DISTURBI D'ANSIA
i
tratta di una sensazione di apprensione, tensione e inquietudine
per un ipotetico pericolo imminente … uno
stato di allarme, una continua attesa, invalidante e fastidiosa,
di un qualcosa che spesso non accadrà mai. Uno stato
emotivo che esprime un malessere diffuso e invalidante derivante
dall'anticipazione di una minaccia incombente ... un vissuto
sempre soggettivo e personale. E' invece una normale reazione
quando si ha che fare con pericoli o minacce reali. L'ansia
patologica invece esprime paure inconsistenti, uno
stato emotivo spiacevole che causa insicurezza, sofferenza
diffusa, stato di impotenza, angoscia e timore per il futuro ...
un pericolo imminente e catastrofico. L'ansia, quella
"brutta" e "cattiva", ha sempre come suo
primo bersaglio l'apparato mentale ed è questo che la rende
davvero perniciosa. La mente di fronte al "tiranno"
ansia rotola nei dubbi e nelle incertezze ... perde la sua
sicurezza, lucidità e determinazione (perde la sua autonomia).
L’ansia è una condizione interiore di allarme, tensione,
incertezza, irrequietezza, paura che si può esprimere attraverso
il panico, tachicardia e tremore diffuso. E’ uno stato emotivo
caratterizzato dal timore, reale o immaginario, per un evento
futuro, interpretato come spiacevole o pericoloso: timore che
qualcosa di inquietante o di avverso stia per accadere. Di solito
il soggetto esibisce un’espressione timida e rinunciataria, un
atteggiamento completamente privo di speranza, una gestualità, a
dir poco, goffa e impacciata. Improvvisamente è preso da
inquietudine, si trova in balia di una mente confusa e sotto la
tirannia dell’insonnia. Assale a tradimento e si agita
all’interno del corpo e della mente. Un eccitazione esagerata
in cui l’individuo si adatta più lentamente agli eventi della
vita. Si diventa particolarmente introversi e sempre orientati a
prefigurare il peggio: tutto diventa negativo e catastrofico. el
quadro clinico ansiogeno troviamo la compresenza di sintomi
psichici e fisici. E’ uno stato d’animo connaturale, molto
comune e familiare alla maggior parte degli esseri umani. Può
presentarsi con intensità diverse, da un momentaneo lieve
disagio ad una paura intensa di minaccia incombente. Spesso
tutto ciò produce molto disagio, degenera in un meccanismo
incontrollabile, porta confusione ai pensieri e può trasformarsi
in una angusta prigione emotiva. Può essere, a seconda
delle situazioni, stimolante o paralizzante, può modificare le
difese attive o invece segnalare il sorgere di un profondo
disordine psichico. L’ansia, quella "normale", è
considerata una reazione dell’organismo che si prepara a
fronteggiare, attraverso una produzione adeguata di sostanze
chimiche presenti nel sistema nervoso (adrenalina e cortisolo:
ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali), un problema o un
pericolo (evento reale). Quella patologica, invece, è uno stato
di tensione che perdura nel tempo anche quando la situazione
problematica non è più presente: ha un effetto limitante sulle
capacità intellettive e comportamentali. In questa situazione
specifica l’unica cosa che si desidera è sfuggire al pericolo
che incombe. volte inizia in modo graduale con un po’ di
tensione, strano nervosismo, eccessiva preoccupazione per se
stessi e gli altri, improvvisi e ingiustificati pianti: si è in
balia al senso di impotenza e di agitazione diffusa. La
classificazione del malessere ansiogeno viene effettuato
attraverso la natura dei sintomi e, soprattutto, la presenza o
meno di una causa scatenante. Nella diagnosi risulta fondamentale
distinguere l’attacco d’ansia improvviso e devastante
(attacco di panico), dall’ansia scaturita da uno specifico
oggetto o da una precisa situazione (fobia), dallo stato d’ansia
intenso, diffuso e continuativo (ansia generalizzata). Un segnale
inequivocabile dell’ansia è il famoso “nodo alla gola”.
Questo sintomo si manifesta attraverso la raccapricciante
sensazione fisica di soffocamento (contrazione, secchezza,
difficoltà di deglutizione). C’è sempre
una stretta relazione tra stato d’animo e condizione
fisiologica (patologie dell’apparato gastroenterico,
dell’apparato respiratorio, dell’apparato
cardiocircolatorio). I valori pressori, la funzione
respiratoria, il battito cardiaco, la temperatura della pelle
sono tutti fenomeni influenzati dallo stato mentale. I sintomi
fisici più evidenti quando il soggetto è preso da un attacco
d’ansia sono: palpitazioni, dolore pulsante o trafittivo,
sensazione di costrizione e difficoltà di respirare, spasmi ai
muscoli del collo, mal di schiena, sudorazione, stordimento,
gonfiori, nausea. Se ci si concentra un attimo su alcune
esperienze della vita si scopre che non sono poi rari questi
segnali fisiologici correlati con il nervosismo, come ad esempio
i crampi allo stomaco prima di una prova importante oppure di un
incontro galante (bruciore di stomaco, scariche diarroiche). osa
fare. Tale disagio - proprio perché compromette la
qualità della vita e può evolvere verso quadri clinici più
seri - non deve mai essere affrontato alla leggera. Se il
disturbo non viene riconosciuto in tempo, valutata la sua gravità
con tempestività e trattato correttamente può protrarsi in
maniera invalidante per lunghi periodi, acutizzandosi poi nei
momenti in cui l’individuo è sottoposto a maggiore stress: il
soggetto diserta il lavoro, annulla completamente ogni attività
sociale e si isola dagli altri. Chiudersi in se
stessi è il pericolo maggiore per chi soffre di ansia. Le
persone affette da sintomi connessi alla condizione ansiogena o
da un vero e proprio disturbo d’ansia traggono notevole
beneficio da tutte quelle metodiche terapeutiche che aiutano a
rilassarsi, le portano ad esprimere le proprie sensazioni
(scaricare tutte quelle sostanze chimiche accumulate
nell’esperienza ansiogena) ed insegnano delle tecniche pratiche
con cui reagire a questa condizione, spesso, debilitante.
Attraverso tali esperienze terapeutiche si liberano dal peso di
questo continuo e pressante malessere. La spiegazione dei
meccanismi fisiologici coinvolti nella manifestazione ansiogena è
sempre fondamentale, non solo a livello di rassicurazione, per
eliminare quelle “convinzioni” che causano apprensione e
preoccupazione, ma anche nella gestione della sintomatologia in
atto. E’ possibile, infatti, con le opportune informazioni
imparare ad alleviare e controllare i sintomi che creano questa
profonda sofferenza esistenziale che schiaccia la mente e agita
il corpo. Il corpo, innalzando il livello di adrenalina, di
fronte a questa intermittente tensione si ribella con: aritmie,
problemi all'apparato digerente (cattivo rapporto con il cibo:
indigestioni, meteorismo. diarrea, stipsi),
problemi urinari, variazione del livello i glicemia nel sangue,
irritabilità, iperattività. confusione mentale, tratti
depressivi con facilità al pianto. Nei disturbi d'ansia
sono collocati tutti quei malesseri emotivi cui l'aspetto
ansiogeno costituisce l'aspetto predominante: fobie,
attacchi di panico, disturbo ossessivo - compulsivo (vedasi
descrizione Disturbi della Personalità ossessiva - compulsiva),
disturbo post - traumatico da stress, disturbo d'ansia
generalizzato. … l’ansia “patologica”, occupando completamente la mente, rende, stanchi, esasperati, apprensivi, lenti, impacciati, inefficaci e fermi … un’armatura mentale che manda al tappeto, fa rimanere al palo nel tentativo di gestire o sconfiggere ipotetici pericoli futuri … se si allenta la presa si teme possa accadere qualcosa di terribile.APEVATE
che ... la vitamina B1 è utile per il sistema nervoso
(depressione, nervosismo ... la vitamina B3 per i disturbi
nervosi (paura, preoccupazione,
stanchezza, irritabilità) ... la vitamina B5 e Magnesio nei casi
di stanchezza e stress psicofisico ... vitamina Acido Folico
utile per gi stati d'ansia, irritabilità, aggressività,
depressione ... l'Inositolo nei segnali nervosi ... il Calcio
nella regolazione degli impulsi nervosi ... lo Zinco per disturbi
psicologici ... il Manganese nei casi di Schizofrenia ... omega 6
(EPO) nei disturbi del comportamento .... Cromo utile
nell'intensa attività psicofisica. |
Anche i “Pensieri terribili” hanno i loro idoli
ATTENZIONE PERICOLO
iente
è più familiare dell’ansia quotidiana. Tanti ne soffrono,
tutti la temono, molti la negano. Una condizione che quando si fa
intensa e minacciosa, oltre a disturbare l’armonia della vita,
compromette tutte le capacità operative. E’ sempre accompagnata
da un’atmosfera “velenosa”,
una serie di malesseri sfumati, una sensazione di incertezza, di
apprensione e di profonda inquietudine. Uno stato di equilibrio
precario dovuto a una risposta esagerata verso situazioni
interpretate come pericolose per il soggetto o per i propri cari.
Un fenomeno del tutto immotivato rispetto alla reale pericolosità
dell’evento che può essere soltanto immaginato o anticipato
nella propria mente; può essere stimolante o paralizzante, può
modificare le difese attive, oppure segnalare alla propria
coscienza il sorgere di una profonda disarmonia emotiva. La
dimensione ansiosa ostacola il potere decisionale, esprime uno
stato emotivo di continua inquietudine di cui il soggetto,
spesso, non riesce a collegarla ad una specifica causa. Si
presenta con un’irrequietezza generale, un allarme prolungato,
uno smarrimento di fronte a qualcosa che non si riesce ad
“afferrare” o a gestire completamente: una snervante attesa
ad un evento che, probabilmente, non prenderà mai “forma”.
L’ansioso - pieno di dubbi e contraddizioni - è in balia degli
eventi, ingigantisce in maniera ingiustificata i rischi e gli
ostacoli della vita; si sente costantemente minacciato,
disorientato, inadeguato nel gestire ed affrontare gli impegni
quotidiani. e norme di convivenza sono sicuramente molto
importanti, nessuno lo nega, ma quando si trasformano in una
recita continua annullano il talento, spengono completamente le
idee, le energie e l’entusiasmo nel fare le cose. Quando si
interrompe questo circolo vizioso, di “essere come gli altri si
aspettano” ecco, come d’incanto, emergere improvvisamente un
atteggiamento più naturale e di buon senso. L’ansia colpisce
soprattutto individui che conducono uno stile di vita ordinato e
troppo “a modo”, senza imprevisti e cambiamenti, colpi di
testa o bizzarrie: tendenza a rinnegare gli istinti e le vere
necessità. Soggetti caratterizzati da uno stile di vita
“eccessivamente” regolare e artefatto, ispirato a troppe
norme e principi, improntato alla ricerca della perfezione.
Persone con poche soddisfazioni ma con molte illusioni. Può
arrivare all’improvviso, senza trombe e tamburi, annunciandosi
con un senso di irrequietezza generale, la testa annebbiata,
facilità al pianto ed insonnia. Molte sono le
situazioni scatenanti che fanno affiorare un’emotività
“sconosciuta” e una psiche “accelerata”: rapporti
interpersonali, senso di colpa, sessualità, imprevisti,
prestazioni impossibili, lavoro, routine. a condizione ansiosa,
inoltre, provoca uno stato di ipereccitabilità di tutta quella
parte del sistema nervoso centrale che non è controllabile dalla
volontà. L’ansia, in tal modo, fa andare in tilt il corpo e la
psiche determinando, a seconda della sua intensità, i “soliti”
disagi fisiologici: tachicardia, brividi,
vampate, contratture, vertigini e ronzii, turbe mestruali, cali
di vista, bocca secca, afte, ipersudorazione, formicolii alle
estremità, schiena bloccata, difficoltà digestive, cambiamenti
improvvisi di temperatura, aumento della respirazione, diarrea e
crampi allo stomaco. Quando compare sulla scena, c’è
sempre una spiegazione, pur misteriosa, che la giustifica. In
realtà, compare nei momenti di trasformazione, quando è
necessario cambiare rotta alla propria vita ma, soprattutto, in
chi vive il futuro minaccioso, in chi non riesce ad allontanarsi
dalle catene dei luoghi comuni, in chi teme i cambiamenti e gli
imprevisti. Per la personalità ansiosa, infatti, vivere qualcosa
di diverso significa mettere in crisi le proprie certezze. osa
fare. Alcune strategie, di seguito indicate, potrebbero
risultare paradossali o superficiali, magari troppo morbide per
sconfiggere questo mostro che è l’ansia. Ma se l’ansia è
una grandiosa opportunità per “svegliarsi”, ascoltare i veri
desideri e guardare se stessi con un’attenzione diversa, può
diventare una preziosa compagna di viaggio. Può essere curata se
si sa come accoglierla. Non serve usare maniere forti, bisogna
con morbidezza tenerle testa, interpretando ciò che vuol dire
con la sua inquietudine: una grande
occasione per riprendere in mano la propria vita. Quando
lo stato ansioso si scatena, il sistema nervoso centrale richiede
una compensazione biochimica immediata, ovvero una alimentazione
adeguata: i cibi giusti possono controllare
lo stato ansioso e ridurre la crisi. Con un buon rilassamento,
inoltre, il batticuore ritrova piano piano il suo ritmo giusto.
