sabato 12 novembre 2016

Il ‘riscatto’ della psicoterapia …

Il riscatto della psicoterapia



ino ad alcuni anni fa era impensabile trovare in certi Convegni - che trattavano disturbi fisici - la figura dello psicoterapeuta come relatore: la sua esclusione, medico o psicologo che fosse, era totale e categorica. Ma perché questo rifiuto accuratamente voluto? Perché la gente ha tanta paura di accettare la possibilità che la sua mente svolga un ruolo nel suo problema? Perché non siamo capaci, come sembra, di accettare che un’altra cosa lontana dalla sede del problema, la mente, entri in causa e vada presa in considerazione, vada capita, sostenuta e aiutata? 

er rispondere a queste domande bisognerebbe andare molto indietro, ritornare agli studi classici. All’inizio della storia il fenomeno del malessere emotivo fu gestito da pratiche sacerdotali. Nel V sec. a.C. Ippocrate, la famosa scuola di Coo, negò con forza che il disagio emotivo fosse opera del diavolo o di altri spiriti più o meno maligni e, quindi, in maniera rudimentale, affermò con fermezza che la sofferenza mentale non era altro che una malattia del cervello. Più tardi i Greci buttavano in mare dalle scogliere gli individui con quadro clinico depressivo, nella speranza che lo shock li facesse riprendere. Poi, in seguito, coloro che presentavano disagi emotivi venivano completamente isolati; se necessario non si esitava, con solerzia, a sgridarli, picchiarli, a legarli per impedire loro di nuocere a se stessi e agli altri … un trattamento a dir poco disumano (simile a quello che alcuni “educatori” fanno attualmente in certe strutture pubbliche e private … è cambiato davvero poco!). Tali ‘ammalati’ erano considerati assolutamente incapaci di vivere in società, estranei agli altri uomini, venivano designati col termine di alienati (estraneo). Nel ‘famoso’ periodo buio (Medioevo), inoltre, i ‘sacerdoti’, oltre ad affrontare la situazione con purganti, salassi, frizioni e fumenti, praticavano l’esorcismo per scacciare i “demoni” della ‘follia’. All’inizio tali ‘sventurati’ furono considerati con benevolenza poi, improvvisamente, perseguitati: in parte cacciati dalle città, rinchiusi nelle torri, bruciati vivi come streghe da parte dell’Inquisitore ... il malessere emotivo era un marchio infamante, un qualcosa da nascondere e, soprattutto, da evitare. 

i furono molte voci di dissenso contro quella scelta ma, per ragioni misteriose, la persecuzione continuò fino a tempi più recenti. Nonostante sia passata molta acqua sotto i ponti, siano stati fatti enormi progressi in questo delicato settore - mettendo a punto valide metodiche terapeutiche psicologiche in grado di offrire un’ampia gamma di interventi che si sono dimostrati, nel tempo, risolutivi contro tale malessere - il cambiamento di atteggiamento nei confronti delle persone affette da disturbi emotivi non è per nulla cambiato: per alcuni, sono ancora individui da guardare con sospetto, da tenere sott’occhio… sono deboli, inattendibili e pericolosi per la società! I pregiudizi, i timori, le approssimazioni su tali disturbi sono ancora davvero innumerevoli. Il fatto che molti orientamenti scientifici nei secoli, poi, abbiano mantenuto “narcisisticamente” la mente e il corpo come unità separate non ha certamente favorito la comprensione reale del meccanismo relativo alla malattia organica. Ancora oggi, purtroppo, molti orientamenti scientifici dividono le malattie in due settori: mentale e fisico. Ovvero, si parte dall’idea che la malattia abbia esclusivamente un’origine fisica. Questa ‘cattiva’ abitudine, comunque, di separare le malattie fisiche da influenze emotive può costituire il più grande deterrente non solo per la qualità dell’intervento terapeutico ma, soprattutto, per mantenersi in buona salute attraverso la consapevolezza del fenomeno. La conoscenza, invece, è forse il modo migliore per combattere questo disagio, informare sempre sui sintomi, sulla diagnosi e sulle terapie: lo stato di salute dei pazienti, infatti, migliora nettamente nel momento in cui comprendono cosa sta accadendo dentro di loro e quando vengono messi al corrente delle terapie disponibili, senza contare che i familiari, conoscendo a fondo la malattia, possono aiutare i propri cari in modo più efficace.

