sabato 25 giugno 2022

DIPENDENZA.

 


DIPENDENZA

' una condizione dell'individuo che si trova in dipendenza economica, emozionale o di diversa natura da altri individui o cose. In senso più stretto è riferita al rapporto del bambino nei confronti dei genitori o di chi ne fa le veci. Nel processo di socializzazione la dipendenza dal bambino da una persona con cui è in relazione (madre o genitori) è la premessa necessaria per la imitazione sociale di vari modelli di comportamento e per l'acquisizione di norme e di valori sociali. Condizione per lo sviluppo della dipendenza - o della fiducia del bambino nei confronti dei genitori - è la presenza di una persona che si prenda cura di lui. Ove questa manchi, si possono determinare danni in parte irreversibili in tutti i campi di sviluppo del piccolo. Una possibile spiegazione della genesi dell'atteggiamento di dipendenza del bambino è data dal principio del rinforzo secondario. Il comportamento delle persone che si prendono cura di lui assume un valore di premio per il fanciullo, che collega ripetutamente il soddisfacimento di bisogni primari o corporali a tali persone. Il valore di premio viene trasferito a tutte le sfere di comportamento di queste persone; il bambino così impara a valutare o a sentire positivamente la loro presenza e le loro attenzioni. Inoltre, la dipendenza è rafforzata da una educazione improntata a calore affettivo e all'amore. La dipendenza, comunque, è sempre in rapporto alle pratiche educative relative alle diverse classi sociali, alla differenza dei sessi dei bambini o alla struttura familiare. Quando abbiamo a che fare con un adulto, dominato dalla dipendenza, è un comportamento distorto non solo con gli altri, il gioco, lo shoppimg e varie sostanze, ma anche con le cose più meravigliose che la vita ci possa offrire come ad esempio amore e cibo; solo di recente sono state introdotte altre diavolerie: cellulare, televisione, internet.


soggetti che possono cadere nella trappola delle dipendenze appaiono ansiosi e paurosi, appartengono al:

Cluster C. Disturbo Dipendente di Personalità - Disturbo Evitante di Personalità - Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità.

Hanno un bisogno continuo ed eccessivo di essere accuditi, sono appunto dipendenti, sottomessi, indifesi ... mancano di fiducia nelle loro capacità; il rapporto con le figure di riferimento è di totale dipendenza, caratterizzato da controllo eccessivo, ostacolo e rifiuto all'autonomia del piccolo. Genitori intrusivi, dominanti e potenti che rifiutano ogni tentativo di indipendenza del figlio ... insegnano che l'autonomia è piena di insidie e pericoli. In questo modo il soggetto diventa docile, impara a delegare ogni cosa, a rinunciare alla sua libertà e a vivere la propria vita alle dipendenze e all'ombra di qualcuno ... preferisce demandare agli altri le proprie responsabilità, scelte, impegni e decisioni, anche a costo di umiliazioni e di fare cose degradanti, diventa un modo di reagire costante e permanente ... in breve, la tomba dell'evoluzione personale. Quando viene messo alle strette, reagisce ad un'eventuale minaccia di separazione con estrema sottomissione, passività e debolezza, anziché esprimere rabbia ed aggressività, accentua ulteriormente il comportamento dipendente piangendo oppure rinunciando alla propria libertà ed autonomia umiliandosi ... diventa ancora più passivo e docile di prima. Non riesce a funzionare senza l'appoggio di qualcuno o di un qualcosa d'altro, e tanto meno assumersi le dovute responsabilità, anche le più banali. C'è un tratto della personalità che accomuna sia il disturbo dipendente sia il disturbo borderline: il terrore dell'abbandono, di non essere considerato e di perdere la protezione. Il dipendente, oltre alle relazioni distorte e la percezione errata delle cose, dovrà vedersela con alcuni malesseri psicosomatici come ansia, attacchi di panico, depressione ed insonnia. Ci sono molte somiglianze tra il disturbo dipendente e il disturbo borderline di personalità che possono fuorviare una diagnosi corretta.

Dipendenzafiglia dell’insicurezza.


a dipendenza è un comportamento in base al quale l’individuo instaura una relazione distorta con i suoi simili oppure verso un’attività, una situazione, una cosa, una sostanza o un luogo. I soggetti dipendenti, quando il loro disagio è particolarmente profondo, vivono imprigionati dai loro stessi bisogni, sono insolitamente sottomessi. Sono incapaci di vivere in maniera autonoma senza ricevere continue cure, approvazione da parte degli altri, rassicurazioni e, soprattutto, supporto emotivo; hanno un desiderio disperato di essere amati e si sentono particolarmente offesi da un minimo accenno di disapprovazione o critica. Mancano di fiducia in se stessi, sono portati solitamente a sminuire, a volte in maniera impressionante e ingiustificata, le proprie capacità, e si definiscono come stupidi e sciocchi. Considerandosi di poco valore non sono in grado di farsi valere e prendere decisioni - anche le più semplici - che riguardino la vita quotidiana senza il parere e le rassicurazioni degli altri. Prendere decisioni, importanti o di poco conto, diventa un vero dramma per il dipendente, che solitamente preferisce delegare ad altri le proprie responsabilità in quanto non sa decidere con chi stare, dove vivere, quale attività lavorativa cercare, l’abbigliamento da indossare, quali alimenti mangiare, come educare i figli. Essendo convinti di non essere in grado di realizzare niente di buono da soli, questi soggetti hanno una notevole difficoltà ad avviare un qualsiasi progetto, non per mancanza di motivazioni o di energia, ma per la sensazione di incompetenza che in loro è particolarmente diffusa. 