Un auto massaggio psicosomatico ben fatto può eliminare
tensioni, contratture, nervosismo e insonnia. Il “soffio della
vita”, cioè un volume polmonare adeguato, può tenere sotto
controllo i cambiamenti fisiologici prodotti dall’ansia. o
stato di allarme ansiogeno “strozza”, toglie il respiro, non
passa mai inosservato, viene prepotentemente preso in consegna ed
elaborato dal corpo … diventa portavoce delle emozioni ancor
prima della coscienza, un codice preciso che deve essere letto e
interpretato:
1. Petto. Una costrizione in questa zona non solo impedisce una normale attività respiratoria e determina un senso di soffocamento ma va diritta al cuore, si manifesta a livello cardiaco … spesso sono scambiati per infarto (dolore, aritmia, tachicardia, palpitazioni); 2. Tessuto muscolare. Paralisi, rigidità e tremori sono all’ordine del giorno. Lo stato di tensione crea un diffuso stato di contrazione muscolare (cervicale, debolezza, formicolio, torpore); 3. Intestino e apparato urinario. Questi apparati sono i primi inequivocabili ricettori emotivi (nausea, gastrite, colite, urinare spesso). ei
ansioso, ecco le sostanze e i nutrienti “speciali” che
possono contrastare tale stato: mandorle, noccioline e spinaci
(alto contenuto di magnesio che oltre a favorire un buon SONNO
allevia irritabilità e toglie stanchezza); Vit. Del gruppo B e
D: soia, tacchino, petto di pollo e lenticchie - ferro -, cereali
- zinco - e uva e broccoli - cromo - (ferro, zinco e cromo
migliorano l’umore e regolano le emozioni) … e molta frutta di
stagione per ripulire il cervello (frutti di bosco per cali di
memoria) … l’assunzione, poi, di salmone fresco abbassa
l’ansia e ostacola la depressione … togli dal “piatto”
fritti, grassi e tutti i dolci.
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Il Tedio della vita
valori pressori, la funzione respiratoria, il battito cardiaco, la temperatura della pelle sono tutti fenomeni influenzati dallo stato mentale. I sintomi fisici più evidenti quando il soggetto è preso da un attacco d’ansia sono: palpitazioni, dolore pulsante o trafittivo, sensazione di costrizione e difficoltà di respirare, spasmi ai muscoli del collo, mal di schiena, sudorazione, stordimento, gonfiori, nausea. Se ci si concentra un attimo su alcune esperienze della vita si scopre che non sono poi rari questi segnali fisiologici correlati con il nervosismo, come ad esempio i crampi allo stomaco prima di una prova importante oppure di un incontro galante (bruciore di stomaco, scariche diarroiche). Cosa fare. Tale disagio - proprio perché compromette la qualità della vita e può evolvere verso quadri clinici più seri - non deve mai essere affrontato alla leggera. Se il disturbo non viene riconosciuto in tempo, valutata la sua gravità con tempestività e trattato correttamente può protrarsi in maniera invalidante per lunghi periodi, acutizzandosi poi nei momenti in cui l’individuo è sottoposto a maggiore stress: il soggetto diserta il lavoro, annulla completamente ogni attività sociale e si isola dagli altri. Chiudersi in se stessi è il pericolo maggiore per chi soffre di ansia. Le persone affette da sintomi connessi alla condizione ansiogena o da un vero e proprio disturbo d’ansia traggono notevole beneficio da tutte quelle metodiche terapeutiche che aiutano a rilassarsi, le portano ad esprimere le proprie sensazioni (scaricare tutte quelle sostanze chimiche accumulate nell’esperienza ansiogena) ed insegnano delle tecniche pratiche con cui reagire a questa condizione, spesso, debilitante. Attraverso tali esperienze terapeutiche si liberano dal peso di questo continuo e pressante malessere. La spiegazione dei meccanismi fisiologici coinvolti nella manifestazione ansiogena è sempre fondamentale, non solo a livello di rassicurazione, per eliminare quelle “convinzioni” che causano apprensione e preoccupazione, ma anche nella gestione della sintomatologia in atto. E’ possibile, infatti, con le opportune informazioni imparare ad alleviare e controllare i sintomi che creano questa profonda sofferenza esistenziale che schiaccia la mente e agita il corpo.
Il malessere dimora sempre ai "Piani alti"...
’accumulo
di tensione, ben noto a tutti, può portare a conseguenze
negative sia a livello fisico sia a livello psicologico. Esiste
sempre una stretta correlazione fra salute, atteggiamenti
mentali, modi di fare e stili di vita. Quando ogni azione, anche
la più banale, diventa difficile e viene accompagnata da
continui sacrifici e sforzi, significa che l’entusiasmo nel
fare le cose si è spento … la “chimica” cerebrale entra in
uno stato confusionale e, per quanto ci si impegni, non riesce a
reintegrare le forze perdute. Alzarsi ogni mattina è uno sforzo
incredibile … un’impresa titanica, si è in balia degli
eventi, dell’inquietudine, dell’insoddisfazione e dei
pensieri tortuosi: la massa cerebrale va in apnea e fuori
controllo. Sembra di vivere in un mondo fatto di finzione,
completamente estraneo, si perde la vera autenticità: ogni
aspetto vitale viene rimosso. L’essere spenti diventa
un’abitudine, la stanchezza assale prima di iniziare ogni cosa,
la giornata si affronta con fatica, diventa un incubo: manca quel
“frizzo”, quel “brivido” che riaccendeva - in tempi
migliori - il fuoco dell’entusiasmo; tutto diventa
artificiale e infelice … la “calma piatta” soffoca passioni
e desideri, affonda lentamente la vita. Anche mente e corpo ne
risentono, non c’è che l’imbarazzo della scelta, si va
dall’insonnia ai dolori alla testa e alla schiena, al mal di
stomaco fino allo scatenarsi dell’agitazione,
dell’aggressività, della depressione. iù si rimane in questa
condizione psicosomatica più si producono effetti negativi a
livello sociale, comunicativo e lavorativo: uno stato che fa
davvero male alla salute. Cala la vitalità, l’attenzione
diventa ballerina, la concentrazione e l’efficienza svaniscono
completamente, aumentano le probabilità di errori ed incidenti,
si incrinano i rapporti con amici, colleghi e clienti. Gli
“sforzi”, inoltre, determinano, nell’unità psicosomatica,
un accumulo di energia, che se compressa, non eliminata,
aggredisce l’organismo nei punti più deboli; l’ansia si
concentra in un punto preciso segnalando che qualcosa non va per
il verso giusto. Per Mario sarà
quel caratteristico e inconfondibile nodo alla gola: affiorano
così le parole mai dette, tutte quelle cose trattenute si
affollano in quella interminabile “strettoia” fino a
strangolarlo. Sembra la fine, l’aria fa fatica a passare, si
cerca la porta, una via d’uscita, uno spazio aperto, la
finestra per una boccata d’aria, la comunicazione si
interrompe, le idee inciampano e gli argomenti zoppicano. Le
parole si inceppano, tutte quelle cose che per mancanza di
coraggio non sono mai uscite dalla bocca, sempre trattenute e
represse, rimangono come d’incanto concentrate lì, in quel
punto. Ma ecco, che in situazioni simili, nei rapporti con
genitori, figli, partner e superiori, come al solito il copione
si ripete, quella strana abitudine di trattenersi si ripresenta,
il fatto di non potersi esprimere liberamente genera contrazioni
… in una cavità così “stretta” la fonazione diventa
sempre più confusa. Mario si sente “preso” proprio per il "collo”! rnesto, invece, oltre a chiedere troppo a se stesso, sempre all’erta e super preciso, impegnato a dimostrare in ogni momento della giornata di essere in gamba, convinto anche di non essere in grado di gestire, integrare e assimilare i cambiamenti repentini, non riesce proprio a mandare giù i “bocconi” amari, a “digerire” tutte le cose con cui quotidianamente viene in contatto. Vorrebbe gridare, far esplodere la sua rabbia, ma preso dalla paura costringe il suo “laboratorio” ad un super lavoro, ad un continuo “ruminare” su cose che non soddisfano: lo stomaco entra in tensione … controllato da una potente morsa autodistruttiva. Paola, con la sua pancia gonfia - sempre sulla difensiva, pronta a isolarsi, a razionalizzare o a giudicare gli altri - vive il proprio ambiente come invasivo o particolarmente ostile: la paura di cambiare la “blocca” e la disarma. Ha chiuso per questo, da tempo, la sua disponibilità emotiva col mondo: un “trattenersi” mascherato di socievolezza forzata. Non riesce più a “scaricare”, perché è legata troppo al passato (depressione), a un modo di vivere non più vantaggioso, vincolata alle vecchie convinzioni e credenze … non lascia andare nulla. Questa incapacità di prendere le dovute distanze dalle situazione stantie, stimola eccessive preoccupazioni, gelosia, pensieri bui e terrore di essere umiliata. E’ necessario ritrovare il gusto di vivere, il piacere di lasciarsi andare, aprirsi e comunicare … spontaneamente però! In realtà, il cosiddetto “intestino pigro, sedentario” necessita di una autonomia diversa, una mentalità larga … urla incessantemente “largo al nuovo”! Ma ecco che, improvvisamente, si alterna un’altra dittatura: la colite. aola si alza al mattino dominata dalla paura dell’insuccesso, frastornata da spaventose responsabilità, terrorizzata di essere giudicata negativamente durante gli impegni quotidiani. Ha bisogno di affetto e tanto, tanto calore, ma per averlo è convinta che prima deve “purificarsi”… così, di corsa, deve “liberarsi” da questo senso di oppressione, dai desideri di vendetta, dai sentimenti che covano in profondità, nelle “parti basse”: rancore, rabbia, invidia. Non dimentichiamo Carlo che, con il suo cuore al galoppo, teme l’infarto da un momento all’altro. Una sensazione che, a suo dire, toglie letteralmente il fiato e rallenta in modo preoccupante il suo iperattivismo. Sempre di corsa, mai fermo, la sua vita è completamente sommersa da un ritmo frenetico e stressante. Sa fare più cose contemporaneamente ma non ha mai tempo per se stesso, non riesce proprio a vivere un ritmo lento. Il mondo affettivo, per lui, è davvero un optional: preferisce incanalare la propria energia sull’azione, sull’attività fisica convulsa. L’emozione, però, si fa sentire, il battito raggiunge la gola come se volesse dar voce ai sentimenti nascosti e trattenuti … come se chiedesse davvero più “cuore”. apevate che il cibo, da sempre, con i suoi nutrienti assunti in maniera scorretta, può essere responsabile degli improvvisi attacchi d’ansia e sbalzi dell’umore … mentre può risolvere problemi di memoria e concentrazione quando si assumono in maniera appropriata sali minerali, vitamine ... in breve, in certe condizioni fisiologiche, può decidere sull’equilibrio emotivo: può aumentarlo, contrastarlo, placarlo, equilibrarlo, neutralizzarlo o scatenarlo. |
I nemici che oscurano la mente
F o b i a
F o b i e … quelle strane paure
e
fobie sono paure irrazionali, intense, inappropriate, fuori
dall’ordinario, senza motivo apparente. E’ un fenomeno
persistente, vale a dire la persona ne soffre in modo ripetitivo.