algrado l’esperienza inequivocabile della componente mentale presente in ogni malessere, si dà la colpa al corpo, lo si esamina, lo si cura come la causa dei sintomi di cui si soffre. Molte volte, invece, è il capro espiatorio, il messaggero della mente condannato a un atroce destino. Per confondere ulteriormente le cose, il corpo spesso funge da richiamo ingannevole per allontanare l’attenzione dalla vera fonte del problema, la mente. Si scaricano su di esso i vari disagi esistenziali. Come conseguenza, il problema cronico non sarà mai risolto se ci si perde nei meandri delle speculazioni filosofiche, se si consuma tutta l’energia a considerare con insistenza ossessiva l’aspetto fisico della situazione, mentre non se ne dedica alcuna agli aspetti psicologici del problema. Sembra quasi che ci si aggrappi alla causa fisica per giustificare e sottolineare che la cosa non ci riguarda, non è colpa nostra. Se si rompe un osso, non è colpa della persona, è ‘colpa’ della parte che si rompe e la cosa è più accettabile. Forse sussiste la sensazione inconscia e radicata che la mente sia la persona, e che i sensi di colpa, il marchio delle convinzioni culturali ataviche negative, la vergogna, le accuse e le responsabilità di un problema emotivo appaiono pesanti da sopportare.

a reazione più comune, quando si ‘ipotizza’ l’esistenza di una causa psicologica, è di sfiducia, noia, rabbia e rifiuto dell’eventualità. Per i più sensibili, inoltre, con profondi tratti depressivi, al solo pensiero di condividere, aderire a questa interpretazione sviluppano un forte senso di colpa aggravando così, ulteriormente, la situazione organica … per loro un simile suggerimento alla riflessione diventa un verdetto di condanna, di rifiuto, un vero e proprio giudizio di valore. Sembra quasi che dicendo che la cosa è nella mente -  fenomeno impercettibile e non riconoscibile attraverso gli strumenti clinici - sia non solo un’onta vergognosa da sopportare, ma sia anche una simulazione, non è reale, che se ne è colpevoli; così si preferisce cercare una scorciatoia, una “vera” causa, fisica, anche se questa strada non porterà mai alla meta desiderata. Sembra che ci spaventi accettare l’aspetto mentale dei nostri problemi, anche se sarebbe veramente la mente ciò a cui dovremmo prestare attenzione.
Risultati immagini per psicoterapiaEppure fissandoci sul fisico, può darsi che ciò che rendiamo fisso sia proprio il nostro problema. La scienza, ovvero la recente psiconeuroendocrinoimmunologia, ancora una volta, superando la dicotomia mente/corpo, ci viene in aiuto per portare chiarezza su questo fenomeno più moralistico e filosofico che reale: mette in evidenza l’influenza della psiche sul soma, l’impatto dei pensieri sul benessere fisico …un universo di cellule e un mondo di sentimenti uniti nel destino, un modo di vedere l’essere umano nella sua interezza, superare quella tradizione meccanicistica e riduzionista del pensiero classico che separava completamente la vita psichica dalla malattia organica. L’asse CRH  (ipotalamo)ACTH (ipofisi)Surrene, infatti, è un insieme di sistemi  trasmettitoriali sofisticati che chiariscono perfettamente, dopo secoli di vivace dibattito, le recenti teorie della psiconeuroendocrinologia circa la dicotomia mente corpo

