sabato 25 gennaio 2014

- DISTURBO ALIMENTARE. Bulimia.


BULIMIA  fame da bue

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in dalla nascita, l’uomo mangia non soltanto per vivere: su questo atto biologico si radicano fattori emozionali e sociali che rendono indissolubili  gli aspetti fisiologici e psicologici dal comportamento alimentare. Il primo contatto sociale, infatti, consiste nel ricevere il nutrimento, si ottiene in questo modo la soddisfazione della fame, conforto, gratificazione dei bisogni e dei desideri; più tardi, man mano che si cresce, insorge la possibilità di opporsi, di non ricevere, di rifiutare, di sputare il cibo e, infine, con la dentizione, di mordere. Il bambino quindi porterà alla bocca e inghiottirà tutto ciò che gli sembra “buono”, desiderabile, suscettibile di soddisfare i bisogni, rifiutando e sputando ciò che considera “cattivo”. Soddisfare la fame produce un sentimento di sicurezza e di benessere; nell’allattamento il bambino prova il primo sollievo dal disagio fisico, e il contatto “caloroso” con la pelle della madre gli dà la sensazione di essere amato. Inoltre, durante l’allattamento egli sperimenta sensazioni piacevoli nella bocca, nelle labbra e sulla lingua, che poi cercherà di produrre, in assenza della madre, succhiandosi il dito. Per certi versi è possibile affermare che la relazione tra madre e bambino è ancora più importante del metodo di alimentazione

attori, comunque, quali amore e attenzione insufficienti, disattenzione, alimentazione frettolosa suscitano il primo sentimento di aggressività. Tali reazioni conflittuali provocano esperienze vegetative. Da una parte l’organismo del bambino è pronto ad assumere il cibo, dall’altro la persona che accudisce viene respinta. In questa condizione si creano stimolazioni nervose negative con crampi allo stomaco e vomito, che possono predisporre a un vero e proprio disagio psicosomatico. Alcuni studi recenti affermano che le pause per il caffè abituali negli uffici e in altri ambienti lavorativi non hanno la finalità di soddisfare un bisogno calorico ma piuttosto quello di alleviare l’irrequietezza collegata a quella situazione particolare del momento, esattamente come il bambino collega l’esperienza della poppata al sollievo del disagio fisico. L’atto del mangiare è in realtà molto adatto a far rivivere umori e sentimenti provati in passato in un’atmosfera simile. Abbiamo visto che la funzione alimentare, per quanto essenziale, non è tutta quanta innata, ma ha bisogno di essere formata, e ciò equivale a dire che tale funzione può essere deviata dalla propria destinazione originaria, qualora la formazione in questione sia mal condotta. E’ come se i bulimici non fossero capaci di avvertire la sazietà, come se continuassero a mangiare pur essendo da un pezzo sazi. Mangiano dunque per altre ragioni che non per la soddisfazione dei loro bisogni fisiologici, per lo più per ragioni d’ordine emozionale. Quando non si risponde in maniera adeguata ai messaggi alimentari si perde la capacità di discriminare fame e sazietà. Vi sono madri che alimentano il proprio figlio tutte le volte che piange, proprio perché sono incapaci di immaginare altri bisogni. Il rapporto madre – figlio, quindi, svolge sicuramente un ruolo importante nello sviluppo (almeno in buona parte) della sintomatologia bulimia. Si crea in tal modo il nesso simbolico in cui il cibo rappresenta amore, sicurezza e soddisfazione del bisogno; nel bulimico il cibo sarà utilizzato in maniera inadeguata ed esagerata allo scopo di risolvere tutti i problemi della sua esistenza. 

n età adulta, quello che per alcune persone è un “buco nero”, per altre è un “vuoto incolmabile” e mangiare diventa l’unico modo per riempirlo o riempirsi, per non sentire il vuoto affettivo e relazionale circostante. Quando è una carenza affettiva ad aver segnato e caratterizzato l’infanzia, quando non si riesce a percepire il calore e l’amore di chi sta attorno, ingerire una grande quantità di cibo è un modo per “scaldarsi” e gratificarsi. L’attacco bulimico si distingue da un eccesso di fame o di “golosità” in quanto l’individuo sembra da un lato non percepire un vero e proprio stimolo di fame, dall’altro non discriminare, in quel frangente, i diversi sapori dei cibi che sta mangiando. Le sostanze più svariate vengono così consumate insieme, dando luogo ad un tentativo di soddisfare questa “fame insaziabile”, tutto ciò avviene generalmente in casa, in assenza di qualunque altra persona, o al limite di nascosto. Tale atto segue un forte senso di colpa (che si caratterizza nella paura di ingrassare) e il bisogno di espellere il cibo introdotto. Compare allora il vomito, quale tentativo di liberarsi di un cibo dapprima indispensabile poi riconosciuto come “tossico”. 