Appare simile al sentimento di paura, come stato d’animo,
perché la fobia insorge di fronte a una situazione vissuta come
pericolosa, a un avvenimento spiacevole, un qualcosa che a dir
poco ripugna: ma si tratta in ogni caso di una rappresentazione
oggettivamente travisata e distorta della realtà (solo pensata,
ipotizzata). I disturbi fobici sono causati
da immagini, fantasie o rappresentazioni mentali interne, che
invece vengono percepite erroneamente dal soggetto come
provenienti dall’esterno e quindi sperimentate come un pericolo
concreto e reale. In realtà non sono gli eventi esterni a
scatenare una reazione fobica, ma quello che si pensa di essi, in
particolar modo le valutazioni che si fanno circa la capacità di
saperli gestire e fronteggiare. Quando la reazione è
sproporzionata alla situazione temuta, al pericolo effettivo,
provocando uno stato d’angoscia paralizzante, invalidante e
comportamenti che interferiscono significativamente con le più
elementari attività quotidiane, ci troviamo di fronte ad una
fobia di rilievo clinico. Il soggetto sa perfettamente, ha
la consapevolezza che la sua non è una paura reale, ma
patologica (solo che non riesce a controllarla!). Solitamente il
soggetto fobico cerca di evitare le situazioni che la scatenano
ricorrendo a vere e proprie strategie di fuga. utti questi
evitamenti, oltre ad essere una notevole perdita di tempo, una
grande dispersione energetica e limitare completamente il
soggetto, sono indubbiamente la fonte di un marcato disagio e una
continua sofferenza. Il fenomeno fobico si accompagna a un senso
di smarrimento, di assoluta impotenza, con reazioni
neurovegetative tipiche dello stress: tremori,
astenia, nausea, tachicardia, sbalzi pressori, senso di
svenimento, iperidrosi, difficoltà di respirazione, pallore,
fame d’aria, tosse nervosa, vomito, tremori, sonno agitato,
incubi. In tale quadro clinico le capacità di rendimento
diminuiscono in maniera significativa in vari settori
(lavorativo, scolastico, sociale), vi è una marcata tendenza
all’affaticamento, poca capacità di concentrazione e di
memoria. Anche se molti fobici riescono (si sforzano) a mantenere
uno stile di vita in modo più o meno normale, con il passare del
tempo rischiano di cronicizzare e peggiorare tale fenomeno: i
sintomi tendono ad aggravarsi e possono aumentare
significativamente i tratti depressivi o altri disturbi emotivi
più complessi. Ci sono alcune fobie che sono veramente un
supplizio, una tortura e spingono il soggetto ad isolarsi sempre
più favorendo, nel contempo, tratti decisamente depressivi. a
fobia sociale, ad esempio, è una paura persistente di situazioni
nelle quali il soggetto è esposto ad un ipotetico giudizio degli
altri e, di conseguenza, ha timore di poter fare qualcosa o
magari agire in modo tale da poter essere ridicolizzato o
umiliato. Questa condizione emotiva può essere circoscritta,
come la paura di non essere capace di continuare a parlare mentre
si parla davanti ad una platea, di soffocarsi con il cibo mentre
si parla di fronte agli altri (questo avviene solo con
interlocutori particolari), di avere incontrollabili tremori alla
mano mentre si scrive in presenza di altri o il timore di
arrossire in pubblico. Cosa fare. Il primo passo nel trattamento
delle fobie, oltre a spiegare e rendere chiari i meccanismi
neurofisiologici, è focalizzato sul ridimensionamento della
visione catastrofica della vita presente in questi soggetti.
Quando una persona comprende la natura del proprio problema
(psicologico, psicosomatico, neurofisiologico) può fare molto
per risolverlo. Il lavoro fondamentale è infatti quello di far
riflettere sul modo in cui il fobico pensa, agisce ed entra in
relazione con gli altri così che possa individuare e perseguire
nuove possibilità, conquistare, se lo desidera, una
consapevolezza diversa circa le modalità reattive e acquisire
nuove capacità di reazione agli eventi. Alcune metodiche
terapeutiche come tecniche di respirazione e di rilassamento
rivolte a ripristinare, in maniera ottimale, alcune funzioni
fisiologiche, si sono dimostrate particolarmente utili e, in
alcuni casi, risolutive. Attraverso tali strategie è possibile
migliorare la propria autostima, che consente di limitare
profondamente questi atteggiamenti di impotenza e, molto spesso,
di disperazione che caratterizzano il malessere fobico. Uno stato
d'animo con disturbi fisici paralizzanti e terrificanti:
tachicardia, sudorazioni, nausea
sudorazioni, senso di svenimento, stanchezza improvvisa. … rupofobia: paura della sporcizia … spinge, costringe, mette all’angolo, non è possibile fermarsi, astenersi dal lucidare … la persona tiene ossessivamente ogni cosa sotto controllo, in ordine, pulisce e lucida fino a “consumare” gli oggetti… un gesto che tenta contemporaneamente di eliminare un “qualcosa” di se stessi che si rifiuta, non si accetta, non piace ma di cui è impossibile separarsi. |
Alcune riflessioni su come stare meglio
hi ha sofferto per anni in silenzio, attraverso il percorso collaborativo e lavorando seriamente, può scoprire dentro di sé potenzialità e capacità che non avrebbe mai sospettato di possedere. Attraverso questo cammino, responsabile e creativo, che porterà alla guarigione, questi soggetti possono imparare a vivere e a relazionarsi in maniera più gratificante, ritrovare l’autostima, la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi, scoprire che hanno delle grandi potenzialità e, soprattutto, le risorse per prendere le decisioni giuste. Anche se c’è la tendenza a guardare con sospetto o addirittura con insufficienza chi soffre di un disagio emotivo, è bene sottolineare che non è un “lebbroso”, tanto meno un debole o un incapace, semplicemente non affronta i suoi problemi in maniera corretta e vantaggiosa (non si è mai responsabili della malattia ma del proprio comportamento). L’intervento terapeutico è rivolto a cambiare il modo in cui un individuo sente, pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri così che possa scoprire e perseguire nuovi obiettivi, conquistare una consapevolezza diversa riguardo al comportamento e acquisire nuove capacità reattive agli eventi.
ATTENZIONE PERICOLO
SMETTIAMOLA di LITIGARE ... con il corpo
nche
se raramente ne siamo consapevoli, in ogni situazione che viviamo
il corpo dice la sua con grande saggezza. Gli stati emotivi, più
o meno intensi, si depositano nel corpo. Ogni sentimento vissuto
- gioia, dolore e felicità - dall’apparato cerebrale si
estende in tutto l’organismo, in ogni molecola, in ogni fibra,
in ogni cellula. Se l’emozione, però, viene tenuta inutilmente
attiva da un costante stato di allerta e da un perenne
rimuginare, si somatizza e, nel tempo, attraverso la tensione, la
contrazione, l’infiammazione e poi la lesione, può diventare
malattia. Quando la sensazione di essere in colpa è
profondamente radicata, quando si sottopone in maniera automatica
a un severo giudizio ogni azione o pensiero, non ci sono dubbi,
la salute è a rischio. Spalle incurvate, sguardo spento, pelle
opaca, eloquio incerto, postura contorta sono il risultato di un
corpo che non piace più, spesso temuto e vissuto come un nemico,
che può annientare da un momento all’altro: disturbi
orribili sono in agguato. Il soggetto si preoccupa di
naturali funzioni corporee, come il battito
cardiaco, la sudorazione, la digestione. Può avvertire la
fame preoccupante, essere facilmente disturbato da rumori forti
ed improvvisi, provare intenso disagio al caldo o al freddo.
Anormalità fisiche minori, come una piccola infiammazione, o
sintomi transitori, come la tosse, possono essere interpretati
quali segni di malattia. La più lieve irregolarità, proprio
perché si diventa sempre più vigili con il passare del tempo,
può produrre apprensione e allarmismo. e un banale segnale
fisiologico appare fonte di preoccupazione eccessiva e
irragionevole per la salute, è proprio il caso di dire che
ascoltare il proprio corpo sono davvero “dolori”. In questo
modo il corpo spodesta la mente, non è vissuto come una “casa”
comoda e accogliente ma come un edificio diroccato: non più
alleato ma un perfetto antagonista. “Quella lì non sta mai
bene. Ne ha sempre una. Piove sul bagnato”. Sono tutte cose che
si dicono a quelle persone che, pur non essendo malate, sono
sempre avvilite e assediate da singolari sintomi: il loro corpo è
intorpidito da piccoli disturbi che, proprio per la particolare
insistenza, non lasciano tregua. Prende sempre più “corpo”
una strana convinzione, una insistente ed assurda sensazione che
il proprio “involucro” si sia indebolito e sia sul punto di
contrarre una grave malattia; infezioni, ictus, leucemia, AIDS,
tumore, infarto sono le patologie più temute. Per chi soffre,
questo atteggiamento dura anni e anni fino a diventare il fulcro
dell’esistenza: uno stato di allerta continuo, in cui gli
spettri della malattia e della morte possono esplodere
all’improvviso, invadendo completamente il campo della
coscienza. Si è sdraiati comodamente sul divano e un leggero
formicolio al braccio rievoca immediatamente un evento funesto,
porta subito al timore di avere un infarto, mentre si guarda un
film una piccola fitta alla testa fa scattare il pensiero di un
ictus imminente: l’attesa di un imprecisato divenire e le paure
connesse scatenano dei veri e propri sintomi. ueste continue
paure - oltre a mettere completamente alla corda tutti coloro che
vivono accanto - risultano invalidanti, predispongono
all’agitazione, destabilizzano i rapporti e, soprattutto,
creano un ambiente povero di sentimenti, spento e noioso. Per chi
vive tale situazione, la vita diventa un vero inferno. Una
sofferenza che da alcuni, bene che vada, viene considerata una
stravagante paturnia, mentre per altri, forse più “sfacciati”,
è un’astuta invenzione orchestrata dal soggetto per soddisfare
un suo misterioso tornaconto. Tali valutazioni, in parte dettate
da rapporti conflittuali, snervanti e frustanti, sono sempre
errate: in ogni gesto, se si presta la dovuta attenzione, non c’è
finzione, ma traspare sempre una ingestibile sofferenza e una
devastante paura. Il soggetto è terrorizzato, si fissa su una
forma rara di leucemia oppure teme di essere stroncato da un
morbo raro e crudele. Non è possibile raggiungere la
tranquillità attraverso l’evidenza clinica perché basta un
banale sintomo, spesso transitorio, per ossessionare e tormentare
la mente fino a cancellare completamente i recenti referti
medici; gli esami clinici non rassicurano più, dopo un apparente
sollievo, ecco che si ricomincia da capo. Ben presto il
sofferente diventa polemico e accusa gli specialisti, se non
proprio di ciarlataneria, di non essere preso sul serio, di un
parlare forbito ma ingannevole, di superficialità e di scarsa
professionalità nell’affrontare il problema. Nei rapporti
appare maldestro, distante e scontroso, non riesce più a
concentrarsi sul lavoro per la convinzione di avere una grave
patologia non diagnosticata. Gli amici, lentamente, creano
attorno al soggetto un tessuto sociale arido e freddo: disdicono
gli appuntamenti o non si fanno più trovare perché, a loro
dire, è una “compagnia” che agita, irrita, destabilizza e
annoia … meglio stare alla larga. osa
fare. Mai “peregrinare” su internet alla ricerca di
fantomatici “santoni” e malattie bizzarre al fine di
formulare una pasticciata autodiagnosi. Sarà vantaggioso,
invece, evitare la consultazione di molti specialisti
contemporaneamente ma cercare un “solo” professionista
(cambiarlo immediatamente se si percepisce di non essere sulla
stessa lunghezza d’onda) con cui sviluppare un solido rapporto
di fiducia per progettare, insieme, ciascuno in base alle proprie
competenze, un reale e concreto programma terapeutico. Non meno
importante è concentrarsi sulle proprie sensazioni, i propri
entusiasmi, le proprie passioni, le cose che interessano davvero
e quelle che spengono le passioni, che non appartengono più ad
un’esistenza felice, rendono i gesti finti, l’esistenza
banale e piena di sofferenze … anche se
il malessere descritto può avere alla base cause diverse non va
mai dimenticato che certi traumi psichici lo possono alimentare o
intensificare. … l’ansia segnale sempre che qualcosa non funziona, per farci capire che è necessario interrompere una finzione, una fastidiosa recita in cui si è scivolati.… il corpo non lascia in pace perché ha qualcosa di molto importante da comunicare: costringe ad occuparsi di se stessi, perché c’è qualcosa nel quotidiano che non si sta vivendo oppure che non ci appartiene. |
I pensieri … “SPAZZATURA”
osa fare. L’obiettivo principale della terapia consiste nell’alleviare l’ansia e, spesso, alcuni tratti depressivi, in modo tale da diminuire la frequenza dei pensieri e dei comportamenti coatti. Per gestire questi malesseri esistenziali (anestetizzare, addormentare il tarlo), comunque, è fondamentale che il soggetto si dedichi a tutte quelle cose piacevoli e gratificanti che, da tempo, ha lasciato in sospeso, ovvero realizzare quei progetti che per pigrizia o per il quieto vivere ha sempre rimandato: dare spazio ad interessi ed alle vere passioni (le scelte e le decisioni liberano sempre l’energia rimasta imprigionata nella mente). Ciò è indispensabile per togliere potere ai “tarli”, che si sono impropriamente impadroniti della mente, e dare spazio a qualcosa di gradevole che procura soddisfazione e che rende orgogliosi … perché, sicuramente, il senso della vita non è solo dovere, sacrificio, espiazione e sofferenza. Siamo sempre noi i padroni e gli artefici dei nostri atteggiamenti, dei nostri gesti, delle nostre ambizioni, delle nostre abitudini, del nostro divenire e delle nostre azioni … non i “vampiri” della mente.
