mercoledì 29 giugno 2022

DISTURBI D'ANSIA.

 


DISTURBI   D'ANSIA.

' una reazione istintiva nei confronti delle cose ”diverse” dal solito, degli imprevisti e delle novità, se diventa insopportabile,  significa che la situazione - per il nostro modo di pensare - è davvero terribile ... si teme, non è ben chiara e gestibile; spesso blocca la gola, rendendo incapaci di chiedere anche le cose che spettano di diritto; significa essere tesi verso qualcosa: annuncia un pericolo che spesso non c’è; è una continua attesa che - mescolata al timore costante dell’imprevisto - paralizza l’organismo e limita completamente le proprie potenzialità. Lo stato ansiogeno sollecita l’organismo a produrre le sue risorse biochimiche per far fronte all’evento ipotizzato; il tutto diventa eccessivo, negativo quando si manifesta indipendentemente dagli eventi; fenomeno carico di nervosismo diffuso, apprensione eccessiva verso se stessi e le persone care; a lungo andare crea insonnia, facilità al pianto, fobie, palpitazioni, vertigini, nausea, sudorazione, tremori, debolezza, aumento del battito cardiaco, tremori, gola chiusa e difficoltà di respiro. Il corpo ne paga le spese, il conto sempre più salato: tachicardia, colite, gastrite … l’energia bloccata ci si rivolta contro con ansia e malattie … non solo rovina l’umore e le giornate ma si rifà anche sul corpo: pelle, testa, intestino, ossa.


i tratta di una sensazione di apprensione, tensione e inquietudine per un ipotetico pericolo imminente; uno stato di allarme, una continua attesa, invalidante e fastidiosa, di un qualcosa che spesso non accadrà mai. Uno stato emotivo che esprime un malessere diffuso e invalidante derivante dall'anticipazione di una minaccia incombente: un vissuto sempre soggettivo e personale. E' invece una normale reazione quando si ha che fare con pericoli o minacce reali. L'ansia patologica invece esprime paure inconsistenti, uno stato emotivo spiacevole che causa insicurezza, sofferenza diffusa, stato di impotenza, angoscia e timore per il futuro … in breve, un pericolo imminente e catastrofico. L'ansia, quella "brutta" e "cattiva", ha sempre come suo primo bersaglio l'apparato mentale ed è questo che la rende davvero perniciosa. La mente di fronte al "tiranno" ansia rotola nei dubbi e nelle incertezze, perde la sua sicurezza, lucidità e determinazione: annulla completamente libertà ed autonomia. L’ansia è una condizione interiore di allarme, tensione, incertezza, irrequietezza, paura che si può esprimere attraverso il panico, tachicardia e tremore diffuso. E’ uno stato emotivo caratterizzato dal timore, reale o immaginario, per un evento futuro, interpretato come spiacevole o pericoloso: timore che qualcosa di inquietante o di avverso stia per accadere. Di solito il soggetto esibisce un’espressione timida e rinunciataria, un atteggiamento completamente privo di speranza, una gestualità, a dir poco, goffa e impacciata. Improvvisamente è preso da inquietudine, si trova in balia di una mente confusa e sotto la tirannia dell’insonnia. Assale a tradimento e si agita all’interno del corpo e della mente. Un eccitazione esagerata in cui l’individuo si adatta più lentamente agli eventi della vita. Si diventa particolarmente introversi e sempre orientati a prefigurare il peggio: tutto diventa impossibile, negativo e catastrofico.


el quadro clinico ansiogeno troviamo la compresenza di sintomi psichici e fisici. E’ uno stato d’animo connaturale, molto comune e familiare alla maggior parte degli esseri umani. Può presentarsi con intensità diverse, da un momentaneo lieve disagio ad una paura intensa di minaccia incombente. Spesso tutto ciò produce molto disagio, degenera in un meccanismo incontrollabile, porta confusione ai pensieri e può trasformarsi in una angusta prigione emotiva. Può essere, a seconda delle situazioni, stimolante o paralizzante, può modificare le difese attive o invece segnalare il sorgere di un profondo disordine psichico. L’ansia, quella "normale", è considerata una reazione dell’organismo che si prepara a fronteggiare, attraverso una produzione adeguata di ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali - sostanze chimiche presenti nel sistema nervoso come adrenalina e cortisolo - un problema o un pericolo: un evento reale. Quella patologica, invece, è uno stato di tensione che perdura nel tempo anche quando la situazione problematica non è più presente: ha un effetto limitante sulle capacità intellettive e comportamentali. In questa situazione specifica l’unica cosa che si desidera è sfuggire al pericolo che incombe. A volte inizia in modo graduale con un po' di tensione, strano nervosismo, eccessiva preoccupazione per se stessi e gli altri, improvvisi e ingiustificati pianti: si è in balia al senso di impotenza e di agitazione diffusa


a classificazione del malessere ansiogeno viene effettuato attraverso la natura dei sintomi e, soprattutto, la presenza o meno di una causa scatenante. Nella diagnosi risulta fondamentale distinguere l’attacco d’ansia improvviso e devastante - attacco di panico - dall’ansia scaturita da uno specifico oggetto o da una precisa situazione (fobia), dallo stato d’ansia intenso, diffuso e continuativo (ansia generalizzata). Un segnale inequivocabile dell’ansia è il famoso “nodo alla gola”. Questo sintomo si manifesta attraverso la raccapricciante sensazione fisica di soffocamento (contrazione, secchezza, difficoltà di deglutizione). C’è sempre comunque una innegabile stretta relazione tra stato d’animo e condizione fisiologica: patologie dell’apparato gastroenterico, dell’apparato respiratorio e dell’apparato cardiocircolatorio. I valori pressori, la funzione respiratoria, il battito cardiaco, la temperatura della pelle sono tutti fenomeni influenzati dallo stato mentale. I sintomi fisici più evidenti quando il soggetto è preso da un attacco d’ansia sono: palpitazioni, dolore pulsante o trafittivo, sensazione di costrizione e difficoltà di respirare, spasmi ai muscoli del collo, mal di schiena, sudorazione, stordimento, gonfiori, nausea. Se ci si concentra un attimo su alcune esperienze della vita si scopre che non sono poi rari questi segnali fisiologici correlati con il nervosismo, come ad esempio i crampi allo stomaco prima di una prova importante oppure di un incontro galante (bruciore di stomaco, scariche diarroiche).


osa fare. Tale disagio - proprio perché compromette la qualità della vita e può evolvere verso quadri clinici più seri - non deve mai essere affrontato alla leggera. Se il disturbo non viene riconosciuto in tempo, valutata la sua gravità con tempestività e trattato correttamente può protrarsi in maniera invalidante per lunghi periodi, acutizzandosi poi nei momenti in cui l’individuo è sottoposto a maggiore stress: il soggetto diserta il lavoro, annulla completamente ogni attività sociale e si isola dagli altri. Chiudersi in se stessi è il pericolo maggiore per chi soffre di ansia. Le persone affette da sintomi connessi alla condizione ansiogena o da un vero e proprio disturbo d’ansia traggono notevole beneficio da tutte quelle metodiche terapeutiche che aiutano a rilassarsi, in modo tale da scaricare tutte quelle sostanze chimiche accumulate in tale esperienza – e, nel contempo, sono portate ad esprimere le proprie sensazioni ed imparano tecniche pratiche con cui reagire a questa condizione, spesso, debilitante. Attraverso tali metodiche terapeutiche si liberano dal peso di questo continuo e pressante malessere. La spiegazione dei meccanismi fisiologici coinvolti nella manifestazione ansiogena è sempre fondamentale, non solo a livello di rassicurazione, per eliminare quelle “convinzioni” che causano apprensione, preoccupazione, allarmismo inutile e controproducente, ma anche nella gestione della sintomatologia in atto. E’ possibile, infatti, con le opportune informazioni imparare ad alleviare e controllare i sintomi che creano questa profonda sofferenza esistenziale che schiaccia la mente, agita e tortura il corpo. Il corpo, innalzando il livello di adrenalina, di fronte a questa intermittente tensione si ribella con: aritmie, problemi all'apparato digerente e soprattutto, cattivo rapporto con il cibo: indigestioni, meteorismo. diarrea, stipsi, problemi urinari, variazione del livello glicemico nel sangue, irritabilità, iperattività. confusione mentale, tratti depressivi con facilità al pianto. Nei disturbi d'ansia sono collocati tutti quei malesseri emotivi cui l'aspetto ansiogeno costituisce l'aspetto predominante: fobie, attacchi di panico, disturbo ossessivo - compulsivo (vedasi descrizione Disturbi della Personalità ossessiva - compulsiva), disturbo post - traumatico da stress, disturbo d'ansia generalizzato.

ansia “patologica”, quindi, occupando completamente la mente, rende, stanchi, esasperati, apprensivi, lenti, impacciati, inefficaci e completamente fermi; è un’armatura mentale che manda al tappeto, fa rimanere al palo nel tentativo di gestire o sconfiggere ipotetici pericoli futuri, se si allenta la presa si teme possa accadere qualcosa ancora di più terribile!!!

APEVATE che la vitamina B1 è utile per il sistema nervoso (depressione, nervosismo, la vitamina B3 per i disturbi nervosi (paura, preoccupazione, stanchezza, irritabilità), la vitamina B5, il Magnesio è utile nei casi di stanchezza e stress psicofisico, mentre la vitamina Acido Folico (B9) è utile per gi stati d'ansia, irritabilità, aggressività, depressione, l'Inositolo invece nei segnali nervosi, il Calcio nella regolazione degli impulsi nervosi, lo Zinco per disturbi psicologici importanti, il Manganese nei casi di Schizofrenia, omega 6 (EPO) nei disturbi del comportamento, Cromo utile nell'intensa attività psicofisica.

Anche i “PENSIERI terribili” hanno i loro idoli.


uando si presentano alla “porta” all’improvviso, senza bussare, fanno davvero paura. Diventano, di colpo, una presenza ingombrante, impoveriscono la vita fino a diventare i padroni assoluti: un peso fuori controllo che ingabbia e schiaccia l’intero psicosoma. Labirinti e tunnel di pensieri che, immancabilmente, avvelenano ogni istante della giornata; una tempesta emotiva che si scatena senza una vera ragione, nessun motivo apparente, lasciando dietro di sé una scia, a dir poco, terrificante. Nella testa, inaspettatamente, ronza qualcosa che non si è in grado di controllare e gestire: un chiodo fisso che distoglie la mente da tutto il resto … importante o meno importante che sia non guarda in faccia a nessuno. Si tratta dei cosiddetti “brutti pensieri” che, improvvisamente, si impossessano della mente fino a trasformare l’esistenza in una bolgia dantesca: un vero inferno. Un dialogo monotono interiore fatto di pensieri pessimistici e catastrofici: il famoso bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Uno stato d’ansia, quindi, di cui non si afferra la vera causa, ma disorienta e fa guardare i propri familiari con sospetto, come perfetti estranei; una sottile depressione che fa affrontare la giornata come una condanna ai lavori forzati. Ecco, quello che sappiamo fare molto bene e in esubero, trasformare un circoscritto sentimento di inadeguatezza, o un piccolo momento di difficoltà in una sconfitta di proporzioni infinite: siamo davvero dei grandi campioni!!! Molti sono in imbarazzo esprimere tale stato, mostrarsi con questo disagio, con un bel sorriso stampato, non essere più allegri e vispi “come una volta”, incapaci di stare in compagnia, a volte, per certi versi, completamente inefficienti e quasi “inutili”. Si vergognano di loro stessi. E’ questa la cosa più assurda. Invece di occuparsi di loro stessi, di ciò che fa soffrire e disorienta, di ciò che si realizza e fa star bene, si preoccupano, prima di tutto, di essere presentabili. Ci si sente in colpa per il dolore, magari non si dorme più la notte da mesi. Invece di chiedersi cosa vuol segnalare questo vespaio, questa mente ridondante, questo tormento invadente, questa veglia repentina, quali energie stanno chiedendo di essere ascoltate, si è presi dall’ira, dall’angoscia e dai pensieri che non danno tregua. La sofferenza, il dolore, i pensieri non sono – se ben interpretati - mai il problema, ma la soluzione. 



e si ascoltassero questi segnali, come più volte evidenziato in questo breve “Vademecum”, ci si renderebbe subito conto che i problemi sono sempre il prodotto dell’individuo “che si mette di traverso” alla vita che altro non desidera che scorrere, fluire liberamente, magari raggiungere solamente ciò che gli spetta di diritto: la sua naturale destinazione. Tale malessere viene ad avvertire, a segnalare che qualcosa non va, per rimuovere gli ostacoli e riconsegnare la vita. Quando ci si allontana dalla felicità, quando ci si sforza, ci si costringe a rimanere dentro schemi mentali tormentati, la vita non ci sta più a questo intenso logorio e a modo suo, con il proprio linguaggio, con grande sofferenza grida la sua disperazione. Ci si sforza di essere buoni e la mente si riempie di pensieri inconfessabili. I gesti, le parole e i pensieri assumono caratteri di coercizione ed estraneità, come se fossero imposti da una forza incontrollabile; una sorta di rito individuale finalizzato a contenere l’ansia. Di fronte a questo fenomeno bizzarro molti sono gli interrogativi: “Ma perché proprio a me? Possibile che sia stato io a pensare una cosa del genere … questi pensieri sconvenienti, autolesionisti indicibili sono davvero il frutto del mio pensiero?. Domande che spesso rimangono in quel piccolo angolino buio, in sospeso, non trovano la risposta giusta e tanto meno nessuna soluzione. Non ci sono ragioni evidenti ma, semplicemente, emergono condizionamenti affettivi, riaffiorano vecchie fragilità irrisolte, stili di vita, modi di pensare, schemi mentali e modelli culturali indigesti, da tempo assopiti che, come per magia, si risvegliano di colpo: una mente insoddisfatta che fa resistenza ai cambiamenti. Un programma davvero interessante… una testa piena di premi e punizioni, doveri e piaceri, cose buone e cose cattive, giuste o sbagliate: una vita da animali da circo ben addestrati. Questo fenomeno si verifica quando ci si ostina a imporre tali programmi su quelli della ”natura” o si cerca di realizzare le aspettative anziché i propri bisogni reali.

cco allora che i pensieri tengono la mente in scacco, al buio, formano una sorta di scudo che scherma il cervello dagli influssi benefici del vivere quotidiano e lo tiene “in ombra” impedendogli di assorbire e di secernere le sostanze del benessere (serotonina, neurotrasmettitore che influisce sul buonumore e regola sonno e appetito; la melatonina, prodotta di notte, presiede il ciclo sonno-veglia; i ferormoni sono i responsabili chimici dell’attrazione sessuale; noradrenalina e dopamina sono, invece, neurotrasmettitori che aumentano l’impulsività e creatività). Molti sono comunque gli ospiti della mente che, improvvisamente, senza ragione apparente assumono il controllo diventando veri e propri dittatori. Così una mente bloccata dai “pensieri ricorrenti”, oltre a succhiare a sbafo e consumare tutta l’energia vitale in un circolo senza fine, apre la strada a vari disturbi. I “brutti pensieri” si trasformano in malattia organica: usano gli organi per farsi sentire. Se la salute diventa il pensiero dominante le difese immunitarie, attivate prima che il “nemico” abbia fatto la sua comparsa, nello stato di bisogno reale - quando dovrebbero veramente difenderci - perdono forza, si arrendono. Il tormento della gelosia, invece, fenomeno tipico di un eccessivo timore di tradimento, abbandono e bisogno di essere “toccati”, si esprimerà attraverso fastidiosi e misteriosi disturbi epidermici. Anche l’apparato respiratorio, modificato dai continui “Dove sarà? Cosa mai starà facendo? Con chi è?, con l’intento di “trattenere” l’altro, si farà sentire con improvvise crisi asmatiche. Quando si è poi dominati da una condizione di costante preoccupazione, la tensione scende inesorabilmente nei muscoli e nelle articolazioni. Ci si irrigidisce completamente in una postura di continua attesa. I dolori alla schiena e alle varie articolazioni sono i segnali corporei di una condizione di vita perennemente “sospesa”. Anche lo specchio, attraverso la sindrome del “brutto anatroccolo”, coagula l’attenzione e tutta l’energia possibile. Ci si concentra su un unico tratto vissuto come sgradito: fianchi, cosce, naso, denti, altezza, abbigliamento. Bisogna prevenire urgentemente il deterioramento estetico: bisogna essere inappuntabili … fino a che punto tutto “batte in testa”. Così il mal di testa racconta di una mente preoccupata di tenere tutto sotto controllo.



osa fare. In queste circostanze non serve l’uso della forza: più si cerca di allontanare tale fenomeno più invece si allarga. Tutta l’energia che non si riesce ad esprimere e che scava dentro bisogna sbloccarla, svilupparla e trasformarla. Ricorda, uscire da questa confusione, con le mosse giuste è possibile. Con l’aiuto di uno specialista si attueranno metodiche terapeutiche che aiuteranno ad uscire dalla spirale di questi “idoli” che, purtroppo, non conoscendo le regole della resa, continueranno a combattere, non arretreranno mai. Ricorda, una visione diversa verso se stessi evita al corpo di farsi carico di tutte quelle cose che non vanno o che, con un grande sforzo di volontà, si vuole dare intendere agli altri, costi quel che costi, di essere nella “norma”; la somatizzazione, quindi, arriva per segnalare che in quel personaggio finto, partorito da una mente fissa, noiosa, insulsa, rigida e sempre uguale non c’è felicità, che dietro quella maschera non si è poi a proprio agio, non si vive bene, non si è contenti, che bisogna CAMBIARE qualcosa: chiede di dare una svolta alla propria esistenza, si è saturi dell’attuale stile di vita … non GUARDIAMO dalla parte opposta, cambia invece lo sguardo sui tuoi vissuti senza troppo GIUDICARLI però!

ATTENZIONE  PERICOLO


’ansia, in qualunque forma si presenti, sconvolge, devasta e compromette la qualità della vita degli individui che ne sono affetti. Non fa distinzioni, colpisce tutti indistintamente: bambini, anziani, operai, casalinghe, nullatenenti, studenti, professionisti, bravi, buoni e cattivi. Fa vivere nella dolorosa attesa che da un momento all’altro possa capitare cose ingestibili, catastrofiche, avverarsi situazioni impossibili, impensabili … personaggi proiettati nel passato o nel futuro che non si godono mai il tempo presente. Quando si presenta “leggera” è un ottimo stimolo per essere attivi, dinamici e fare molte cose con un certo grado di soddisfazione: affrontare esami, e lavoro, creare rapporti nuovi e attività sociali. Se questa condizione emotiva - a volte alleata a volte avversaria - non viene riconosciuta e “controllata” - forse più sottovalutata perché, seppur mascherata, è impossibile non riconoscerla - può, anche dopo molti anni, esplodere in maniera davvero devastante nei momenti di maggiore difficoltà e di intenso stress. Può minare, se non curata in maniera adeguata, la stabilità emotiva e i rapporti interpersonali, creare problemi coniugali, relazionali e professionali … una visione davvero catastrofica della vita. Non preoccupiamoci, comunque, perché l’ansia si può curare, ma è molto meglio prevenirla, attivando le metodiche terapeutiche psicosomatiche specifiche, il più presto possibile, con un professionista della mente. Con l’intervento giusto, il cuore impietrito dall’ansia, si libera, si lascia andare, si calma e trova la sua serenità, si schiude: finalmente si apre al sorriso della vita. L’ansia si esprime attraverso eccessiva preoccupazione, insonnia, agitazione, irritabilità, indisponibilità e sospettosità, difficoltà di concentrazione o vuoti di memoria, distorce il pensiero, attiva in maniera persistente dubbi ed incertezze, esagera davvero ogni cosa: il timore di non farcela, di non arrivare, di non riuscire ad esprimersi non ci fanno vivere bene nemmeno un attimo; paura di non essere all’altezza e di sbagliare sempre ogni cosa è all'ordine del giorno: DISISTIMA pura


 un fenomeno che paralizza, stanca, imbarazza, disorienta, condiziona, mette in allarme, crea scontentezza, confusione e insicurezza nel gestire il proprio mondo affettivo e l’ambiente circostante: impedisce di reagire, di intervenire sui bisogni fondamentali della propria vita. Fa scegliere, il più delle volte, cose sgradite o sbagliate: i primi a farne la spesa sono i compagni di viaggio e il lavoro, quasi sempre non in sintonia con le proprie capacità e aspirazioni. I dati clinici, infatti, nella scelta del partner mettono in evidenza che chi ha questo tipo di disagio emotivo tende ad “accompagnarsi” con uno che più o meno ha le stesse problematiche psicologiche, proprio perché si sente più capito e meglio protetto nel suo disagio emotivo. Una solidarietà che non porta mai ad un legame felice, tanto meno assicura armonia, anche se dura un’intera vita, ma si trasforma in un calvario, in una vera e propria prigione, dipendenza dall’altro: una enorme stampella di vetro. Il soggetto non è più protagonista, la sua vita diventa ripetitiva, prevedibile, scontata, tutto viene limitato e ristretto; così, l’ansia, non ne può più e si fa sentire con trombe e tamburi (mente – corpo), dice finalmente BASTA! A volte questo rapporto patologico potrebbe dare l’illusione di gestire e placare l’ansia - semplicemente perché non si vive più, non si vede più la vita con i propri occhi lucidi e, soprattutto, essendo rimasti troppo tempo dietro le quinte, si è stati annullati completamente - ma sicuramente non rimuove le cause: non la guarisce, ostacola sempre, in ogni modo, la realizzazione di se stessi. Solo chi è libero dall’ansia può diventare libero, intraprendente, sicuro, fiducioso verso la vita e gli altri.