er non creare aspettative e ricevere incarichi di responsabilità, nascondono le loro capacità e tendono a delegare i loro compiti; in questo modo, mantenendo il talento nascosto e le potenzialità sempre inespresse, non “rischiano” di assumersi delle responsabilità, ma anche, purtroppo, di non fare carriera nell’ambito lavorativo … di realizzarsi nella vita! E’ ovvio che demandare agli altri le proprie scelte, oltre a mettere la loro vita in mano ad altre persone (che sanno sempre ben poco di loro!) e crearsi alibi puerili, impedisce di assumersi anche le responsabilità minime richieste dall’età e, nel contempo, permette a questi individui di perpetuare comportamenti infantili che creano ulteriore dipendenza e un profondo senso di inadeguatezza. Gli individui dipendenti si accontentano di una cerchia decisamente limitata di relazioni sociali, ma allo stesso tempo evitano, attivando varie strategie comportamentali, di rimanere isolati perché da soli sprofonderebbero nella depressione più terrificante e in un’ansia a dir poco devastante; limitano, pertanto, le relazioni sociali ai pochi soggetti dai quali maggiormente dipendono. A livello sociale, per guadagnarsi l’affetto giungono al punto di far credere di essere sulla stessa lunghezza d’onda o essere d’accordo con la gente anche quando pensano che stanno sbagliando, oppure fanno cose spiacevoli o avvilenti al solo scopo di compiacere gli amici e il partner. E’ bene ricordare comunque che le caratteristiche di passività, sottomissione e docilità sono tenute in grande considerazione in alcuni ambienti; presso molte società, infatti, sono dinamiche presenti in alcuni rapporti coppie, in quanto permettono a chi ha assunto il ruolo dominante, di mantenere in maniera vantaggiosa il proprio spazio di libero movimento (libertà e autonomia indiscussa!). 


a dipendenza comunque non sempre è un problema emotivo invalidante, almeno fino a quando non crea difficoltà all’individuo in cerca di maggiore autonomia. Nello specifico di questo disturbo è fondamentale distinguere lo “stato” dal “tratto”: entrambi, in caso di profondo disagio, quando ci sono problemi emotivi o durante i periodi di stress acuto, accentuano le proprie caratteristiche di dipendenza per far fronte ad una necessità temporanea, poi, quando il fenomeno stressogeno si risolve o cessa, ogni cosa ritorna alla normalità. Al contrario, nello “stato” di dipendenza il soggetto persevera (se non ha intrapreso un trattamento terapeutico per ripristinare la propria autonomia), ovvero continua a demandare agli altri le proprie responsabilità; si affida agli altri sempre, non solo in momenti particolarmente difficili e stressanti. 
Cosa fare. Il trattamento primario per questo disturbo consiste nella psicoterapia. Gran parte del lavoro sarà rivolto e diretto all’autovalorizzazione e allo sviluppo di un crescente senso di indipendenza. Sviluppando maggiore sicurezza questi individui impareranno ad esprimere sentimenti genuini prendendo le adeguate decisioni e a essere in grado di far fronte a diversi episodi d’ansia. Tutto ciò non fa altro che incoraggiare un nuovo stile di vita, nuove strategie nel lavoro come nel privato e quindi aumentare la fiducia in se stessi … fare una flebo di fiducia e autostima! I trattamenti psicosomatici non dovrebbero mancare in quanto, inizialmente, portano energia e forza a livello fisiologico.


DIPENDENZE  perché è così difficile uscirne?