Attacco di panico (DAP)
l
Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è uno stato piuttosto
complesso di disagio psichico caratterizzato dall’insorgere
improvviso di angoscia acuta e incontrollabile che lascia, a dir
poco, atterriti. Si presenta sulla scena in modo del tutto
inaspettato, spesso senza motivi evidenti e giustificati. Assale
all’improvviso con effetti devastanti sul corpo e sulla mente.
Solitamente tale stato d’animo raggiunge il picco in pochi
minuti e si esaurisce del tutto, o quasi, nel giro di mezz’ora
circa. Gambe imbizzarrite, stomaco “stretto” in una morsa,
fronte madida di sudore, iperidrosi alle mani, cuore che inizia a
battere a velocità insostenibile, problemi respiratori, gola
strozzata, violenti spasmi, o peggio ancora, scariche diarroiche
improvvise, questa è la fenomenologia raccapricciante ed
"interminabile" di chi vive tale malessere.
L’esperienza, a volte, è talmente intensa che la persona può
rimanere sfinita anche per alcuni giorni. Questi episodi sono
vissuti come un incubo, una catastrofe imminente, tanto sono le
violente sensazioni di terrore e di impotenza. Le crisi di panico
accompagnano, come abbiamo appena visto, diversi sintomi
psicofisici: palpitazioni, sudorazione,
sensazione di soffocamento, vertigini, formicolio, rossore al
viso (eritrosi), paura di perdere il controllo, cambiamenti di
temperatura, senso di irrealtà, dolori al petto, paura di
morire, disturbi all’apparato digerente. Quando il
panico diviene una consuetudine, fino a diventare una “paura
della paura”, stravolgendo completamente la routine, il terrore
di morire e la paura di impazzire costituiscono le premesse per
una condizione di vita piena di limiti e di salti agli ostacoli.
L’adozione di “strategie difensive” per scongiurare tale
disagio conduce lentamente a una schiavitù cronica. La persona,
dominata dai cosiddetti comportamenti “evitanti” finisce col
trovare un minimo di pace solo all’interno delle mura di casa
(prigioniera in casa sua e rassicurata solo dai riti quotidiani).
Molto spesso è quell’attenzione esagerata e quell’attesa
angosciosa di un attacco successivo a far sì che la condizione
di panico possa ripetersi in determinate situazioni. E’ un
fenomeno che spinge ad isolarsi, a temere tutto, a volte anche le
terapie. uesta “gabbia protettiva invisibile” è presente nel cervello del soggetto sotto forma di una lunga lista personale di cose che si possono realizzare oppure evitare (luoghi, incontri, cene, spostarsi, cambiamenti, situazioni emotive intense, viaggiare, confronti, prove ed esami, attese). Il soggetto, quindi, dominato da questa paura, altro non può fare che fissarsi sulle solite abitudini: una vita, spesso, superficiale, piena di limiti, noiosa, ripetitiva e banale … non vive più, soffocato da se stesso. Il malessere può dipendere da un comportamento non idoneo (errato), da scelte che non appartengono alla propria personalità, da una mentalità (appresa) che condiziona in maniera negativa: conformismo e comportamenti costantemente nella norma in apparenza assicurano, ma in realtà spengono perché soffocano le vere necessità ed esigenze naturali di ogni individuo. Esprimere i propri sentimenti, esserne consapevoli, poterli sperimentare sempre in un clima “protetto” senza censurarli, è il primo passo per vivere in armonia con se stessi, evitando in tal modo quell’alternanza tra la maschera di “buone maniere” e il terrore di essere travolti dall’improvviso erompere di sentimenti che, per il quieto vivere, sono stati nascosti troppo in profondità. Una strada che, oltre a far salire l’ansia, porta lontano da se stessi e dritti ad una soffocante e opprimente frustrazione. Si entra, quindi in una spirale di paura: paura di stare male. Quando si è presi dall’ansia, si reagisce con paura, ed è proprio questa modalità reattiva che tiene in trappola. In questo frangente il corpo si prepara ad affrontare la situazione reale (il più delle volte solo ipotizzata, pensata): gli ormoni dello stress e l’adrenalina, entrano nel flusso sanguigno del soggetto per prepararlo a sfuggire la situazione oppure a rimanere ad affrontarla. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più l’adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua, inevitabilmente, la sintomatologia (il battito cardiaco accelera, il respiro diventa affannoso, si può tremare o sudare abbondantemente). In realtà, il panico arriva quando si è lontani da se stessi, si seguono modelli di vita che non sono propri, ci si sforza di aderire a qualcosa o a piacere a qualcuno … fino a consegnare la propria vita in mano ad altri e, quindi, diventare inutili. La paura di perdere l’equilibrio, il terrore di essere inghiottiti dal vuoto, la sensazione che la terra si apre sotto i piedi trascinando giù, sono tutti stati psicofisici che chi soffre di panico conosce bene: gira come un funambolo sospeso nel vuoto, e il baratro diventa un buco nero da cui fuggire sempre e comunque, finché l’esistenza si riduce via via alla ricerca spasmodica di uno sbocco (via d’uscita) … ma non si sa bene da cosa. merge una vita statica, poco
travolgente, caratterizzata da un tempo che non passa mai in cui
la lungaggine, gli ozi (girare a vuoto), la noia e la monotonia
la fanno da padroni. Una reazione che dà voce alle proprie
esigenze più profonde, quel vivere che odia le abitudini, la
vita pianificata e spenta. In breve, un profondo senso di
inadeguatezza che, proprio perché ignorato, va a cronicizzarsi
in uno stato di scontento con cui si convive o che, nelle
situazioni peggiori, si tramuta in ansia, depressione o panico.
Proprio per queste ragioni, alcune scuole di pensiero, ipotizzano
che gli attacchi di panico siano generati da schemi mentali
caratterizzati da percezioni distorte della realtà, pensieri
automatici e convinzioni errate. Non sempre comunque una profonda
emozione è sinonimo di attacco di panico. Quando è presente un
motivo reale a giustificare l’ansia, come ad esempio affrontare
una semplice situazione problematica o sostenere un esame, siamo
alle prese con un timore o una paura. Per quanto possa essere
sgradevole la paura è un’emozione indispensabile perché
prepara in maniera adeguata, attraverso la produzioni di
neurotrasmettitori, ad affrontare le difficoltà del momento.
Cosa fare. Il raggiungimento del benessere dipende dalla capacità
di abbassare il livello d’ansia e, naturalmente, di mantenerlo
basso. Questa condizione può essere raggiunta attraverso
metodiche terapeutiche basate su tecniche distensive e
concentrative ad orientamento psicosomatico. Con queste tecniche
non solo è possibile “gestire” sensazioni ed emozioni, ma
anche fermare il chiacchiericcio mentale. I metodi terapeutici
distensivi (ipnosi, moxa, massaggio
psicosomatico, rilassamento frazionato) non solo
affrontano la sintomatologia in atto ma risultano fondamentali a
livello di prevenzione. Un altro intervento qualificato sarà
quello di agire sul respiro che è sempre in sintonia con le
proprie emozioni spiacevoli e/o piacevoli. Una persona calma ha
il respiro lento e profondo, una persona che soffre di panico,
invece, respira in maniera superficiale ed accelerata, attivando
in tal modo manifestazioni fisiologiche alterate ed esagerate.
Agire sul respiro, pertanto, aiuta ad interrompere quel circolo
vizioso che caratterizza il fenomeno panico. emere
il giudizio altrui, i pensieri e i legami sbagliati sono la vera
causa della fragilità: bisogna "guardare" le cose in
maniera diversa ... cambiare sguardo, punto di vista:
concentrarsi sul presente e mai sul passato ... solo in questo
modo è possibile recuperare la vera autenticità. Ci si ammala
quando si perde la spontaneità, la propria immagine ... quando
si fanno esperienze non in funzione con le proprie esigenze e
desideri ma secondo quello che vorrebbero gli altri per noi. l
panico più lo eviti e più lo aumenti … più lo tieni sotto
controllo e più ti sfugge di mano … più lo si comprime e più
diventa esplosivo… se lo controlli esplode … se tenti di
bloccarlo attiva un meccanismo ansiogeno devastante che si
autoalimenta, spinge a vivere sempre dietro lo schermo, in
sordina, dietro le quinte a fare da comparsa … alcuni tipi di
ansia bloccano quando si pensa di essere ridicoli, di fare brutta
figura, di essere FRAGILI: uno sguardo troppo centrato su un
personaggio fasullo … è una lotta interminabile,
un’opposizione continua perché si vuole offrire un’immagine
perfetta, pura e senza macchia, si ha paura di vivere le
situazioni in prima persona … picchi di inquietudine che
emergono quando si vuole essere sempre vincenti, dimostrare di
essere bravi, candidi, buoni e intelligenti a tutti i costi, di
piacere a tutti … lo stato di allerta, di pericolo imminente,
allora, indica che si sta andando contro mano, che si rinnega
quello che si è realmente: segnala un modo di vivere forzato in
cui non sono accettati i propri limiti e si mascherano le proprie
debolezze … il PANICO interrompe un programma, una recita, una
finzione in cui da tempo si è scivolati … RICORDA, dare spazio
agli interessi si accende completamente la vita… investire in
attività piacevoli mette sempre in moto le energie mentali
giuste. Il PANICO, attraverso l’ansia, vuole che tu trovi il tuo vero percorso, esalti i tuoi gusti e il tuo unico e originale stile di vita, senza sensi di colpa. |
IPOCONDRIA … perché aumenta il timore di ammalarsi
Non CONCENTRARSI sulla malattia, con tutti i suoi pensieri catastrofici connessi, significa già avere imboccato il percorso verso il risanamento, verso il benessere, verso la salute.
si hanno brutti pensieri;
non si riesce più a dormire;
non si riesce ad uscire di casa;
quando è utile chiedere un aiuto:
non si riesce a prendere una decisione;
i rapporti sono a rischio e si diventa asfissianti.
n
corpo (inconscio) che chiede senza sosta alla mente (coscienza) più
attenzione, una trasformazione, un cambiamento, spinge ad occuparsi
con più convinzione di se stessi e di essere più protagonista della
propria vita … un corpo che attraverso l’ansia segnala il proprio
dramma: il terrore di essere annientato … una continua allerta ma
anche una grande necessità di essere al centro dell’attenzione.
… l’attacco vuole trasformare, aprire nuovi canali energetici: spinge a realizzare i propri sogni, ad ampliare lo sguardo su nuovi mondi.
iente
è più inquietante dell’ascoltare un racconto fatto da chi ha
vissuto un attacco di panico. Tale esperienza viene definita come
un fenomeno imprevedibile, squassante, incontrollabile,
inaspettato, e senza un apparente legame con eventi ansiogeni
esterni. Assale a tradimento, soffoca completamente le speranze,
paralizza le certezze, brucia di colpo tutte le abitudini, rompe
ogni schema possibile, morde e fugge stremando completamente il
soggetto. Ecco che cos’è l’attacco di panico: una doccia
fredda che mette in ginocchio e manda a tappeto anche la persona
più “dura”, a prescindere dalla sua reale “statura”.