ede in ogni individuo una specifica ed originale modalità reattiva, analizza attentamente come risponde al suo ambiente, agli stimoli della vita quotidiana, dal più banale, come un semplice raffreddore, al più grave, come un lutto. Per questo orientamento scientifico, non sembra essere particolarmente significativo ciò che accade intorno a noi, all’ambiente circostante, o dentro di noi, quanto invece il modo in cui si reagisce agli eventi della vita, come li guardiamo … poco importa se sono positivi o negativi. Ogni individuo, infatti, risponde agli stimoli - interni o esterni - in modo unico e in relazione alle proprie capacità cognitive e risorse biologiche: modo di pensare, aspettative, importanza che si danno alle cose e al significato che si attribuisce a quella particolare realtà.  E così entra in gioco la personalità dell’individuo intesa come modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento, la quale caratterizza sempre il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto, frutto di correlati biologici ed esperienza sociale. Di fronte ad uno stimolo qualsiasi il nostro cervello si attiva per valutare il messaggio, per dare una risposta adeguata. Tale stimolo può essere un pensiero attivato per la soluzione di un problema, un’emozione o tutto ciò che generalmente accade nel quotidiano. In ogni caso, se il fenomeno è considerato “importante”, degno di attenzione, cioè significativo, l’individuo analizza, compie le sue osservazioni: pericolo, rischio, interessi, minaccia, vantaggio. La tranquillità o la minaccia presunta che suscitano tali stimoli determineranno, secondo le proprie capacità psichiche e biologiche, la gestione più o meno appropriata della situazione

er capire meglio la dinamica di questi eventi, esaminiamo la reazione fisiologica che può essere di equilibrio o di squilibrio. Ogni struttura psicosomatica (apparato - sistema) possiede una condizione ideale di funzionamento: temperatura corporea, acidità, ossigenazione. In termini fisiologici qualunque stimolo agisca sconvolgendo queste condizioni ideali di funzionamento, può essere considerato come una reazione biochimica dell’organismo, in eccesso o in difetto, che l’organismo (mente – corpo) cerca in tutti i modi di far fronte alla situazione e, nel contempo, ristabilire l’equilibrio. In un primo momento si ha la fase di allarme, il soggetto valuta attentamente lo stimolo, vede in che misura può rappresentare una minaccia per l’equilibrio mente – corpo, ne prende atto, raccoglie tutte le risorse (sempre psichiche e fisiche) e si prepara ad affrontarlo. La fase successiva è quella della resistenza: sia biologica sia comportamentale, è finalizzata alla conservazione dell’equilibrio perturbato, le attività dispersive, non essenziali vengono procrastinate e l’obiettivo principale diventa il superamento del problema in atto. Alla fine sopraggiunge la fase di esaurimento: dopo un’esposizione prolungata a qualunque agente nocivo, oppure particolarmente intenso, o non si riesce a gestire in modo adeguato le difficoltà della vita quotidiana, le riserve di energie dell’organismo possono esaurirsi. Nel gestire questi “passaggi” l’organismo attiva delle modificazioni biologiche, comportamenti e risorse psicologiche; ciò spiega, per esempio, perché nell’affrontare un esame il cuore batte forte, si accentui il tremore e momenti di terrore nell’affrontare la prova con la conseguente necessità di mettere in atto alcune strategie, come ritenere importante il presentarsi in ogni caso all’esame e tentare di superarlo. 

a risposta biologica viene mediata principalmente dal sistema endocrino, dal sistema nervoso periferico e dal sistema immunitario. il primo risponde alle modificazioni dello stato emozionale del cervello: si osserva un aumento di adrenalina, noradrenalina, cortisolo (ormoni della corteccia surrenale), dell’ormone della crescita, della prolatina e, successivamente degli ormoni tiroidei; gli ormoni sessuali, invece, tendono a diminuire, proprio perché l’organismo essendo impegnato contro qualcosa che teme, distoglie la propria attenzione da un’attività che richiederebbe ulteriore investimento ormonale. Tutte queste sostanze fanno aumentare l’energia necessaria ad affrontare la situazione. Alcuni ormoni, infatti, come l’adrenalina e la noradrenalina  preparano l’organismo alle maggiori prestazioni richieste dalla situazione problematica. Tutto ciò, comunque, si ripercuote sul sistema immunitario, che tuttavia possiede meccanismi specifici di controllo. Esso  è molto sensibile alle “risposte” a ogni stimolo e ciò spiega la maggior vulnerabilità dell’organismo agli agenti infettivi. Non è un caso che le nostre difese immunitarie si abbassano di fronte ad eventi che non si è in grado di gestire: un fenomeno che diventa causa di disfunzione e malattia ... queste erronee risposte adattive dell’organismo sembrano scatenare o preparare il terreno a ‘infinite’ malattie.