a dipendenza è una condizione di “resa”, una forma di “schiavitù”, un atto con cui si “consegna” la propria vita in mano a qualcuno o a qualcosa che possa gestire uno stato ansiogeno. Un comportamento altalenante, con effetti distruttivi, in base al quale un individuo attiva una relazione distorta con altre persone, situazioni, luoghi o cose. Un abbandonarsi a situazioni che gradualmente dominano e gestiscono la vita del soggetto fino a distruggerla completamente; impulsi forti che spingono l’individuo a compiere azioni dannose non soltanto per se stesso ma anche per gli altri (familiari, amici, colleghi). Un modo sbrigativo per sfuggire ai problemi o per alleviare sensazioni di impotenza, colpa, ansia o depressione. E’ una ricerca confusa del “piacere” attraverso qualche surrogato che, paradossalmente, pur limitando il potere decisionale, rende “accettabile” e “vivibile” il disagio quotidiano: un modo davvero singolare per alleviare la sofferenza quotidiana e sedare il malessere interiore. L’aspetto veramente distruttivo della dipendenza è l’impossibilità assoluta di gestire il comportamento ripetitivo, anche se consapevoli della sua inadeguatezza e del disagio che comporta. Il soggetto getta via il suo tempo, dissipando completamente la sua energia, perdendosi in lunghi ed inutili rituali. Questo rapporto “maldestro”, soprattutto se profondo ed intenso, oltre a far crescere l’ansia, può produrre sbalzi d’umore e modificare negativamente i rapporti interpersonali; la dipendenza - a causa di pensieri “spazzatura” e comportamenti forzati - avvelena, domina, controlla, distrugge, rende schiavi ed impoverisce l’esistenza fino a diventarne la padrona assoluta. Tale esperienza, inoltre, contrariamente a quel che si pensa, non è prerogativa di un’età a rischio e tanto meno circoscritta ad un particolare ceto sociale. E’ un problema endemico che si acuisce con i “crolli” emotivi e si insinua indistintamente, senza misericordia, nelle case dei ricchi e dei poveri, nelle chiese, nelle case popolari, nei colti e negli ignoranti. E’ un fenomeno intenso e travolgente che in maniera subdola prepara il terreno a patologie psicosomatiche ricorrenti davvero importanti come insonnia, eruzioni cutanee, ulcere, cefalea, attacchi di panico e depressione. Il logorio associato alle varie dipendenze, inoltre, può esacerbare o peggiorare alcune condizioni fisiche, spesso già compromesse: intestinali, epatiche, respiratorie, cardiovascolari, neurologiche ed endocrini. 



a dipendenza, alterando la visione della realtà dell’individuo, non è un’abitudine innocua, una banale scusa, una mancanza di responsabilità o un’incapacità di esercitare il controllo su determinate situazioni, ma è - secondo il DSM V - un vero e proprio quadro clinico che coinvolge aspetti sia fisici sia psicologici. Il ventaglio delle dipendenze è particolarmente ampio: da sostanze chimiche, collegate al consumo di: alcol, cibo, nicotina, farmaci, psicostimolanti e psicologiche, collegate al comportamento: - shopping, tentare di colmare un vuoto interiore oppure sentirsi più potenti in virtù del fatto di lasciarsi andare a spese pazze - gioco d’azzardo, difficoltà a gestire la propria affettività - sessuale, distrazione e sollievo emotivo - affettiva, scarsa autostima e bisogno di definire il proprio valore in base all’opinione altrui – lavoro, bisogno ossessivo di garantirsi il futuro attraverso la considerazione e l’accumulo di ricchezza e beni - internet, mezzo per evitare qualsiasi approccio costruttivo al vivere con se stessi e gli altri. La distinzione tra “fisica” o “psicologica” è comunque solo teorica perché tutte le forme di dipendenza alterano e modificano la chimica cerebrale attraverso complessi messaggeri chimici (neurotrasmettitori). Al riguardo si veda la complicata natura della dipendenza da gioco d’azzardo, definita drugless, in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica esterna. Ogni dipendenza, infatti, proprio perché agisce su precise zone cerebrali - dando un senso di esaltazione e piacere provvisorio - alimenta la ricerca del benessere illusorio e scatena il desiderio di ripetere l’esperienza “tossica”. Per la complicata natura assuefante del fenomeno, quindi, non è possibile fare una netta distinzione tra fattori biologici della dipendenza ed elementi psicologici della stessa. Le sostanze psicoattive, in maniera più marcata, e i vari sentimenti umani attivano sempre uno scambio di informazioni a livello cerebrale: tra milioni di cellule nervose. Questa alterazione, agendo sullo stato emotivo, si impossessa lentamente della persona fino ad annullarla completamente: si diventa, man mano che passa il tempo, sempre meno padroni della propria vita. Un ebbrezza altamente distruttiva che assorbe completamente tutte le energie mentali e conduce ad una vita di sterile infelicità. Gesti e rituali che danno un sollievo temporaneo ma che fanno aumentare l’angoscia anziché ridurla.


osa fare. Avere la consapevolezza di questi problemi al loro esordio, prima che diventino parte integrante della vita e del modo di pensare, comporta sicuramente dei vantaggi notevoli. E’ un po’ come riparare le tegole di una vecchia casa prima che venga danneggiato il tetto e lentamente tutto il resto dell’edificio. La tentazione, proprio per la natura complicata della sofferenza emotiva, è di non curarsi del problema e di continuare a sopravvivere con la speranza che qualcosa di “miracoloso” possa aggiustare ogni cosa, ma prima o poi la piccola “rottura” iniziale rovinerà l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere riparato in maniera veloce e con una spesa irrisoria, richiederà costosi ed impegnativi interventi di ristrutturazione. Misure preventive, interventi tempestivi e qualificati rappresentano sempre, proprio per la complessità del problema, la strategia più saggia, conveniente e vincente. Come è stato sottolineato varie volte, più si è dipendenti, depressi o compulsivi, più le aree cerebrali di questi sintomi diventano capaci di generarli (kindling). Un programma terapeutico tempestivo ed adeguato, oltre a ridurre il rischio di ricadute e aiutare il dipendente ad affrontare il senso di vuoto che emerge nella fase di recupero, permette di velocizzare i trattamenti e migliorare, fin da subito, la vita della persona in difficoltà. Il piano di recupero deve basarsi sulla comprensione del significato della dipendenza per il singolo soggetto e delle valenze specifiche attivate in ciascuna situazione.


