mercoledì 4 maggio 2016

Medici generici e psicoterapeuti … alle prese con disagi psicosomatici



Medici generici e psicoterapeuti

... alle prese con disagi psicosomatici

 
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e terapie psicosomatiche, la cui originalità è basata sullo studio della relazione medico – paziente, si stabiliscono sia a livello del medico generico sia a livello dello psicoterapeuta. Ognuno dei due deve evitare una tentazione: il “generico” è sempre attratto dalle pregiudiziali organicistiche, lo psicoterapeuta da quelle psico – genetiche. Mi spiego meglio: quando un generico  deve trattare un caso di un malato alle coronarie, avrà la tendenza ad imputare l’insieme della sintomatologia allo spasmo coronario … tutto ciò che è connesso all’apparato cardiocircolatorio. La maggior parte del tempo, non prenderà in considerazione i problemi “nervosi” che, come causa aggiunta, tenderà a regolarli con la somministrazione di benzodiazepine (Valium, Tavor, Alcion, Xanax). Egli può, da allora in conseguenza di questo pregiudizio organico, ‘sorvolare’ su un conflitto grave sul piano professionale, sociale o familiare del soggetto, che lo spasmo coronario costituisce un mezzo per evitare, ossia un beneficio secondario (vantaggio che un malato trae dalla sua situazione, che gli permette di evitare le difficoltà della vita e di beneficiare, di una maggiore sollecitudine da parte dell’ambiente familiare). Posto di fronte allo stesso malato, lo psicoterapeuta spiegherà facilmente la sintomatologia con i conflitti emotivi (rabbia, aggressività, dipendenza, fuga nella malattia) e questo pregiudizio ‘psico – genetico’ rischia di fargli trascurare una eventuale lesione coronaria organica che necessita di un certo numero di precauzioni semplici e indispensabili. In ognuna delle due discipline, è dunque sempre possibile tralasciare qualcosa. In ragione del rapporto numerico organicismi – psicoterapeuti, avviene più spesso che psicoterapeuti siano ‘passati’ a lato di una diagnosi organica. Ma avviene anche il contrario, più spesso sconosciuto, di organicisti che optano per una diagnosi eziologia psichiatrica. In realtà, il trattamento dovrà tener conto dei due aspetti del problema che sono embricati e dialetticamente collegati.

onviene qui non cadere nella falsa soluzione della divisione di questo tipo di paziente fra un organicista (che si occuperebbe dei problemi cardiologici) ed uno psicoterapeuta (che si occuperebbe dei problemi psicologici). E’ questo tipo di ‘divisione’ di “spezzettamento” del malato che porta ad una fuga dalla responsabilità e che, se fosse ammessa, condurrebbe a non considerare la medicina psicosomatica come importante ed indispensabile contributo al benessere del malato. Il trattamento deve restare autenticamente psicosomatico e determinarsi ‘sulla totalità del malato’. E’ allora necessario considerare alcuni criteri nella scelta del trattamento migliore. Nel caso di una malattia breve, per esempio, è certo che gli elementi psicologici, se hanno importanza, cedono il passo alle terapie chimiche o fisiche. Il medico generico che cura un soggetto colpito da una affezione microbica acuta febbrile o da una affezione traumatica avrà soltanto pochi problemi di relazione con il malato da risolvere … anche, se detto tra di noi, non dovrebbe mai trascurarli (perché sono proprio i fattori psicologici i veri nemici del sistema immunitario). Non bisogna mai dimenticare, infatti, che lo stress protratto nel tempo espone a certi processi morbosi: un soggetto perennemente in tensione diventa terreno fertile per lo sviluppo delle malattie. 

attori psicologici autodistruttivi come ad esempio rabbia, angoscia e senso di colpa invisibile sono oramai ritenuti, da tutta la comunità scientifica, i veri nemici della salute. E’ nel corso di questi contatti che il medico generico stabilisce con il suo paziente, un tipo particolare di relazione. Egli si inserisce nella famiglia ed acquisisce numerose informazioni in una situazione allora semplice, informandosi che potranno aiutarlo notevolmente, sia per risolvere con il minimo di energia il problema, sia per essere più informato, se nuovi episodi patologici lo portano, in un secondo tempo, a rivedere lo stesso paziente. E’ nella situazione di malattie lunghe che il problema di relazione viene in primo piano. Lo scopo non è la guarigione, ma un adattamento fra il paziente e i sintomi. Il ruolo del medico è di saper trattare con il malato e la sua malattia. La maggior parte dei malati rientra in questa categoria. Anche senza parlare delle affezioni di natura emotiva, la maggior parte delle patologie reumatiche, cardiologiche, endocrinologiche, una gran parte delle affezione respiratorie, traumatiche, digestive costituiscono degli stati patologici duraturi. Il mito della guarigione, perseguito dalla maggior parte dei medici generici è una illusione alla quale essi stessi spesso credono. La difficoltà è di rinunciare a guarire la malattia e di far vivere il malato ‘nelle miglior condizioni possibili’.