FERMARE  L'ANSIA … si può!


 volte inizia con pianti e tremori, paura di non farcela, sempre in balia dell’esterno, i pensieri bui che assillano non ci mollano un attimo: la soluzione è fermarli! Ma come? Ci si trova completamente disorientati. E' un’energia che arriva per smantellare la gabbia dei rapporti sbagliati, più si rinuncia alla spontaneità per assecondare e adeguarsi agli altri più la vita si spegne; viene mantenuta in piedi un’immagine finta che crea solo insicurezza e disistima, l’atteggiamento combattivo poi la protrae nel tempo: diventa cronica. I sintomi dell’ansia: sentirsi incompleti, senza pace, mai appagati, avere la certezza che la felicità sia impossibile, essere sempre col pensiero altrove mai nel tempo presente, girare a vuoto senza riuscire a costruire; una forza misteriosa e potente pronta a trasformarsi in creatività, un deciso e secco ultimatum che vuole smantellare subito schemi mentali inconciliabili con la vera natura, abbattere quelle abitudini che bloccano l’energia vitale.

iente è più familiare dell’ansia quotidiana. Tanti ne soffrono, tutti la temono, molti la negano. Una condizione che quando si fa intensa e minacciosa, oltre a disturbare l’armonia della vita, compromette tutte le capacità operative. E’ sempre accompagnata da un’atmosferavelenosa, una serie di malesseri sfumati, una sensazione di incertezza, di apprensione e di profonda inquietudine. Uno stato di equilibrio precario dovuto a una risposta esagerata verso situazioni interpretate come pericolose per il soggetto o per i propri cari. Un fenomeno del tutto immotivato rispetto alla reale pericolosità dell’evento che può essere soltanto immaginato o anticipato nella propria mente; può essere stimolante o paralizzante, può modificare le difese attive, oppure segnalare alla propria coscienza il sorgere di una profonda disarmonia emotiva. La dimensione ansiosa ostacola il potere decisionale, esprime uno stato emotivo di continua inquietudine di cui il soggetto, spesso, non riesce a collegarla ad una specifica causa. Si presenta con un modo di fare incerto, un’irrequietezza generale, un allarme prolungato, uno smarrimento di fronte a qualcosa che non si riesce ad “afferrare” o a gestire completamente: una snervante attesa ad un evento che, probabilmente, il più delle volte, non prenderà mai “forma”. L’ansioso - pieno di dubbi e contraddizioni - è in balia degli eventi, ingigantisce in maniera ingiustificata i rischi e gli ostacoli della vita; si sente costantemente minacciato, disorientato, inadeguato nel gestire ed affrontare gli impegni quotidiani. Un rimuginare incessante, un porsi continuamente delle domande oziose, un proiettarsi in un tempo inesistente (futuro, carico di ansia!): ecco i veri “amici” dell’ansia. Spesso però la sua funzione è quella di mettere in guardia, di riportare un nuovo equilibrio, raccontare un disagio con cui non si vuole entrare in contatto: un'esistenza che procede su un binario morto e va in una direzione estranea al soggetto. Così facendo si ritrova ben presto imprigionato, lontano da se stesso, da quel bel sentire che fa vivere, che fa cambiare di momento in momento, che fa sperimentare delle emozioni, fa sentire aperti, spontanei e naturali: rende i rapporti più veri e più autentici. 


’ansia, infatti, in tutte le gradazioni in cui viene percepita, va comunque intesa come un campanello d’allarme da non trascurare; è una forza trasformatrice, sia quando si cronicizza, sia quando si presenta inaspettatamente. Non serve allarmarsi ma neanche liquidarla con la convinzione cheTanto prima o poi passeràoppure come semplice fattore caratteriale: è necessario, in ogni caso, concederle sempre le dovute attenzioni. Nessuno è ansioso per natura, tutti sono suscettibili a sperimentare l’ansia, ma quando questa accompagna ogni azione, anche banale, non si tratta di un elemento innocuo della personalità, ma l’effetto di meccanismi che coinvolgono un modo di reagire non del tutto adeguato e vantaggioso. E’ una modalità reattiva a uno stile di vita innaturale, a situazioni che, nel tempo, si sono dimostrate insostenibili e poco adeguate del vivere sereno. Tale fenomeno emerge quando ci si adegua in maniera esagerata ad uno standard esterno fatto di convenzioni, di luoghi comuni, di “buona educazione”. Le norme di convivenza sono sicuramente molto importanti, nessuno lo nega, ma quando si trasformano in una recita continua annullano il talento, spengono completamente le idee, le energie e l’entusiasmo nel fare le cose. Quando si interrompe questo circolo vizioso, di essere come gli altri si aspettano ecco, come d’incanto, emergere improvvisamente un atteggiamento più naturale e di buon senso. L’ansia colpisce soprattutto individui che conducono uno stile di vita ordinato e troppo “a modo”, senza imprevisti e cambiamenti, colpi di testa o bizzarrie: tendenza a rinnegare gli istinti e le vere necessità. Soggetti caratterizzati da uno stile di vita “eccessivamente” regolare e artefatto, ispirato a troppe norme e principi, improntato alla ricerca della perfezione. Persone con poche soddisfazioni ma con molte illusioni. 


uò arrivare all’improvviso, senza trombe e tamburi, annunciandosi con un senso di irrequietezza generale, la testa annebbiata, facilità al pianto ed insonnia. Molte sono le situazioni scatenanti che fanno affiorare un’emotività “sconosciuta” e una psiche “accelerata”: rapporti interpersonali, senso di colpa, sessualità, imprevisti, prestazioni impossibili, lavoro, routine. La condizione ansiosa, inoltre, provoca uno stato di ipereccitabilità di tutta quella parte del sistema nervoso centrale che non è controllabile dalla volontà. L’ansia, in tal modo, fa andare in tilt il corpo e la psiche determinando, a seconda della sua intensità, i “soliti” disagi fisiologici: tachicardia, brividi, vampate, contratture, vertigini e ronzii, turbe mestruali, cali di vista, bocca secca, afte, ipersudorazione, formicolii alle estremità, schiena bloccata, difficoltà digestive, cambiamenti improvvisi di temperatura, aumento della respirazione, diarrea e crampi allo stomaco. Quando compare sulla scena, c’è sempre una spiegazione, pur misteriosa, che la giustifica. In realtà, compare nei momenti di trasformazione, quando è necessario cambiare rotta alla propria vita ma, soprattutto, in chi vive il futuro minaccioso, in chi non riesce ad allontanarsi dalle catene dei luoghi comuni, in chi teme i cambiamenti e gli imprevisti. Per la personalità ansiosa, infatti, vivere qualcosa di diverso significa mettere in crisi le proprie certezze.

o stato di allarme ansiogeno “strozza”, toglie il respiro, non passa mai inosservato, viene prepotentemente preso in consegna ed elaborato dal corpo, diventa portavoce delle emozioni ancor prima della coscienza, un codice preciso che deve essere letto e interpretato:

1. Petto. Una costrizione in questa zona non solo impedisce una normale attività respiratoria e determina un senso di soffocamento ma va diritta al cuore, si manifesta a livello cardiaco, spesso sono scambiati per infarto (dolore, aritmia, tachicardia, palpitazioni);

2. Tessuto muscolare. Paralisi, rigidità e tremori sono all’ordine del giorno. Lo stato di tensione crea un diffuso stato di contrazione muscolare (cervicale, debolezza, formicolio, torpore);

3. Intestino e apparato urinario. Questi apparati sono i primi inequivocabili ricettori emotivi: nausea, gastrite, colite, urinare spesso.


ei ansioso, ecco le sostanze e i nutrienti “speciali” che possono contrastare tale stato: mandorle, noccioline e spinaci, un alto contenuto di magnesio che oltre a favorire un buon SONNO allevia irritabilità e toglie stanchezza; Vit. Del gruppo B e D: soia, tacchino, petto di pollo e lenticchie (ferro), cereali (zinco) e uva e broccoli (cromo). Ricorda, ferro, zinco e cromo migliorano l’umore e regolano le emozioni; è fondamentale, inoltre, molta frutta di stagione per ripulire il cervello (frutti di bosco per cali di memoria); l’assunzione, poi, di salmone fresco (omega 3) abbassa l’ansia e ostacola la depressione … togli dal “piatto” fritti, grassi e tutti i dolci!!!


osa fare. Alcune strategie, di seguito indicate, potrebbero risultare paradossali o superficiali, magari troppo morbide per sconfiggere questo mostro che è l’ansia. Ma se l’ansia è una grandiosa opportunità per “svegliarsi”, ascoltare i veri desideri e guardare se stessi con un’attenzione diversa, può diventare una preziosa compagna di viaggio. Può essere curata se si sa come accoglierla. Non serve usare maniere forti, bisogna con morbidezza tenerle testa, interpretando ciò che vuol dire con la sua inquietudine: una grande occasione per riprendere in mano la propria vita. Quando lo stato ansioso si scatena, il sistema nervoso centrale richiede una compensazione biochimica immediata, ovvero una alimentazione adeguata: i cibi giusti possono controllare lo stato ansioso e ridurre la crisi. Con un buon rilassamento, inoltre, il batticuore ritrova piano piano il suo ritmo giusto. Un auto massaggio psicosomatico ben fatto può eliminare tensioni, contratture, nervosismo e insonnia. Il “soffio della vita”, cioè un volume polmonare adeguato, può tenere sotto controllo i cambiamenti fisiologici prodotti dall’ansia.

Il   TEDIO  della vita.


’ansia è una condizione interiore di allarme, tensione, incertezza, irrequietezza, paura che si può esprimere attraverso il panico, tachicardia e tremore diffuso. E’ uno stato emotivo caratterizzato dal timore, reale o immaginario, per un evento futuro, interpretato come spiacevole o pericoloso: apprensione che qualcosa di inquietante o di avverso stia per accadere. Di solito il soggetto esibisce un’espressione timida e rinunciataria, un atteggiamento completamente privo di speranza, una gestualità, a dir poco, goffa e impacciata. Improvvisamente è preso da inquietudine, si trova in balia di una mente confusa e sotto la tirannia dell’insonnia. Assale a tradimento e si agita all’interno del corpo e della mente. Un eccitazione esagerata in cui l’individuo si adatta più lentamente agli eventi della vita. Si diventa particolarmente introversi e sempre orientati a prefigurare il peggio: tutto diventa negativo e catastrofico. Nel quadro clinico ansiogeno troviamo la compresenza di sintomi psichici e fisici. E’ uno stato d’animo connaturale, molto comune e familiare alla maggior parte degli esseri umani. Può presentarsi con intensità diverse, da un momentaneo lieve disagio ad una paura intensa di minaccia incombente. Spesso tutto ciò produce molto disagio, degenera in un meccanismo incontrollabile, porta confusione ai pensieri e può trasformarsi in una angusta prigione emotiva. Può essere, a seconda delle situazioni, stimolante o paralizzante, può modificare le difese attive o invece segnalare il sorgere di un profondo disordine psichico. 


’ansia, quella normale, è considerata una reazione dell’organismo che si prepara a fronteggiare, attraverso una produzione adeguata di sostanze chimiche presenti nel sistema nervoso (adrenalina e cortisolo: ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali), un problema o un pericolo (evento reale). Quella patologica, invece, è uno stato di tensione che perdura nel tempo anche quando la situazione problematica non è più presente: ha un effetto limitante sulle capacità intellettive e comportamentali. In questa situazione specifica l’unica cosa che si desidera è sfuggire al pericolo che incombe. A volte inizia in modo graduale con un po' di tensione, strano nervosismo, eccessiva preoccupazione per se stessi e gli altri, improvvisi e ingiustificati pianti: si è in balia al senso di impotenza e di agitazione diffusa. La classificazione del malessere ansiogeno viene effettuato attraverso la natura dei sintomi e, soprattutto, la presenza o meno di una causa scatenante. Nella diagnosi risulta fondamentale distinguere l’attacco d’ansia improvviso e devastante (attacco di panico), dall’ansia scaturita da uno specifico oggetto o da una precisa situazione (fobia), dallo stato d’ansia intenso, diffuso e continuativo (ansia generalizzata). Un segnale inequivocabile dell’ansia è il famoso “nodo alla gola”. Questo sintomo si manifesta attraverso la raccapricciante sensazione fisica di soffocamento (contrazione, secchezza, difficoltà di deglutizione).
 

’è sempre una stretta relazione tra stato d’animo e condizione fisiologica (patologie dell’apparato gastroenterico, dell’apparato respiratorio, dell’apparato cardiocircolatorio). I valori pressori, la funzione respiratoria, il battito cardiaco, la temperatura della pelle sono tutti fenomeni influenzati dallo stato mentale. I sintomi fisici più evidenti quando il soggetto è preso da un attacco d’ansia sono: palpitazioni, dolore pulsante o trafittivo, sensazione di costrizione e difficoltà di respirare, spasmi ai muscoli del collo, mal di schiena, sudorazione, stordimento, gonfiori, nausea. Se ci si concentra un attimo su alcune esperienze della vita si scopre che non sono poi rari questi segnali fisiologici correlati con il nervosismo, come ad esempio i crampi allo stomaco prima di una prova importante oppure di un incontro galante (bruciore di stomaco, scariche diarroiche).

ICORDA, la rigidità mentale, i pregiudizi popolari, un ordine cerebrale ossessivo, un adeguarsi eccessivamente agli altri, un ruolo fisso esasperato, sono tutte modalità reattive che costringono a recitare una parte, ad assumersi inutili sacrifici, a relegare in un piccolo angolo gli aspetti più gioiosi della vita (passione, gioia, amore), sono come dei boomerang, sono copioni che sul momento possano rassicurare ma primo o poi tornano indietro con tutti gli interessi, con disagi invalidanti - che inquinando il cervello, appiattiscono la vita, tengono al palo e fanno ammalare - come il panico, la depressione, la colite, la gastrite, la cefalea e l’ulcera.

Il malessere dimora sempre ai  "PIANI  ALTI".


dee fisse, pregiudizi e pensieri contorti sono tutte strategie che ingabbiano la mente perché - non tenendola occupata - rischia di perdersi; senza questi “tarli” mentali si è costretti a confrontarsi con la realtà, con ciò che si ha a che fare veramente: solitudine, passione, sentimenti; rimuginare sulle cose passate non serve a nulla: si consumano e si sprecano tante energie in più che potrebbero essere utili con maggior profitto nel presente, in attività reali e concrete; una mente intossicata completamente da cose “perbene” e da idee eccessivamente perfette; i pensieri ingombranti, pertanto, costringono a guardare nel profondo, per cambiare il modo di pensare, per tirar fuori la parte più autentica di se stessi, più naturale, più istintiva: vogliono essere ascoltati! Ricorda, i pensieri ostili e maligni sono l’altra parte del profondo: quella affettuosa e vitale!!!

’accumulo di tensione, ben noto a tutti, può portare a conseguenze negative sia a livello fisico sia a livello psicologico. Esiste sempre una stretta correlazione fra salute, atteggiamenti mentali, modi di fare e stili di vita. Quando ogni azione, anche la più banale, diventa difficile, viene accompagnata da continui sacrifici e sforzi, significa che l’entusiasmo nel fare le cose si è spento; la “chimica” cerebrale entra in uno stato confusionale e, per quanto ci si impegni, non riesce a reintegrare le forze perdute. Alzarsi ogni mattina è uno sforzo incredibile, un’impresa titanica, si è in balia degli eventi, dell’inquietudine, dell’insoddisfazione e dei pensieri tortuosi: la massa cerebrale va in apnea e fuori controllo. Sembra di vivere in un mondo fatto di finzione, completamente estraneo, si perde la vera autenticità: ogni aspetto vitale viene rimosso. L’essere spenti diventa un’abitudine, la stanchezza assale prima di iniziare ogni cosa, la giornata si affronta con fatica, diventa un incubo: manca quel “frizzo”, quel “brivido” che riaccendeva - in tempi migliori - il fuoco dell’entusiasmo; tutto diventa artificiale e infelice … la “calma piatta” soffoca passioni e desideri, affonda lentamente la vita. Anche mente e corpo ne risentono, non c’è che l’imbarazzo della scelta, si va dall’insonnia ai dolori alla testa e alla schiena, al mal di stomaco fino allo scatenarsi dell’agitazione, dell’aggressività, della depressione. 


iù si rimane in questa condizione psicosomatica più si producono effetti negativi a livello sociale, comunicativo e lavorativo: uno stato che fa davvero male alla salute. Cala la vitalità, l’attenzione diventa ballerina, la concentrazione e l’efficienza svaniscono completamente, aumentano le probabilità di errori ed incidenti, si incrinano i rapporti con amici, colleghi e clienti. Gli “sforzi”, inoltre, determinano, nell’unità psicosomatica, un accumulo di energia, che se compressa, non eliminata, aggredisce l’organismo nei punti più deboli; l’ansia si concentra in un punto preciso segnalando che qualcosa non va per il verso giusto. Per Mario sarà quel caratteristico e inconfondibile nodo alla gola: affiorano così le parole mai dette, tutte quelle cose trattenute si affollano in quella interminabilestrettoiafino a strangolarlo. Sembra la fine, l’aria fa fatica a passare, si cerca la porta più vicina, una via d’uscita, uno spazio aperto, la finestra per una boccata d’aria, la comunicazione si interrompe, le idee inciampano e gli argomenti zoppicano. Le parole si inceppano, tutte quelle cose che per mancanza di coraggio non sono mai uscite dalla bocca, sempre trattenute e represse, rimangono come d’incanto concentrate lì, in quel punto. Ma ecco, che in situazioni simili, nei rapporti con genitori, figli, partner e superiori, come al solito il copione si ripete, quella strana abitudine di trattenersi si ripresenta, il fatto di non potersi esprimere liberamente genera contrazioni … in quella cavità così “stretta” la fonazione diventa sempre più confusa, va e viene. Mario non può fuggire: si sente “preso” veramente proprio per il collo”!


rnesto, invece, oltre a chiedere troppo a se stesso, sempre all’erta e super preciso, impegnato a dimostrare in ogni momento della giornata di essere in gamba, convinto anche di non essere in grado di gestire, integrare e assimilare i cambiamenti repentini, non riesce proprio a mandare giù i “bocconi” amari, a “digerire” tutte le cose con cui quotidianamente viene in contatto. Vorrebbe gridare, far esplodere la sua rabbia, ma preso dalla paura costringe il suo “laboratorio” ad un super lavoro, ad un continuo “ruminare” su cose che non soddisfano: lo stomaco entra in tensione … controllato da una potente morsa autodistruttiva va a fuoco!!!

aola, con la sua pancia gonfia - sempre sulla difensiva, pronta a isolarsi, a razionalizzare o a giudicare gli altri - vive il proprio ambiente come invasivo o particolarmente ostile: la paura di cambiare la “blocca” e la disarma. Ha chiuso per questo, da tempo, la sua disponibilità emotiva col mondo: un “trattenersi” mascherato di socievolezza forzata. Non riesce più a “scaricare”, perché è legata troppo al passato (depressione), a un modo di vivere non più vantaggioso, vincolata alle vecchie convinzioni e credenze … non lascia andare nulla. Questa incapacità di prendere le dovute distanze dalle situazione stantie, stimola eccessive preoccupazioni, gelosia, pensieri bui e terrore di essere umiliata. E’ necessario ritrovare il gusto di vivere, il piacere di lasciarsi andare, aprirsi e comunicare … spontaneamente però!!! In realtà, il cosiddetto “intestino pigro, sedentario” necessita di una autonomia diversa, una mentalità larga … urla incessantemente “largo al nuovo”! Ma ecco che, improvvisamente, si alterna un’altra dittatura: la colite. Paola si alza al mattino dominata dalla paura dell’insuccesso, frastornata da spaventose responsabilità, terrorizzata di essere giudicata negativamente durante gli impegni quotidiani. Ha bisogno di affetto e tanto, tanto calore, ma per averlo è convinta che prima deve “purificarsi”… così, di corsa, deve “liberarsi” da questo senso di oppressione, dai desideri di vendetta, dai sentimenti che covano in profondità, nelle “parti basse”: rancore, rabbia, invidia.

on dimentichiamo Carlo che, con il suo cuore al galoppo, teme l’infarto da un momento all’altro. Una sensazione che, a suo dire, toglie letteralmente il fiato e rallenta in modo preoccupante il suo iperattivismo. Sempre di corsa, mai fermo, la sua vita è completamente sommersa da un ritmo frenetico e stressante. Sa fare più cose contemporaneamente ma non ha mai tempo per se stesso, non riesce proprio a vivere un ritmo lento. Il mondo affettivo, per lui, è davvero un optional: preferisce incanalare la propria energia sull’azione, sull’attività fisica convulsa. L’emozione, però, si fa sentire, il battito raggiunge la gola come se volesse dar voce ai sentimenti nascosti e trattenuti … come se chiedesse davvero più “cuore”!!!

apevate che il cibo, da sempre, con i suoi nutrienti assunti in maniera scorretta, può essere responsabile degli improvvisi attacchi d’ansia e sbalzi dell’umore, mentre può risolvere problemi di memoria e concentrazione quando si assumono in maniera appropriata sali minerali e vitamine; in breve, in certe condizioni fisiologiche, può decidere sull’equilibrio emotivo: può aumentarlo, contrastarlo, placarlo, equilibrarlo, neutralizzarlo o scatenarlo. I cibi per il benessere mentale sono: frutta e verdura fresca di stagione, legumi, cereali integrali, pesce.