L’alcolismoè molto di più del fatto di bere

alcolismo, detto anche etilismo, é uno stato di dipendenza definito come l’insieme dei fenomeni patologici provocati dall’abuso di bevande alcoliche. Tale condizione assume caratteristiche di cronicità quando l’abitudine al consumo di bevande alcoliche si prolunga nel tempo, mentre acuta, se si riferisce alla semplice “ebbrezza” episodica. I fattori psicologici che “spingono” l’individuo ad assumere l’alcol in grandi quantità ed in modo continuativo sono: stato di tensione, ansia, depressione, difficoltà relazionali, sentimento di insicurezza, incapacità di autoaffermarsi e bisogno continuo di gratificazioni. L’uso di alcol comunque non è un fenomeno recente e non appartiene sicuramente a questo periodo storico. I nostri antenati, infatti, avevano scoperto – oltre gli effetti apparentemente benefici come forza e coraggio – molti metodi per produrre alcol e altre sostanze psicoattive, a cui veniva riconosciuto un valore spirituale tale da farne il centro di cerimonie religiose e riti di iniziazione sociale. Anche la medicina popolare utilizza da sempre questa sostanza per alleviare il dolore, sia fisico sia psicologico, per dare rilassamento, conforto e felicità, per migliorare le prestazioni relazionali e favorirne la socializzazione. Molte persone riescono a godere dell’effetto piacevole dell’alcol senza diventare dipendenti e sopportare conseguenze negative, se non disastrose. Nella maggior parte dei casi, però, i consumatori di alcol da occasionali diventano abituali e, quando la dipendenza si è instaurata, ogni momento della giornata ruota attorno alla ricerca di questa sostanza … del famoso bicchierino, tanto smetto quando voglio; non appena gli effetti di una “dose” scompaiano inizia, però, l’attesa spasmodica della successiva.

 

sintomi fisici e le conseguenze psicologiche sono gravi e gli effetti negativi coinvolgono l’intera società, oltre ovviamente il consumatore: aumentano gli incidenti d’auto e sul lavoro, i divorzi, i crimini e le violenze, calano la produttività e la coesione sociale. I soggetti che abusano di alcol difficilmente riescono ad ammetterlo; anzi, il più delle volte, lo negano anche di fronte all’evidenza dei fatti. Molto prima di danneggiare il fegato, l’alcol causa perdita della memoria e gastrite; i continui ritardi sul lavoro o le frequenti assenze per malattia portano al licenziamento; il vizio del bere è motivo di gravi problemi familiari, spesso di divorzio, e di comportamenti socialmente pericolosi come la guida in stato di ebbrezza. Quando si abusa di alcol la vita è dominata da dolorose contraddizioni e si impara a mentire, soprattutto, a se stessi. Si ama la famiglia ma si trascurano i doveri; non si chiede aiuto ma si ha il bisogno di qualcuno su cui contare; si assumono sostanze con la speranza di alleviare depressione, ansia e tristezza esistenziale che invece si fanno sentire ogni giorno di più, non appena sfuma l’effetto acuto dell’alcol; si lavora con accanimento ma non si riesce a concludere nulla di buono, provocando i malumori di capi e colleghi (non c’è soddisfazione!); si crede di trovare sicurezza e autostima in una sostanza che in realtà costringe a una forma di schiavitù terribile e, infine, si compiono sforzi davvero immani per uscire dal circolo vizioso in cui si è intrappolati e, ogni volta, poi … si ricade! La dipendenza da sostanze può essere fisica o psicologica. Quella fisica si instaura perché il cervello umano è dotato di uno straordinario sistema di adattamento: le cellule nervose, a contatto con una sostanza estranea si adattano ai suoi effetti e modificano gradualmente il numero, la configurazione e la sensibilità dei ricettori specifici. Un eccesso di sostanza all’inizio provoca un effetto intenso sulle cellule nervose, che si attenua con l’abitudine.