el resto, poiché la malattia è duratura, la ripercussione psicologica è evidente: il soggetto nella situazione di malattia è una entità psicosomatica modificata. Chi, allora, deve incaricarsi del paziente? Qui si pone un problema difficile, perché è dalla soluzione che gli si dà che dipende l’evoluzione della malattia. Sfortunatamente, questa soluzione è affidata attualmente quasi sempre al caso. Per risolverla, è necessario considerare alcune caratteristiche della situazione del malato per definire un programma. In alcuni casi, ci si contenterà di definire un programma terapeutico che tenda alla soppressione dei sintomi; in altri casi un programma che ricerchi la soluzione delle cause dei sintomi. L’ambizione di quest’ultimo è più elevata. Ma non è in causa soltanto il desiderio del medico. Piuttosto frequentemente non è augurabile, talvolta impossibile, risalire fino ad una soluzione eziologia. Accade in realtà che il sintomo debba essere ‘rispettato’ dal medico quando è diventato parte integrante dell’equilibrio psicosomatico del soggetto, e questa è una soluzione difficile da ammettere, da parte di un terapeuta. Così il programma si stabilisce tra:

  • Rispetto del sintomo;
  • Sparizione del sintomo senza guarigione della personalità del malato;
  • Ristrutturazione eziologia che fa sparire ipso facto il sintomo.
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Soltanto la terza eventualità ha bisogno della messa in opera di un intervento psicoterapeutico. Esso non interviene, abbastanza spesso, che dopo un periodo in cui l’obiettivo secondo è stato considerato e raggiunto. Diamo una breve illustrazione di questo programma. Una gastralgia in un soggetto relativamente giovane può formare, in una esistenza sottoposta a pressioni sociali o familiari, un sintomo di aggressività che fa in qualche modo equilibrio, alle forze minacciose che lo circondano. Se l’ambiente che lo circonda è particolarmente terribile, se la personalità del soggetto non è sufficientemente solida, egli si crea un equilibrio: la lamentela permette al soggetto di essere trattato con riguardo dall’ambiente che lo circonda (beneficio secondario della malattia), e la molestia diventa sopportabile. 

e si sopprime il sintomo, il paziente potrebbe non poter fare le spese della sua aggressività ormai liberata e l’equilibrio della sua esistenza viene così spezzato. La gastralgia può allora evolversi verso una sintomatologia più grave: organica (ulcera) o psichiatrica (psicosi o nevrosi bene che vada). Questa nozione di equilibrio è esattamente dimostrata da episodi di compenso che sopravvengono nell’occasione di traumi o problemi affettivi minimi, senza rapporto con la patologia che instaurano. Prima dell’incidente vi era un equilibrio precario fra lamenti e benefici, e l’irruzione di un leggero sovraccarico rompe il rapporto e mette in moto un avvenimento patologico più o meno grave. Di fronte a queste personalità fragili ancora in equilibrio, è necessario guardarvi due volte prima di intervenire, poiché la soppressione del sintomo potrebbe avere il ruolo di rottura cataclismica. Se, al contrario, la situazione è più favorevole, il trattamento potrà avere per scopo la soppressione del sintomo. Qui intervengono due fattori:

    1.  Sarà necessario dare al malato qualcosa ‘al posto’ del sintomo;
    2.  La condotta è diversa a seconda che il sintomo ‘abbia un significato’ simbolico ‘o assuma soltanto un ruolo energetico’
el caso in cui il sintomo abbia un significato, quello che il medico dovrà offrire al paziente, è una relazione nella quale potrà simbolicamente scambiarsi il materiale bloccato nel sintomo: amore – odio, paura, angoscia, rabbia, dipendenza, aggressività. Questo potrà avvenire senza passare attraverso la presa di coscienza. In questo caso, il paziente resterà capace, in seguito, di ricorrere ad un nuovo episodio patologico se si riproduce un conflitto dello stesso ordine. Avrà accettato l’abbandono del sintomo ma la sua personalità non sarà modificata. Se il sintomo non ha un significato simbolico, il suo abbandono non si farà che contro un ‘compenso’ affettivo, da parte del medico (rassicurazione, confidenza…)

a anche qui, se l’analisi del transfert non avviene, il paziente manterrà la sua carenza di personalità che gli farà riprendere una evoluzione verso la patologia, se le difficoltà conflittuali si riproducono. Infine, in alcuni casi, il programma terapeutico può aver l’ambizione di ristrutturare la personalità del paziente e questo può essere effettuato soltanto attraverso una psicoterapia specifica. L’accessibilità a questo o a quel programma risulta dall’unione di diversi fattori, che è difficile, ossia impossibile, analizzare esaurientemente e la cui possibilità di sintesi finale dimostra la vera capacità del professionista in questione. Ciò che egli ‘sente’ possibile o no, è il frutto di questa sintesi della quale molti elementi restano inconsci e formano il ‘desiderio’ che si ha di trattare quel malato in quella maniera. È anche dalle diverse soluzioni che si danno a questo tipo di problema che nascono le discussioni fra colleghi, ossia fra scuole di pensiero, ed è la diversità dei terapeuti che fa sì che per ‘un’ malato non esista che ‘una’ soluzione. Diciamo per prima cosa che è necessario considerare diversamente il malato che presenta una ‘lesione’ e il malato che si chiama funzionale. 

el malato che presenta soltanto disturbi funzionali, la mira terapeutica può essere legittimamente più ambiziosa. Vi sono, d’altra parte, numerose possibilità che la scelta dell’organo leso abbia un significato e, di conseguenza, che l’elemento relazionale psicoterapeutico debba assumere un ruolo dinamico essenziale. Diciamo che, in assenza di lesione, la situazione sembra più promettente, più fertile di possibilità. È curioso constatare che il medico organicista abbia un sentimento contrario. Egli preferisce la lesione perché è la lesione che egli ha imparato a trattare.



Bonipozzi dott. Claudio   Tel. 349.1050551 - 0532.476055

NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

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