I nemici che OSCURANO la mente.


 “brutti pensieri” quando appaiono sulla scena inaspettatamente, oltre all’interminabile tormento mentale, sono terribili e creano davvero sgomento. E’ un’esperienza fastidiosa che occupa tutto lo spazio mentale: più i “cattivi pensieri” sono brutti, distruttivi, cupi, sporchi, tanto più si sente la necessità di occuparsene perché trasformano la vita in un vero calvario. Gli indesiderabili della mente sono sempre lì, pronti ad offuscare, dominare e travolgere l’esistenza. Ogni individuo, volente o nolente, chi più chi meno, ha la sua dose quotidiana di pensieri “cattivi” relativi a gelosia, invidia, rancori, segreti, insicurezza cronica, paura che possa capitare qualcosa di grave, senso di fallimento e di incapacità, desideri di trasgressioni o perversioni, tradimento, impulsi aggressivi e soldi. Quelli più frequenti e pervasivi, sono capaci di rovinare completamente l’umore, la giornata e i vari progetti personali. All’improvviso si desidera compiere atti per i quali solitamente manca la forza d’animo o il coraggio (sociali, giuridici, sessuali). Sono fantasie che difficilmente si rendono note alle persone che stanno accanto (appaiono però sul viso). 


ono “veleni” di cui ci si vergogna e si ha paura, semplicemente perché viene smantellata di colpo quell’immagine, quella facciata, quella considerazione lusinghiera di se stessi che si cerca di “propinare” costantemente agli altri. Li produce la mente, il soggetto stesso: sono quei pensieri terribili in cui ci si sorprende diversi da quello che si pensava. Spesso è un fenomeno che paralizza e non risparmia nessuno, ed è più facile che emerga per rabbia, frustrazione, aggressività repressa, ingiustizia subita. I pensieri neri fanno la loro comparsa nei momenti di debolezza psicofisica, nei periodi di crisi, quando si devono affrontare cambiamenti improvvisi e, soprattutto, durante le inevitabili tragedie personali. I pensieri indicibili ed impensabili possono riguardare il soggetto o la sua moralità che, a dire il vero, non sono “cattivi” nella sostanza ma è il giudizio di valore della persona stessa a renderli ignobili e inaccettabili. Il soggetto, quindi, vive costantemente in attesa delle conseguenze, considerate inevitabili, secondo quella costruzione mentale momentanea che, nel tempo, ha assunto un aspetto realistico. Il terrore di poter realizzare “certe cose” crea angoscia, ansia, paure incontrollate e, soprattutto, giudizi autolesionisti che rendono il palcoscenico della vita ancor più deprimente. Non si tratta comunque di anatemi autentici, tanto meno di premonizioni, ma la loro comparsa in scena disturba e crea non pochi problemi perché ci si etichetta come potenziale mostro: cresce la convinzione che tutto abbia un fondamento di realtà e che possano d’incanto avverarsi le cose temute. Da qui a considerarsi completamente sbagliato il passo è veramente breve: il soggetto si sente in colpa, incompleto e pieno di debolezze. L’esperienza, poi, diventa veramente problematica quando si affacciano pensieri che non si è in grado di controllare e, soprattutto, percepire in modo non conforme ai propri principi morali. I pensieri consueti, quelli che passano nella mente, non sono altro che costrutti momentanei, determinati da condizionamenti o suggestioni episodiche. Molti individui sono convinti che se i pensieri cattivi non sono tradotti in azioni, non sono nocivi. Questo, però, è molto lontano dall’essere vero. I processi mentali, essendo sempre carichi di energia causano, inevitabilmente, vere e proprie alterazioni a livello fisiologico.


 pensieri, infatti, che non si vogliono formulare, repressi, rifiutati e, soprattutto, temuti si esprimono, a seconda del loro contenuto, in un altro modo: possono diventare, alterando le cellule nervose, malattie. In realtà, per farsi sentire usano diversi organi: l’intestino, attraverso la colite, elimina la rabbia, un groviglio di pensieri esplode in cefalea, la schiena, contraendo i muscoli dorsali e lombari, si blocca per contrastare eventualmente l’azione ipotizzata dai vari pensieri. Non bisogna mai dimenticare che il pensiero, oltre ad essere di supporto all’azione, è la sostanza stessa dell’attività psichica, la principale forma di attività intellettuale; possiede un significato per il soggetto impegnato nell’esistenza. I pensieri si formano a seguito di un continuo scambio di informazioni chimico – elettriche fra cellule nervose, in relazione sempre agli stimoli esterni ed interni. Tutto ciò che è vissuto, sentito, compreso forma il pensiero: immaginazione, sentimento, conoscenza, giudizio, intenzione, tutto quello che si tiene di più. Qualunque sia il suo livello, il pensiero rappresenta un successo o un fallimento nella comunicazione.


osa fare. Quando si è completamente stravolti dall’ondata di pensieri e dalle fantasie considerate inaccettabili, il mondo emozionale prende il sopravvento. Lo scopo principale dell’intervento è proprio quello di far “volare” altrove i pensieri automatici: ridurli e renderli meno dannosi per l’unità psicosomatica. Le metodiche terapeutiche attivate puntano l’attenzione a ristrutturare il processo mentale (scardinare quel loop) e insegnano a gestire la paura scatenata da sintomi specifici. L’addestramento al rilassamento, in ogni caso, è fondamentale per controllare lo stato fisico e mentale. Con la pratica e la continuità è possibile padroneggiare in maniera più sana la paura e i pensieri negativi. In realtà, il trattamento purtroppo, non sempre facile da realizzare, sarà rivolto a mettere a fuoco tutti i pensieri devastanti in modo tale da gestirli e, quindi, restare lucidi, trasformando l’energia “mostruosa” in un qualcosa di più costruttivo. Ricorda, i vampiri della mente sottraggono sempre energia!. L’efficacia, comunque, dell’intervento dipende sempre dall’attenzione e dalla “convinzione” con cui si mettono in atto le varie strategie terapeutiche proposte.

l primo segnale inequivocabile dello stress - oltre ad abbassare le difese immunitarie - è l’aggressività inespressa e l’umore nero, lì pronti ad esplodere da un momento all’altro, una grande energia accumulata e trattenuta, continuamente sotto pressione, gelosi, paurosi, nostalgici, insicuri, soli, avviliti e preoccupati, atteggiamenti che creano stanchezza e fanno ammalare il corpo di gastrite, cefalea, ipertensione, insonnia.

Fobia.


a caratteristica principale di questo stato d'animo è una paura immotivata, inappropriata, irrazionale e persistente, legata ad un forte desiderio di evitare una situazione, un oggetto o un incontro: una rappresentazione distorta e ripugnante della realtà. Non sono comunque gli eventi esterni che causano un profondo disagio, ma quello che il soggetto pensa di questi eventi, come li valuta e li considera; una anticipazione delle cose in cui si teme di non riuscire a gestire o fronteggiare. L'esposizione allo stimolo fobico - pur sapendo che non è reale - invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata che può prendere la forma di un attacco di panico. La paura e l'evitamento di oggetti, non deve mai essere ignorata perché tali reazioni paralizzano, ostacolano l'autonomia e la libertà, interferiscono in modo significativo con la vita lavorativa e sociale del soggetto fobico. Essendo un fenomeno soggettivo, qualsiasi luogo o oggetto può presentarsi in maniera originale e, quindi, scatenare una reazione fobica, a volte, davvero, singolare per le persone che ruotano attorno al fobico. Molte sono le fobie e alcune sono davvero curiose: agorafobia (paura per la piazza, dei luoghi affollati, di prendere i mezzi pubblici, di allontanarsi da casa), claustrofobia (paura di non aver più aria, di restare intrappolati in un luogo chiuso), aerofobia (paura per l'aria), cinofobia (paura per i cani), acrofobia (per l'altezza), aracnofobia (paura dei ragni) osmofobia (per gi odori) ofidiofobia (per i serpenti), emetofobia (per il vomito), paura sociale (paura limitata a situazioni sociali: parlare in pubblico, della gente, trovarsi in situazioni potenzialmente umilianti) … rupofobia: paura della sporcizia … spinge, costringe, mette all’angolo, non è possibile fermarsi, astenersi dal lucidare… la persona tiene ossessivamente ogni cosa sotto controllo, in ordine, pulisce e lucida fino a “consumare” gli oggetti… un gesto che tenta contemporaneamente di eliminare un “qualcosa” di se stessi che si rifiuta, non si accetta, non piace ma di cui è impossibile separarsi.

Fobie … quelle strane paure.


e fobie sono paure irrazionali, intense, inappropriate, fuori dall’ordinario, senza motivo apparente. E’ un fenomeno persistente, vale a dire la persona ne soffre in modo ripetitivo. Appare simile al sentimento di paura, come stato d’animo, perché la fobia insorge di fronte a una situazione vissuta come pericolosa, a un avvenimento spiacevole, un qualcosa che a dir poco ripugna: ma si tratta in ogni caso di una rappresentazione oggettivamente travisata e distorta della realtà (solo pensata, ipotizzata). I disturbi fobici sono causati da immagini, fantasie o rappresentazioni mentali interne, che invece vengono percepite erroneamente dal soggetto come provenienti dall’esterno e quindi sperimentate come un pericolo concreto e reale. In realtà non sono gli eventi esterni a scatenare una reazione fobica, ma quello che si pensa di essi, in particolar modo le valutazioni che si fanno circa la capacità di saperli gestire e fronteggiare. Quando la reazione è sproporzionata alla situazione temuta, al pericolo effettivo, provocando uno stato d’angoscia paralizzante, invalidante e comportamenti che interferiscono significativamente con le più elementari attività quotidiane, ci troviamo di fronte ad una fobia di rilievo clinico. Il soggetto sa perfettamente, ha la consapevolezza che la sua non è una paura reale, ma patologica … solo che non riesce a controllarla! Solitamente il soggetto fobico cerca di evitare le situazioni che la scatenano ricorrendo a vere e proprie strategie di fuga. Tutti questi evitamenti, oltre ad essere una notevole perdita di tempo, una grande dispersione energetica e limitare completamente il soggetto, sono indubbiamente la fonte di un marcato disagio e una continua sofferenza. 


l fenomeno fobico si accompagna a un senso di smarrimento, di assoluta impotenza, con reazioni neurovegetative tipiche dello stress: tremori, astenia, nausea, tachicardia, sbalzi pressori, senso di svenimento, iperidrosi, difficoltà di respirazione, pallore, fame d’aria, tosse nervosa, vomito, tremori, sonno agitato, incubi. In tale quadro clinico le capacità di rendimento diminuiscono in maniera significativa in vari settori (lavorativo, scolastico, sociale), vi è una marcata tendenza all’affaticamento, poca capacità di concentrazione e di memoria. Anche se molti fobici riescono o meglio si sforzano a mantenere uno stile di vita in modo più o meno normale, con il passare del tempo rischiano di cronicizzare e peggiorare tale fenomeno: i sintomi tendono ad aggravarsi e possono aumentare significativamente i tratti depressivi o altri disturbi emotivi più complessi. Ci sono alcune fobie che sono veramente un supplizio, una tortura e spingono il soggetto ad isolarsi sempre più favorendo, nel contempo, tratti decisamente depressivi. La fobia sociale, ad esempio, è una paura persistente di situazioni nelle quali il soggetto è esposto ad un ipotetico giudizio degli altri e, di conseguenza, ha timore di poter fare qualcosa o magari agire in modo tale da poter essere ridicolizzato o umiliato. Questa condizione emotiva può essere circoscritta, come la paura di non essere capace di continuare a parlare mentre si parla davanti ad una platea, di soffocarsi con il cibo mentre si parla di fronte agli altri (questo avviene solo con interlocutori particolari), di avere incontrollabili tremori alla mano mentre si scrive in presenza di altri o il timore di arrossire in pubblico.


osa fare. Il primo passo nel trattamento delle fobie, oltre a spiegare e rendere chiari i meccanismi neurofisiologici, è focalizzato sul ridimensionamento della visione catastrofica della vita presente in questi soggetti. Quando una persona comprende la natura del proprio problema (psicologico, psicosomatico, neurofisiologico) può fare molto per risolverlo. Il lavoro fondamentale è infatti quello di far riflettere sul modo in cui il fobico pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri così che possa individuare e perseguire nuove possibilità, conquistare, se lo desidera, una consapevolezza diversa circa le modalità reattive e acquisire nuove capacità di reazione agli eventi. Alcune metodiche terapeutiche come tecniche di respirazione e di rilassamento rivolte a ripristinare, in maniera ottimale, alcune funzioni fisiologiche, si sono dimostrate particolarmente utili e, in alcuni casi, risolutive. Attraverso tali strategie è possibile migliorare la propria autostima, che consente di limitare profondamente questi atteggiamenti di impotenza e, molto spesso, di disperazione che caratterizzano il malessere fobico. Uno stato d'animo con disturbi fisici paralizzanti e terrificanti: tachicardia, sudorazioni, nausea sudorazioni, senso di svenimento, stanchezza improvvisa.

Alcune riflessioni su come stare meglio.


a prima cosa da fare, quando si soffre di un particolare disagio emotivo, è quella di cercare di assumere il controllo della situazione, anziché subirla: sedersi al posto di “guida” e decidere dove si vuole andare. Sapere equivale avere potere, diceva quel famoso saggio; cercare sempre di documentarsi, informarsi e di imparare il più possibile sul proprio disagio. Riconoscere e trattare i problemi emotivi al loro esordio, prima che possano diventare uno stile di vita e un proprio modo di pensare, comporta vantaggi notevoli … è molto più facile domare le fiamme prima che il fuoco diventi un incendio!!! Molti problemi emotivi rispondono in maniera più veloce e completa se il programma terapeutico è intrapreso nelle fasi iniziali del decorso, prima che i sintomi siano diventati per il soggetto, e per il suo cervello, un modus vivendi. Una terapia tempestiva riduce anche il rischio di successive ricadute e migliora nel complesso la qualità di vita del soggetto. Decidere di differire una richiesta di aiuto può essere una tentazione, ma il più delle volte è una cattiva IDEA, a meno che la sintomatologia non sia leggera, legata a una condizione transitoria e, soprattutto, di breve durata. L’impegno per cercare di rimanere aggiornati dev’essere costante e in forma continuativa. E’ sempre buona cosa cercare di conoscersi meglio. Gli individui, spesso, sono dotati di un grande spirito di osservazione per quanto riguarda tutto ciò che li circonda eccetto, ovviamente, se stessi. Una buona conoscenza di se stessi è un fattore indispensabile per cercare di migliorarsi, e succede facilmente di trovarsi davanti a ampie, complesse zone oscure quando si guarda l’unico oggetto che non si riesce mai a distinguere chiaramente: se stessi. 


isogna cercare con calma di imparare di più sui propri comportamenti caratteristici, su quello che piace o non piace, sui punti di forza, le debolezze, le inclinazioni, le attitudini, i pregiudizi e le varie paure; per completare e rendere più vantaggioso questo quadro introspettivo può essere d’aiuto verificarlo con una persona affidabile con cui si è in profonda sintonia (che non critichi e non esprima mai giudizi di valore). Un altro aspetto importante è essere seguiti da un professionista capace e competente, in grado di capire i problemi e a porli nella giusta prospettiva. Se questo rapporto iniziale non soddisfa le proprie aspettative è giusto sceglierne un ALTRO. Questo non significa che il professionista sia incapace o sia un ciarlatano, ma può essere che non abbia quel “carisma” e quell’esperienza nel trattare quel problema clinico specifico a lui sottoposto. Nessuno è in grado di garantire che le varie strategie terapeutiche funzionino. La buona riuscita dipende sempre dalla natura del problema, dalla cronicità, dalle terapie scelte, dalle capacità dello specialista e, soprattutto, dall'impegno assunto dal soggetto che chiede aiuto. Se un individuo si avvicina alla terapia con la convinzione che nessuno possa realmente aiutarlo o magari che tutto gli sia dovuto oppure che tutti i professionisti siano “pizzicagnoli”, la guarigione è tutt’altro che certa. Non si tratta di far prevalere la suggestione ma semplicemente stimolare l’individuo, attraverso la realizzazione di metodiche terapeutiche, ad impegnarsi e partecipare attivamente al processo di guarigione sempre con un senso critico genuino e non con un sentimento oppositivo del tutto ingiustificato e pregiudiziale, magari per esperienze negative passate: ogni intervento è sempre unico! Occorre che s’instauri, fra specialista e paziente, una collaborazione di tipo creativo, basata sulla solidarietà, ma anche sull’accettazione di un impegno a comprendere in profondità e poi a correggere le compensazioni artificiose e controproducenti, costruendo in tal modo un nuovo “stile di vita”. 


hi ha sofferto per anni in silenzio, attraverso il percorso collaborativo e lavorando seriamente, può scoprire dentro di sé potenzialità e capacità che non avrebbe mai sospettato di possedere. Attraverso questo cammino, responsabile e creativo, che porterà alla guarigione, questi soggetti possono imparare a vivere e a relazionarsi in maniera più gratificante, ritrovare l’autostima, la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi, scoprire che hanno delle grandi potenzialità e, soprattutto, le risorse per prendere le decisioni giuste. Anche se c’è la tendenza a guardare con sospetto o addirittura con insufficienza chi soffre di un disagio emotivo, è bene sottolineare che non è un “lebbroso”, tanto meno un debole o un incapace, semplicemente non affronta i suoi problemi in maniera corretta e vantaggiosa: non si è mai responsabili della malattia ma del proprio comportamento. L’intervento terapeutico è rivolto a cambiare il modo in cui un individuo sente, pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri così che possa scoprire e perseguire nuovi obiettivi, conquistare una consapevolezza diversa riguardo al comportamento e acquisire nuove capacità reattive agli eventi. Ricorda, un pensiero incessante, continuo altro non fa che sprecare inutilmente tutte le energie, soffocare, indebolire e condizionare l’organismo “indirizzandolo” su un futuro incerto, verso tutto ciò che spaventa e che lo terrorizza … fa paura.

ATTENZIONE   PERICOLO


utti, chi più chi meno, grandi o piccini, hanno o avuto delle strane paure, si sentono disorientati, paralizzati, inibiti e spaventati di fronte ad esse, senza un motivo apparente perché, in realtà, sono innocue e irrazionali: volare, luoghi, gatto nero, strade, gallerie, ponti, venerdì tredici, buio, estranei, novità, sorprese, animali, situazioni sociali, oggetti appuntiti, coltelli, malattie … di essere ingannati, rifiutati, abbandonati, lasciati soli. Le più frequenti sono la paura degli spazi aperti (agorafobia) o degli ambienti chiusi (claustrofobia). Come la maggior parte dei problemi emotivi, di solito, questo fenomeno ha le sue origini nell’infanzia. Troviamo, spesso, in questo quadro clinico, storie drammatiche ed esperienze comuni disastrose che predispongono il bambino ad un continuo senso di pericolo e ad un allarmismo psicosomatico permanente: violenze, maltrattamenti, insensate disapprovazioni e punizioni, ingiustificati odi e rancori, eccessive frustrazioni e assurdi ricatti. Grandi incomprensioni e deprivazioni incrinano la propria immagine e la stima di se stessi, minano sempre le fondamenta emotive e la salute futura di qualsiasi essere umano in fase evolutiva. Attenzione, considerazione e rispetto sono tutti ingredienti indispensabile per una crescita armoniosa e serena. Le fobie, costituiscono una delle nevrosi d’ansia tra le più invalidanti e diffuse di questo periodo storico: un’emozione a dir poco schiacciante, spiacevole e dolorosa. Un fenomeno intollerabile che, attraverso le sue manifestazioni reattive spesso estreme, assorbe pian piano tutta la personalità del soggetto, impedendogli di comportarsi normalmente, autonomamente e liberamente nel quotidiano e nei vari rapporti sociali. Sviluppa - pur riconoscendo i propri sentimenti eccessivi e irragionevoli - una sofferenza e un terrore talmente acuto da mettere in atto comportamenti fantasiosi e bizzarri per “evitare” ogni situazione ansiogena che incontra … vissuta sempre in maniera terrificante. E’ un genere di comportamento protettivo che impedisce al soggetto di avere qualche contatto con ciò che lo spaventa. Un vivere dominato da un forte senso di impotenza e pessimismo, tante paure, disapprovazioni, sconforto, frustrazioni e pene … ma con poche soddisfazioni.
 


a felicità, lo sappiamo da tempo, è un potente antidoto contro la fobia in generale. La soddisfazione e i piaceri della vita aumentano la stima di se stessi e rendono abili nel gestire e trattare con una certa passione la vita. La fobia è spesso accompagnata da inibizione sessuale (frigidità, impotenza), da un esagerato atteggiamento di difesa e, qualche volta, da autoritarismo. Si presenta con diversi livelli di difficoltà e gravità: domina una sensazione permanente di tormento, disagio e sofferenza quando si è soli (lieve) oppure con comportamenti di evitamento continui limitando il più possibile i contatti sociali fino ad isolarsi completamente dal mondo (grave). Non tutti, purtroppo, con questo tipo di “riservatezza” e insolita “dipendenza”, che nel tempo può rivelarsi umiliante e pericoloso, riescono a mantenere uno stile di vita normale e sereno. Con il passare del tempo, il fobico - richiudendosi sempre più nel suo sconforto, nella sua disistima, nei suoi piccoli e limitati spazi esistenziali - si trova letteralmente isolato, insoddisfatto, solo e terrorizzato da una sensazione costante di attesa, timore, frenesia e continua allerta … soffre silenziosamente, raggirando in maniera confusa e con un eccessivo consumo di energia, ogni ostacolo considerato pericoloso per il proprio equilibrio emotivo. L’incapacità di lottare contro queste ombre, questi mostri inesistenti produce ansietà, la quale a sua volta fa peggiorare e aumentare l’incapacità di agire, indebolisce il sentimento di autosufficienza: resta fermo, immobile, bloccato con il suo terrore. Questa sofferenza psicosomatica, proprio per la sua frequenza e durata nel tempo, viene interpreta non solo come una potente minaccia al suo benessere, ma aggrava ulteriormente la dimensione fobica attraverso un incalzante ed invalidante stato depressivo: scintille che infiammano ulteriormente le scarse risorse energetiche rimaste, i pochi e scarni rapporti interpersonali.