uesto fenomeno detto “tolleranza”, è un meccanismo protettivo che permette al sistema nervoso di adattarsi alla sostanza; ma è anche il responsabile di quel comportamento tipico dell’etilista che lo spinge ad avere bisogno di quantità sempre maggiori della sostanza per ottenere il medesimo effetto, esponendo il cervello e il corpo a dosaggi altissimi e tossici. L’alcol, infatti, è una droga potente che anestetizza il cervello, mima gli effetti di sostanze naturalmente presenti in esso che danno benessere, rilassamento, piacere ed eccitazione. Nell’area corticale del cervello, l’alcol agisce come rilassante e frequentemente distorce la capacità di apprendimento, la memoria, il giudizio e il comportamento. Ma non ha un effetto devastante solo sul cervello. Tutte le cellule sono esposte agli effetti tossici dell’alcol, in particolar modo il fegato e i reni. Non devono essere esclusi comunque i rischi per molte altre patologie come il cancro e i disturbi mentali. Alcuni orientamenti scientifici hanno classificato i bevitori problematici in base a tre grandi tipologie: il bevitore compulsivo – fortemente esposto alla depressione che tende a produrre troppa istamina; il bevitore da sbronza del sabato sera – che può avere bassi livelli di istamina e alti livelli di rame; il bevitore ipoglicemico – che sostituisce lo zucchero con l’alcol. La dipendenza psicologica, invece, consiste nella perdita del controllo sull’utilizzo della sostanza, cioè nel cercare di porsi dei limiti senza riuscirvi. Numerose teorie cercano di spiegare le ragioni per cui questa dipendenza induce in un individuo la coazione a bere. Molti etilisti sono persone ipersensibili, forse troppo sensibili, con grandi difficoltà a sostenere le frustrazioni della vita e di imporsi l’autodisciplina necessaria a smettere di bere. Quasi tutti soffrono di un profondo complesso di inferiorità che cercano di anestetizzare con l’alcol. Un’altra spiegazione può essere quella di evadere la realtà piena di conflitti e tensioni. Mentre per la maggior parte delle persone, chi più chi meno, accettano la responsabilità della vita, alcuni vogliono fuggirle, credono, di non avere la determinazione sufficiente per superarle. Si considerano, a torto, “differenti”. Vi sono molti modi per evadere dalla realtà e all’ansia. Alcuni giocano, altri vanno a donne, altri ancora si masturbano in modo compulsivo e ci sono infine quelli che usano l’alcol.



l motivo sottostante è, tuttavia, sempre lo stesso: anestetizzare, o almeno alleviare in qualche modo, il dolore prodotto dalle vicissitudini personali. I debiti, un rapporto infelice, la convinzione di un fallimento professionale, la solitudine, la sensazione di non essere considerasti o amati, una malattia sono altrettanto alibi per giustificare questa diabolica abitudine. E’ un suicidio lento, parziale, un “avvelenamento” del corpo e della mente, perché non si riesce a riconoscere il vero motivo che sta alla base del senso di sconfitta, della disperazione. La dipendenza dalle bevande alcoliche diventa paradossalmente il compromesso tra il desiderio di vivere e quello di morire: troppo terrorizzato per morire e troppo spaventato per vivere. Un’altra spiegazione di questa dipendenza psicologica è che l’alcol libera le inibizioni. Abbiamo tutti delle emozioni, un mondo istintivo che ci piacerebbe sfogare, ma non riusciamo perché alcuni “vincoli” non ce lo permettono (il lettore attento avrà capito sicuramente che non si tratta di realizzare atti “vandalici” contro la società ma semplicemente di dare corso ai sentimenti!). L’alcol agisce da stimolante, libera l’individuo dal peso delle preoccupazioni e delle paure, allevia i suoi sentimenti di inferiorità e debolezza, permette di accantonare inibizioni e autocensure che normalmente bloccano i sentimenti, scioglie la lingua, rende un timido un perfetto dongiovanni; gli dà la scusa per essere espansivo, spiritoso e, perché no, un perfetto romanticone. Se si viene respinti, la nostra mente è formidabile nel conservare l’autostima, può sempre dare la colpa al “bicchiere in più(questo è un comune meccanismo ossessivo compulsivo presente anche in chi frequenta fattucchiere e cartomanti, non si dice forse, quando le previsioni sono negative, ma tanto è un gioco!).