Irrompe all’improvviso, devasta la psiche mandando
completamente in tilt tutta la “centrale operativa”. Non meno
fortunato è il corpo a cui viene assegnato il compito ingrato di
sbrigare le brutte faccende di “casa” con sintomi piuttosto
invalidanti: oppressione al torace tachicardia, dispnea, respiro
corto, mani sudate, stordimento, disturbi viscerali e sessuali,
brividi, vampate di calore, forti dolori allo stomaco, impulso
irresistibile alla fuga. Questo malessere colpisce a dieci anni
come a settanta, indipendentemente dalla posizione sociale e dal
profilo culturale. Chi ne è colpito ripetutamente tende ad
isolarsi sempre più, a evitare luoghi, cose e persone che gli
possono ricordare il momento terribile dell’attacco: una vita
“senza vita”. Non solo è presente la paura di morire ma si
teme, a torto, di non essere più in grado di condurre una vita
normale: un evento psichico che può allontanare pericolosamente
da se stessi. opo alcune esperienze, infatti, più o meno raccapriccianti, si comincia a vivere costantemente nell’attesa ansiosa di un altro attacco. In molti casi l’agitazione - l’energia in eccesso non espressa - fa aumentare un’incontrollabile preoccupazione per la salute o, peggio ancora, il timore di avere gravi malattie inspiegabili. Improvvisamente, tutto si trasforma in un incubo incomprensibile. L’adozione di meccanismi difensivi, per scongiurare e arginare questo fenomeno terrificante conduce, pian piano, a una schiavitù cronica: la peggiore sciagura che possa capitare. Dopo l’attacco di panico, infatti, la persona sembra aver smesso di esistere e, nel contempo, il suo unico obiettivo è quello di sopravvivere ai mille ipotetici pericoli. Chiudersi in una “gabbia protettiva” è una delle reazioni più comuni di fronte all’esperienza panica. La “gabbia mentale”, però, nel tempo, si radica a tal punto che il soggetto, qualsiasi cosa faccia, deve fare i conti con essa: “Posso andare? Cosa incontrerò? Cosa mi accadrà? Ce la farò? Ma ci riuscirò? Resterò bloccato? Sarò accettato? Chi mi porterà soccorso? Soffocherò? Chi mi salverà? Sarò in grado? E’ pericoloso?" e così, dominato da un turbinio di pensieri catastrofici, non può più scegliere ciò che gli piace, ma ciò che “può fare” rispetto alle sue reali esigenze. Una prigionia quotidiana, cronica e frustrante, a cui il cervello, attraverso la sua tempesta ormonale dice un secco “no”. Non arriva mai per caso: trae origine e linfa dal quotidiano, da tutti gli eventi che ingabbiano l’esistenza in schemi immutabili, comprimendo e appiattendo gradualmente il mondo interiore. Dietro questo fenomeno si nasconde sempre una parte di se stessi che è stata tenuta in “letargo” o, magari, non si è saputo esprimere e valorizzare in modo adeguato. Chi segue rigidamente il modello di vita in cui è inserito rischia di non essere mai se stesso e di vedere “annichilita” la propria personalità. Per il quieto vivere, attraverso i rospi ingoiati che fanno ribollire di continuo, si crea un personaggio inquieto ed inutile, una seconda pelle che va stretta e tira da ogni parte … assale allora il timore di “perdersi”, non sapere più chi si è veramente. meccanismi di difesa adottati, comunque, oltre a diventare dei veri carcerieri, non fanno più vivere, tolgono ogni gioia, ostacolano la realizzazione di se stessi e, soprattutto, spengono i veri desideri … una vita che non scorre più. Il panico, quindi, è la vita che non si vive più, la felicità che si nega … fa “saltare” il proprio stile di vita fittizio. Diventa una reazione “estrema”, spesso inconsapevole, caratterizzata da tanta energia prodotta e non usata, uno scontro con un sistema di vita che non è più in armonia con la propria natura profonda: sacrifici e sofferenze accumulate che, all’improvviso, si trasformano in panico. Spesso, per obblighi o per necessità, ci si trova a realizzare e a dire cose diverse dai propri desideri, cercando di fare del proprio meglio e seguendo sempre i dettami altrui, viene imprigionata, per comodità, la vera identità entro confini ben definiti, si chiudono progressivamente i propri orizzonti esistenziali … ma c’è un’energia, una tensione, un’agitazione dentro che spinge altrove, impone un cambio di rotta; assale chi ha spento la vivacità, negato il piacere e smarrito la felicità. Un grido di ribellione ad uno stile di vita che va contro le proprie vere esigenze, cerca di smantellare, attraverso sintomi fisici e tratti depressivi, quei contesti emotivi - affettivi a tinte forti, inutili e colmi di artificiosità. L’attacco serve di monito perché, volenti o nolenti, obbliga a prestare attenzione a ciò che sta accadendo alla propria vita emotiva … a smantellare quei rapporti difficili con il mondo. In pratica, usa le maniere forti per smuovere, far uscire il soggetto dalla palude delle convenzioni, del conformismo in cui se cacciato ma, soprattutto, scuoterlo per impedirgli di soffocare la vita … spinge a cambiare atteggiamento - uscire da quel personaggio che recita di solito - per tornare ad essere felice. E’ sempre, comunque, il segno di una vitalità profonda, completamente compressa su un’identità costruita a tavolino e indossata come maschera impenetrabile. osa
fare. Le metodiche terapeutiche attivate saranno tutte
rivolte a raggiungere un giusto equilibrio tra mente e corpo. Il
senso di interezza, infatti, deriva sempre dall’armonia
dell’intero psicosoma e tutto ciò può essere raggiunto
attraverso interventi mirati come ad esempio agire su
l’iperventilazione, ovvero ripristinare la funzionalità
respiratoria (migliorare la respirazione riduce il flusso
adrenalinico e, quindi, il timore di patologie cardiovascolari),
una adeguata attività fisica migliora il metabolismo e il
sistema linfatico di un corpo ormai alla deriva, una sana
alimentazione può stabilizzare i livelli glicemici, imparare a
rilassarsi, invece, è utile per sconfiggere lo spasmo muscolare
cronico e, quindi, vivere in maniera più armoniosa e “aperta”.
Guardare poi questo mostro in faccia,
dritto negli occhi, non gli rimane che scappare a gambe levate!!! |
PANICO … come fermarlo
n breve, un profondo senso di inadeguatezza che, proprio perché ignorato, va a cronicizzarsi in uno stato di scontento con cui si convive o che, nelle situazioni peggiori, si tramuta in ansia, depressione o panico (cambiamento biochimico, ormonale). Proprio per queste ragioni, alcune scuole di pensiero, ipotizzano che gli attacchi di panico siano generati da schemi mentali caratterizzati da percezioni distorte della realtà, pensieri automatici e convinzioni errate. Non sempre comunque una profonda emozione è sinonimo di attacco di panico. Quando è presente un motivo reale a giustificare l’ansia, come ad esempio affrontare una semplice situazione problematica o sostenere un esame, siamo alle prese con un timore o una paura. Per quanto possa essere sgradevole la paura è un’emozione indispensabile perché prepara in maniera adeguata, attraverso la produzioni di neurotrasmettitori, ad affrontare le difficoltà del momento. Cosa fare. Il raggiungimento del benessere dipende dalla capacità di abbassare il livello d’ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questa condizione può essere raggiunta attraverso metodiche terapeutiche basate su tecniche distensive e concentrative ad orientamento psicosomatico. Con queste tecniche non solo è possibile “gestire” sensazioni ed emozioni, ma anche fermare il chiacchiericcio mentale. I metodi terapeutici distensivi (ipnosi medica, moxa, massaggio psicosomatico, rilassamento frazionato) non solo affrontano la sintomatologia in atto ma risultano fondamentali a livello di prevenzione. Un altro intervento qualificato sarà quello di agire sul respiro che è sempre in sintonia con le proprie emozioni spiacevoli e/o piacevoli. Una persona calma ha il respiro lento e profondo, una persona che soffre di panico, invece, respira in maniera superficiale ed accelerata, attivando in tal modo manifestazioni fisiologiche alterate ed esagerate. Agire sul respiro, pertanto, aiuta ad interrompere quel circolo vizioso che caratterizza il fenomeno panico.
ATTENZIONE PERICOLO
uando tale fenomeno psicosomatico termina (biologico: alterazione della chimica cerebrale e delle ghiandole surrenali; psicologico: stress, emozioni, stato d’animo, conflitti sociali e lavorativi), si consolida nella mente del soggetto il terrore che tutto ciò possa ripetersi nuovamente, non in maniera leggera o superficiale, ma con modalità ancora più gravi, complesse e drammatiche … lo spavento, la sensazione di disperazione e l’ansia anticipatoria, pertanto, si ripercuotono in maniera devastante sull’intera persona e in modo significativo sulla vita dell’individuo. Un vigilare meticoloso e continuo che attiva, attraverso la produzione ormonale, una miscela davvero esplosiva: basta un nonnulla per far esprimere questa energia dirompente. Non si riesce più a dimenticare l’improvvisa e terrificante “esplosione” ormonale, quella ventata di energia dirompente che assale - con tutti i suoi effetti fisiologici devastanti - l’organismo in toto: tachicardia, sudorazione, intorpidimento, vampate di calore, problemi digestivi, vertigini, capogiri, formicolio, brividi. Nonostante questa profonda ed invalidante sofferenza fisica e mentale, molti non chiedono aiuto a nessuno, mentre i più “coraggiosi”, cioè quelli che si rivolgono ad una consulenza specialistica, ricevono spesso una diagnosi non completamente corretta, perché il DAP è confuso, ancora oggi, con lo stato depressivo.
ltre persone, invece, per gestire gli attacchi di panico e per alleviare lo stato ansiogeno, ricorrono a strumenti ancora più pericolosi: bevono alcolici o fanno uso di droghe in generale (sigarette, tranquillanti, farmaci non specifici). Il paradosso è che l’alcol, la caffeina e la nicotina, dopo aver dato un breve sollievo, peggiorano la situazione psico – somatica perché stimolano ulteriormente le ghiandole surrenali a produrre l’adrenalina, aggravando in tal modo lo stato ansiogeno. Il DAP, inoltre, con le sue caratteristiche peculiari di evitamento, modifica non solo i modi di fare e di reagire, ma anche la personalità dell’individuo. I soggetti affetti da disturbo di attacco di panico diventano ipocondriaci, introversi, riservati e dipendenti … lentamente i rapporti lavorativi e sociali diventano difficoltosi e tesi: restano senza sostegno e completamente isolati dal mondo, vivono un’esistenza in bianco e nero. Gli amici e i familiari, non comprendendo razionalmente questo disturbo, sono pieni di risentimento, delusi e impotenti di fronte a certi comportamenti … entrando direttamente in conflitto con i propri cari aggravano ulteriormente la situazione, predisponendoli così ad un prossimo attacco.
AGORAFOBIA ... la paura della “piazza”
l
termine agorafobia (agorà: nell’antica Grecia, era la piazza
principale e centrale della città - luogo di mercato - posto
pubblico; phobos: paura), che deriva dal greco àgoraphobos,
significa letteralmente “paura dei luoghi affollati, degli
spazi aperti”. Una descrizione tuttavia più appropriata del
fenomeno è sicuramente quella di una reazione esagerata di paura
di star lontani dalla sicurezza della propria casa. L’agorafobia,
infatti, costituisce una reazione di paura inadeguata di fronte a
una situazione inoffensiva. In breve, è una paura ossessiva,
irreale, inappropriata e, soprattutto, irragionevole (fobia: è
un complesso di sentimenti, un misto di paura, fino al terrore, e
di ripugnanza sino all’orrore, nei confronti di un oggetto, di
un animale, o di una situazione che di per sé normalmente non
provoca questi sentimenti. Il soggetto è cosciente della
anormalità del suo stato d’animo e mette in atto un
comportamento di evitamento nei riguardi di quegli stimoli).