SMETTIAMOLA   DI   LITIGARE ... con il corpo


pensieri bui arrivano - brutti e negativi - quando siamo in crisi: iniziano a girare nella mente creando un vero e proprio ingorgo mentale; ci spaventano e non riuscendo a liberarcene annullano e spengono ogni cosa. Si pensa sempre che tutto andrà male. Se si ripulisce, invece, il cervello dai pensieri tossici - che fanno solo sfinire e girare a vuoto - si ritrova in tempo reale energia ed entusiasmo: si rilancia la vita; le giornate, diversamente, si susseguono banalmente correndo dietro a compiti impossibili, a cercare di essere sempre impeccabili se non perfetti, a voler cambiare le cose e la testa degli altri e correggere il passato che in qualche modo ha ferito; un modo di pensare che non solo confonde la mente ma può complicare completamente vita e salute: può essere decisivo per il vero benessere psicofisico. Ci si chiede ma perché proprio a me?sono sempre atteggiamenti che confondono e fanno avvitare su se stessi. Sono tutto sbagliato! ... giudizi di valore che schiacciano inutilmente, convinzioni rigide che creano sensi unici mentali, restare poi ancorati al passato consuma troppa energia inutilmente perché ci si aggrappa a qualcosa che non c’è più e quindi immodificabile: sono tutti atteggiamenti che limitano e bloccano le vere opportunità; i brutti pensieri invadono la mente come grosse nubi nere, rendono la vita davvero impossibile: una visione della realtà distorta e cupa, una miriade di pensieri “abusivi” orribili, fantasie ossessive che spaventano, disorientano e parlano continuamente dentro di noiNon c’è la farò mai, Impazzirò, Mi ucciderò, Farò queste brutte cose, voci insistenti di malattie, morte e violenza, ci si vede a far del male, gelosie continue e immotivate dominano l'esistenza; una mente che sfugge completamente al controllo, ha preso il sopravvento e si sta attorcigliando su se stessa; si cercano giustificazioni che innescano ulteriori “autoaccuse”; le “motivazioni” sono davvero tante: infanzia infelice, genitori autoritari, lavoro frustrante, coppia insoddisfacente; niente però aiuta a star meglio!!! 


icorda però che queste voci sono amiche, vogliono solo insegnarti ad essere più trasparente, naturale, spontaneo a osservarti senza esprimere giudizi di valore; pensieri che intossicano e bloccano la psiche: cercano continuamente di cambiare, correggere, migliorare, risolvere ogni cosa, giudicare; imitare un modello di perfezione che non ci appartiene, ma che fatica davvero! In questo modo si inquina il cervello di scorie inutili e dannose. Anche se raramente ne siamo consapevoli, in ogni situazione che viviamo il corpo dice la sua con grande saggezza. Gli stati emotivi, più o meno intensi, si depositano nel corpo. Ogni sentimento vissuto - gioia, dolore e felicità - dall’apparato cerebrale si estende in tutto l’organismo, in ogni molecola, in ogni fibra, in ogni cellula. Se l’emozione, però, viene tenuta inutilmente attiva da un costante stato di allerta e da un perenne rimuginare, si somatizza e, nel tempo, attraverso la tensione, la contrazione, l’infiammazione e poi la lesione, può diventare malattia. Quando la sensazione di essere in colpa è profondamente radicata, quando si sottopone in maniera automatica a un severo giudizio ogni azione o pensiero, non ci sono dubbi, la salute è a rischio. Spalle incurvate, sguardo spento, pelle opaca, eloquio incerto, postura contorta sono il risultato di un corpo che non piace più, spesso temuto e vissuto come un nemico, che può annientare da un momento all’altro: disturbi orribili sono in agguato. Il soggetto si preoccupa di naturali funzioni corporee, come il battito cardiaco, la sudorazione, la digestione. Può avvertire la fame preoccupante, essere facilmente disturbato da rumori interni forti ed improvvisi, provare intenso disagio al caldo o al freddo. Anormalità fisiche minori, come una piccola infiammazione, o sintomi transitori, come la tosse, possono essere interpretati quali segni di malattia. La più lieve irregolarità, proprio perché si diventa sempre più vigili con il passare del tempo, può produrre apprensione e allarmismo. Se un banale segnale fisiologico appare fonte di preoccupazione eccessiva e irragionevole per la salute, è proprio il caso di dire che ascoltare il proprio corpo sono davvero “dolori”. In questo modo il corpo spodesta la mente, non è vissuto come una “casa” comoda e accogliente ma come un rudere, un edificio diroccato: non più alleato ma un perfetto antagonista, un nemico che ci insegue e non perde occasione per minacciarci. “Quella lì non sta mai bene. Ne ha sempre una. Piove sul bagnato”. Sono tutte cose che si dicono a quelle persone che, pur non essendo malate, sono sempre avvilite e assediate da singolari sintomi: il loro corpo è intorpidito da piccoli disturbi che, proprio per la particolare insistenza, non lasciano tregua. Prende sempre più “corpo” una strana convinzione, una insistente ed assurda sensazione che il proprio “involucro” si sia indebolito e sia sul punto di contrarre una grave malattia; infezioni, ictus, leucemia, AIDS, tumore, infarto sono le patologie più temute. 


er chi soffre, questo atteggiamento dura anni e anni fino a diventare il fulcro dell’esistenza: uno stato di allerta continuo, in cui gli spettri della malattia e della morte possono esplodere all’improvviso, invadendo completamente il campo della coscienza. Si è sdraiati comodamente sul divano e un leggero formicolio al braccio rievoca immediatamente un evento funesto, porta subito al timore di avere un infarto, mentre si guarda un film una piccola fitta alla testa fa scattare il pensiero di un ictus imminente: l’attesa di un imprecisato divenire e le paure connesse scatenano dei veri e propri sintomi. Queste continue paure - oltre a mettere completamente alla corda tutti coloro che vivono accanto - risultano invalidanti, predispongono all’agitazione, destabilizzano i rapporti e, soprattutto, creano un ambiente povero di sentimenti, spento e noioso. Per chi vive tale situazione, la vita diventa un vero inferno. Una sofferenza che da alcuni, bene che vada, viene considerata una stravagante paturnia, mentre per altri, forse più “sfacciati”, è un’astuta invenzione orchestrata dal soggetto per soddisfare un suo misterioso tornaconto. Tali valutazioni, in parte dettate da rapporti conflittuali, snervanti e frustanti, sono sempre errate: in ogni gesto, se si presta la dovuta attenzione, non c’è finzione, ma traspare sempre una ingestibile sofferenza e una devastante paura. Il soggetto è terrorizzato, si fissa su una forma rara di leucemia oppure teme di essere stroncato da un morbo raro e crudele. Non è possibile raggiungere la tranquillità attraverso l’evidenza clinica perché basta un banale sintomo, spesso transitorio, per ossessionare e tormentare la mente fino a cancellare completamente i recenti referti medici; gli esami clinici non rassicurano più, dopo un apparente sollievo, ecco che si ricomincia da capo. Ben presto il sofferente diventa polemico e accusa gli specialisti, se non proprio di ciarlataneria, di non essere preso sul serio, di un parlare forbito ma ingannevole, di superficialità e di scarsa professionalità nell’affrontare il problema. Nei rapporti appare maldestro, distante e scontroso, non riesce più a concentrarsi sul lavoro per la convinzione di avere una grave patologia non diagnosticata. Gli amici, lentamente, creano attorno al soggetto un tessuto sociale arido e freddo: disdicono gli appuntamenti o non si fanno più trovare perché, a loro dire, è una “compagnia” che agita, irrita, destabilizza e annoia … meglio stare alla larga perché, a lungo andare, questi soggetti ti trascinano nel baratro!!! 


osa fare. Mai “peregrinare” su internet alla ricerca di fantomatici “santoni” e malattie bizzarre al fine di formulare una pasticciata autodiagnosi. Sarà vantaggioso, invece, evitare la consultazione di molti specialisti contemporaneamente ma cercare un “solo” professionista (cambiarlo immediatamente se si percepisce di non essere sulla stessa lunghezza d’onda) con cui sviluppare un solido rapporto di fiducia per progettare, insieme, ciascuno in base alle proprie competenze, un reale e concreto programma terapeutico ... cambiarlo immediatamente se si percepisce di non essere sulla stessa lunghezza d’onda. Non meno importante è concentrarsi sulle proprie sensazioni, i propri entusiasmi, le proprie passioni, le cose che interessano davvero e quelle che spengono le passioni, che non appartengono più ad un’esistenza felice, rendono i gesti finti, l’esistenza banale e piena di sofferenze; anche se il malessere descritto può avere alla base cause diverse non va mai dimenticato che certi traumi psichici lo possono alimentare o intensificare. L’ansia segnale sempre che qualcosa non funziona, per farci capire che è necessario interrompere una finzione, una fastidiosa recita in cui si è scivolati. Il corpo, invece, non lascia in pace perché ha qualcosa di molto importante da comunicare: costringe ad occuparsi di se stessi, perché c’è qualcosa nel quotidiano che non si sta vivendo appieno oppure che non ci appartiene.

I pensieri… SPAZZATURA


pesso nella mente ronza, ridonda senza sosta, qualcosa che non si riesce a gestire, controllare o bloccare. Il linguaggio popolare le chiama idee fisse per descrivere una mente “appesa” ad un chiodo fisso: un estenuante rimuginare di pensieri ricorrenti che dominano completamente la mente e creano grande sofferenza. I “pensieri fissi” sono caratterizzati da idee o immagini invalidanti ed invadenti che non abbandonano nemmeno per un istante la mente di una persona; il “tarlo” in questione colpisce in qualunque momento: mentre si lavora, ci si diverte, si fa l’amore, si mangia. Compaiono improvvisamente rituali ripetitivi che emergono dal bisogno imperioso di dire cose o attivare azioni per placare l’ansia e la tensione. Sono pensieri assurdi, imbarazzanti, a volte per alcuni indecenti, impropri o bizzarri che invadono senza tregua la mente e che interferiscono con quello che si sta facendo. E’ un pensiero - non scordiamolo, prodotto sempre dalla propria mente e non dai “marziani” - costantemente in agguato, irrompe all’improvviso pronto a sorprendere quando uno meno se lo aspetta: non è stato interpellato, per niente contattato, eppure si presenta puntuale come un orologio svizzero per riscuotere i “sospesi” … emotivi!!! Invade, avvelena l’esistenza, monopolizza completamente la mente e continua a scavare proprio come un ingombrante parassita: una vera e propria ossessione da cui il soggetto non riesce a liberarsi. Non si è più padroni in casa propria: la mente diventa un territorio di confine, un terreno di facile conquista. Sono i dittatori della mente che non mollano mai e si focalizzano su: soldi, gelosia, igiene, pulizia, carriera, sesso, abbigliamento, difetti fisici, invidia, salute



l “tarlo” è un meccanismo subdolo, fastidioso e strisciante che si impossessa della mente senza alcuna possibilità di appello: diffonde amarezza e inquina lentamente l’umore del vivere quotidiano. Abitualmente tale condizione mentale è riconducibile alla struttura caratteriale dell’individuo. Molto spesso i “pensieri cattivi” si nascondono nelle pieghe di una vita noiosa, priva di slancio vitale, sempre uguale a se stessa. Sono pronti lì, in agguato, per aggredire quando meno ce lo aspettiamo e per bloccare completamente le nostre potenzialità. Ogni situazione diventa una minaccia e sicura fonte di preoccupazione destabilizzante. Per evolvere, però, ha bisogno di un “terreno fertile”, idoneo a tale processo. Le idee ricorrenti, infatti, colpiscono soprattutto soggetti con tratti caratteriali “esagerati” connessi a: meticolosità, controllo, ordine, rigidità mentale, parsimoniosità, perfezionismo (vedasi i primi studi di Freud). Alcuni soggetti, perennemente spaventati, dubitano di tutto ciò che li circonda scontrandosi continuamente con i cambiamenti esistenziali; l’inevitabile mutevolezza del vivere, spesso, viene vissuta con sospetto e diffidenza. Paradossalmente sono spinti a diffidare dei propri occhi, delle proprie conoscenze o del proprio buon senso: dubitano di tutto ciò che vedono e di tutto ciò che sanno, devono controllare o eseguire continuamente estenuanti rituali. In questo modo i “tarli” diventano un vortice di energia inespressa, trattenuta e deviata in un circuito (nervoso) senza uscita. Fatto veramente curioso è che tutte le idee ricorrenti possono dissolversi di colpo e in maniera spontanea, quando viene dato spazio alla novità e, soprattutto, si è coinvolti in qualcosa di entusiasmante: un'attività piacevole e gratificante. Il corpo prende in consegna, pagando uno scotto altissimo, tutte le anomalie biochimiche cerebrali … idee fisse

uando il cervello perde la sua libertà, sotto il dominio di un padrone senza scrupoli, che blocca l’energia attraverso i pensieri ossessivi, il corpo paga aprendo la strada a vari disturbi e malattie; la mente allora bloccata nelle sue elementari espressioni può colpire: fegato, pelle, polmoni, testa, cuore, intestino, muscoli, ossa, sistema immunitario. Le idee fisse modificano in profondità le funzioni neurofisiologiche: si consumano in maniera inappropriata tutte le risorse psichiche. Quando il fenomeno dilaga nella mente, non solo modifica le funzioni biochimiche fisiologiche, ma anche tutto il mondo relazionale, i rapporti sociali si tingono di colori cupi come se le relazioni con gli altri fossero continuamente alterate e deformate da una potentissima lente di ingrandimento. Le persone affette da questo disagio tendono ad isolarsi e con l’aggravarsi dei sintomi fanno davvero fatica a lavorare e instaurare rapporti normali con gli altri.


osa fare. L’obiettivo principale della terapia consiste nell’alleviare l’ansia e, spesso, alcuni tratti depressivi, in modo tale da diminuire la frequenza dei pensieri e dei comportamenti coatti. Per gestire questi malesseri esistenziali, anestetizzare, addormentare il tarlo, comunque, è fondamentale che il soggetto si dedichi a tutte quelle cose piacevoli e gratificanti che, da tempo, ha lasciato in sospeso, ovvero realizzare quei progetti che per pigrizia o per il quieto vivere ha sempre rimandato: dare spazio ad interessi ed alle vere passioni. Tieni presente che i progetti, le scelte e le decisioni liberano sempre l’energia rimasta imprigionata nella mente. Ciò è indispensabile per togliere potere ai “tarli”, che si sono impropriamente impadroniti della mente, e dare spazio a qualcosa di gradevole che procura soddisfazione e che rende orgogliosi, perché, sicuramente, il senso della vita non è solo dovere, sacrificio, espiazione e sofferenza. Siamo sempre noi i padroni e gli artefici dei nostri atteggiamenti, dei nostri gesti, delle nostre ambizioni, delle nostre abitudini, del nostro divenire e delle nostre azioni … non i “vampiri” della mente.


ASTA lamenti continui che ridondano nel cervello, perché oltre a far rimanere bloccati nella sofferenza e restare perennemente insoddisfatti, frenano anche la creatività, producono paure e dubbi, imprigionano il talento, ostacolano la produzione di nuove idee. RICORDA, i pensieri che continuano a girare a vuoto nella testa, sempre uguali, stancano, spengono completamente la vitalità. EVITA di riempire la testa di pensieri spazzatura, che fanno solo soffrire. TOGLI l’attenzione sulle cose che non vanno perché tutto viene ingigantito e amplificato, toglie spazio alla vera felicità: avvitandosi su se stessi si priva di ossigeno la quotidianità, a ciò che fa stare bene. DEPURA la mente da parole dannose ed inutili ti porta salute, lucidità mentale ed energia, ti salva dalle relazioni sbagliate rendendo più efficace la comunicazione.

Attacco  di  panico (DAP).


l panico arriva perché ci si impone di vivere situazioni non nostre e stili di vita non propri, irrompe inatteso e devasta la psiche, per scuotere e far uscire dalla gabbia dotata di “buone intenzioni”, ma rigide ed innaturali; segnala uno spazio di scelte spontanee troppo ristretto, un vissuto pieno di regole e di doveri, in cui si inseguono modelli finti e artificiali che fanno perdere il proprio vero volto; tutti atteggiamenti che allontanano dalla naturalezza e dai veri desideri, smantellano improvvisamente la maschera del quieto vivere: le energie represse e usate male, accumulate da tempo - reclamando il loro spazio - rompono il falso equilibrio, diventano davvero esplosive, si rivoltano contro fino a diventare PANICO!!!

l Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è uno stato piuttosto complesso di disagio psichico caratterizzato dall’insorgere improvviso di angoscia acuta e incontrollabile che lascia, a dir poco, atterriti. Si presenta sulla scena in modo del tutto inaspettato, spesso senza motivi evidenti e giustificati. Assale all’improvviso con effetti devastanti sul corpo e sulla mente. Solitamente tale stato d’animo raggiunge il picco in pochi minuti e si esaurisce del tutto, o quasi, nel giro di mezz’ora circa. Gambe imbizzarrite, stomaco “stretto” in una morsa, fronte madida di sudore, iperidrosi alle mani, cuore che inizia a battere a velocità insostenibile, problemi respiratori, gola strozzata, violenti spasmi, o peggio ancora, scariche diarroiche improvvise, questa è la fenomenologia raccapricciante ed "interminabile" di chi vive tale malessere. L’esperienza, a volte, è talmente intensa che la persona può rimanere sfinita anche per alcuni giorni. Questi episodi sono vissuti come un incubo, una catastrofe imminente, tanto sono le violente sensazioni di terrore e di impotenza. Le crisi di panico accompagnano, come abbiamo appena visto, diversi sintomi psicofisici: palpitazioni, sudorazione, sensazione di soffocamento, vertigini, formicolio, rossore al viso (eritrosi), paura di perdere il controllo, cambiamenti di temperatura, senso di irrealtà, dolori al petto, paura di morire, disturbi all’apparato digerente. 


uando il panico diviene una consuetudine, fino a diventare una “paura della paura”, stravolgendo completamente la routine, il terrore di morire e la paura di impazzire costituiscono le premesse per una condizione di vita piena di limiti e di salti agli ostacoli. L’adozione di “strategie difensive” per scongiurare tale disagio conduce lentamente a una schiavitù cronica. La persona, dominata dai cosiddetti comportamenti “evitanti” finisce col trovare un minimo di pace solo all’interno delle mura di casa (prigioniera in casa sua e rassicurata solo dai riti quotidiani). Molto spesso è quell’attenzione esagerata e quell’attesa angosciosa di un attacco successivo a far sì che la condizione di panico possa ripetersi in determinate situazioni. E’ un fenomeno che spinge ad isolarsi, a temere tutto, a volte anche le terapie. Questa “gabbia protettiva invisibile” è presente nel cervello del soggetto sotto forma di una lunga lista personale di cose che si possono realizzare oppure evitare (luoghi, incontri, cene, spostarsi, cambiamenti, situazioni emotive intense, viaggiare, confronti, prove ed esami, attese). Il soggetto, quindi, dominato da questa paura, altro non può fare che fissarsi sulle solite abitudini: una vita, spesso, superficiale, piena di limiti, noiosa, ripetitiva e banale … non vive più, soffocato da se stesso. Il malessere può dipendere da un comportamento non idoneo (errato), da scelte che non appartengono alla propria personalità, da una mentalità (appresa) che condiziona in maniera negativa: conformismo e comportamenti costantemente nella norma in apparenza assicurano, ma in realtà spengono perché soffocano le vere necessità ed esigenze naturali di ogni individuo. Esprimere i propri sentimenti, esserne consapevoli, poterli sperimentare sempre in un clima “protetto” senza censurarli, è il primo passo per vivere in armonia con se stessi, evitando in tal modo quell’alternanza tra la maschera di “buone maniere” e il terrore di essere travolti dall’improvviso erompere di sentimenti che, per il quieto vivere, sono stati nascosti troppo in profondità. 



