domenica 8 giugno 2014

- DIPENDENZA. Alcolismo...





Alcolismo  è molto di più del fatto di bere


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alcolismo, detto anche etilismo, è uno stato di dipendenza definito come l’insieme dei fenomeni patologici provocati dall’abuso di bevande alcoliche. Tale condizione assume caratteristiche di cronicità quando l’abitudine al consumo di bevande alcoliche si prolunga nel tempo, mentre acuta, se si riferisce alla semplice “ebbrezza” episodica. I fattori psicologici che “spingono” l’individuo ad assumere l’alcol in grandi quantità ed in modo continuativo sono:  stato di tensione, difficoltà relazionali, sentimento di insicurezza, incapacità di autoaffermarsi e bisogno continuo di gratificazioni. L’uso di alcol comunque non è un fenomeno recente e non appartiene sicuramente    a  questo   periodo  storico.  I nostri antenati, infatti, avevano scoperto – oltre gli effetti apparentemente benefici come forza e coraggio – molti metodi per produrre alcol e altre sostanze psicoattive, a cui veniva riconosciuto un valore spirituale tale da farne il centro di cerimonie religiose e riti di iniziazione sociale. Anche la medicina popolare utilizza da sempre questa sostanza per alleviare il dolore, sia fisico sia psicologico, per dare rilassamento, conforto e felicità, per migliorare le prestazioni e favorirne la socializzazione. Molte persone riescono a godere dell’effetto piacevole dell’alcol senza diventare dipendenti e sopportare conseguenze negative. Nella maggior parte dei casi, però, i consumatori di alcol da occasionali diventano abituali e, quando la dipendenza si è instaurata, ogni momento della giornata ruota attorno alla ricerca di questa sostanza; non appena gli effetti di una “dose” scompaiano inizia l’attesa spasmodica della successiva.

sintomi fisici e le conseguenze psicologiche sono gravi e gli effetti negativi coinvolgono l’intera società, oltre ovviamente il consumatore: aumentano gli incidenti d’auto e sul lavoro, i divorzi, i crimini e le violenze, calano la produttività e la coesione sociale. I soggetti che abusano di alcol difficilmente riescono ad ammetterlo; anzi, il più delle volte, lo negano anche di fronte all’evidenza dei fatti. Molto prima di danneggiare il fegato, l’alcol causa perdita della memoria e gastrite; i continui ritardi sul lavoro o le frequenti assenze per malattia portano al licenziamento; il vizio del bere è motivo di gravi problemi familiari, spesso di divorzio, e di comportamenti socialmente pericolosi come la guida in stato di ebbrezza. Quando si abusa di alcol la vita è dominata da dolorose contraddizioni e si impara a mentire, soprattutto, a se stessi. Si ama la famiglia ma si trascurano i doveri; non si chiede aiuto ma si ha il bisogno di qualcuno su cui contare; si assumono sostanze con la speranza di alleviare depressione, ansia e tristezza esistenziale che invece si fanno sentire ogni giorno di più, non appena sfuma l’effetto acuto dell’alcol; si lavora con accanimento ma non si riesce a concludere nulla di buono (…non c’è soddisfazione) provocando i malumori di capi e colleghi; si crede di trovare sicurezza e autostima in una sostanza che in realtà costringe a una forma di schiavitù terribile e, infine, si compiono sforzi davvero immani per uscire dal circolo vizioso in cui si è intrappolati e, ogni volta, poi … si ricade. La dipendenza da sostanze può essere fisica o psicologica. Quella fisica si instaura perché il cervello umano è dotato di uno straordinario sistema di adattamento: le cellule nervose, a contatto con una sostanza estranea si adattano ai suoi effetti e modificano gradualmente il numero, la configurazione e la sensibilità dei ricettori specifici. Un eccesso di sostanza all’inizio provoca un effetto intenso sulle cellule nervose, che si attenua con l’abitudine. 