Questo stato non è, quindi, controllabile dalla forza di volontà
e non può essere spiegato in modo adeguato e logico. La paura,
quando non diventa un fenomeno paralizzante, è un’emozione
vantaggiosa e necessaria per la sopravvivenza (non
è un nemico ma è nostra alleata). Essa, infatti,
costituisce non solo una reazione normale, ma si rivela
essenziale per l’essere umano. In realtà, essa ci permette di
prendere coscienza di un pericolo, di una minaccia. Il pericolo
può essere immediato come quando siamo a passeggio e
sopraggiunge un veicolo nell’attimo in cui stiamo attraversando
la strada. Oppure può essere anticipato, come nel caso in cui si
teme un’aggressione girando in un luogo poco sicuro e fuori
mano dalle forze dell’ordine. In breve, possiamo dire che la
paura è strettamente collegata a una situazione concreta,
specifica e perfettamente identificabile che comporta, come
appena descritto, un pericolo reale vissuto nel presente o nel
futuro. a comparsa di questa emozione permette, quindi, all’individuo di attivare alcune reazioni psicologiche (comprese quelle chimiche, ormonali, ecc.) e, soprattutto, modificare il comportamento umano per far fronte al pericolo contingente. Pure l’ansia (quando non ha una connotazione negativa nel senso di tensione eccessiva e logorante) è un’esperienza abituale, indispensabile come spinta produttiva verso la realizzazione di un obiettivo, uno stimolo cioè all’azione. L’ansia è un fenomeno psichico derivante da un conflitto interno tra istinto, educazione e coscienza sociale. Non sempre si è consapevoli di questa “sensazione” interna. Le fobie potrebbero essere manifestazioni simboliche dei turbamenti interni che ne derivano. In questa dinamica, il conflitto interno è trasferito o spostato, l’individuo, quindi, sperimenta il fenomeno agorafobico come una minaccia proveniente dall’esterno. La difficoltà di misurarsi con l’esterno può portare a ignorare o a negare il conflitto. L’ansia quindi associata al conflitto viene collegata a un fattore, a un’attività o a una situazione esterni, perché più facilmente evitabili. L’agorafobia deve essere considerato come un malessere specifico, invalidante e devastante, quando ad esempio si deve attraversare da soli piazze, vie larghe o, in genere, nell’allontanarsi da un punto fisso di appoggio per inoltrarsi nello spazio aperto. L’agorafobo non teme che gli succeda qualcosa di spiacevole, ma lo dà per scontato, per certo, che dovrà affrontare inevitabilmente un’esperienza drammatica. Non possono, infatti, fermarsi in nessun luogo, far la fila, soffermarsi per un tempo indeterminato in posti particolari. Sono assillati dal pensiero: e se per qualche ragione mi sentissi male? Reagiscono a tutto ciò in modo passivo, taciturno e con comportamenti imbarazzanti. na condizione emotiva a cui molto spesso non viene data la giusta importanza nella manifestazione agorafobica è l’umore. Tale fenomeno possiamo definirlo come stato d’animo persistente, da cui si valutano le qualità dei sentimenti e la tendenza alla stabilità o alla fluttuazione di queste qualità (allegria, tristezza, ottimismo). Il tono dell’umore, quindi, che spazia e occupa tutta la gamma che va dalla gioia alla tristezza, influenza l’attività intellettiva, volitiva, comportamentale e fisiologica. Comprendere e distinguere i sintomi, inclusi quei meccanismi che connotano lo stato patologico, da una effimera alterazione del tono dell’umore, è fondamentale per rendersi conto quando è il momento di chiedere aiuto per se stessi o aiutare chi ci vive accanto. Da un punto di vista statistico il 60% dei pazienti fobici può essere incluso nel quadro clinico definito agorafobo. Il 90% di tale percentuale è costituita da donne, in genere sposate (pare che per il sesso maschile l’ansia, solitamente, si manifesti in modi diversi dall’agorafobia). La maggioranza degli agorafobi si ammala tra i 20 e i 30 anni, appartengono a qualsiasi strato sociale e non hanno, a volte, particolari sofferenze emotive. Cause scatenanti dell’agorafobia sono, in ordine di incidenza: malattie fisiche, situazioni familiari stressanti, perdita di una persona cara, genitori autoritari, infelici ed alcolizzati, il manifestarsi improvviso di sintomi allarmanti fuori di casa. Inoltre, non meno importanti, si riscontrano frequentemente dei problemi relazionali familiari o di coppia. Spesso tende a ipercontrollare in modo ossessivo, vive particolari conflittualità e, solitamente, è insoddisfatto della vita familiare. Esso ha il terrore della separazione oppure teme di non essere amato in modo adeguato o di essere, addirittura, abbandonato. Nell’agorafobia non sono sicuramente gli eventi esterni, quali che siano, a produrre una reazione di paura, ma quello che si pensa e si crede di essi. In particolar modo sono le valutazioni che facciamo circa la nostra capacità di poterli fronteggiare. ’ansia e la paura, quindi, sono dovute a meccanismi cognitivi di valutazione e di anticipazione degli eventi (ovviamente in senso catastrofico e pessimistico). Infatti, allo stesso modo in cui una musica o un profumo fanno rivivere un ricordo che si pensava dimenticato, il pensiero di trovarci in un certo luogo o di fare qualcosa in particolare può rievocare una paura per quanto non abbiamo la piena consapevolezza della sua origine (il cambiamento biochimico, però, all’interno dell’organismo avviene realmente). Quando i pensieri “lavorano contro di noi” danno inizio ad un processo di respirazione (il respiro corto e rapido provocato dalla produzione eccessiva di adrenalina può portare all’iperventilazione). Qui comincia il calvario: si teme che la respirazione si fermi oppure di non poter respirare profondamente a causa del senso d’oppressione precordiale. Quando iperventiliamo, la sintomatologia viene esaltata al massimo), poi il ritmo cardiaco aumenta, si inizia a sudare e la mente continua a produrre pensieri terrificanti instaurando un circolo vizioso di paura - angoscia - paura, questa risposta “esagerata” è alla base dell’attacco. I sintomi più comuni:• Ronzio forte;• Stordimento;• Tremito alle gambe; • Stanchezza, impazienza; • Perdita di concentrazione; • Sentirsi male a poca distanza dalla meta; . Idea che nessuno possa prestare soccorso in caso di svenimento;• Paura di perdere il controllo di fronte ad estranei considerati critici e giudicanti.Situazioni evitate e in cui l’agorafobico sperimenta ansia:• Stare da soli in casa • Salire su i mezzi pubblici; •
Guidare
l’auto nel traffico; • Fare la fila in posta, in banca; • Entrare in un grande magazzino; • Attraversare ponti e gallerie, entrare in un supermarket; • Andare al ristorante, partecipare a feste, andare al cinema.
ome
abbiamo visto, certe caratteristiche dell’agorafobia sembrano
proprio sfidare il senso comune o la ragione. Perché una persona
apparentemente con pochi disagi emotivi, dovrebbe improvvisamente
sviluppare una fobia di andare in luoghi pubblici, condurre
l’automobile, andare in autobus, in treno o in ascensore?
Perché essa, capace di molte cose, dovrebbe mettere a
repentaglio il proprio lavoro o il proprio matrimonio o
rifiutarsi di uscire di casa? E ancora, perché una persona
impegnata in numerose attività dovrebbe diventare così
dipendente da non poter uscire o viaggiare senza il supporto di
una compagnia? Sono domande che giustamente assillano quei
teorici che cercano di spiegare i disagi emotivi relativi a
questa reazione devastante ed invalidante. Il problema
dell’agorafobia ha attratto un’attenzione considerevole, come
indicato da un ampio numero di volumi che trattano questo
argomento. L’ampio approccio al problema dal punto di vista
clinico comportamentale e psicoterapeutico può produrre qualche
risposta a questo nebuloso enigma. Perché i sintomi agorafobici
tendono ad apparire dopo l’età di vent’anni (dal momento che
la maggior parte di questi disagi si origina nell’infanzia)? Si
suppone che alcuni individui abbiano una “predisposizione” (i
fattori predisponenti sono definiti come le caratteristiche di un
individuo che lo rendono più suscettibile di un altro a
sviluppare un problema fobico). a presenza, tuttavia, di uno o
più fattori predisponenti - vulnerabilità biologica, influenza
familiare, personalità, non costituisce una garanzia di
sviluppo del disturbo ma aumenta il rischio che esso ne sia
colpito - all’agorafobia che non si esprime fino a quando un
cambiamento di circostanze non la attivi. Alcuni autori hanno
postulato, infatti, che questi soggetti non hanno un “armamento
psicologico” adeguato per far fronte a queste reazioni
agorafobiche. E’ stato anche ipotizzato che queste persone per
tutta la loro vita si siano preoccupate della loro salute o
capacità di gestire l’agitazione o gli sconvolgimenti emotivi,
ma siano riuscite a mantenere l’equilibrio finché hanno avuto
la disponibilità di una o più figure protettive (genitori,
amici, coetanei, marito, moglie). Molte di queste persone hanno
una storia d’ansia da separazione risalente alla prima
infanzia. Così, un prolungato distacco dalla propria casa può
rimuovere questo sostegno e far sperimentare al soggetto episodi
agorafobici. Analogamente la rottura di un rapporto matrimoniale
mette a repentaglio la disponibilità di una persona di sostegno.
La nascita di un bambino, la perdita di una figura cara molto
importante attraverso la separazione o la morte, un aumento di
responsabilità a casa o al lavoro, tutto ciò può provocare o,
meglio, far precipitare i sintomi agorafobici. L’aumento di
responsabilità rappresenta una minaccia per il paziente, poiché
egli crede, a torto, che se si comporterà inadeguatamente
potranno esserci conseguenze disastrose (profonda disistima). ertanto, la sfiducia in se stesso può essere minacciata dalle aspettative e aumentata dall’allontanamento di un sostegno sociale. Paradossalmente, in un scenario tipico, l’individuo si percepisce come represso da un’altra persona da cui egli dipende per l’appoggio sociale e interpersonale. Egli attribuisce una grande importanza al proprio – per quanto malfermo – senso di autocontrollo e competenza, ma il dominio di un’altra persona tende a erodere la sua fiducia nelle proprie capacità di funzionare adeguatamente su una base di indipendenza. Poiché le nuove richieste e responsabilità sono viste come cruciali, può tornare (regredire) a uno stadio precedente di dipendenza. Si sente più minacciato da problemi esterni e interni, e fa sempre più affidamento sulle figure di sostegno per avere un aiuto nel fronteggiare questi pericoli. Il futuro agorafobico inizia comunemente a percepire una varietà di possibili pericoli nel mondo “esterno”: per esempio, perdita del controllo dell’automobile, rimanere imbottigliato nel traffico, restare incastrato in una porta girevole, essere calpestato dalla folla (pericoli che assomigliano alle paure relativamente realistiche dei bambini piccoli). Queste paure si accumulano e si espandono, finché alla fine quasi ogni stadio del processo dell’andare a far spesa o in un altro luogo fuori di casa diventa un grave problema. Il risultato è che l’individuo percepisce se stesso come sempre più vulnerabile man mano che passa attraverso ognuna di queste fasi: 1. Percepisce un numero illimitato di opportunità di essere immobilizzato, umiliato, annientato, soffocato o attaccato, non può fare affidamento su nessuna difesa contro questi “pericoli” esterni; 2. Le reazioni riflesse automatiche producono sintomi che fanno pensare a gravi disturbi interni: attacco cardiaco, momenti di mancamento, ecc. L’individuo non ha modo di difendersi da questi attacchi “interni”; 3. Il soggetto prova una sensazione di “cattivo funzionamento” e un calo di competenza. Crede di non poter controllare l’automobile, mantenere il proprio equilibrio, comunicare oralmente con altre persone senza bloccarsi o balbettare, e così via; 4. La perdita del controllo sulle reazioni alla minaccia rinforza il concetto di essere vittima di forze interne ed esterne su cui non ha nessun controllo; 5. Questa perdita della sensazione di competenza insieme alla paura del “disturbo interno” conduce il soggetto a cercare aiuto da una figura protettiva; 6. L’ansia intensa provata nella situazione minacciosa (negozio, supermercato, strade, cavalcavia, ecc.) può crescere fino a sfociare in un attacco devastante e incontrollato. In ogni caso, la forte ansia innesca un forte desiderio di fuggire dalla situazione e ritornare a un rifugio sicuro (generalmente casa); 7. La casa o un rifugio equivalente, rappresenta la sicurezza dal pericolo esterno. L’individuo prova una forte resistenza ad avventurarsi di nuovo fuori, e generalmente prova ansia se lascia casa; 8. Le inibizioni multiple, le tendenze alla sottomissione e le autovalutazioni negative indeboliscono la fiducia in sé e conducono così allo squilibrio nelle relazioni interpersonali, a un ulteriore senso di inadeguatezza e, infine, alla sensazione di essere in trappola e dominato dalle altre persone. an
mano che l’agorafobico si avvicina alla situazione fobica, si
“rinchiude” in un set di vulnerabilità: un’anticipazione
delle afflizioni che gli capiteranno. E’ preoccupato per la
possibilità di un improvviso, parossistico e incontrollabile
disturbo interno. Prima di entrare nella situazione, egli
considera questo stato di agitazione come indicativo di un grave
disturbo fisico, comportamentale o psichico. Quando si trova
nella situazione, tuttavia, crede di sviluppare un serio malanno.