na strada che, come abbiamo sottolineato più volte, oltre a far salire l’ansia, porta lontano da se stessi e dritti ad una soffocante e opprimente frustrazione. Si entra, quindi in una spirale di paura: paura di stare male. Quando si è presi dall’ansia, si reagisce con paura, ed è proprio questa modalità reattiva che tiene in trappola.
In questo frangente il corpo si prepara ad affrontare la situazione reale (il più delle volte solo ipotizzata, pensata): gli ormoni dello stress e l’adrenalina, entrano nel flusso sanguigno del soggetto per prepararlo a sfuggire la situazione oppure a rimanere ad affrontarla. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più l’adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua, inevitabilmente, la sintomatologia (il battito cardiaco accelera, il respiro diventa affannoso, si può tremare o sudare abbondantemente). In realtà, il panico arriva quando si è lontani da se stessi, si seguono modelli di vita che non sono propri, ci si sforza di aderire a qualcosa o a piacere a qualcuno … fino a consegnare la propria vita in mano ad altri e, quindi, diventare inutili. La paura di perdere l’equilibrio, il terrore di essere inghiottiti dal vuoto, la sensazione che la terra si apre sotto i piedi trascinando giù, sono tutti stati psicofisici che chi soffre di panico conosce bene: gira come un funambolo sospeso nel vuoto, e il baratro diventa un buco nero da cui fuggire sempre e comunque, finché l’esistenza si riduce via via alla ricerca spasmodica di uno sbocco (via d’uscita) … ma non si sa bene da cosa. Emerge una vita statica, poco travolgente, caratterizzata da un tempo che non passa mai in cui la lungaggine, gli ozi (girare a vuoto), la noia e la monotonia la fanno da padroni. Una reazione che dà voce alle proprie esigenze più profonde, quel vivere che odia le abitudini, la vita pianificata e spenta. In breve, un profondo senso di inadeguatezza che, proprio perché ignorato, va a cronicizzarsi in uno stato di scontento con cui si convive o che, nelle situazioni peggiori, si tramuta in ansia, depressione o panico. Proprio per queste ragioni, alcune scuole di pensiero, ipotizzano che gli attacchi di panico siano generati da schemi mentali caratterizzati da percezioni distorte della realtà, pensieri automatici e convinzioni errate. Non sempre comunque una profonda emozione è sinonimo di attacco di panico. Quando è presente un motivo reale a giustificare l’ansia, come ad esempio affrontare una semplice situazione problematica o sostenere un esame, siamo alle prese con un timore o una paura. Per quanto possa essere sgradevole la paura è un’emozione indispensabile perché prepara in maniera adeguata, attraverso la produzioni di neurotrasmettitori, ad affrontare le difficoltà del momento.


emere il giudizio altrui, i pensieri e i legami sbagliati sono la vera causa della fragilità: bisogna "guardare" le cose in maniera diversa ... cambiare sguardo, punto di vista: concentrarsi sul presente e mai sul passato ... solo in questo modo è possibile recuperare la vera autenticità. Ci si ammala quando si perde la spontaneità, la propria immagine ... quando si fanno esperienze non in funzione con le proprie esigenze e desideri ma secondo quello che vorrebbero gli altri per noi. Il panico più lo eviti e più lo aumenti, più lo tieni sotto controllo e più ti sfugge di mano, più lo si comprime e più diventa esplosivo; se lo controlli esplode, se tenti di bloccarlo attiva un meccanismo ansiogeno devastante che si autoalimenta, spinge a vivere sempre dietro lo schermo, in sordina, dietro le quinte a fare da comparsa; alcuni tipi di ansia bloccano quando si pensa di essere ridicoli, di fare brutta figura, di essere FRAGILI: uno sguardo troppo centrato su un personaggio fasullo; è una lotta interminabile, un’opposizione continua perché si vuole offrire un’immagine perfetta, pura e senza macchia, si ha paura di vivere le situazioni in prima persona, picchi di inquietudine che emergono quando si vuole essere sempre vincenti, dimostrare di essere bravi, candidi, buoni e intelligenti a tutti i costi, di piacere a tutti; lo stato di allerta, di pericolo imminente, allora, indica che si sta andando contro mano, che si rinnega quello che si è realmente: segnala un modo di vivere forzato in cui non sono accettati i propri limiti e si mascherano le proprie debolezze; il PANICO allora interrompe un programma, una recita, una finzione in cui da tempo si è scivolati. RICORDA, dare spazio agli interessi si accende completamente la vita, investire in attività piacevoli mette sempre in moto le energie mentali giuste. Il PANICO, attraverso l’ansia, vuole che tu trovi il tuo vero percorso, esalti i tuoi gusti e il tuo unico e originale stile di vita, senza sensi di colpa.


osa fare. Il raggiungimento del benessere dipende dalla capacità di abbassare il livello d’ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questa condizione può essere raggiunta attraverso metodiche terapeutiche basate su tecniche distensive e concentrative ad orientamento psicosomatico. Con queste tecniche non solo è possibile “gestire” sensazioni ed emozioni, ma anche fermare il chiacchiericcio mentale. I metodi terapeutici distensivi (ipnosi, moxa, massaggio psicosomatico, rilassamento frazionato) non solo affrontano la sintomatologia in atto ma risultano fondamentali a livello di prevenzione. Un altro intervento qualificato sarà quello di agire sul respiro che è sempre in sintonia con le proprie emozioni spiacevoli e/o piacevoli. Una persona calma ha il respiro lento e profondo, una persona che soffre di panico, invece, respira in maniera superficiale ed accelerata, attivando in tal modo manifestazioni fisiologiche alterate ed esagerate. Agire sul respiro, pertanto, aiuta ad interrompere quel circolo vizioso che caratterizza il fenomeno panico.

IPOCONDRIA … perché aumenta il timore di ammalarsi.


n corpo (inconscio) che chiede senza sosta alla mente (coscienza) più attenzione, una trasformazione, un cambiamento, spinge ad occuparsi con più convinzione di se stessi e di essere più protagonista della propria vita; un organismo che attraverso l’ansia segnala il proprio dramma: il terrore di essere annientato … una continua allerta ma anche una grande necessità di essere al centro dell’attenzione. L’ipocondria è uno stato d’ansia invalidante che utilizza il corpo per esprimersi, paure e angosce inascoltate a cui non riesce a dar voce e a trovare altre forme espressive più vantaggiose … al corpo allora non rimane altro che avvertire del pericolo, segnalare la vera dimensione del disagio.

’ipocondria - chiamata dagli addetti ai lavori anche patofobia - è una preoccupazione esagerata ed irragionevole per il proprio stato di salute. Tale sensazione può essere scatenata da sintomi transitori di minima entità o, nei casi più gravi, senza un preciso riferimento organico. In alcune situazioni i timori e le preoccupazioni, oltre a diventare il fulcro dell’esistenza, sono talmente devastanti da ostacolare qualsiasi altra attività. La paura esagerata, la convinzione, o la preoccupazione di avere una malattia incurabile spesso può riguardare le funzioni somatiche normali: battito cardiaco, la sudorazione, sbalzi di temperatura, digestione lenta, oppure qualche alterazione fisica di scarsa importanza come ad esempio un semplice raffreddore. Il soggetto interpreta ed amplifica tutte le sensazioni fisiologiche come prova di una grave patologia: diventa sempre più vigile e con il passare del tempo questa particolare attenzione si trasforma in preoccupazione. La minima irregolarità corporea può produrre apprensione ed allarmismo. Quella reazione fisiologica percepita come sgradevole occuperebbe, man mano che passa il tempo, nel vissuto e nella fantasia dell’ipocondriaco, un rilievo sempre maggiore. E’ una storia centrata su continue ed inutili visite mediche: una relazione piena di rancori e senso di frustrazione bilaterali. A volte si sviluppa una vera e propria collusione con la “vittima” di turno, denigrando e mettendo in dubbio la professionalità dei precedenti professionisti cui si era rivolto. I soggetti che presentano questo malessere, infatti, il più delle volte, sono convinti di avere di fronte scarsa professionalità oppure di non ricevere cure adeguate. A dire il vero, però, pare che questi soggetti siano più interessati ad ottenere una diagnosi a tutti i costi piuttosto che un sollievo vero e proprio della sintomatologia in atto. A volte, invece, provano tante terapie senza seguirne realmente nessuna.



iù si diventa ansiosi più le sensazioni fisiologiche notate si allargano, creando un devastante circolo vizioso. Spesso sviluppano tratti depressivi in quanto soffrono senza riuscire a trovare, a loro dire, un trattamento valido e qualificato. Molti si adirano quando non riescono a dar sollievo alle loro sofferenze o della frustrazione scaturita dalla inequivocabile realtà diagnostica e all’impazienza degli specialisti: un vero e proprio scontro tra medico e paziente. Il fenomeno persiste nel tempo nonostante le procedure mediche diano esito negativo. Questa convinzione è talmente radicata nella mente del soggetto che resiste a qualsiasi rassicurazione da parte dei vari medici e anche di fronte a numerosi referti ed esami di laboratorio negativi. Il soggetto non riesce più a concentrarsi sul lavoro e sulla famiglia per la paura e la convinzione di avere una grave patologia non diagnosticata: naviga interrottamente su internet alla ricerca di esami ed eventuali terapie cui sottoporsi. Il malessere fisico, spesso, può essere usato per esercitare una forma di pressione o controllo sulle relazioni interpersonali (familiari, amici, ambiente sociale). Una volta che gli esami clinici non hanno rilevato anomalie fisiche i familiari potrebbero essere tentati a liquidare tali sensazioni come fisime. Da queste reazioni inizia il vero conflitto: il soggetto non compreso inizia a “peggiorare” attraverso i sintomi fisici (malattia come rifugio). 


ueste continue preoccupazioni per lo stato fisico possono creare profonde tensioni all’interno della famiglia, che spesso si stanca di ascoltare lamentele ingiustificate. I membri della famiglia, oltre ad allontanarsi dal rapporto, potrebbero risentirsi per le ore tolte al lavoro, le energie e il denaro che il soggetto investe nella preoccupazione eccessiva per la salute. Cambiare schema mentale e stile di vita è davvero faticoso; meglio restare apiagnucolaresui propri malesseri, coinvolgendo il più possibile coloro che stanno vicino, lamentandosi per sentirsi accuditi e protetti … come avveniva da bambini. In realtà è un mezzo, inconsapevole da parte del soggetto, per sfuggire - in quanto modalità regressiva socialmente consentita - ad una vita che non dà più felicità e che, purtroppo, si deve continuare a subire finché, ironia della sorte, c’è lasalute”. Paradossalmente l’ipocondriaco rischia di rimanere isolato proprio quando avrebbe maggior necessità di comprensione e di sostegno.


osa fare. La prognosi è decisamente migliore per tutti coloro che si sottopongono a un trattamento subito dopo l’insorgere dei sintomi ipocondriaci, piuttosto che inseguire ossessivamente trattamenti generici. Qualsiasi valutazione per questo disagio deve iniziare con un’indagine completa della sintomatologia allo scopo di escludere immediatamente eventuali patologie organiche. Importante sarà sviluppare un transfert positivo in modo tale che il soggetto possa desistere alla tentazione di accumulare diagnosi inutili, peregrinare da ambulatorio ad ambulatorio oppure, cosa più grave, diventar facile preda ad improvvisate fattucchiere senza scrupoli. Questo intento può essere raggiunto attraverso un calendario con scadenze regolari di visite e controlli; tale programma oltre ad avere effetto rassicurante dà la possibilità di verificare che certe condizioni non sono per niente mutate. Solo nel caso in cui emergono sintomi nuovi sarà allora necessario un’altra breve indagine. L’obiettivo della terapia, parallelamente ad indagini cliniche, dovrebbe comunque spostarsi gradualmente dalla sintomatologia manifestata verso questioni di carattere personale o sociale e alla capacità di svolgere le normali attività lavorative. I sintomi fisici sono molto comuni e solo una piccola percentuale possono causare patologie. Sarà utile, proprio perché l’ipocondriaco ha perso il contatto con il proprio corpo, insegnare i rapporti che intercorrono tra le emozioni ed i sintomi corporei, compresi i meccanismi neurofisiologici coinvolti nello stress. Far capire che prestare attenzione eccessivamente ai sintomi altro non si fa che intensificarli, proprio per i meccanismi neurofisiologici attivati da questo tipo di paura.. Altro aspetto qualificante sarà quello di insegnare tecniche terapeutiche di “distrazione” e, soprattutto, di controllo dello stress. E' utile e fondamentale chiedere un aiuto quando: non si riesce più a dormire; si hanno brutti pensieri; non si riesce a prendere una decisione; non si riesce a star soli; non si riesce ad uscire di casa … e, soprattutto, quando i rapporti sono a rischio e si diventa asfissianti.

PANICO … un’aggressione punitiva.


’attacco vuole trasformare, aprire nuovi canali energetici: spinge a realizzare i propri sogni, ad ampliare lo sguardo su nuovi mondi. Il panico nasce da un accumulo di continui divieti auto – imposti, si scatena per i troppi NO che diciamo silenziosamente a noi stessi, quando si vuole tenere tutto in pugno, si reprimono desideri ed emozioni, si mantengono rapporti sbagliati, si censura la parte istintuale che invece vuole far sentire la sua voce: si rinuncia ai tratti più preziosi e originali del proprio carattere. Niente è più inquietante dell’ascoltare un racconto fatto da chi ha vissuto un attacco di panico. Tale esperienza viene definita come un fenomeno imprevedibile, squassante, incontrollabile, inaspettato, e senza un apparente legame con eventi ansiogeni esterni. Assale a tradimento, soffoca completamente le speranze, paralizza le certezze, brucia di colpo tutte le abitudini, rompe ogni schema possibile, morde e fugge stremando completamente il soggetto. Ecco che cos’è l’attacco di panico: una doccia fredda che mette in ginocchio e manda a tappeto anche la persona più “dura”, a prescindere dalla sua reale “statura”. Irrompe all’improvviso, devasta la psiche mandando completamente in tilt tutta la “centrale operativa”. Non meno fortunato è il corpo a cui viene assegnato il compito ingrato di sbrigare le brutte faccende di “casa” con sintomi piuttosto invalidanti: oppressione al torace tachicardia, dispnea, respiro corto, mani sudate, stordimento, disturbi viscerali e sessuali, brividi, vampate di calore, forti dolori allo stomaco, impulso irresistibile alla fuga. Questo malessere colpisce a dieci anni come a settanta, indipendentemente dalla posizione sociale e dal profilo culturale.
 

hi ne è colpito ripetutamente tende ad isolarsi sempre più, a evitare luoghi, cose e persone che gli possono ricordare il momento terribile dell’attacco: una vitasenza vita”. Non solo è presente la paura di morire ma si teme, a torto, di non essere più in grado di condurre una vita normale: un evento psichico che può allontanare pericolosamente da se stessi. Dopo alcune esperienze, infatti, più o meno raccapriccianti, si comincia a vivere costantemente nell’attesa ansiosa di un altro attacco. In molti casi l’agitazione - l’energia in eccesso non espressa - fa aumentare un’incontrollabile preoccupazione per la salute o, peggio ancora, il timore di avere gravi malattie inspiegabili. Improvvisamente, tutto si trasforma in un incubo incomprensibile. L’adozione di meccanismi difensivi, per scongiurare e arginare questo fenomeno terrificante conduce, pian piano, a una schiavitù cronica: la peggiore sciagura che possa capitare. Dopo l’attacco di panico, infatti, la persona sembra aver smesso di esistere e, nel contempo, il suo unico obiettivo è quello di sopravvivere ai mille ipotetici pericoli. Chiudersi in una “gabbia protettiva” è una delle reazioni più comuni di fronte all’esperienza panica. La “gabbia mentale”, però, nel tempo, si radica a tal punto che il soggetto, qualsiasi cosa faccia, deve fare i conti con essa: “Posso andare? Cosa incontrerò? Cosa mi accadrà? Ce la farò? Ma ci riuscirò? Resterò bloccato? Sarò accettato? Chi mi porterà soccorso? Soffocherò? Chi mi salverà? Sarò in grado? E’ pericoloso?" e così, dominato da un turbinio di pensieri catastrofici, non può più scegliere ciò che gli piace, ma ciò che “può fare” rispetto alle sue reali esigenze. 


na prigionia quotidiana, cronica e frustrante, a cui il cervello, attraverso la sua tempesta ormonale dice un secco “no”. Non arriva mai per caso: trae origine e linfa dal quotidiano, da tutti gli eventi che ingabbiano l’esistenza in schemi immutabili, comprimendo e appiattendo gradualmente il mondo interiore. Dietro questo fenomeno si nasconde sempre una parte di se stessi che è stata tenuta in “letargo” o, magari, non si è saputo esprimere e valorizzare in modo adeguato. Chi segue rigidamente il modello di vita in cui è inserito rischia di non essere mai se stesso e di vedere “annichilita” la propria personalità. Per il quieto vivere, attraverso i rospi ingoiati che fanno ribollire di continuo, si crea un personaggio inquieto ed inutile, una seconda pelle che va stretta e tira da ogni parte: assale allora il timore di “perdersi”, non sapere più chi si è veramente. I meccanismi di difesa adottati, comunque, oltre a diventare dei veri carcerieri, non fanno più vivere, tolgono ogni gioia, ostacolano la realizzazione di se stessi e, soprattutto, spengono i veri desideri: una vita che non scorre più. Il panico, quindi, è la vita che non si vive più, la felicità che si nega: fa “saltare” il proprio stile di vita fittizio. Diventa una reazione “estrema”, spesso inconsapevole, caratterizzata da tanta energia prodotta e non usata, uno scontro con un sistema di vita che non è più in armonia con la propria natura profonda: sacrifici e sofferenze accumulate che, all’improvviso, si trasformano in panico. Spesso, per obblighi o per necessità, ci si trova a realizzare e a dire cose diverse dai propri desideri, cercando di fare del proprio meglio e seguendo sempre i dettami altrui, viene imprigionata, per comodità, la vera identità entro confini ben definiti, si chiudono progressivamente i propri orizzonti esistenziali; ma c’è un’energia, una tensione, un’agitazione dentro che spinge altrove, impone un cambio di rotta; assale chi ha spento la vivacità, negato il piacere e smarrito la felicità. 


n grido di ribellione ad uno stile di vita che va contro le proprie vere esigenze, cerca di smantellare, attraverso sintomi fisici e tratti depressivi, quei contesti emotivi - affettivi a tinte forti, inutili e colmi di artificiosità. L’attacco serve di monito perché, volenti o nolenti, obbliga a prestare attenzione a ciò che sta accadendo alla propria vita emotiva: a smantellare finalmente quei rapporti difficili con il mondo. In pratica, usa le maniere forti per smuovere, far uscire il soggetto dalla palude delle convenzioni, del conformismo in cui se cacciato ma, soprattutto, scuoterlo per impedirgli di soffocare la vita, spinge a cambiare atteggiamento - uscire da quel personaggio che recita di solito - per tornare ad essere felice. E’ sempre, comunque, il segno di una vitalità profonda, completamente compressa su un’identità costruita a tavolino e indossata come maschera impenetrabile.


osa fare. Le metodiche terapeutiche attivate saranno tutte rivolte a raggiungere un giusto equilibrio tra mente e corpo. Il senso di interezza, infatti, deriva sempre dall’armonia dell’intero psicosoma e tutto ciò può essere raggiunto attraverso interventi mirati come ad esempio agire su l’iperventilazione, ovvero ripristinare la funzionalità respiratoria; migliorare la respirazione riduce il flusso adrenalinico e, quindi, il timore di patologie cardiovascolari, una adeguata attività fisica, inoltre, migliora il metabolismo e il sistema linfatico di un corpo ormai alla deriva, una sana alimentazione può stabilizzare i livelli glicemici, imparare a rilassarsi, invece, è utile per sconfiggere lo spasmo muscolare cronico e, quindi, vivere in maniera più armoniosa e “aperta”. Ricorda, guardare poi questo mostro in faccia, dritto negli occhi, non gli rimane altro che scappare a gambe levate!!!