uesto fenomeno detto “tolleranza”, è un meccanismo protettivo che permette al sistema nervoso di adattarsi alla sostanza; ma è anche il responsabile di quel comportamento tipico dell’etilista che lo spinge ad avere bisogno di quantità sempre maggiori della sostanza per ottenere il medesimo effetto, esponendo il cervello e il corpo a dosaggi altissimi e tossici.  L’alcol, infatti, è una droga potente che anestetizza il cervello, mima gli effetti di sostanze naturalmente presenti in esso che danno benessere, rilassamento, piacere ed eccitazione. Nell’area corticale del cervello, l’alcol agisce come rilassante e frequentemente distorce la capacità di apprendimento, la memoria, il giudizio e il comportamento. Ma non ha un effetto devastante solo sul cervello. Tutte le cellule sono esposte agli effetti tossici dell’alcol, in particolar modo il fegato e i reni. Non devono essere esclusi comunque i rischi per molte altre patologie come il cancro e i disturbi mentali. Alcuni orientamenti scientifici hanno classificato i bevitori problematici in base a tre grandi tipologie: il bevitore compulsivo – fortemente esposto alla depressione che tende a produrre troppa istamina; il bevitore da sbronza del sabato sera – che può avere bassi livelli di istamina e alti livelli di rame; il bevitore ipoglicemico – che sostituisce lo zucchero con l’alcol.


a dipendenza psicologica, invece, consiste nella perdita del controllo sull’utilizzo della sostanza, cioè nel cercare di porsi dei limiti senza riuscirvi. Numerose teorie cercano di spiegare le ragioni per cui questa dipendenza induce in un individuo la coazione a bere. Molti etilisti sono persone ipersensibili, forse troppo sensibili, con grandi difficoltà a sostenere le frustrazioni della vita e di imporsi l’autodisciplina necessaria a smettere di bere. Quasi tutti soffrono di un profondo complesso di inferiorità che cercano di anestetizzare con l’alcol. Un’altra spiegazione può essere quella di evadere la realtà piena di conflitti e tensioni. Mentre per la maggior parte delle persone, chi più chi meno, accettano la responsabilità della vita, alcuni  vogliono fuggirle, credono, di non avere la determinazione sufficiente per superarle. Si considerano, a torto, “differenti”Vi sono molti modi per evadere dalla realtà e all’ansia. Alcuni giocano, altri vanno a donne, altri ancora si masturbano in modo compulsivo e ci sono infine quelli che usano l’alcol. Il motivo sottostante è, tuttavia, sempre lo stesso: anestetizzare, o almeno alleviare in qualche modo, il dolore prodotto dalle vicissitudini personali.


debiti, un rapporto infelice, la convinzione di un fallimento professionale, la solitudine, la sensazione di non essere considerasti o amati, una malattia sono altrettanto alibi per giustificare  questa diabolica abitudine. E’ un suicidio lento, parziale, un “avvelenamento” del corpo e della mente, perché non si riesce a riconoscere il vero motivo che sta alla base del senso di sconfitta, della disperazione. La dipendenza dalle bevande alcoliche diventa paradossalmente il compromesso tra il desiderio di vivere e quello di morire: troppo terrorizzato per morire e troppo spaventato per vivere. Un’altra spiegazione di questa dipendenza psicologica è che l’alcol libera le inibizioni. Abbiamo tutti delle emozioni, un mondo istintivo che ci piacerebbe sfogare, ma non riusciamo perché alcuni “vincoli” non ce lo permettono (il lettore attento avrà capito sicuramente che non si tratta di realizzare atti “vandalici” contro la società ma semplicemente di dare corso ai  sentimenti!)L’alcol agisce da stimolante, libera l’individuo dal peso delle preoccupazioni e delle paure, allevia i suoi sentimenti di inferiorità e debolezza, permette di accantonare inibizioni e autocensure che normalmente bloccano i sentimenti, scioglie la lingua, rende un timido un perfetto dongiovanni; gli dà la scusa per essere espansivo, spiritoso e, perché no, un perfetto romanticone. Se si viene respinti, la nostra mente è formidabile nel conservare l’autostima, può sempre dare la colpa al “bicchiere in più” (questo è un comune meccanismo ossessivo compulsivo presente anche in chi frequenta fattucchiere e cartomanti, non si dice forse, quando le previsioni sono negative,  ma tanto è un gioco!).