OSA FARE. Ippocrate scriveva: Si beve per alleviare paura e terrore. Purtroppo chi ricerca il benessere in una sostanza - anche se apparentemente dà una sensazione di forza e coraggio - è destinato ad aggravare anziché alleviare il proprio malessere, a causa proprio dei sintomi psicosomatici connessi all’assunzione continua di alcol. Gli effetti comportamentali prodotti dall’alcol mimano fedelmente i sintomi riscontrabili in chi soffre di disagi emotivi che non fanno uso di sostanze alcoliche, perché il cervello presenta sempre le stesse modalità di alterazione: depressione, ansia, delirio, allucinazioni. Il bevitore problematico, attraverso l’alcol cerca di cambiare la sua vita, di trasformare la sua esistenza e di superare una profonda insicurezza relazionale. In questo modo l’alcol diventa lo strumento, purtroppo inadeguato in quanto illusorio, per sciogliere tutte quelle inibizioni che hanno favorito, nel corso degli anni, l’incomunicabilità con il mondo circostante. L’alcol comunque è e non potrà mai essere uno strumento di felicità. Questa sensazione illusoria di forza, coraggio, felicità e gioia - oltre ad evitare il contatto con i conflitti esistenziali irrisolti - viene trasformata, una volta sfumati gli effetti alcolici, in paura, senso di colpa, isolamento, tristezza, rimorsi. Ecco allora il bisogno di bere nuovamente per coprire quel profondo malessere, per sfuggire ad una realtà deludente … a prezzo, però, di una ulteriore e più grave “punizione”!!! Con l’inebriarsi, infatti, si crea una condizione transitoria di esaltazione, quello che sta intorno “scompare”. Ma quando l’effetto finisce, il bevitore problematico si sente ancora più impotente e più incompreso di prima, a tal punto che è spinto a ricorrere nuovamente all’alcol con una frequenza e una quantità sempre crescenti. La dipendenza da sostanze in genere dura molti anni, con fasi di remissioni e continue ricadute. Non bisogna, però, perdere le speranze: disintossicarsi è possibile, la sobrietà è un obiettivo reale e raggiungibile, molti ne sono usciti con successo. Il primo passo è, ovviamente, ammettere di avere un problema, poi è necessario “impegnarsi” per venirne fuori (senza delegare la risoluzione a qualcosa o a qualcuno). 



l mondo allora apparirà sotto una nuova luce, sarà grandioso liberarsi della dipendenza. Gli alti e bassi che caratterizzano l’andamento della dipendenza da alcol sono simili a quelli di ogni altra patologia cronica. Non ci si dovrebbe sorprendere né mostrare disappunto davanti a una ricaduta: è controproducente parlare di fallimento morale ogni volta che un etilista ha un “ripensamento” o un piccolo cedimento. Esistono, comunque, molti tipi di cura per l’etilismo (si tratta sempre di metodi che, ovviamente, efficaci per alcuni, non lo sono per altri). Alcune scuole di pensiero chiedono (anche chi scrive ritiene utile questa strategia) che l’individuo esamini se stesso e sia “responsabile” nel farlo. Questo è il metodo che più di ogni altro ha dato buoni risultati. L’analisi transazionale agisce sul comportamento, la psicoterapia tradizionale ricerca le radici della dipendenza e del significato simbolico della “bottiglia”, la medicina allopatica prescrive spesso farmaci che, il più delle volte, provocano il vomito quando si ingerisce l’alcol. Anche l’ipnosi è uno strumento che può essere molto utile nel vincere l’etilismo, specie se usata in combinazione con un programma psicoterapeutico ben preciso e, ovviamente, coordinato da una persona qualificata. Altre scuole “organiciste”, invece, sostengono che la dipendenza da alcol ha molto a che fare con gli squilibri biochimici. I tipi ad alta produzione di istamina sono particolarmente inclini all’alcol e possono in genere tollerarlo bene. Un’ampia percentuale di bevitori sono forti produttori di istamina: usano l’alcol come un lento suicidio. Il bevitore da sbronza occasionale ha più probabilmente bassi livelli di istamina. In stretta relazione con l’alcol, molti ipoglicemici diventano dipendenti dall’alcol invece che dello zucchero. Ed è pratica comune degli etilisti, quando non possono bere, usano larghe dosi di zucchero in sua vece. 



dentificare quali di questi fattori svolga una parte importante nella dipendenza fornisce un indizio su come modificare la “nutrizione” per ridurre il desiderio. Leggere queste righe, comunque, non è sufficiente per risolvere un problema di dipendenza; lo scopo è quello di riconoscere o ammettere che tale drammatico problema c’è e, soprattutto, avere informazioni utili; tutto ciò rappresenta un primo, importante passo sulla lunga e difficile strada della guarigione. Non bisogna mai dimenticare che un consumo moderato, se di buona qualità, può essere un elemento di benessere, mentre delegare agli alcolici la risoluzione dei conflitti porta inevitabilmente all’infelicità. Per cui è sempre indispensabile scegliere e selezionare cosa bere - anche da un punto di vista organolettico - sia il tipo di “liquido” sia la qualità, perché in questo modo è possibile gustare la sostanza e cogliere quegli aspetti piacevoli (odore e sapore), caratteristiche organolettiche che ci permettono di “dominare” la bevanda anziché essere “inghiottiti” da essa (perché anche questo appartiene ai piaceri della vita). Un altro aspetto importante, per contrastare l’assunzione di alcolici, è quello di riflettere sulle cose che ci fanno realmente star bene - mettere a fuoco le sorgenti di piacere - senza ricorrere a quel meccanismo automatico del bicchierino per riprendere “quota”. L’alcol, inoltre, a lungo andare, cerca di strutturare in modo automatico e ripetitivo lo stile di vita, tutto ruota attorno al rituale del bere: la cena, comprare la “sostanza”, l’occasione per bere qualcosa. Per stroncare questa modalità reattiva, quindi, è spesso indispensabile introdurre elementi innovativi (nella propria esistenza) in modo tale da stimolare nuove scelte e nuovi comportamenti.