AGORAFOBIA ... la paura della “piazza”.


l termine agorafobia (agorà: nell’antica Grecia, era la piazza principale e centrale della città - luogo di mercato - posto pubblico; phobos: paura), che deriva dal greco àgoraphobos, significa letteralmente “paura dei luoghi affollati, degli spazi aperti”. Una descrizione tuttavia più appropriata del fenomeno è sicuramente quella di una reazione esagerata di paura di star lontani dalla sicurezza della propria casa. L’agorafobia, infatti, costituisce una reazione di paura inadeguata di fronte a una situazione inoffensiva. In breve, è una paura ossessiva, irreale, inappropriata e, soprattutto, irragionevole (fobia: è un complesso di sentimenti, un misto di paura, fino al terrore, e di ripugnanza sino all’orrore, nei confronti di un oggetto, di un animale, o di una situazione che di per sé normalmente non provoca questi sentimenti. Il soggetto è cosciente della anormalità del suo stato d’animo e mette in atto un comportamento di evitamento nei riguardi di quegli stimoli). Questo stato non è, quindi, controllabile dalla forza di volontà e non può essere spiegato in modo adeguato e logico. La paura, quando non diventa un fenomeno paralizzante, è un’emozione vantaggiosa e necessaria per la sopravvivenza (non è un nemico ma è nostra alleata). Essa, infatti, costituisce non solo una reazione normale, ma si rivela essenziale per l’essere umano. In realtà, essa ci permette di prendere coscienza di un pericolo, di una minaccia. Il pericolo può essere immediato come quando siamo a passeggio e sopraggiunge un veicolo nell’attimo in cui stiamo attraversando la strada. Oppure può essere anticipato, come nel caso in cui si teme un’aggressione girando in un luogo poco sicuro e fuori mano dalle forze dell’ordine. In breve, possiamo dire che la paura è strettamente collegata a una situazione concreta, specifica e perfettamente identificabile che comporta, come appena descritto, un pericolo reale vissuto nel presente o nel futuro. 


a comparsa di questa emozione permette, quindi, all’individuo di attivare alcune reazioni psicologiche (comprese quelle chimiche, ormonali) e, soprattutto, modificare il comportamento umano per far fronte al pericolo contingente. Pure l’ansia, quando non ha una connotazione negativa nel senso di tensione eccessiva e logorante, è un’esperienza abituale, indispensabile come spinta produttiva verso la realizzazione di un obiettivo, uno stimolo cioè all’azione. L’ansia è un fenomeno psichico derivante da un conflitto interno tra istinto, educazione e coscienza sociale. Non sempre si è consapevoli di questa “sensazione” interna. Le fobie potrebbero essere manifestazioni simboliche dei turbamenti interni che ne derivano. In questa dinamica, il conflitto interno è trasferito o spostato, l’individuo, quindi, sperimenta il fenomeno agorafobico come una minaccia proveniente dall’esterno. La difficoltà di misurarsi con l’esterno può portare a ignorare o a negare il conflitto. L’ansia quindi associata al conflitto viene collegata a un fattore, a un’attività o a una situazione esterni, perché più facilmente evitabili. L’agorafobia deve essere considerato come un malessere specifico, invalidante e devastante, quando ad esempio si deve attraversare da soli piazze, vie larghe o, in genere, nell’allontanarsi da un punto fisso di appoggio per inoltrarsi nello spazio aperto. L’agorafobo non teme che gli succeda qualcosa di spiacevole, ma lo dà per scontato, per certo, che dovrà affrontare inevitabilmente un’esperienza drammatica. Non possono, infatti, fermarsi in nessun luogo, far la fila, soffermarsi per un tempo indeterminato in posti particolari. Sono assillati dal pensiero: e se per qualche ragione mi sentissi male? Reagiscono a tutto ciò in modo passivo, taciturno e con comportamenti imbarazzanti. Una condizione emotiva a cui molto spesso non viene data la giusta importanza nella manifestazione agorafobica è l’umore. Tale fenomeno possiamo definirlo come stato d’animo persistente, da cui si valutano le qualità dei sentimenti e la tendenza alla stabilità o alla fluttuazione di queste qualità (allegria, tristezza, ottimismo). 


l tono dell’umore, quindi, che spazia e occupa tutta la gamma che va dalla gioia alla tristezza, influenza l’attività intellettiva, volitiva, comportamentale e fisiologica. Comprendere e distinguere i sintomi, inclusi quei meccanismi che connotano lo stato patologico, da una effimera alterazione del tono dell’umore, è fondamentale per rendersi conto quando è il momento di chiedere aiuto per se stessi o aiutare chi ci vive accanto. Da un punto di vista statistico il 60% dei pazienti fobici può essere incluso nel quadro clinico definito agorafobo. Il 90% di tale percentuale è costituita da donne, in genere sposate; pare che per il sesso maschile l’ansia, solitamente, si manifesti in modi diversi dall’agorafobia. La maggioranza degli agorafobi si ammala tra i 20 e i 30 anni, appartengono a qualsiasi strato sociale e non hanno, a volte, particolari sofferenze emotive. Cause scatenanti dell'agorafobia sono, in ordine di incidenza: malattie fisiche, situazioni familiari stressanti, perdita di una persona cara, genitori autoritari, infelici ed alcolizzati, il manifestarsi improvviso di sintomi allarmanti fuori di casa. Inoltre, non meno importanti, si riscontrano frequentemente dei problemi relazionali familiari o di coppia. Spesso tende a ipercontrollare in modo ossessivo ogni cosa, vive particolari conflittualità e, solitamente, è insoddisfatto della vita familiare. Esso ha il terrore della separazione oppure teme di non essere amato in modo adeguato o di essere, addirittura, abbandonato. Nell’agorafobia non sono sicuramente gli eventi esterni, quali che siano, a produrre una reazione di paura, ma quello che si pensa e si crede di essi. In particolar modo sono le valutazioni che facciamo circa la nostra capacità di poterli fronteggiare. 



’ansia e la paura, quindi, sono dovute a meccanismi cognitivi di valutazione e di anticipazione degli eventi … ovviamente in senso catastrofico e pessimistico! Infatti, allo stesso modo in cui una musica o un profumo fanno rivivere un ricordo che si pensava dimenticato, il pensiero di trovarci in un certo luogo o di fare qualcosa in particolare può rievocare una paura per quanto non abbiamo la piena consapevolezza della sua origine; il cambiamento biochimico, però, all’interno dell’organismo avviene realmente. Quando i pensieri “lavorano contro di noi” danno inizio ad un processo di respirazione; il respiro corto e rapido provocato dalla produzione eccessiva di adrenalina può portare all’iperventilazione). Qui comincia il calvario: si teme che la respirazione si fermi oppure di non poter respirare profondamente a causa del senso d’oppressione precordiale. Quando iperventiliamo, la sintomatologia viene esaltata al massimo, poi il ritmo cardiaco aumenta, si inizia a sudare e la mente continua a produrre pensieri terrificanti instaurando un circolo vizioso: paura - angoscia - paura, ecc., questa risposta “esagerata” è alla base dell’attacco.

sintomi più comuni. Idea che nessuno possa prestare soccorso in caso di svenimento; Stanchezza, impazienza; Tremito alle gambe; Sudorazione abbondante, pallore; Angoscia paralizzante; Ronzio forte; Stordimento; Perdita di concentrazione; Sentirsi male a poca distanza dalla meta; Paura di perdere il controllo di fronte ad estranei considerati critici e giudicanti.

ituazioni evitate e in cui l’agorafobico sperimenta ansia. Guidare l’auto nel traffico; Attraversare ponti e gallerie, entrare in un supermarket; Entrare in un grande magazzino; Salire su i mezzi pubblici; Andare al ristorante, partecipare a feste, andare al cinema; Fare la fila in posta, in banca, ecc. Stare da soli in casa.


ome abbiamo visto, certe caratteristiche dell’agorafobia sembrano proprio sfidare il senso comune o la ragione. Perché una persona apparentemente con pochi disagi emotivi, dovrebbe improvvisamente sviluppare una fobia di andare in luoghi pubblici, condurre l’automobile, andare in autobus, in treno o in ascensore? Perché essa, capace di molte cose, dovrebbe mettere a repentaglio il proprio lavoro o il proprio matrimonio o rifiutarsi di uscire di casa? E ancora, perché una persona impegnata in numerose attività dovrebbe diventare così dipendente da non poter uscire o viaggiare senza il supporto di una compagnia? Sono domande che giustamente assillano quei teorici che cercano di spiegare i disagi emotivi relativi a questa reazione devastante ed invalidante. Il problema dell’agorafobia ha attratto un’attenzione considerevole, come indicato da un ampio numero di volumi che trattano questo argomento. L’ampio approccio al problema dal punto di vista clinico comportamentale e psicoterapeutico può produrre qualche risposta a questo nebuloso enigma. Perché i sintomi agorafobici tendono ad apparire dopo l’età di vent’anni, dal momento che la maggior parte di questi disagi si origina nell’infanzia? Si suppone che alcuni individui abbiano una “predisposizione” … i fattori predisponenti sono definiti come le caratteristiche di un individuo che lo rendono più suscettibile di un altro a sviluppare un problema fobico.


a presenza, tuttavia, di uno o più fattori predisponenti - vulnerabilità biologica, influenza familiare, personalità - non costituisce una garanzia di sviluppo del disturbo ma aumenta il rischio che esso ne sia colpito dall’agorafobia che non si esprime fino a quando un cambiamento di circostanze non la attivi. Alcuni autori hanno postulato, infatti, che questi soggetti non hanno un “armamento psicologico” adeguato per far fronte a queste reazioni agorafobiche. E’ stato anche ipotizzato che queste persone per tutta la loro vita si siano preoccupate della loro salute o capacità di gestire l’agitazione o gli sconvolgimenti emotivi, ma siano riuscite a mantenere l’equilibrio finché hanno avuto la disponibilità di una o più figure protettive: genitori, amici, coetanei, marito, moglie. Molte di queste persone hanno una storia d’ansia da separazione risalente alla prima infanzia. Così, un prolungato distacco dalla propria casa può rimuovere questo sostegno e far sperimentare al soggetto episodi agorafobici. Analogamente la rottura di un rapporto matrimoniale mette a repentaglio la disponibilità di una persona di sostegno. La nascita di un bambino, la perdita di una figura cara molto importante attraverso la separazione o la morte, un aumento di responsabilità a casa o al lavoro, tutto ciò può provocare o, meglio, far precipitare i sintomi agorafobici. L’aumento di responsabilità rappresenta una minaccia per il paziente, poiché egli crede, a torto, che se si comporterà inadeguatamente potranno esserci conseguenze disastrose è accompagnato da una profonda disistima. Pertanto, la sfiducia in se stesso può essere minacciata dalle aspettative e aumentata dall’allontanamento di un sostegno sociale. Paradossalmente, in un scenario tipico, l’individuo si percepisce come represso da un’altra persona da cui egli dipende per l’appoggio sociale e interpersonale. 



gli attribuisce una grande importanza al proprio – per quanto malfermo – senso di autocontrollo e competenza, ma il dominio di un’altra persona tende a erodere la sua fiducia nelle proprie capacità di funzionare adeguatamente su una base di indipendenza. Poiché le nuove richieste e responsabilità sono viste come cruciali, può tornare ovvero regredire a uno stadio precedente di dipendenza. Si sente più minacciato da problemi esterni e interni, e fa sempre più affidamento sulle figure di sostegno per avere un aiuto nel fronteggiare questi pericoli. Il futuro agorafobico inizia comunemente a percepire una varietà di possibili pericoli nel mondo “esterno”: per esempio, perdita del controllo dell’automobile, rimanere imbottigliato nel traffico, restare incastrato in una porta girevole, essere calpestato dalla folla: pericoli che assomigliano alle paure relativamente realistiche dei bambini piccoli. Queste paure si accumulano e si espandono, finché alla fine quasi ogni stadio del processo dell’andare a far spesa o in un altro luogo fuori di casa diventa un grave problema. Il risultato è che l’individuo percepisce se stesso come sempre più vulnerabile man mano che passa attraverso ognuna di queste fasi:

1. Percepisce un numero illimitato di opportunità di essere immobilizzato, umiliato, annientato, soffocato o attaccato, non può fare affidamento su nessuna difesa contro questi “pericoli” esterni;

2. Le reazioni riflesse automatiche producono sintomi che fanno pensare a gravi disturbi interni: attacco cardiaco, momenti di mancamento. L’individuo non ha modo di difendersi da questi attacchi “interni”;

3. Il soggetto prova una sensazione di “cattivo funzionamento” e un calo di competenza. Crede di non poter controllare l’automobile, mantenere il proprio equilibrio, comunicare oralmente con altre persone senza bloccarsi o balbettare, e così via;

4. La perdita del controllo sulle reazioni alla minaccia rinforza il concetto di essere vittima di forze interne ed esterne su cui non ha nessun controllo;

5. Questa perdita della sensazione di competenza insieme alla paura del “disturbo interno” conduce il soggetto a cercare aiuto da una figura protettiva;

6. L’ansia intensa provata nella situazione minacciosa - negozio, supermercato, strade, cavalcavia - può crescere fino a sfociare in un attacco devastante e incontrollato. In ogni caso, la forte ansia innesca un forte desiderio di fuggire dalla situazione e ritornare a un rifugio sicuro, generalmente casa;

7. La casa o un rifugio equivalente, rappresenta la sicurezza dal pericolo esterno. L’individuo prova una forte resistenza ad avventurarsi di nuovo fuori, e generalmente prova ansia se lascia casa;

8. Le inibizioni multiple, le tendenze alla sottomissione e le autovalutazioni negative indeboliscono la fiducia in sé e conducono così allo squilibrio nelle relazioni interpersonali, a un ulteriore senso di inadeguatezza e, infine, alla sensazione di essere in trappola e dominato dalle altre persone.


an mano che l’agorafobico si avvicina alla situazione fobica, si “rinchiude” in un set di vulnerabilità: un’anticipazione delle afflizioni che gli capiteranno. E’ preoccupato per la possibilità di un improvviso, parossistico e incontrollabile disturbo interno. Prima di entrare nella situazione, egli considera questo stato di agitazione come indicativo di un grave disturbo fisico, comportamentale o psichico. Quando si trova nella situazione, tuttavia, crede di sviluppare un serio malanno. Qual è la “causa” dello stato di attivazione neurofisiologico? Secondo le mie osservazioni dirette, sembra sia basata sulla convinzione dell’individuo - quando è solo - di essere vulnerabile a improvvisi disturbi medici, mentali ed emotivi. Egli crede che a questi disturbi potrebbe porre rimedio se avesse un pronto e libero accesso a un luogo sicuro, come la sua casa, un medico o un ospedale. Perciò sensazioni somatiche relativamente poco importanti che fanno pensare ad un malore, possono essere messe a tacere o ignorate se esiste la possibilità di ricevere assistenza. Se è lontano o gli viene impedito l’accesso a tale assistenza, il soggetto può non riuscire ad ignorare questi sintomi somatici come segnali di disastro incombente, accresce la paura di una grave disgrazia. L’aumento della paura conduce all’ansia e alle sue concomitanti che possono ulteriormente accrescere i sintomi somatici, si instaura così un circolo vizioso. Infine, le difficoltà di pensiero impediscono al soggetto di usare le sue capacità di ragionamento per negare le paure esagerate. Un individuo che sta per entrare nella situazione agorafobica, dunque, si muove secondo i seguenti principi:

Un disastro che incombe su di me può colpirmi in qualsiasi momento”.

Non c’è nulla che io possa fare per schivarlo o mitigarlo”.

Se potessi ricorrere a un esperto o a un aiuto (amico), potrei allontanare o ridurre le terribili conseguenze”.

Qualsiasi sensazione particolare (dolore toracico o addominale) può essere un segno di questo fatale stato”.

Se il processo non è bloccato, può accelerare fino al disastro finale”.


erché dei luoghi o situazioni specifiche sembrano innescare gli attacchi? Un fattore evidente sembra essere rappresentato dal fatto che tali luoghi o situazioni bloccano l’accesso alla casa o alla figura protettiva. Negozi affollati interferiscono con la mobilità. Andare in treno, su una superstrada o in una galleria blocca l’accesso libero all’aiuto di emergenza. Analogamente, l’impossibilità di raggiungere l’uscita in un ristorante affollato o in un teatro impedisce la fuga verso un rifugio sicuro e l’aiuto. La parola chiave in queste situazioni è “intrappolato”. L’altro possibile fattore più importante è che ognuna di queste situazioni è percepita come pericolosa in se stessa. Così, la persona che sta dirigendosi verso una situazione “agorafobica” specifica, come un centro commerciale chiuso o un supermercato, incontra una varietà di potenziali pericoli nel tragitto: sia il corpo sia la mente si preparano e anticipano situazioni che non si verificheranno mai. Può andare fuori strada con l’auto o investire un pedone, perdersi, essere investita da un’auto mentre attraversa la strada o soffocare in un tunnel della metropolitana. Inoltre, le gallerie e i ponti possono crollare, gli autobus possono avere incidenti e gli ascensori bloccarsi. I “pericoli” quando l’individuo entra nella situazione agorafobica sono meno evidenti. I negozi affollati interferiscono con la libertà di movimento e limitano la libertà di fuga e di accesso al soccorso. I piani affollati possono produrre la sensazione di essere circondati e soffocati che, a sua volta, può condurre la persona all’iperventilazione e, così, a presentare certi sintomi: vertigini, formicolio, associati con uno stato panico. D’altro canto, gli spazi cavernosi, le ampie aperture delle grandi finestre, gli angoli poco conosciuti, le linee geometriche convergenti, possono innescare sintomi ansiogeni associati con percezione profonde, i cosiddetti “riflessi otticocinetici”. 


uesta reazione, presente soltanto in alcuni soggetti agorafobici, è osservata più chiaramente in ampie costruzioni a volta, come gli auditori, e in piazze pubbliche. Così l’individuo ipersensibile ai confini esterni è preso tra la paura di essere costretto alla mancanza di spazio per muoversi, da un lato, e dall’altro, di perdersi in spazi sconfinati. In più, oltre al problema di troppo o poco spazio, può temere di inciampare e cadere dalla scala mobile, di saltare giù dalla tromba delle scale, di cadere dalle ampie finestre del piano più alto del grande magazzino. L’agorafobico è tipicamente preoccupato della libertà di movimento e del libero accesso all’eventuale soccorso. Tuttavia, paradossalmente, una delle sue caratteristiche di reazione comportamentale implica l’immobilità. Il soggetto si sente debole e impotente e teme di svenire. Quando ciò avviene, questa risposta di immobilità parasimpatica rende la situazione fobica perfino più minacciosa poiché la risposta comportamentale interferisce ulteriormente con la libertà di azione. In molti casi tuttavia, l’impulso di fuggire è così forte da vincere questa sensazione di debolezza. La mobilità ha un significato che va al di là del fornire un meccanismo per la fuga e un antidoto alla debolezza. L’agorafobico attribuisce un valore alla mobilità in se stessa: la libertà, l’autodeterminazione, l’individualità. Qualunque limitazione da parte di oggetti animati o inanimati lo fa sentire in trappola, immobilizzato. Questi individui a volte presentano fantasie di completa libertà, per esempio volare in aria. Alcune donne agorafobiche, riportano fantasie “involontarie” di flagranti scappatelle sessuali. Possiamo ipotizzare che la paura di perdere il controllo, così prevalente nei soggetti agorafobici, è dovuta, in parte, al riconoscimento di un impulso a rompere le regole di comportamenti convenzionali: urlare, agire in modo folle, commettere atti distruttivi. Il conflitto dell’agorafobico, quindi, sembra ruotare intorno a problemi di dipendenza, autonomia e controllo. 


a una parte, poiché crede di non poter fronteggiare i pericoli del mondo esterno da solo, è spinto a ottenere aiuto da una “figura protettiva”. Dall’altra parte, cercare aiuto può condurre a cedere la propria indipendenza a un'altra persona. Avendo “bisogno” di un’altra persona, ha una minor pretesa di libertà, di esercizio dell’individualità e di affermazione dei propri diritti. Gli agorafobici, con una certa frequenza, sono presi in una complessa interazione coniugale. Desiderano ricevere appoggio dal coniuge ed essere liberi e autonomi. Una tale relazione coniugale vischiosa – simbiosi - tende ad avere diversi effetti. Primo, l’espressione di autonomia è inibita per via del timore della separazione che potrebbe minacciare la possibilità del soggetto di avere accanto il coniuge a cui richiedere l’aiuto necessario. Inoltre, il coniuge può usare la propria posizione di figura protettrice per dominare il compagno agorafobico, per promuovere i propri obiettivi e per umiliarlo. Il risultato di queste relazioni non paritarie è di ridurre la fiducia in sé e renderlo sempre più dipendente. In secondo luogo, le strategie di sottomissione del soggetto non solo lo fanno sentire meno efficace ma gli stimolano una sensazione di sfida impotente. Egli è preso quindi in un conflitto tra il desiderare di compiacere la figura protettrice e di ribellarsi.


osa fare. Certo l’ansia si può curare, ma è molto meglio prevenirla e cioè adoperarsi affinché essa tanto utile all’uomo, non abbia a trasformarsi in forma patologica che, come è stato più volte sottolineato, è invece motivo di comportamenti anormali e di grande sofferenza (agorafobia). Quando la prevenzione non è possibile e l’ansia ha raggiunto valori incontrollabili, per combatterla, possiamo ricorrere alla psicoterapia e al rilassamento. Le strategie terapeutiche, offerte dalle psicoterapie più accreditate, spaziano da quella cognitiva - comportamentale a quella psicoanalitica. Nel trattamento di questo disagio, risulta utile, proprio per le sue manifestazioni specifiche che coinvolgono mente e corpo, applicare programmi terapeutici che combinano insieme varie metodiche terapeutiche ad indirizzo psicosomatico: il corpo e la psiche sono sempre un tutt’uno indivisibile. Se lo stato d’animo è alto, aumenta la sicurezza e la fiducia in se stessi, ma anche fisicamente ci si sente meglio. La cattiva salute, la sofferenza biologica può avere ripercussioni anche gravi sull’equilibrio emotivo. L’aspetto fondamentale del programma terapeutico è che non ci si deve assolutamente concentrare solo su un unico tratto agorafobico: l’esperienza fobica e le sue manifestazioni secondarie, ovvero depressione, ansia, etilismo, iperventilazione devono essere prese in esame contemporaneamente e non separatamente. Ogni psicoterapia, a prescindere dall’indirizzo scientifico, raggiunge gli scopi prefissati quando il soggetto ha raggiunto un buon livello di autostima in modo tale da essere in grado di modificare il proprio immaginario, gli schemi mentali, i pensieri e, di conseguenza, i propri stili di vita. Tempi brevi e risultati più evidenti si ottengono con metodiche ad indirizzo psicosomatico che oltre ad avere una concezione olistica del disturbo, si basa sulla riformulazione della propria visione del “mondo” e sul raggiungimento di atteggiamenti meno rigidi e, quindi, più adattivi. In questa visione l’ansia è considerata come il risultato di precedenti esperienze - espresse anche con il linguaggio corporeo - particolarmente negative che hanno portato a convinzioni “irreali” su di sé, sugli altri e nei rapporti interpersonali. Tali convincimenti saranno ristrutturati in maniera più realistica durante il percorso psicoterapico. Il più delle volte, momenti di stasi o ricadute, generalmente temporanei, sono parte integrante del processo terapeutico globale di miglioramento. In realtà, queste ricadute potrebbero indicare al soggetto che, proprio per porre fine il più velocemente possibile a questa sofferenza e uscire da questo disagio devastante, sta pretendendo troppo da se stesso: risulta indispensabile, quindi, procedere in maniera più riflessiva e con più calma … non bisogna mai mettere in “cantiere”, soprattutto con le fobie, troppe cose contemporaneamente!!! 


