star bene sul momento possiamo qualche volta fantasticare e progettare, ma subito dopo dobbiamo passare all'azione, altrimenti tale operazione mentale ci blocca, diventa una solida barriera, un enorme ostacolo e fonte di infelicità: non ci fa vedere nel tempo presente le vere bellezze del mondo … boicotta il fare, l'azione e la vita si riduce ad uno sforzo e malessere continuo, allora conviene agire, fare qualcosa nell'istante, solo così si potrà avere consapevolezza del vero disagio e, quindi, cercare di modificare quelle cose che ci fanno soffrire, liberarsi concretamente dei momenti difficili … ritrovare finalmente quello che ci spetta di diritto: la serenità interiore. Tante belle cose Mario. Tornando a noi, comunque, accettare la lotta, anche con il birbaccione e i manipolatori più incalliti, dà sicuramente un senso di leggerezza alla testa, un enorme contributo sia al potere decisionale sia alla libertà interiore … non ci fa sentire perennemente indifesi e messi all'angolo, al tappeto. Ricordiamolo ancora una volta che possiamo essere felici sia prendendo decisioni di successo sia non … ogni azione porta ad un senso di soddisfazione che invade completamente ogni cellula … diffonde nel corpo e nell'anima la sensazione di aver fatto cosa buona e giusta. E' importante, quindi, che tu riconosca con grande lucidità gli “intrusi”, chi ti danneggia e cerca di sabotare direttamente la tua serenità. 

olte sono le decisioni importanti che, nell'ambito lavorativo e non, possiamo prendere o non prendere nell'immediato, atteggiamenti che, comunque, ci aiuteranno ad essere più liberi, autonomi e, soprattutto, felici:

No, isolarti quando invadono il tuo spazio, cercando di assumere un atteggiamento di eterna difesa. Guai rifiutare parole, disponibilità o supporti adeguati da parte di buoni amici che non ti chiedono sforzi, sacrifici o rinunce; quella amicizia preziosa che parla alla pari e, soprattutto, vuole la tua felicità, che tu possa, finalmente, realizzarti senza alcun vincolo e dovere ... aiutarti ad esprimere il tuo vero talento con profonda consapevolezza e creatività. Ricorda un appoggio disinteressato e sincero non crea mai una distanza emotiva, ma ti lascia libero di scegliere ed agire in piena libertà;

, parlare immediatamente con una persona qualificata del proprio disagio e se vedi che non capisce la gravità della situazione non esitare, sostituiscila immediatamente. La vittima, inoltre, deve essere sempre supportata da terapie specifiche ed adeguate per uscire dal pantano lavorativo, dalla palude sociale, dalle relazioni opprimenti, dai rapporti interpersonali malati che allontanano da se stessi;

No, credere che la vita sia tutta lì: che esista solo quella situazione lavorativa, quel posto; concentrati, senza buttare all'aria tutto, sulla ricerca - anche se in questo periodo storico può risultare difficile - di altre esperienze o attività in funzione della tua vera creatività e formazione culturale … solo così puoi estraniarti dai tarli mentale e da inutili tormenti ... eliminare finalmente quella zavorra emotiva dispersiva e ossessiva che blocca le tue scelte;


ì, informarsi e aggiornarsi a livello professionale. Frequentare corsi e studiare lingue se il lavoro ha sedi o rapporti con l'estero. Documentarsi e impratichirsi è sempre la strategia vincente per tenere sotto controllo gli invasori e affermare le proprie posizioni ed opinioni: essere autonomi e liberi;

Sì, rispondere agli intrighi spinosi con decisione, garbo e astuzia … il proprio ruolo, professionalità, creatività sono posizioni uniche e di grande qualità che non vanno mai disperse e, soprattutto, sempre difese a spada tratta!!!

Come possiamo prendere le distanze, ostacolare le invadenze altrui e gestire i manipolatori incalliti ... mettere a fuoco, finalmente, chi ci boicotta e danneggia.

llenati a dire di no o meglio smetti di dire sempre sì anche quando la pensi diversamente. Un'affermazione positiva non vissuta veramente in profondità non ti da forza, tanto meno sicurezza e autostima, ma è un atteggiamento che crea solo piccoli “manichini” ed “imitatori”, se non veri e propri “galoppini”, eterni dipendenti al servizio di chi, per motivi personali o pura vanità, ti tiene in pugno … impara a non chiedere consigli perché l'astuto megalomane, per il suo delirio di grandezza, non solo ti farà sentire incapace e di poco valore, ma invaderà completamente la tua privacy, il tuo spazio privato … sfrutterà le tue “debolezze” a suo favore. I consigli altrui possono essere presi in considerazione, senza considerarli, però, l'unico modo per trarti di impiccio nelle difficoltà che incontri lungo il cammino sociale, lavorativo e familiare … un parere non assicura mai la giusta soluzione … affidati alle tue sensazioni che possono risvegliare saggezza, creatività, talento e buone conoscenze personali. Attento, con i dati in suo possesso non solo può manipolarti, ma anche boicottarti, ricattarti … devi essere sempre sicuro di confidare i tuoi pensieri e segreti a un personaggio schietto e sincero.


uai lasciarti coinvolgere in rapporti lamentosi, tossici e malati perché non solo ostacoli un tuo momento sereno e boicotti la felicità, ma ti cali in un'atmosfera emotivamente noiosa e negativa, ti vincoli al disagio e ad un modo di pensare altrui non certo sereno. Se vuoi puoi esprimere un tuo pensiero, ma poi basta, deve finire lì: allontanati, il lamento esprime sempre un dispiacere, un qualcosa di spento, una difficoltà comunicativa, uno stallo!!! Ricorda, dopo un po' le lamentele nel cervello ristagnano, si concretizzano, appaiono vere, si fanno 'corpo', ti rendono dipendente e passivo! Fai attenzione a chi adotta il ruolo del grillo parlante, a chi da consigli a senso unico, premuroso, coscienzioso e protettivo, a colui che assume, in ogni circostanza, la mutevolezza del camaleonte: la carica di buon padre, del giusto confessore saggio e perfetto; prima o poi vivrai nella sua ombra, ti farà sentire mediocre ed inferiore. Ti senti talmente “protetto” e “rassicurato” che non ti assumi più le tue responsabilità … non prendi nessuna decisione. Rinunciando alla tua libertà ed autonomia scivoli nella spirale della servitù, dipendenza e disistima Il rischio è davvero alto: restare un perenne ed insulso “piccino”.

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 

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