Qual è la “causa” dello stato di attivazione
neurofisiologico? Secondo le mie osservazioni dirette, sembra sia
basata sulla convinzione dell’individuo (quando è solo) di
essere vulnerabile a improvvisi disturbi medici, mentali ed
emotivi. Egli crede che a questi disturbi potrebbe porre rimedio
se avesse un pronto e libero accesso a un luogo sicuro, come la
sua casa, un medico o un ospedale. Perciò sensazioni somatiche
relativamente poco importanti che fanno pensare ad un malore,
possono essere messe a tacere o ignorate se esiste la possibilità
di ricevere assistenza. Se è lontano o gli viene impedito
l’accesso a tale assistenza, il soggetto può non riuscire ad
ignorare questi sintomi somatici come segnali di disastro
incombente, accresce la paura di una grave disgrazia. L’aumento
della paura conduce all’ansia e alle sue concomitanti che
possono ulteriormente accrescere i sintomi somatici, si instaura
così un circolo vizioso. Infine, le difficoltà di pensiero
impediscono al soggetto di usare le sue capacità di ragionamento
per negare le paure esagerate. Un individuo che sta per entrare
nella situazione agorafobica, dunque, si muove secondo i seguenti
principi:
• “Un disastro che incombe su di me può colpirmi in qualsiasi momento”. • “Non c’è nulla che io possa fare per schivarlo o mitigarlo”. • “Se potessi ricorrere a un esperto o a un aiuto (amico), potrei allontanare o ridurre le terribili conseguenze”. • “Qualsiasi sensazione particolare (dolore toracico o addominale) può essere un segno di questo fatale stato”. • “Se il processo non è bloccato, può accelerare fino al disastro finale”. erché
dei luoghi o situazioni specifiche sembrano innescare gli
attacchi? Un fattore evidente sembra essere rappresentato dal
fatto che tali luoghi o situazioni bloccano l’accesso alla casa
o alla figura protettiva. Negozi affollati interferiscono con la
mobilità. Andare in treno, su una superstrada o in una galleria
blocca l’accesso libero all’aiuto di emergenza. Analogamente,
l’impossibilità di raggiungere l’uscita in un ristorante
affollato o in un teatro impedisce la fuga verso un rifugio
sicuro e l’aiuto. La parola chiave in queste situazioni è
“intrappolato”. L’altro possibile fattore più importante è
che ognuna di queste situazioni è percepita come pericolosa in
se stessa. Così, la persona che sta dirigendosi verso una
situazione “agorafobica” specifica, come un centro
commerciale chiuso o un supermercato, incontra una varietà di
potenziali pericoli nel tragitto (sia il corpo sia la mente si
preparano e anticipano situazioni che non si verificheranno mai).
Può andare fuori strada con l’auto o investire un pedone,
perdersi, essere investita da un’auto mentre attraversa la
strada o soffocare in un tunnel della metropolitana. Inoltre, le
gallerie e i ponti possono crollare, gli autobus possono avere
incidenti e gli ascensori bloccarsi. I “pericoli” quando
l’individuo entra nella situazione agorafobica sono meno
evidenti. I negozi affollati interferiscono con la libertà di
movimento e limitano la libertà di fuga e di accesso al
soccorso. I piani affollati possono produrre la sensazione di
essere circondati e soffocati che, a sua volta, può condurre la
persona all’iperventilazione e, così, a presentare certi
sintomi (vertigini, formicolio) associati con uno stato panico.
D’altro canto, gli spazi cavernosi, le ampie aperture delle
grandi finestre, gli angoli poco conosciuti, le linee geometriche
convergenti, possono innescare sintomi ansiogeni associati con
percezione profonde, i cosiddetti “riflessi otticocinetici”. uesta reazione, presente soltanto in alcuni soggetti
agorafobici, è osservata più chiaramente in ampie costruzioni a
volta, come gli auditori, e in piazze pubbliche. Così
l’individuo ipersensibile ai confini esterni è preso tra la
paura di essere costretto alla mancanza di spazio per muoversi,
da un lato, e dall’altro, di perdersi in spazi sconfinati. In
più, oltre al problema di troppo o poco spazio, può temere di
inciampare e cadere dalla scala mobile, di saltare giù dalla
tromba delle scale, di cadere dalle ampie finestre del piano più
alto del grande magazzino. L’agorafobico è tipicamente
preoccupato della libertà di movimento e del libero accesso
all’eventuale soccorso. Tuttavia, paradossalmente, una delle
sue caratteristiche di reazione comportamentale implica
l’immobilità. Il soggetto si sente debole e impotente e teme
di svenire. Quando ciò avviene, questa risposta di immobilità
parasimpatica rende la situazione fobica perfino più minacciosa
poiché la risposta comportamentale interferisce ulteriormente
con la libertà di azione. In molti casi tuttavia, l’impulso di
fuggire è così forte da vincere questa sensazione di debolezza.
La mobilità ha un significato che va al di là del fornire un
meccanismo per la fuga e un antidoto alla debolezza.
L’agorafobico attribuisce un valore alla mobilità in se
stessa: la libertà, l’autodeterminazione, l’individualità.
Qualunque limitazione da parte di oggetti animati o inanimati lo
fa sentire in trappola, immobilizzato. Questi individui a volte
presentano fantasie di completa libertà, per esempio volare in
aria. Alcune donne agorafobiche, riportano fantasie
“involontarie” di flagranti scappatelle sessuali. ossiamo
ipotizzare che la paura di perdere il controllo, così prevalente
nei soggetti agorafobici, è dovuta, in parte, al riconoscimento
di un impulso a rompere le regole di comportamenti convenzionali:
urlare, agire in modo folle, commettere atti distruttivi. Il
conflitto dell’agorafobico, quindi, sembra ruotare intorno a
problemi di dipendenza, autonomia e controllo. Da una parte,
poiché crede di non poter fronteggiare i pericoli del mondo
esterno da solo, è spinto a ottenere aiuto da una “figura
protettiva”. Dall’altra parte, cercare aiuto può condurre a
cedere la propria indipendenza a un'altra persona. Avendo
“bisogno” di un’altra persona, ha una minor pretesa di
libertà, di esercizio dell’individualità e di affermazione
dei propri diritti. Gli agorafobici, con una certa frequenza,
sono presi in una complessa interazione coniugale. Desiderano
ricevere appoggio dal coniuge ed essere liberi e autonomi. Una
tale relazione coniugale vischiosa (simbiosi) tende ad avere
diversi effetti. Primo, l’espressione di autonomia è inibita
per via del timore della separazione che potrebbe minacciare la
possibilità del soggetto di avere accanto il coniuge a cui
richiedere l’aiuto necessario. Inoltre, il coniuge può usare
la propria posizione di figura protettrice per dominare il
compagno agorafobico, per promuovere i propri obiettivi e per
umiliarlo. Il risultato di queste relazioni non paritarie è di
ridurre la fiducia in sé e renderlo sempre più dipendente. In
secondo luogo, le strategie di sottomissione del soggetto non
solo lo fanno sentire meno efficace ma gli stimolano una
sensazione di sfida impotente. Egli è preso quindi in un
conflitto tra il desiderare di compiacere la figura protettrice e
di ribellarsi. osa
fare. Certo l’ansia si può curare, ma è molto meglio
prevenirla e cioè adoperarsi affinché essa tanto utile
all’uomo, non abbia a trasformarsi in forma patologica che,
come è stato più volte sottolineato, è invece motivo di
comportamenti anormali e di grande sofferenza (… agorafobia).
Quando la prevenzione non è possibile e l’ansia ha raggiunto
valori incontrollabili, per combatterla, possiamo ricorrere alla
psicoterapia e al rilassamento. Le strategie terapeutiche,
offerte dalle psicoterapie più accreditate, spaziano da quella
cognitiva - comportamentale a quella psicoanalitica. Nel
trattamento di questo disagio, risulta utile, proprio per le sue
manifestazioni specifiche che coinvolgono mente e corpo,
applicare programmi terapeutici che combinano insieme varie
metodiche terapeutiche ad indirizzo psicosomatico (il corpo e la
psiche sono un tutt’uno indivisibile. Se lo stato d’animo è
alto, aumenta la sicurezza e la fiducia in se stessi, ma anche
fisicamente ci si sente meglio. La cattiva salute, la sofferenza
biologica può avere ripercussioni anche gravi sull’equilibrio
emotivo). L’aspetto fondamentale del programma terapeutico è
che non ci si deve assolutamente concentrare solo su un unico
tratto agorafobico: l’esperienza fobica e le sue manifestazioni
secondarie (depressione, ansia, etilismo, iperventilazione)
devono essere prese in esame contemporaneamente e non
separatamente. Ogni psicoterapia, a prescindere dall’indirizzo
scientifico, raggiunge gli scopi prefissati quando il soggetto ha
raggiunto un buon livello di autostima in modo tale da essere in
grado di modificare il proprio immaginario, gli schemi mentali, i
pensieri e, di conseguenza, i propri stili di vita. empi brevi e risultati più evidenti si ottengono con metodiche ad indirizzo psicosomatico che oltre ad avere una concezione olistica del disturbo, si basa sulla riformulazione della propria visione del “mondo” e sul raggiungimento di atteggiamenti meno rigidi e, quindi, più adattivi. In questa visione l’ansia è considerata come il risultato di precedenti esperienze (espresse anche con il linguaggio corporeo) particolarmente negative che hanno portato a convinzioni “irreali” su di sé, sugli altri e nei rapporti interpersonali. Tali convincimenti saranno ristrutturati in maniera più realistica durante il percorso psicoterapico. Il più delle volte, momenti di stasi o ricadute, generalmente temporanei, sono parte integrante del processo terapeutico globale di miglioramento. In realtà, queste ricadute potrebbero indicare al soggetto che, proprio per porre fine il più velocemente possibile a questa sofferenza e uscire da questo disagio devastante, sta pretendendo troppo da se stesso: risulta indispensabile, quindi, procedere in maniera più riflessiva e con più calma (non bisogna mai mettere in “cantiere”, soprattutto con le fobie, troppe cose contemporaneamente). Poiché l’ansia è sempre accompagnata da un’elevata tensione muscolare, ne consegue che essa può essere eliminata se si raggiunge un buon rilassamento. Mentre le psicoterapie cercano di risolvere il problema dell’ansia puntando sui suoi aspetti emotivi, le tecniche di rilassamento sono invece incentrate sulla componente fisica dell’ansia (ovvero l’angoscia: ansia somatizzata). Le principali tecniche distensive sono particolarmente utili ed efficaci in questa affezione, in quanto sono realizzate seguendo varie forme di rilassamento progressivo dei distretti corporei e poi del sistema vascolare. La tecnica di visualizzazione consiste nel suggerire al soggetto a immaginare situazioni visive. Ottenuto il massimo rilassamento, l’individuo viene guidato ad immaginare uno scenario proposto su cui sviluppare temi e situazioni in base al suo vissuto e alla sua personalità. ossono venire utilizzati temi rilassanti e distensivi, situazioni conflittuali da cui si riesce ad uscire in modo costruttivo e positivo, problematiche personali che vengono tranquillamente risolte. I programmi terapeutici che vantano “maggior successo” combinano assieme metodiche psicoterapiche, distensive e tecniche respiratorie: abbassano e mantengono bassi i livelli d’ansia evitando, quindi, un ulteriore squilibrio chimico all’interno dell’organismo. Si può ottenere un buon controllo dell’ansia anche mediante la regolazione del ritmo respiratorio. Infatti, respirare in eccesso significa modificare questa funzione naturale in modo rapido o superficiale, con il conseguente abbassamento dei livelli di anidride carbonica nel sangue. Questo induce un senso di vertigine, svenimento, stordimento, formicolio alle mani, piedi e viso, spasmi a mani e piedi, tensione a livello del torace. Tale fenomeno, infatti, produce una reazione a catena di eventi fisiologici che alterano tutte le funzioni dell’organismo; inoltre, col respiro superficiale si utilizza solo una piccola parte della capacità polmonare (sintomi: difficoltà di parola, esperienza di stordimento, palpitazioni fame d’aria, gola secca). L’iperventilazione può essere determinata da qualunque cosa possa impedire l’espansione del torace, postura non corretta, contrazione e tensioni muscolari, naso chiuso, asma, tosse secca, ansia. Gli effetti dell’iperventilazione (iperventilazione: eccesso di respirazione rispetto al fabbisogno dell’organismo) sono, con l’allenamento e con l’aiuto di un esperto, di gran lunga facili da ridurre, imparando a respirare lentamente e profondamente. Ogniqualvolta si presentano sintomi inspiegabili, dovrebbe essere presa in considerazione l’eventualità di un eccesso di respirazione cronica. Usando le tecniche di gestione acquisite, inoltre, si sarà in grado di prevenire il ritorno del disturbo agorafobico. … le paure segnalano, avvisano l’inizio di un percorso non proprio vantaggioso: fanno cadere i luoghi comuni e le maschere… una reazione fisiologica che segnala la presenza di un pericolo anche quando non è per niente drammatico. |
Gli ostacoli EMOTIVI … come superarli
… i pensieri fissi invalidanti, sì è vero, possono essere stimolati o influenzati da relazioni sbagliate, da un lavoro non gradito, da litigi interminabili, da rapporti conflittuali e complicati (fattori scatenanti del momento): si nutrono comunque, sempre, di emozioni MAL vissute; ma la vera palude mentale, i veri pesi mentali, il vero problema di questa “prigione”, del “tunnel” infinito, del “girare a vuoto”, dei “chiodi fissi” è il nostro modo di pensare, le nostre convinzioni, i nostri schemi mentali adottati che non ci permettono di ascoltare le nostre necessità, le nostre vere esigenze, cosa si vuole veramente … la nostra sofferenza parte da qui, dal nostra atteggiamento mentale, da un modo di “vedere” le cose fatto esclusivamente di rinunce, imposizioni, timori, confronti, abitudini, noia, paragoni, sottomissione, paure, apatia, rigidità … lasciandoti andare libererai la mente, così la testa troppo vigile e piena di pensieri costanti, finalmente, sarà più “leggera” e spontanea : penserai poco ma sentirai di più.