oiché l’ansia è sempre accompagnata da un’elevata tensione muscolare, ne consegue che essa può essere eliminata se si raggiunge un buon rilassamento. Mentre le psicoterapie cercano di risolvere il problema dell’ansia puntando sui suoi aspetti emotivi, le tecniche di rilassamento sono invece incentrate sulla componente fisica dell’ansia ovvero l’angoscia: ansia somatizzata. Le principali tecniche distensive sono particolarmente utili ed efficaci in questa affezione, in quanto sono realizzate seguendo varie forme di rilassamento progressivo dei distretti corporei e poi del sistema vascolare. La tecnica di visualizzazione consiste nel suggerire al soggetto a immaginare situazioni visive. Ottenuto il massimo rilassamento, l’individuo viene guidato ad immaginare uno scenario proposto su cui sviluppare temi e situazioni in base al suo vissuto e alla sua personalità. Possono venire utilizzati temi rilassanti e distensivi, situazioni conflittuali da cui si riesce ad uscire in modo costruttivo e positivo, problematiche personali che vengono tranquillamente risolte. I programmi terapeutici che vantano “maggior successo” combinano assieme metodiche psicoterapiche, distensive e tecniche respiratorie: abbassano e mantengono bassi i livelli d’ansia evitando, quindi, un ulteriore squilibrio chimico all’interno dell’organismo. Si può ottenere un buon controllo dell’ansia anche mediante la regolazione del ritmo respiratorio. Infatti, respirare in eccesso significa modificare questa funzione naturale in modo rapido o superficiale, con il conseguente abbassamento dei livelli di anidride carbonica nel sangue. Questo induce un senso di vertigine, svenimento, stordimento, formicolio alle mani, piedi e viso, spasmi a mani e piedi, tensione a livello del torace. Tale fenomeno, infatti, produce una reazione a catena di eventi fisiologici che alterano tutte le funzioni dell’organismo; inoltre, col respiro superficiale si utilizza solo una piccola parte della capacità polmonare, sintomi: difficoltà di parola, esperienza di stordimento, palpitazioni fame d’aria, gola secca

iperventilazione può essere determinata da qualunque cosa possa impedire l’espansione del torace, postura non corretta, contrazione e tensioni muscolari, naso chiuso, asma, tosse secca, ansia. Gli effetti dell’iperventilazione - eccesso di respirazione rispetto al fabbisogno dell’organismo - sono, con l’allenamento e con l’aiuto di un esperto, di gran lunga facili da ridurre, imparando a respirare lentamente e profondamente. Ogniqualvolta si presentano sintomi inspiegabili, dovrebbe essere presa in considerazione l’eventualità di un eccesso di respirazione cronica. Usando le tecniche di gestione acquisite, inoltre, si sarà in grado di prevenire il ritorno del disturbo agorafobico. Ricorda, le paure segnalano, avvisano l’inizio di un percorso non proprio vantaggioso: fanno cadere i luoghi comuni e le maschere … una reazione fisiologica che segnala la presenza di un pericolo anche quando non è per niente drammatico.

Gli ostacoli EMOTIVI come superarli.


l primo evidente segnale di malessere psicosomatico è l’indecisione e l’inattività. Tutti nella vita, in qualche modo, hanno sperimentano il senso di indecisione. Chi è calato continuamente in una dimensione di sofferenza emotiva, purtroppo, è un indeciso cronico. Rimugina gli stessi problemi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana e in certi casi per anni e anni: consumato, a dir poco, dal dubbio. Amleto, come sappiamo, è il caso classico. L’indecisione, naturalmente, implica la tendenza a procrastinare, ovvero differisce la soddisfazione dei bisogni e crea, nel contempo, profonde frustrazioni. E’ uno stato mentale di insicurezza sulla natura di un evento che dovrà avvenire, oppure di dubbio fra due o più ipotesi di scelta. A volte, tale comportamento, può essere positivo in quanto spinge il soggetto a piccole pause di riflessioni e di prudenza per poi intraprendere brillantemente un’azione più ponderata e magari più sentita, ma anche negativa perché indugiare continuamente porta a bloccarsi, ad una fase di stallo, cioè a non agire, non fare esperienza e, quindi, a non conoscere: si creano situazioni di evitamento, un atteggiamento fatto apposta per non scegliere e ovviamente non rischiare nulla. Anche il timore di sbagliare crea immobilismo, si chiedono mille consigli per poi ritrovarsi più dubbiosi di prima: il risultato è quello di non muovere un passo. Non agire significa sognare ad occhi aperti, e questo incrina il rapporto con la realtà, la concentrazione, la capacità di operare e di essere completamente attivi. In aggiunta a tutto ciò emerge, inevitabilmente, un senso di inadeguatezza che deriva dal non poter appagare i bisogni e risolvere con una certa soddisfazione gli impegni quotidiani: si diventa ostili e si aggredisce la gente per questo senso di disagio interiore. Ben presto si passa più tempo pensando a ciò che manca piuttosto a ciò che si ha.


nche l’ostilità è un sentimento piuttosto comune nel malessere emotivo, perché viviamo in una società altamente competitiva. Si gareggia sempre in maniera confusa e contraddittoria per qualcosa: diplomi, impieghi, condizioni sociali, compagni sessuali, posti di parcheggio e così via. Non dobbiamo dimenticare che un individuo ostile è un arrabbiato cronico, costantemente critico verso se stesso e gli altri. In breve, è un sentimento di avversione dichiarata o latente verso il prossimo, che può esprimersi in reazioni premeditate o improvvise, di solito proprio per ragioni di antagonismo, pregiudizio, inimicizia. Questo sentimento scaturisce, quasi sempre, da una sensazione di profonda scontentezza oppure di totale dipendenza. Quando si è scontenti, infatti, nasce per reazione un senso di rabbia che spinge all’aggressività. Si diventa allora ostili verso tutti quelli che hanno raggiunto o realizzato i loro obiettivi nella vita. Anche un rapporto di totale dipendenza può far esplodere sentimenti di violenza: è talmente stretto il rapporto interpersonale che impedisce di esprimersi, di essere autonomi ma, soprattutto, di vivere in maniera libera e spontanea. Il senso di colpa, inoltre, che spesso è il risultato dell’ostilità e dell’insuccesso, è un altro segnale del malessere emotivo. La sua più comune espressione è il costante chiedere scusa. Chi è controllato da questa emozione chiede sempre scusa con molta educazione e convinzione, non solo quando è opportuno ma anche quando è fuori luogo. E’ un’emozione conseguente alla convinzione di aver violato una regola. Quando la sensazione di colpa si radica dentro la persona fino a diventare una risposta automatica ogni volta che si pensa di aver infranto una norma personale o sociale anche solo col pensiero, la salute psicofisica, da un punto di vista biochimico, sta correndo un grosso rischio. L’attività lavorativa diventa un peso intollerabile, il desiderio sessuale si spegne. Ci si cala in una dimensione di penosi vissuti, di inadeguatezza, incapacità e fallimento, dovuti alla sensazione, appunto, di aver disatteso le proprie aspettative e quelle altrui: l’umore crolla e la depressione affiora rendendo difficoltosa qualsiasi azione. 


e somatizzazioni determinate dai sensi di colpa possono coinvolgere il sistema immunitario, la pelle (vitiligine), ossa (periartrite, artrite reumatoide), capelli (alopecia), intestino (colite). In realtà, alcune parti del corpo esprimono il turbamento dello stato emotivo. Per alcuni è la testa (cefalea), per altri lo stomaco (ulcera, gastrite), per altri ancora la schiena (scogliosi, lombosciatalgia). Ma la somatizzazione più frequente, che non sempre è riconosciuta come tale, è la stanchezza. Ci sono molte ovvie, logiche ragioni per diagnosticare la stanchezza come il risultato di un superlavoro. Ma il fatto è che la fatica è anche indice di eccessiva resistenza, di risentimento, di indecisione e, soprattutto, di un continuo rimuginare a vuoto. I pensieri fissi invalidanti possono essere stimolati o influenzati da relazioni sbagliate, da un lavoro non gradito, da litigi interminabili, da rapporti conflittuali e complicati (fattori scatenanti del momento); si nutrono comunque, sempre, di emozioni MAL vissute; ma la vera palude mentale, i veri pesi mentali, il vero problema di questa “prigione”, del “tunnel” infinito, del “girare a vuoto”, dei “chiodi fissi” è il nostro modo di pensare, le nostre convinzioni, i nostri schemi mentali adottati che non ci permettono di ascoltare le nostre necessità, le nostre vere esigenze, cosa si vuole veramente; la nostra sofferenza parte da qui, dal nostra atteggiamento mentale, da un modo divederele cose fatto esclusivamente di rinunce, imposizioni, timori, confronti, abitudini, noia, paragoni, sottomissione, paure, apatia, rigidità. Ricorda, che lasciandoti andare libererai la mente, così la testa troppo vigile e piena di pensieri costanti, finalmente, sarà più leggerae spontanea: penserai poco ma sentirai di più.

Disturbo  d'ANSIA GENERALIZZATA  (GAD).


hi soffre di questo disturbo cronico vive in uno stato continuo di tensione, previsioni che creano apprensione, si pensa possa capitare qualcosa di terribile. Soffrono costantemente di qualsiasi cosa: salute, famiglia, lavoro, rapporto affettivo, timore per la situazione economica; preoccupazioni persistenti ed eccessive. Sono dei "campioni" a produrre sintomi davvero originali, sia fisici sia psicologici, temono di perdere nell'immediato il controllo. Lamentano costantemente tensioni muscolari o cefalea. Possono entrare facilmente in iperventilazione con la sensazione sgradevole di soffocare, hanno notevole difficoltà a prendere sonno di notte. La difficoltà respiratoria determina formicolii diffusi nelle estremità del corpo, con vertigini, sudorazione, palpitazioni, minzioni frequenti e secchezza della bocca. Difficilmente si trovano a proprio agio, rilassati nelle situazioni sociali e lavorative; sono sempre irrequieti ed affaticati, nel tempo possono sviluppare un quadro clinico depressivo e diventare ipocondriaci. E' un disturbo che compromette la qualità della vita dei soggetti che ne sono affetti, può minare la stabilità emotiva e i rapporti interpersonali sono disastrosi. A volte si isolano completamente dall'ambiente lavorativo e familiare, facilitando l'apertura in tal modo all'uso di alcol, farmaci o di droghe, diventano improduttivi. Un copione psichico e fisico che non si discosta di molto dalle altre affezioni in cui domina l'ansia.

Spazza via i brutti pensieri … è facile.

 tarli mentali sono il prodotto di un’esistenza troppo abitudinaria e troppo spenta stimolano le parti più profonde ad uscire e mettere tutto in discussione; una mente sconvolta e confusa da pensieri angoscianti che impediscono di conformarsi ad uno stile di vita troppo “razionale”, molto diverso da quello che sono i propri desideri più veri: una mente che vuole essere ascoltata. Tieni presente che la rigidità e l'autocontrollo limitano lo spirito di adattamento e rendono la vita immobile e banale.  Un corpo che si ribella, chiede più attenzione; non sono segnali di pericolo ma un corpo che chiama, vuole trasformarsi: chiede di vivere. In questo momento di crisi è facile incontrare persone che si perdono nel labirinto delle lamentele e dell’inquietudine: le azioni diventano faticose, confuse e poco efficaci. Rassegnate, stanche e svogliate si fanno “catturare” dalla rabbia, dal rancore e dai sentimenti negativi. Molti sono gli argomenti e i timori reali che spesso - a ragione - oltre a causare una montagna di stress, fanno arrabbiare, perdere lucidità e concentrazione. Ad ogni conversazione, gli animi si surriscaldano, ma poi, dopo il commiato, tutto passa, ogni cosa si risolve: non resta alcuna traccia emotiva del dibattito. Ma può anche accadere che la mente sotto la spinta di frustrazioni molto forti reagisca cedendo a pensieri bizzarri e a gesti “strani” che creano un senso di disagio, di tensione e di disperazione: i piccoli o grandi rancori si fanno sentire generando un flusso d’ansia continuo. 


apita a tutti di assistere al fallimento di un proprio progetto particolarmente desiderato e inseguito da tempo. E’ vero, si resta molto male ma prima o poi si riparte con forze inaspettate. Per alcune persone, invece, quel senso di fallimento non giunge dopo una situazione negativa, ma è presente da molto tempo prima. Un ciarpame mentale di nessun valore pratico e pensieri inutili dominavano già la loro vita: Non valgo niente, Sono un fallito, Nessuno mi considera, Non so mai impormi, Sono timido, Faccio sempre gli stessi errori, Non so resistere alle tentazioni, Sono un incapace, Sono troppo fragile, Non ci riuscirò mai, Tutti mi fregano, Sono preda della sfortuna, Non combino mai niente di buono, Ormai è tardi per cambiare, Non sono all’altezza, Attiro sempre persone sbagliate”. Uno stato emotivo forte che rimanendo perennemente sullo sfondo esistenziale lacera, butta giù e sminuisce completamente ogni cosa perché mette in primo piano solo fallimenti, sconfitte, insuccessi o incapacità. Opinioni ostinate che infondono nervosismo, impongono ruoli e comportamenti “innaturali”, il più delle volte per raggiungere mete che in fondo in fondo non interessano nemmeno, ma cui si aspira per fare bella figura con gli altri. Non è la mole di lavoro che crea un senso di vuoto e di stanchezza, ma il fatto che non si è in contatto diretto con se stessi, si è assenti completamente in ogni attività, sembra sempre che sia di qualcun altro: ecco perché non ci si appassiona nel fare le cose! Una convinzione profonda che ogni cosa non debba andare per il verso giusto, di essere sempre nel luogo e nel momento sbagliato, che la vita sia una valle di lacrime, triste e grigia, di non aver nessun valore, di non essere all’altezza dei vari compiti e di non meritare apprezzamenti: di sentirsi sempre sospesi, incompleti e senza pace.

 

rrivano così, all’improvviso, pensieri terribili e bui che spaventano, e in quel preciso momento tutto si spegne: la vita diventa faticosa e non piace più, l’unica speranza - ogni sera prima di coricarsi - è che arrivi il “sonno” definitivo. Immersi in un’atmosfera mentale piena di desideri inappagati, aspettative deluse e doveri imposti, prosciughiamo completamente tutta l’energia per gestire questo malessere invisibile e invadente: girando a vuoto si diventa ipersensibili, irritabili e insofferenti al punto che tutto infastidisce. Il confronto con gli altri è costante e una profonda sfiducia nelle capacità operative relega il personaggio, ancor prima di entrare in scena, in una posizione di perdente. Cambiare è davvero difficile se si pretende di partire da “fuori”; la soluzione non viene mai dall’esterno ma dal modo con cui si guardano le cose: starò bene solo quando diventerò più sicuro di me, quando guadagnerò più soldi, comprerò l’auto nuova, la casa o il vestito nuovo, quando il partner cambierà, quando avrò un taglio di capelli all’ultimo grido, quando incontrerò la persona giusta, quando avrò sistemato il matrimonio, quando, e ancora quando… MA QUANDO”. Se ci si fissa per troppo tempo su obiettivi e desideri che non si realizzano mai perché fuori tempo, non reali, passati o ancora da venire, si manda completamente in tilt la “centralina”: il cervello. Ripetendo sempre le stesse esperienze, le stesse situazioni e i soliti percorsi obbligati, tutto lo spazio mentale si ingombra. La mente per non impaludarsi deve scorrere e fluire liberamente, altrimenti è costretta a cercare spiegazioni nel passato e nel futuro: tiene in vita, con il suo cicaleccio, gli stessi problemi. 



ominati dall’indecisione e dalla sensazione che non cambi mai niente, si creano le fondamenta della disistima e dell’infelicità: paura del fallimento, insicurezza, delusione, inadeguatezza; tensione muscolare cronica, soprattutto cervicale, tensione psichica alternata a crolli di stanchezza e cali di umore: una percezione distorta che conduce direttamente allo sfinimento, all’astenia e alla depressione. La tendenza a ruminare pensieri immette direttamente su un percorso parallelo in cui non c’è spazio per la realtà, l’azione e la sorpresa, incontro: uno scenario sempre uguale che solo a tratti si anima di tanto in tanto piccoli bagliori di felicità. Molto spesso ci si ritrova spompati, stanchi e privi di risorse, senza nemmeno sapere il perché; l’atmosfera mentale in cui si è calati, a lungo andare, influisce sulla chimica del cervello e, quindi, sulle condizioni fisiche. Quando si è ripetitivi e rigidi lo sguardo si riduce, e con esso il campo d’azione: gli orizzonti sfumano, le opportunità svaniscono e le soluzioni si restringono. Concentrarsi invece sulle proprie sensazioni, essere presenti a se stessi, senza farsi fagocitare di continuo dai “chiodi fissi”, dal passato e dal futuro, si fa pulizia e si spazza via le ragnatele dalla mente. Non essendo più vincolati alle aspettative, non solo diminuisce la fatica e aumenta l’energia, ma si esce dalla crisi, si fa spazio alla lucidità e il senso di vitalità non tarderà ad arrivare. Cambiare visione, vedere in più direzioni - osservare se stessi senza giudizi e commenti - aiuta il cambiamento interiore e ad essere più aperti a possibilità sconosciute: spinge a progredire, a ricercare, a essere svegli e ricettivi, si sottrae la mente all’appiattimento e alla routine. La soluzione per superare i “brutti pensieri” consiste nel guardarsi dentro senza barare né fingere: solo così l’energia sprecata per gestire i troppi pensieri inutili sarà disponibile per il cervello che torna nuovo: con le mosse giuste è davvero possibile rompere l’incantesimo.


iamo di fronte ad una mente che vuole incasellare tutto; i pensieri insistenti - ridondanti, sempre uguali e stancanti - che dimorano dentro ogni persona, oltre ad influenzare lo “spazio” interno, stati emotivi, sensazioni, possono accendere o spegnere completamente creatività e vitalità; una mente bloccata da “tarli” mentali - confronti, ripetitività, modi di dire, rigidità, luoghi comuni, vittimismo - oltre ad usare male le proprie risorse energetiche, gira a vuoto e ostacola la creatività: smettendo di rimuginare si sblocca la mente e la vitalità.

ICORDA, il massaggio psicosomatico non solo stimola e cura il corpo ma porta anche numerosi benefici alla mente: allontana ansia, depressione e stress, rinforza la circolazione sanguigna, aiuta le funzioni intestinali, fa diventare più armoniosi nei movimenti, migliora la cute, calma la tensione muscolare; mentre con gli oli essenziali giusti è davvero un tocco di salute: Lavanda (analgesico, antinfiammatorio, antidepressivo, antispasmodico, cicatrizzante, antisettico, antireumatico), Gelsomino (rilassante, antidepressivo, antisettico, sedativo, utile per l’eros), Rosmarino (antispastico, analgesico, antinfiammatorio), Sandalo (tonico, stimolante, decongestionante venoso e linfatico, decongestionante), Salvia (antisettico, tonico: disturbi del sistema neurovegetativo).