OSA FARE. Ippocrate scriveva: “Si beve per alleviare paura e terrore”. Purtroppo chi ricerca il benessere in una sostanza - anche se apparentemente dà una sensazione di forza e coraggio - è destinato ad aggravare anziché alleviare il proprio malessere, a causa proprio dei sintomi psicosomatici connessi all’assunzione continua di alcol. Gli effetti comportamentali prodotti dall’alcol mimano fedelmente i sintomi riscontrabili in chi soffre di disagi emotivi che non fanno uso di sostanze alcoliche, perché il cervello presenta sempre le stesse modalità di alterazione: depressione, ansia, delirio, allucinazioni.

l bevitore problematico, attraverso l’alcol cerca di cambiare la sua vita, di trasformare la sua esistenza e di superare una profonda insicurezza relazionale. In questo modo l’alcol diventa lo strumento, purtroppo inadeguato in quanto illusorio, per sciogliere tutte quelle inibizioni che hanno favorito, nel corso degli anni, l’incomunicabilità con il mondo circostante.
L’alcol comunque è e non potrà mai essere uno strumento di felicità. Questa sensazione illusoria di forza, coraggio, felicità  e gioia - oltre ad evitare il contatto con i conflitti esistenziali irrisolti - viene trasformata, una volta sfumati gli effetti alcolici, in paura, senso di colpa, isolamento, tristezza, rimorsi. Ecco allora il bisogno di bere nuovamente per coprire quel profondo malessere, per sfuggire ad una realtà deludente … a prezzo di una ulteriore “punizione”.

on l’inebriarsi, infatti, si crea una condizione transitoria di esaltazione, quello che sta intorno “scompare”. Ma quando l’effetto finisce, il bevitore problematico si sente ancora più impotente e più incompreso di prima, a tal punto che è spinto a ricorrere nuovamente all’alcol con una frequenza e una quantità sempre crescenti. 
La dipendenza da sostanze in genere dura molti anni, con fasi di remissioni e continue ricadute. Non bisogna, però, perdere le speranze: disintossicarsi è possibile, la sobrietà è un obiettivo reale e raggiungibile, molti ne sono usciti con successo. Il primo passo è, ovviamente, ammettere di avere un problema, poi è necessario “impegnarsi” per venirne fuori (senza delegare la risoluzione a qualcosa, qualcuno…). Il mondo allora apparirà sotto una nuova luce, sarà grandioso liberarsi della dipendenza. Gli alti e bassi che caratterizzano l’andamento della dipendenza da alcol sono simili a quelli di ogni altra patologia cronica. Non ci si dovrebbe sorprendere né mostrare disappunto davanti a una ricaduta: è controproducente parlare di fallimento morale ogni volta che un etilista ha un “ripensamento” o un piccolo cedimento. Esistono, comunque, molti tipi di cura per l’etilismo (si tratta sempre di metodi che, ovviamente, efficaci per alcuni, non lo sono per altri). Alcune scuole di pensiero  chiedono (anche chi scrive ritiene utile questa strategia) che l’individuo esamini se stesso e sia “responsabile” nel farlo. Questo è il metodo che più di ogni altro ha dato buoni risultati. L’analisi transazionale agisce sul comportamento, la psicoterapia tradizionale ricerca le radici della dipendenza e del significato simbolico della “bottiglia”, la medicina allopatica prescrive spesso farmaci che, il più delle volte, provocano il vomito quando si ingerisce l’alcol.

Risultati immagini per ubriachi nei dipintiAnche l’ipnosi è uno strumento che può essere molto utile nel vincere l’etilismo, specie se usata in combinazione con un programma terapeutico ben preciso e, ovviamente, coordinato da una persona qualificata. Altre scuole “organiciste”, invece, sostengono che la dipendenza da alcol ha molto a che fare con gli squilibri biochimici. I  tipi ad alta produzione di  istamina sono particolarmente inclini all’alcol e possono in genere tollerarlo bene. Un’ampia percentuale di bevitori sono forti produttori di istamina: usano l’alcol come un lento suicidio. Il bevitore da sbronza occasionale ha più probabilmente bassi livelli di istamina. In stretta relazione con l’alcol, molti ipoglicemici diventano dipendenti dall’alcol invece che dello zucchero. Ed è pratica comune degli etilisti, quando non possono bere, usano larghe dosi di zucchero in sua vece. Identificare quali di questi fattori svolga una parte importante nella dipendenza fornisce un indizio su come modificare la “nutrizione” per ridurre il desiderio. Leggere queste righe, comunque, non è sufficiente per risolvere un problema di dipendenza; lo scopo è quello di riconoscere o ammettere che tale drammatico problema c’è e, soprattutto, avere informazioni utili; tutto ciò rappresenta un primo, importante passo sulla lunga e difficile strada della guarigione. Non bisogna mai dimenticare che un consumo moderato, se di buona qualità, può essere un elemento di benessere, mentre delegare agli alcolici la risoluzione dei conflitti porta inevitabilmente all’infelicità. 