Pianeta ALCOLil nettare del diavolo.


’essere umano da sempre ha il desiderio di trascendere se stesso (oltrepassare ogni cosa, andare oltre): è portato ad ampliare le proprie potenzialità, prestazioni, esperienze, a ricercare con ogni mezzo il piacere o il rilassamento, mettere in atto strategie per evitare il dolore. E’ affamato di cultura, ingordo di fantasie gratificanti, brama per il potere e il controllo … cerca di vivere in un sogno e di essere “in un mondo a sé”. Nella ricerca di “paradisi artificiali” ha conosciuto e creato molti strumenti e varie sostanze (si veda ad esempio il Viagra): una di queste è l’alcol (alimento – droga). L’alcol è la sostanza psicoattiva più antica dell’umanità, oltre che più diffusa, poco costosa e facilmente a portata di mano. Nella ritualità cristiana lo troviamo nell’Eucarestia: il grande mistero del pane e del vino. Mentre nella mitologia Dionisio (o Bacco), divinità dell’ebbrezza, veniva celebrato il tutta la Grecia attraverso questa bevanda considerata immortale. In apparenza, l’assunzione di questa sostanza alcolica dà forza e coraggio. L’alcolismo non dovrebbe mai essere sottovalutato, perché la continua assunzione di tali bevande può causare gravi patologie al fegato, danni cerebrali, cancro al pancreas, obesità, anemia, problemi sessuali, disturbi al sistema nervoso e al cuore. Chi beve cerca nella sostanza alcolica il “fuoco” capace di accendere la vita, di darle una spinta e far emergere, seppur momentaneamente, uno stato di coscienza diverso. Per la stessa ragione questa bevanda, come altre sostanze inebrianti, è ricercata nei rituali di cambiamento, in quanto, operando un’alterazione di consapevolezza, consente di oltrepassare i confini della razionalità, così da permettere alla mente di “andare oltre”: libero sfogo agli istinti rompendo gli argini dei limiti e del controllo. 



he l’alcol, abbia anche effetti positivi è indubbio: l’antica medicina ippocratea lo considerava, preso in maniera moderata, come un vero e proprio farmaco (il problema è trovare la giusta misura). Un consumo occasionale e moderato di alcol, se di buona qualità, può essere sicuramente un elemento di benessere, mentre delegare alle “droghe” la risoluzione dei propri disagi porta dritto all’infelicità. Superare i problemi relazionali, specie con l’altro sesso (non solo femminile, adesso anche maschile), è ancora oggi uno dei tanti vantaggi ricercati nell’alcol: come se il trangugiare tale sostanza permettesse, in qualche modo, di sciogliere completamente le inibizioni che creano una barriera, un muro di incomunicabilità tra se stessi e gli altri. Mi raccontava qualche tempo fa, una signora in terapia, che nella sua vita non aveva ancora trovato un “passatempo” migliore, nonostante la sua avanzata età, che scolarsi alla sera a cena, prima di coricarsi, due bottiglie di buon vino bianco frizzante … era l’unico strumento per smorzare il senso diffuso di vuoto, smarrimento e inutilità. Reggere la solitudine è invece il peso che solitamente si cerca di spartire con un calice in più, soprattutto quando è costellata da pensieri negativi su se stessi: autoaccuse, senso di inadeguatezza, fallimenti, sensi di colpa. Proprio per la sua capacità di “bruciare via” i pensieri nefasti, l’alcol sembra diventare, ovviamente a torto, la scorciatoia più sicura per la felicità. Come in tutte le dipendenze da sostanze (cibo, fumo, droghe) il mito da smantellare, in realtà, è che l’alcol sia uno strumento di felicità: la sua costante assunzione distrae dai veri malesseri da cui si fugge bevendo, cronicizzandoli spesso per sempre. Dà infatti una sensazione illusoria di coraggio, calore, gioia, che però, una volta svaniti gli effetti, si trasformano in paura, freddo interiore e tristezza. Il soggetto che beve diventa lunatico, strano, sconcertante; passa improvvisamente dall’allegria alla tristezza e i periodi di malinconia sono sempre più lunghi e frequenti: emergono collere improvvise, che possono a volte evolvere in aggressività verbale oppure in atti veri e propri di violenza. I tratti fisiologici cambiano improvvisamente: le palpebre si gonfiano, i denti si guastano, la sclera diventa più opaca e perde la sua limpidezza. Ecco l’urgenza di mettere a fuoco i problemi che spingono a bere e, una volta individuati, valutare con lucidità se si sta consegnando all’alcol la soluzione. Riflettere e fermarsi a considerare ciò che veramente può far star bene, senza cedere nell’automatismo del “calicino” è una strategia per alcuni semplicistica, ma sicuramente efficace, per identificare le sorgenti di piacere messe in ombra dai fumi dell’alcol. Quando si avvertono, inoltre, in maniera continuativa i sensi di colpa vuol dire che il boccale di birra o il calice facile di vino non costituiscono più una piacevole occasione, ma diventano la fonte di auto rimproveri, di disistima e profonda sofferenza.