opo questa breve “introduzione” diventa più facile farsi l’idea del posto occupato dalla psicoterapia in ambito clinico. La psicoterapia, al di là dei vari orientamenti scientifici, si “sforza” di agire sui pensieri, sul comportamento, sulle emozioni e sugli atteggiamenti attraverso il “verbo”, la parola, o altre metodiche terapeutiche psicologiche. C’è chi ritiene - ed è bello che sia così perché stimola approfondimento ed apertura a cose diverse - che questo faccia della psicoterapia un trattamento diverso da quello ‘biologico’ che si avvale di farmaci, e tuttavia sia la psicoterapia sia la terapia farmacologica, utilizzando ovviamente un approccio diverso, hanno come modalità operativa, come obiettivo il cervello. Il traguardo finale è infatti quello di cambiare il modo in cui un individuo sente, pensa, agisce ed entra in relazione con gli altri così che possa scoprire e perseguire nuove possibilità, conquistare una consapevolezza diversa riguardo “lo stile reattivo” e acquisire nuove capacità e abilità nel far fronte agli eventi della vita. Oggi gli specialisti in questo settore hanno affinato tecniche terapeutiche davvero precise, importanti  e, spesso, risolutive per un buon equilibrio mente - corpo  rispetto al passato. Il successo di tale metodica, comunque, dipende da vari fattori che entrano in gioco nel creare un legame, nello stabilire un rapporto di fiducia e nel dare vita a una relazione basata sulla collaborazione. I soggetti che intraprendono questa “grandiosa” esperienza umana proiettano inconsciamente sul terapeuta i propri desideri, bisogni, speranze e volontà … tutti sentimenti vissuti con persone importanti del loro passato, che sono appartenuti al loro mondo evolutivo. 

uesto transfert di sentimenti e pensieri a lungo sommersi rivela modelli di comportamenti che continuano a provocare sofferenza emotiva e, quindi, attivare quel famoso asse psico fisico: CRH, ACTH  e Surrene. Il rapporto che viene a instaurarsi tra il paziente e il terapeuta - la cosiddetta alleanza terapeutica - permette loro di lavorare insieme in stretto rispetto e collaborazione. Il paziente deve sentirsi sufficientemente a proprio agio con il proprio terapeuta, deve nutrire fiducia in lui al punto di “rivelargli” consapevolmente che cosa lo “affligge” ed essere disponibile a dialogare del suo turbamento … in tale rapporto non esistono atteggiamenti moralistici e tanto meno giudizi di valore. Se questo rapporto di fiducia manca, il paziente non può dischiudere i suoi sentimenti più reconditi. Da parte sua il terapeuta ha la responsabilità di coltivare questa alleanza mostrandosi partecipe e rispettoso … col massimo rispetto e profonda empatia della sofferenza altrui mette in atto, lentamente, la sua abilità e strategie psicoterapiche.


edici, Nutrizionisti e Psicoterapeuti  uniamoci, mettiamo da parte per un attimo le distanze culturali, lavoriamo insieme, non per soddisfare i propri bisogni “narcisistici” ma semplicemente per informare, per fornire dati sempre più chiari e aggiornati possibili, per parlare di come stanno realmente le cose, in modo tale da formare, tra specialisti e pazienti, una forte e potente squadra, sviluppare un’atmosfera serena e una situazione di profonda fiducia ... ma, soprattutto, per stimolare solidi obiettivi comuni futuri rispettando sempre e comunque la dicotomia mente – corpo. Essere a fianco di chi si sente confuso, disorientato e deluso non significa solo cercare la migliore sistemazione possibile della situazione ma anche di scongiurare un possibile avvilimento, scoraggiamento e allontanamento o, peggio ancora, l’interruzione delle terapie in corso, per affidarsi a  cure meno tradizionali o perfino ciarlatanesche.


… attribuire un’eziologia psicosomatica alle malattie incontra, spesso, nel pensiero comune, molte RESISTENZE e parecchia IRRITAZIONE: difficile accettare che siamo sempre noi a generare il ‘male’. Alcuni giustamente diranno, ma tutte quelle cose che respiriamo e ingeriamo non contano proprio nulla? Certamente. Non va comunque dimenticato che sono proprio i disagi emotivi prolungati nel tempo che compromettono il funzionamento del sistema immunitario e, quindi, con difese ‘basse’ anche le cose più banali risultano difficili da neutralizzare.


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Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - E mail: bonipozzi@libero.it

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un  valore educativo, non prescrittivo.

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