a bulimia è una forma di compulsione che induce chi ne soffre a mangiare a dismisura  o, in casi peggiori, a inghiottire tutto ciò che gli passa sotto gli occhi, senza distinzione. In brevissimo tempo vengono ingurgitati enormi quantitativi di cibo al alto contenuto calorico. A tutto ciò segue, in genere, vomito autoindotto, abuso di lassativi e di diuretici. Queste grandi mangiate sono spesso pianificate o fanno parte di un rituale quotidiano. Dopo un breve periodo di particolare soddisfazione, questo fenomeno è seguito da forti tensioni interiori e da profondi sentimenti di colpa e di vergogna. I disturbi dell’alimentazione hanno a che fare, come già menzionato più volte, con il contatto, il nutrimento, la relazione con il proprio ambiente ma, soprattutto, con la rabbia, la delusione, il dolore; è un segnale rivolto direttamente a qualcuno o qualcosa, difficile da decifrare. Non è ancora ben chiaro il numero preciso dei casi, la cifra sommersa sembra piuttosto elevata. Il decorso abituale è cronico e intermittente su un arco di molti anni. 

i solito le abbuffate si alternano con periodi di alimentazione normale e di digiuno. Alcune persone sono soggette a intermittenti abusi di sostanze, più frequentemente barbiturici, anfetamine o alcol. Altre persone possono manifestare grande apprensione per la loro immagine corporea e il loro aspetto, frequentemente in relazione con la mancanza di attrattiva sessuale; tale inquietudine è focalizzata su come gli altri possono vederli e su come possono reagire nei loro confronti. La bulimia raramente inabilita, se si eccettuano alcuni individui che passano l’intera giornata dietro alle loro abbuffate e al vomito autoindotto. La maggior parte delle complicanze fisiche deriva dal comportamento di “eliminazione” e di “purificazione”. Il vomito autoindotto porta all’erosione dello smalto dei denti incisivi e all’ipertrofia dolorosa delle ghiandole salivari. A volte si crea ipopotassiemia particolarmente grave. L’abuso di lassativi e diuretici può provocare squilibri elettrolitici ed edema; il vomito di succhi gastrici provoca esofagite, lesioni dentali, ingrossamento cronico della parotide. La masticazione frequente induce ipertrofia del massetere che conferisce tratti facciali caratteristici. Completano il quadro somatico la distensione dello stomaco, stipsi conseguente all’abuso di lassativi e disturbi mestruali.
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COSA FARE. L’aspetto fondamentale nel trattamento della bulimia è la personalizzazione del programma terapeutico (ogni caso è unico ed irripetibile). Concomitanti disagi emotivi, come tratti depressivi, disturbi della personalità, l’abuso di sostanze, dovrebbero sempre rientrare nel piano di intervento globale. L’approccio terapeutico a questo particolare disagio, certamente non facile, prevede spesso interventi integrati ma, soprattutto, un aiuto esterno sapiente e qualificato. Poiché chi vive questa difficoltà appartiene ad un gruppo sociale in cui il livello di confusione e contrapposizione è molto forte, gli obiettivi terapeutici sono rivolti a favorire la definizione dei confini generazionali, separazione e differenziazione dei membri di tale sistema (definire i ruoli). In realtà si cerca di promuovere lo sviluppo del processo di autonomia (indipendenza), rafforzare quelle parti della personalità indebolite ed aumentare il livello di autostima.

arà indispensabile elaborare, successivamente, le tematiche collegate alla dipendenza, alla simbiosi e all’aggressività. Riassumendo, come per l’anoressia, la psicoterapia individuale di natura espressivo – supportiva è la pietra miliare del trattamento bulimico. Anche gli interventi sulla famiglia sotto forma di sostegno e di educazione sono in genere necessari per rafforzare la terapia individuale. Ogni trattamento, al di là dei vari orientamenti scientifici, deve sempre armonizzare, se non si vuole fallire, con gli interessi e il sistema di credenze del paziente. Le tecniche ipnotiche, abbinate a terapie psicoterapiche, saranno di estrema utilità per rilassare alcuni distretti corporei, riequilibrare a livello biochimico l’organismo e stimolare, nel contempo, i contenuti profondi in modo tale che essi abbiano la possibilità di esprimersi attraverso il variegato linguaggio delle immagini.

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Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 -  0532,476055
 E mail:  bonipozzi@libero.it



NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

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