osa fare. Negare di avere un problema di questo tipo rappresenta il principale sintomo dell’alcolismo. La prima fase comunque del trattamento si concentra sulla disintossicazione, riposo, buona alimentazione (sempre cereali e legumi integrali per rendere alcalino l’organismo; distrugge alcune vitamine: A, C, B12, PABA) ed, eventualmente, sempre seguendo le indicazioni del proprio medico, l’assunzione di specifici integratori per ovviare ai danni causati all’organismo (l’alcol distrugge varie vitamine e non solo). Poiché l’alcolismo è spesso un sintomo di relazioni familiari o di matrimoni poco felici è indispensabile non solo una consulenza qualificata per capire le dinamiche psicologiche negative tra i vari componenti ma, soprattutto, il soggetto deve riappropriarsi di strumenti idonei per superare i danni subiti. Un malessere diffuso aleggia per la casa e si sviluppa, inevitabilmente, in tutti i membri della famiglia una comunicazione sempre più povera e distorta: un’incomprensione disastrosa si installa in famiglia. L’alcolismo infatti, non deve mai essere dimenticato, oltre a distruggere se stessi, distrugge completamente le famiglie e crea forme di comunicazione particolarmente negative. La guarigione dall’alcolismo è un processo lento e, per i primi tempi, pieno di insidie: le ricadute sono, purtroppo, piuttosto comuni. Proprio per questo pericolo i programmi terapeutici sono concentrati sia sulla prevenzione delle ricadute sia sulle strategie di sviluppo attraverso le quali è possibile far fronte e convivere con un costante desiderio di alcol. Parallelamente a questa evoluzione psicologica, le persone che stanno superando una forma di abuso o di dipendenza da alcol, possono fare molto per appianare le difficoltà: esercizio fisico (si producono endorfine, allevia la tensione e migliora l’immagine di sé), tutte quelle metodiche terapeutiche utili per controllare lo stress, come rilassamento progressivo, ipnosi, biofeedback, touch of health.



IASSUNTO (Disturbo Dipendente di Personalità). Il dipendente appare indifeso, schivo, docile, bisognoso, sottomesso, passivo, incapace di vivere in maniera autonoma senza ricevere supporto emotivo, rassicurazioni e approvazione dall’ambiente circostante è sempre imprigionato dai suoi eccessivi bisogni. In breve, vuole che qualcuno lo guidi, si prenda cura di lui e si assuma tutte le responsabilità … vuole essere accudito dalla testa ai piedi. Ha una cattiva opinione di se stesso e una bassa autostima: si definisce come un personaggio stupido e sciocco. Le critiche o le disapprovazioni sono devastanti per il suo equilibrio emotivo. Per evitare scontri e conflitti è sempre d’accordo con tutti e il resto del mondo! Gli riesce difficile portare avanti un progetto semplice, prendere decisioni e assumersi responsabilità riguardanti la vita di tutti i giorni anche di poco conto, in quanto sminuisce le proprie capacità (anche di giudizio) in ogni situazione … preferisce delegare perché si sente un perfetto incompetente, è convinto di non saper far nulla da solo! Demanda continuamente agli altri ciò che dovrebbe fare lui. La personalità dipendente, nei periodi di stress acuto, non riesce proprio a scegliere, non sa decidere con chi stare, quale lavoro cercare, che indumento indossare, perfino cosa mangiare. 


uesto soggetto, anche se odia l’isolamento (soffre molto quando è solo), non ha mai un folto numero di amici … i suoi rapporti sociali sono alquanto limitati. Si attacca a quei ricordi invadenti, a quei pochi rapporti come un adesivo, una ventosa, perché teme la separazione, di essere abbandonato dal “capo branco” (si aggrappa alla figura di riferimento perché senza la quale si sente perduto o minacciato) per evitare tutto ciò diventa insolitamente sottomesso fino ad arrivare a fare cose spiacevoli e degradanti. Anche in questa struttura troviamo ansia e tratti depressivi. Difficilmente appare come quadro clinico unico, le sue caratteristiche principali possono apparire in altre personalità (Borderline, Istrionica). La personalità dipendente trae origine da un ambiente familiare in cui le figure di riferimento hanno ostacolato o messo in evidenza che ogni strada per la libertà è insidiosa e piena di pericoli. Nelle vicende evolutive del soggetto, troviamo figure parentali eccessivamente coinvolte, minacciose, molto invadenti, particolarmente intrusive e, soprattutto, per raggiungere i loro obiettivi di opposizione ai cambiamenti libertini (premiare per non aver intrapreso un proprio percorso di indipendenza verso i genitori), usano strumenti di ricatto non molto strutturanti e formativi … sempre pronti a bloccare desideri e disapprovare scelte libere ed autonome.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - 0532.476055
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