Disturbo d'ANSIA GENERALIZZATA (GAD)
Spazza via i brutti pensieri … è facile
Un’esistenza troppo abitudinaria e troppo spenta stimola le parti più profonde ad uscire e mettere tutto in discussione … una mente sconvolta e confusa da pensieri angoscianti che impediscono di conformarsi ad uno stile di vita troppo “razionale”, molto diverso da quello che sono i propri desideri più veri: una mente che vuole essere ascoltata … rigidità e autocontrollo limitano lo spirito di adattamento e rendono la vita immobile.
… un corpo che chiede più attenzione: una forma di narcisismo ed egocentrismo … non sono segnali di pericolo ma un corpo che chiama, vuole trasformarsi: chiede di vivere.
n
questo momento di crisi è facile incontrare persone che si
perdono nel labirinto delle lamentele e dell’inquietudine: le
azioni diventano faticose, confuse e poco efficaci. Rassegnate,
stanche e svogliate si fanno “catturare” dalla rabbia, dal
rancore e dai sentimenti negativi. Molti sono gli
argomenti e i timori reali che spesso - a ragione - oltre a
causare una montagna di stress, fanno arrabbiare, perdere
lucidità e concentrazione. Ad ogni conversazione, gli animi si
surriscaldano, ma poi, dopo il commiato, tutto passa, ogni cosa
si risolve: non resta alcuna traccia emotiva del dibattito. Ma
può anche accadere che la mente sotto la spinta di frustrazioni
molto forti reagisca cedendo a pensieri bizzarri e a gesti
“strani” che creano un senso di disagio, di tensione e di
disperazione … i piccoli o grandi rancori
si fanno sentire generando un flusso d’ansia continuo. Capita
a tutti di assistere al fallimento di un proprio progetto
particolarmente desiderato e inseguito da tempo. E’ vero, si
resta molto male ma prima o poi si riparte con forze inaspettate.
Per alcune persone, invece, quel senso di fallimento non giunge
dopo una situazione negativa, ma è presente da molto tempo
prima. Un ciarpame mentale di nessun valore pratico e pensieri
inutili dominavano già la loro vita: “Non
valgo niente, Sono un fallito, Nessuno mi considera, Non so mai
impormi, Sono timido, Faccio sempre gli stessi errori, Non so
resistere alle tentazioni, Sono un incapace, Sono troppo fragile,
Non ci riuscirò mai, Tutti mi fregano, Sono preda della
sfortuna, Non combino mai niente di buono, Ormai è tardi per
cambiare, Non sono all’altezza, Attiro sempre persone
sbagliate…”. no stato emotivo forte che rimanendo perennemente sullo sfondo esistenziale lacera, butta giù e sminuisce completamente ogni cosa perché mette in primo piano solo fallimenti, sconfitte, insuccessi o incapacità. Opinioni ostinate che infondono nervosismo, impongono ruoli e comportamenti “innaturali”, il più delle volte per raggiungere mete che in fondo in fondo non interessano nemmeno, ma cui si aspira per fare bella figura con gli altri. Non è la mole di lavoro che crea un senso di vuoto e di stanchezza, ma il fatto che non si è in contatto diretto con se stessi, si è assenti completamente in ogni attività, sembra sempre che sia di qualcun altro … ecco perché non ci si appassiona nel fare le cose! Una convinzione profonda che ogni cosa non debba andare per il verso giusto, di essere sempre nel luogo e nel momento sbagliato, che la vita sia una valle di lacrime, triste e grigia, di non aver nessun valore, di non essere all’altezza dei vari compiti e di non meritare apprezzamenti … di sentirsi sempre sospesi, incompleti e senza pace. rrivano
così, all’improvviso, pensieri terribili e bui che spaventano,
e in quel preciso momento tutto si spegne: la vita diventa
faticosa e non piace più, l’unica speranza - ogni sera prima
di coricarsi - è che arrivi il “sonno” definitivo. Immersi
in un’atmosfera mentale piena di desideri inappagati,
aspettative deluse e doveri imposti, prosciughiamo completamente
tutta l’energia per gestire questo malessere invisibile e
invadente: girando a vuoto si diventa
ipersensibili, irritabili e insofferenti al punto che tutto
infastidisce. Il confronto con gli altri è costante e una
profonda sfiducia nelle capacità operative relega il
personaggio, ancor prima di entrare in scena, in una posizione di
perdente. Cambiare è davvero difficile se si pretende di partire
da “fuori” (la soluzione non viene mai dall’esterno ma dal
modo con cui si guardano le cose): “starò
bene solo quando diventerò più sicuro di me, quando guadagnerò
più soldi, comprerò l’auto nuova, la casa o il vestito nuovo,
quando il partner cambierà, quando avrò un taglio di capelli
all’ultimo grido, quando incontrerò la persona giusta, quando
avrò sistemato il matrimonio, quando, e ancora quando… MA
QUANDO”. Se ci si fissa per troppo tempo su obiettivi e
desideri che non si realizzano mai (fuori tempo, non reali perché
passati o ancora da venire), si manda completamente in tilt la
“centralina”: il cervello. Ripetendo
sempre le stesse esperienze, le stesse situazioni e i soliti
percorsi obbligati, tutto lo spazio mentale si ingombra. a mente per non impaludarsi deve scorrere e fluire liberamente, altrimenti è costretta a cercare spiegazioni nel passato e nel futuro … tiene in vita, con il suo cicaleccio, gli stessi problemi. Dominati dall’indecisione e dalla sensazione che non cambi mai niente, si creano le fondamenta della disistima e dell’infelicità (paura del fallimento, insicurezza, delusione, inadeguatezza; tensione muscolare cronica, soprattutto cervicale, tensione psichica alternata a crolli di stanchezza e cali di umore) … una percezione distorta che conduce direttamente allo sfinimento, all’astenia e alla depressione. La tendenza a ruminare pensieri immette direttamente su un percorso parallelo in cui non c’è spazio per la realtà, l’azione e la sorpresa (incontro) … uno scenario sempre uguale che solo a tratti si anima (piccoli bagliori di felicità). Molto spesso ci si ritrova spompati, stanchi e privi di risorse, senza nemmeno sapere il perché … l’atmosfera mentale in cui si è calati, a lungo andare, influisce sulla chimica del cervello e, quindi, sulle condizioni fisiche. Quando si è ripetitivi e rigidi lo sguardo si riduce, e con esso il campo d’azione: gli orizzonti sfumano, le opportunità svaniscono e le soluzioni si restringono. oncentrarsi invece sulle proprie sensazioni, essere presenti a se stessi, senza farsi fagocitare di continuo dai “chiodi fissi”, dal passato e dal futuro, si fa pulizia e si spazza via le ragnatele dalla mente. Non essendo più vincolati alle aspettative, non solo diminuisce la fatica e aumenta l’energia, ma si esce dalla crisi, si fa spazio alla lucidità e il senso di vitalità non tarderà ad arrivare. Cambiare visione, vedere in più direzioni - osservare se stessi senza giudizi e commenti - aiuta il cambiamento interiore e ad essere più aperti a possibilità sconosciute: spinge a progredire, a ricercare, a essere svegli e ricettivi… si sottrae la mente all’appiattimento e alla routine. La soluzione per superare i “brutti pensieri” consiste nel guardarsi dentro senza barare né fingere: solo così l’energia sprecata per gestire i troppi pensieri inutili sarà disponibile per il cervello che torna nuovo … con le mosse giuste è davvero possibile rompere l’incantesimo. … una mente che vuole incasellare tutto … i pensieri insistenti - ridondanti, sempre uguali e stancanti - che dimorano dentro ogni persona, oltre ad influenzare lo “spazio” interno (stati emotivi, sensazioni), possono accendere o spegnere completamente creatività e vitalità … una mente bloccata da “tarli” mentali (confronti, ripetitività, modi di dire, rigidità, luoghi comuni, vittimismo), oltre ad usare male le proprie risorse energetiche, gira a vuoto e ostacola la creatività: smettendo di rimuginare si sblocca la mente e la vitalità.
ICORDA,
il massaggio psicosomatico non solo stimola e cura il corpo ma
porta anche numerosi benefici alla mente: allontana ansia,
depressione e stress, rinforza la circolazione sanguigna, aiuta
le funzioni intestinali, fa diventare più armoniosi nei
movimenti, migliora la cute, calma la tensione muscolare … e
con gli oli essenziali giusti è davvero un tocco di salute:
Lavanda (analgesico, antinfiammatorio, antidepressivo,
antispasmodico, cicatrizzante, antisettico, antireumatico),
Gelsomino (rilassante, antidepressivo, antisettico, sedativo,
utile per l’eros), Rosmarino (antispastico, analgesico,
antinfiammatorio), Sandalo (tonico, stimolante, decongestionante
venoso e linfatico, decongestionante), Salvia (antisettico,
tonico: disturbi del sistema neurovegetativo). |
La salute Mentale
… i disagi emotivi nell’adulto sono scenari tragici che rispecchiano misteriosamente situazioni e condizioni infantili di impotenza.
Alcune DOMANDE …
Come sapere con certezza se esiste un problema
Quali sono le cause di un problema
Come affrontare il senso di amarezza
Perché iniziare un trattamento adesso
E’ colpa mia
Che cosa fare per stare meglio
Come può contribuire la terapia rinsaldare i rapporti.
• Da diverse settimane sembra triste, depressa o di cattivo umore. • Pare che stia perdendo le energie e si sente sempre stanca. • Non sembra trarre alcuna soddisfazione da attività piacevoli. • Lamenta problemi di sonno. • Pensa con insistenza alla morte o parla di suicidio. • Manifesta forti oscillazioni dell’umore. • Sembra tesa, nervosa o irrequieta. • Appare confusa o ha problemi di concentrazione o di pensiero. • Prova improvvise sensazioni di panico o di terrore. • E’ diventata estremamente sospettosa o timorosa degli altri. • Fa fatica ad andare d’accordo con gli altri in casa o al lavoro. • Beve più del solito. • Usa sostanze illegali. Non si è ripresa da una crisi che risale a parecchi mesi addietro. • Sembra incapace di controllare o di fermare comportamenti autodistruttivi, come il gioco d’azzardo. • Ha perso interesse per il sesso o non ha più le stesse prestazioni. • Si lamenta di sintomi fisici preoccupanti senza che ci sia una causa medica precisa. • Accenna a idee bizzarre e grandiose. • E’ diventata minacciosa, aggressiva o violenta.
Concludendo …
Incoraggiare la volontà di star bene.
Cercare delle informazioni.
Vivere la propria vita.
Imparare a riconoscere i segnali d’allarme.
Non aspettarsi troppo da se stessi.
Non darsi inutilmente la colpa.
Parlare della situazione.
Non scoraggiarsi troppo presto.
Le strategie.
Una corretta alimentazione.
Le tecniche di rilassamento.
Terapie psicologiche e biologiche.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.