La salute  MENTALE.


disagi emotivi nell’adulto sono scenari tragici che rispecchiano misteriosamente situazioni e condizioni infantili di impotenza. Si pensa che, nel corso della vita, una persona su quattro sia colpita da un malessere emotivo, variabile per origine ed importanza. Un tema, quello della salute mentale, offuscato e dominato ancora oggi da tanti piccoli pregiudizi, senso di vergogna, timori ingiustificati e pressappochismi. Sono, infatti, numerosi e radicati i giudizi di valore che ostacolano, spesso in maniera silente, la prevenzione, la diagnostica e la cura di questo singolare tormento umano. Nessuno è ritenuto colpevole per il fatto di avere l’epatite, il diabete, il tumore o l’ipertensione, ma c’è la tendenza a guardare con sospetto, se non con disprezzo, chi ha problemi emotivi; soffrire di qualche problema psichico non è segno di debolezza personale o morale, più di quanto lo sia essere colpiti da qualsiasi altra malattia fisica. Il malessere emotivo non indossa mai vestiti comodi, vistosi e alla moda, meglio non farsi notare, non essere visti: perché la mente dei “sani”, colta di sorpresa, di fronte a certe inspiegabili “stranezze”, può SPAVENTARSI.


cco allora, tra la gente, figure furtive che con passo veloce e fugace - per evitare occhiate indiscrete e zittire domande inopportune - sono costrette a diventare trasparenti e invisibili. Così, lentamente, la vita sociale si spegne, i pochi rapporti interpersonali sono caratterizzati perlopiù da vile indifferenza e da un diffuso senso di fastidio, ogni piccola occhiata contiene un segnale ben preciso: rivolgiti altrove, qui non sei gradito!!! La “diversità” porta sempre con sé, oltre a spese inestimabili, la compromissione dei rapporti interpersonali e il rapido deterioramento psicosomatico. Anche le forme più lievi delle malattie mentali possono determinare profonde sofferenze soggettive: paure diffuse, svalutazione, senso di inferiorità, torpore smanioso, incapacità di esercitare una professione, non essere in grado di occuparsi in maniera adeguata di se stessi e dei propri familiari. Il posto di lavoro, poi, diventa letteralmente una polveriera, un territorio di battaglia, un luogo arido e monocolore, ogni piccola cosa crea fastidio ed irritazione, un banale gesto diventa un pretesto per emarginare, umiliare e fare dispetti. La vita sociale, vissuta al minimo, è disorientata da scelte sbagliate, sommersa da desideri confusi, dominata dal dubbio, piena di continue rinunce e irragionevoli limitazioni. Si pensi, ad esempio, ad alcuni non gravi problemi della condotta sessuale, ai disturbi del controllo degli impulsi, agli sbalzi dell’umore, alle dipendenze patologiche, ai comportamenti evitanti e dipendenti. Manifestazioni che in passato sono state sistematicamente ricondotte a un difetto di volontà o ad una qualche imprecisata debolezza emotiva, e di cui attualmente si cominciano a cogliere gli aspetti morbosi, e quindi la necessità di integrare gli opportuni interventi terapeutici. Un malessere che segna la vita non solo alle persone che ne sono affette ma anche alle loro famiglie, ai pochi amici e ai colleghi. 


iconoscere i problemi non significa essere dei mostri o dei falliti, ma semplicemente capire se c’è qualcosa che non funziona in modo tale da porre rimedio alla sofferenza invalidante: imparare a vivere in modo più gratificante, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, avere una buona immagine di sé, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni, ritrovare l’autostima e la sicurezza, riacquistare il controllo di se stessi e scoprire che ci sono sempre delle alternative e vi è, inoltre, al di là della visione pessimistica del bicchiere mezzo vuoto, la capacità di prendere le decisioni giuste. Un simile panorama impone, attraverso una corretta informazione scientifica, l’attivazione in tempo reale di strumenti terapeutici e preventivi, atti a promuovere la salute mentale. Ignorare la sofferenza emotiva - anche se tutto è circoscritto a qualche indefinita stanchezza, svogliato sentimento e ad un innocuo pensiero persistente - può fuorviare dagli impegni sociali quotidiani, minare la capacità lavorativa, rendere difficili i rapporti con la gente e, soprattutto, non essere più in grado di svolgere con soddisfazione le attività elementari di tutti i giorni. Un aspetto fondamentale della salute emotiva è l’autostima, il senso di fiducia in se stessi, un sano orgoglio che dà ad ogni individuo la sicurezza per adoperarsi a raggiungere gli obiettivi, per aprirsi agli altri, costruire solide amicizie e relazioni strette.


Alcune  DOMANDE.


ome sapere con certezza se esiste un problema. L’unico modo per avere questa certezza è verificare le proprie impressione con uno specialista esperto e preparato in materia di disturbi emotivi. Anche se l’autodiagnosi rappresenta un primo passo molto utile, il suo valore è per definizione limitato da piccoli preconcetti e da atteggiamenti interpretativi sbagliati. Non è possibile pretendere di padroneggiare le mille difficoltà di una vera diagnosi solo perché si è letto un articolo su internet o alcune pagine di un libro; quando i problemi sono significativi e debilitanti è SCONSIGLIABILE curarsi da soli. Come dice quel famoso proverbio cinese: ‘Un avvocato che si difende da solo non ha tra le mani che un cliente incapace e sciocco’. Capire quando una persona è affetta da un malessere emotivo è difficile, soprattutto perché la maggior parte degli individui manifesta solo sintomi lievi e occasionali. Se mettessimo insieme tutti coloro che hanno sofferto di depressione per qualche giorno o di ansia per qualche settimana, che hanno vissuto anche un solo attacco di panico, che di tanto in tanto si abbuffano di cibo o bevono un po’ troppo o hanno fatto uso di droghe, arriveremmo ad includere almeno il 90% della popolazione. Circa un quarto di queste persone soffre di un disturbo diagnosticabile che richiede un trattamento. 



on esiste, purtroppo, una linea di demarcazione netta fra chi è affetto da una sofferenza importante e chi soffre soltanto di malesseri e piccoli dolori che fanno parte della vita di tutti. Decidere se si è normali o no è molto facile quando ci si trova a uno dei due estremi, cioè se non si ha un segno di malattia o se i sintomi sono veramente conclamati, ma è molto più difficile se si è fra i tanti che si situano in posizione intermedie. E’ importante sottolineare che un sintomo non basta per diagnosticare un quadro clinico, sempre caratterizzato da un insieme definito di sintomi e da un decorso caratteristico. Prima di trarre conclusioni affrettate è importante sottolineare che i problemi per essere tali devono condizionare seriamente la vita in maniera CONTINUATIVA e non essere soltanto causa di un leggero disagio. Dato che il confine tra salute e malattia non è facile da tracciare, è importante fare attenzione a non sottovalutare né sopravvalutare la propria condizione. Il rischio più grave è quello di minimizzare i problemi: almeno tre quarti delle persone affette da un disturbo curabile non riceve l’assistenza necessaria. La tendenza alla sovradiagnosi è molto diffusa, ma si può incontrare in soggetti ipocondriaci che ingigantiscono i problemi fino a farli diventare malattie davvero terribili.


Quali sono le cause di un problema.


ispondere a questo quesito può essere molto facile per alcuni malesseri, meno per altri: esistono però principi generali che possono essere applicati a tutti i casi. La maggior parte della sofferenza emotiva trova origine in una particolare vulnerabilità che interagisce nel tempo con le difficoltà che l’ambiente pone sul proprio cammino. Certe condizioni possono accrescere le probabilità di un singolo individuo di soffrire di depressione, di attacchi di panico o di alcolismo, nello stesso modo in cui possono incrementare il rischio individuale di soffrire di diabete, malattie cardiovascolari o tumori. Il tutto viene determinato in rapporto alle situazioni favorevoli o sfavorevoli cui andiamo incontro durante la vita ... e ovviamente dalle capacità del soggetto di reagire. I fattori ambientali che svolgono un ruolo decisivo sono davvero numerosi: da traumi fisici a influenze familiare negative, a tutte le possibili difficoltà della vita; al contrario, un ambiente particolarmente idoneo può contrastare lo sviluppo del disagio emotivo.


Come affrontare il senso di amarezza.


n problema emotivo rappresenta molto spesso una condizione difficile. Nessuno d’altra parte può essere certo di avere una vita facile, e molte persone soffrono di problemi fisici e psichici peggiori di quanto si immagini generalmente. L’atteggiamento più saggio è di accettare con un certo “savoir faire” le carte che sono state distribuite, cercando di giocarle nel miglior nodo possibile. Ovviamente deve passare un certo periodo di tempo prima che si possa raggiungere questo grado di adattamento, di “accettazione” e, soprattutto, una piena capacità di reazione davanti alle avversità. Il passo più importante consiste nel capire che la vita può essere ricca di soddisfazioni se si cerca di assumere il controllo del disagio e se si lavora seriamente per limitare le complicanze; ma se si lascia che sia il malessere ad avere il sopravento e a divorare dall’interno, il risultato è quello di vivere tra mille difficoltà e sofferenze. Capire che non si è soli e che si può uscire dai momenti di difficoltà rende più sicuri, più coraggiosi, più sereni … e più “pazienti”.


Perché iniziare un trattamento adesso.


iconoscere e trattare certi malesseri al loro esordio, prima che possono diventare parte integrante della vita e del modo di pensare, comporta vantaggi notevoli. E’ un po’ come riparare una perdita del tetto all’inizio, prima che danneggi il soffitto e i muri di casa: la tentazione quasi irresistibile è di lasciare perdere e di continuare a occuparsi delle proprie cose, ma prima o poi la perdita rovinerà l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere riparato in maniera semplice ed economica richiederà costosi lavori di ristrutturazione. Misure preventive e interventi tempestivi rappresentano la strategia più saggia e conveniente. Lo stesso vale per i disagi emotivi. Più si è depressi, compulsivi o soggetti al panico, più le zone cerebrali responsabili di questi sintomi diventano capaci di generarli; questo fenomeno viene definito con una strana parola kindling (l’atto di accendere un fuoco): è molto più facile domare le fiamme prima che il fuoco diventi un vero e proprio incendio. Molti studi dimostrano che numerose malattie rispondono in maniera più veloce e completa se la terapia è intrapresa nelle fasi iniziale del decorso, prima che i sintomi siano diventati per il paziente, e per il suo cervello, un modo di vivere. Un trattamento tempestivo riduce anche il rischio di successive ricadute e migliora nel complesso la qualità di vita del malato. Decidere di aspettare può essere una tentazione, ma è quasi sempre una cattiva idea, a meno che i sintomi non siano lievi, ambigui, di breve durata o legati a una condizione transitoria.


E’ colpa mia.


a maggior parte delle persone che soffrono di questi problemi tende a sentirsi colpevole. Da un lato, purtroppo, atteggiamenti sociali non particolarmente elastici contribuiscono spesso a rinforzare questa sensazione, attraverso una serie di ingiuste stigmatizzazioni. Nessuno è ritenuto responsabile, come è già stato accennato in premessa, di avere il diabete, l’ipertensione, una malattia cardiovascolare o un tumore, ma c’è la tendenza a guardare con sospetto, o addirittura con disprezzo chi è depresso, ansioso o dipendente da una sostanza, in qualche modo è come se ci aspettassimo di poter esercitare un controllo maggiore sui disturbi mentali. Questo atteggiamento è illogico, ingiusto, inutile e controproducente: soffrire di un disagio emotivo non è segno di debolezza personale o morale, più di quanto lo sia essere colpiti da una qualsiasi malattia. C’è una sola eccezione importante riguardo a questa considerazione; avere un problema di tipo psichico non solleva quasi mai da eventuali responsabilità legati a comportamenti criminali o immorali. Negli ultimi tempi si è diffusa sempre più, in alcuni ambienti giuridici, l’assurda tendenza a presentare la malattia mentale come scusa per giustificare tutta una serie di atti illeciti e spregevoli; per fortuna, questo atteggiamento si rivela in genere fallimentare in sede legale e si spera che possa progressivamente sparire anche dai programmi televisivi che si occupano di tali problemi … non si è responsabili della malattia ma lo si è del comportamento. Gli individui con qualche problema emotivo spesso devono compiere sforzi maggiori rispetto agli altri per controllare gli impulsi e per rispettare i sentimenti e i diritti altrui; capire questo fa parte della responsabilità che comporta essere malati.


Che cosa fare per stare meglio.


ercare di assumere il controllo della situazione anziché subirla. Sapere, diceva quel saggio di cui mi sfugge il nome, equivale a potere: è fondamentale cercare di informarsi e di imparare tutto il possibile sulla propria malattia. L’impegno per cercare di rimanere aggiornati deve essere costante; grazie ai progressi della ricerca le proprie conoscenze aumentano in maniera rapida e continua. Ancora più importante è essere seguiti da un professionista “sensibile” a questi temi, capace di aiutare a capire sempre di più le problematiche emotive e a porle nella giusta prospettiva: è fondamentale fare attenzione a questo particolare aspetto, sono molti i pazienti che si lamentano del fatto che il professionista scelto non li tiene sufficientemente al corrente della patologia in atto. All’inizio è meglio che il soggetto sia informato su quanto sta succedendo e sulle diverse possibilità terapeutiche: se lo specialista non è anche un buon docente capace e volenteroso, non è necessario insistere … meglio sceglierne un altro per entrambi! Infine, è importante cercare di conoscersi meglio. Gli esseri umani sono dotati di un grande spirito di osservazione per quanto riguarda tutto ciò che li circonda: eccetto se stessi. Una buona conoscenza di sé è un requisito fondamentale per cercare di migliorarsi, e succede facilmente di trovarsi davanti anche zone oscure quando si guarda l’unico oggetto che non si riesce mai a distinguere chiaramente: se stessi. Cercare, con calma, di imparare di più sui propri comportamenti caratteristici, su quello che piace e che non piace, sui punti di forza, le debolezze, le inclinazioni, le attitudini, i pregiudizi e le paure presenti; per comprendere e rendere più obiettivo questo quadro introspettivo può essere d’aiuto verificarlo con persone che si ritengono affidabili. Per superare un problema di questa natura bisogna veramente “mettercela tutta”: impegno costante, "onestà" e duro lavoro sono di importanza cruciale, ed essere un buon paziente non è davvero facile. I veri progressi si ottengono a poco a poco, compiendo piccoli passi, azioni normali che prima della terapia si cercava di evitare, accettando più tranquillamente se stessi. Quello che si riesce a fare a casa, per conto proprio - il vero banco di prova - è in genere di uguale importanza del lavoro svolto durante le sedute terapeutiche: mettere in pratica ciò che si è imparato e affrontare le situazioni che normalmente si cerca di sfuggire. Molti disturbi hanno un decorso cronico o, più spesso, ricorrente. Se si sono vissuti parecchi episodi di malattia, è altamente probabile che accada ancora, a meno che non si cerchi di affrontare il problema in maniera seria, radicale e decisa: questo significa, di solito, cercare di acquisire una visione a lungo termine della patologia e prendere le misure necessarie per mantenerla costantemente sotto controllo … ricordarsi che l’amore per se stessi, può dare soddisfazioni maggiori di quelle derivanti da successi lavorativi e mondani o dall’accumulo di beni di cui in realtà, a volte, non si ha veramente bisogno.

Come può contribuire la terapia rinsaldare i rapporti.


pesso i disagi emotivi sono fonte di grande tensione e continue incomprensioni all’interno della famiglia o dell’ambiente di lavoro. E’ particolarmente importante, anche se spesso difficile, che tutti i membri della famiglia cerchino di evitare un atteggiamento di biasimo reciproco. Bisogna rendersi conto che il disturbo emotivo può creare una situazione in cui è difficile vivere serenamente con se stessi e gli altri; non è facile convivere, non è esaltante stare vicino a una persona sempre depressa, eccitata, terrorizzata, in preda agli sbalzi di umore e alla collera o assorbita in rituali privi di senso, per fare qualche esempio. E’ comprensibile che i familiari perdano la pazienza e diventino a loro volta irritabili, frustrati e intolleranti nei confronti di chi soffre. La situazione da affrontare non è quella che si aspettavano e possono non essere preparati. Più i familiari impareranno a conoscere il problema, meno tenderanno a biasimare per eventuali comportamenti bizzarri; in caso contrario potrebbero pensare che il malato è ostinato, irresponsabile, egoista, ostile o incapace di amore. Una maggiore conoscenza della malattia permetterà loro di capire quello che il sofferente sta attraversando e di attribuire la colpa non al soggetto ma alla malattia; li aiuterà anche ad accettare aspetti del comportamento che in precedenza avevano giudicato sconcertanti, e a reagire meglio quando si ripresenteranno. La speranza è di riuscire ad aiutarsi reciprocamente e a diventare ancora più uniti di prima della comparsa della malattia: condividere il problema - sempre se lo vogliono entrambi - può spingere tutti a rivolgere una maggiore attenzione alle cose veramente importanti della vita. Di solito i disturbi mentali non compaiono all’improvviso. Si possono determinare cambiamenti nel comportamento, impercettibili all’inizio, che il partner, i genitori, i fratelli o gli amici intimi notano, ma attribuiscono a stress o a un recente insuccesso. Se il cambiamento diventa più visibile o perdura per settimane o mesi, essi possono manifestare preoccupazione, ma ancora non sono in grado di intuire che davvero esiste un problema. In questo frangente è utile fare un passo indietro e guardare nella maniera più obiettiva possibile al proprio amico o parente. Che cosa precisamente è cambiato? In che maniera la persona agisce diversamente da prima? Da quanto tempo si sono notati questi cambiamenti? Sembra che stia peggiorando? In particolare è corretto chiedersi se la persona cara:


. Da diverse settimane sembra triste, depressa o di cattivo umore. • Pare che stia perdendo le energie e si sente sempre stanca. • Non sembra trarre alcuna soddisfazione da attività piacevoli. • Lamenta problemi di sonno. • Pensa con insistenza alla morte o parla di suicidio. • Manifesta forti oscillazioni dell’umore. • Sembra tesa, nervosa o irrequieta. • Appare confusa o ha problemi di concentrazione o di pensiero. • Prova improvvise sensazioni di panico o di terrore. • E’ diventata estremamente sospettosa o timorosa degli altri. • Fa fatica ad andare d’accordo con gli altri in casa o al lavoro. • Beve più del solito. • Usa sostanze illegali. Non si è ripresa da una crisi che risale a parecchi mesi addietro. • Sembra incapace di controllare o di fermare comportamenti autodistruttivi, come il gioco d’azzardo. • Ha perso interesse per il sesso o non ha più le stesse prestazioni. • Si lamenta di sintomi fisici preoccupanti senza che ci sia una causa medica precisa. • Accenna a idee bizzarre e grandiose. • E’ diventata minacciosa, aggressiva o violenta.

Concludendo.

Incoraggiare la volontà di star bene.


arlare sempre in termini non drammatici ma realistici - della guarigione, di una nuova vita, di un nuovo lavoro - non a scapito dell’onestà dei propri sentimenti e dei propri timori. Dare e aspettarsi rispetto e fiducia. Assegnare a tutti membri della famiglia dei doveri nella conduzione della casa e un posto nelle discussioni familiari. Mai essere iperprotettivi con il malato, non fargli un trattamento speciale e mai permettere che si nasconda dietro la sua “diversità”.

Cercare delle informazioni.


ebbene ci siano poche risposte già confezionate alle molte domande che insorgono quando una famiglia si trova ad affrontare un disagio emotivo, esistono alcune linee guida generali che potranno essere d’aiuto. Domande sull’istruzione, sulle opportunità d’impiego e su altre questione pratiche devono trovare risposte sicure. Fare delle verifiche con il terapeuta, leggere libri e articoli. Essere preparati “prima” del malessere.

Vivere la propria vita.


er quanto sia difficile farlo, quando si è costretti a confrontarsi con un membro della famiglia con dei problemi, ogni persona deve continuare a coltivare i propri interessi e a vedersi con i propri amici. Sfoghi come questi rilassano, aiutano a controbilanciare l’atmosfera tesa che c’è in casa e tengono in contatto con comportamenti “normali”.

Imparare a riconoscere i segnali d’allarme.


ercare di valutare le parole, le azioni o gli atteggiamenti che precedono i problemi, e cercare di calcolarne le ricorrenze. Se si hanno dei dubbi di fronte ad una certa gravità, è doveroso consultarsi con un specialista di questi disagi.

Non aspettarsi troppo da se stessi.


’ probabile che di tanto in tanto ci si senta stanchi, adirati o risentiti. Accettare che il proprio lavoro e le relazioni personali incontrino delle difficoltà per questa situazione. Ricordarsi che non si è di ferro, poche persone possono sempre essere pazienti e generose.

Non darsi inutilmente la colpa.


n disagio emotivo può essere causato da stress ambientale, da squilibri biochimici (stili di vita, modi di pensare, atteggiamenti) e da molti altri fattori conosciuti e sconosciuti. Rotture dell’armonia familiare o fatti particolari nella storia della famiglia hanno di certo contribuito, ma essi sono raramente la causa della malattie.

Parlare della situazione.


uò darsi, come in molti casi, sia molto difficile discutere della propria condizione con gli amici intimi, perché essi non hanno alcuna percezione, o ne hanno ben poca, di quello che realmente si sta attraversando e quindi non sanno come reagire.

Non scoraggiarsi troppo presto.


a ripresa di un disagio emotivo richiede del tempo (è sempre in funzione della cronicità, quadro clinico, età, cultura). Come una ferita di natura fisica, la sua guarigione è graduale e non può essere affrettata. Non ci si deve scoraggiare per temporanee battute d’arresto: non cercare un colpevole quando le cose vanno male. Anche le piccole ricadute possono essere parte integrante della terapia … quando un bambino, ad esempio, ha imparato a "camminare", anche se inciampa e cade, è sempre in grado di rialzarsi!

Le strategie.


’esercizio fisico si è dimostrato positivo non solo per il corpo, ma anche per la mente. E’ anche un modo efficace per ridurre l’ansia: camminare, nuotare, fare attività semplici e senza sforzo. Una possibile spiegazione consiste nel fatto che l’attività fisica aumenta l’afflusso di sangue e l’ossigenazione del cervello e altera il livello delle varie sostanze chimiche del cervello provocando così modificazioni nell’umore.

Una corretta alimentazione.


anto il corpo quanto la mente per funzionare in piena efficienza hanno bisogno di un’alimentazione corretta. Le abitudine sbagliate - saltare i pasti, ingozzarsi in fretta e furia, sgranocchiare cibo spazzatura - possono creare malessere fisico e disagio psicologico, come l’incapacità di concentrarsi sui propri compiti, di rilassarsi e di godere della compagnia degli altri.

Le tecniche di rilassamento.


sistono speciali tecniche di controllo dello stress che aiutano a produrre, attraverso l’attivazione di endorfine, uno stato di rilassamento, cioè uno stato di calma fisica e mentale che è l’opposto del riflesso attacca o fuggi, caratterizzato da ritmo cardiaco rapido, sudorazione, aumento della pressione arteriosa.

Terapie psicologiche e biologiche.


er la maggior parte dei disturbi emotivi esiste un gran numero di terapie efficaci e questa è un’ottima cosa, perché dà la possibilità di scegliere il trattamento o i trattamenti che meglio si adattano ai propri bisogni e desideri, alle proprie preferenze e possibilità economiche.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
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