er cui è sempre indispensabile  scegliere e selezionare cosa bere - anche da un punto di vista organolettico - sia il tipo di “liquido” sia la qualità,  perché in questo modo è possibile gustare la sostanza e cogliere quegli aspetti piacevoli (odore e sapore) che ci permettono di “dominare” la bevanda anziché essere “inghiottiti” da essa (perché anche questo appartiene ai piaceri della vita). Un altro aspetto importante, per contrastare l’assunzione di alcolici, è quello di riflettere  sulle cose che ci fanno realmente star bene - mettere a fuoco le sorgenti di piacere -  senza ricorrere a quel meccanismo automatico del bicchierino per riprendere “quota”. L’alcol, inoltre, a lungo andare, cerca di strutturare in modo automatico e ripetitivo lo stile di vita, tutto ruota attorno al rituale del bere: la cena, comprare la “sostanza”, l’occasione per bere qualcosa …  Per stroncare questa modalità reattiva, quindi, è spesso indispensabile introdurre elementi innovativi (nella propria esistenza) in modo tale da stimolare nuove scelte e nuovi comportamenti.



e il presente ci opprime, ci ritiriamo nel passato, nei “bei vecchi tempi”. La fantasia, come l’alcol e i tranquillanti, addolcisce i “mille turbamenti naturali cui la carne è esposta” … il mondo dell’immaginario costa davvero poco, il suo prezzo quotidiano è più che ragionevole. Il trucco, naturalmente, è di impedirle di sfuggirci dalle mani. Farlo ci insegnerà molto di ciò che essa è: ma che cos’è, da dove salta fuori e come riconoscerla. Sebbene un esame della fantasia possa essere fatto in maniera veramente facile e possa esserci estremamente utile, la nostra inclinazione e l’atteggiamento principale in questo periodo storico è di non studiarla. C’erano tempi, precedenti nella nostra storia, in cui vivevamo in modo diverso e in un mondo dominato dal mito e della superstizione. Anche la religione esercitava una più forte e forse più fondamentale influenza di quanto faccia oggi. Il mondo come lo vediamo adesso. È proprio diverso. Esso è descritto dalla scienza. E’ un mondo spiegato dai principi tecnologici, dai filosofi materialistici, dai criteri oggettivi. Non ci preoccupa più, come ci preoccupava una volta … ogni cosa viene passata a setaccio dalla fisica nucleare. 

ei fatti, anche le considerazioni morali che una volta ci inibivano col “terrore dell’inferno e la speranza del paradiso”, sono state rimpiazzate dal nostro adattamento totalmente realistico. In breve siamo tutti dei perfetti realisti. Ma quando siamo affascinati, presi (molto spesso) dai sentimenti cosa succede?  Che cos’è allora questo fenomeno che chiamiamo fantasia? Che cos’è questo processo con il quale ci intratteniamo in pensieri che, come alcuni filosofi hanno stabilito, non derivano dalla testimonianza della realtà e rimangono subordinati al piacere di un principio libero? D’accordo con il dizionario possiamo dire, per il momento, che la fantasia è una creatività fittizia, un immaginare il compimento di un desiderio come in un sogno, in un’immaginazione, in una fantasticheria. In breve la fantasia è un insieme di pensieri che vagano liberamente, dissimili da quelli che sono volti intenzionalmente alla risoluzione di un problema il cui procedere costituisce l’atto di pensare. Perché ci lasciamo andare alle fantasticherie quando sappiamo che mancano di una relazione evidente con la realtà in termini di effetto causale? Impariamo persino duramente, attraverso la disillusione, che la fantasia è inefficace. Non possiamo cambiare nulla con i nostri sogni. Eppure ci sono molte ragioni per fantasticare. La prima è che cominciamo a vivere senza comprendere per niente la realtà. Per un bambino il mondo, infatti, è un grosso, ronzante, confusionario posto. Per le prime sei settimane circa, un bambino non può nemmeno vedere. Il mondo gli sembra vago, ombroso e minaccioso. Gli occorrono alcuni anni prima di imparare a regolare il senso della profondità attraverso tentativi ed errori che lo fanno inciampare negli oggetti. La sua comprensione del mondo fisico comincia ad evolversi progressivamente … ogni cosa inanimata che lo circonda, per lui, è vivente … un fenomeno che rende più facile distaccarsi dalla realtà; sviluppare fantasie.

nche noi adulti, se ci pensiamo un attimo, ci rendiamo conto che dal punto di vista intellettuale siamo nel migliore dei casi radicati nella realtà parzialmente. E ciò ci lascia pronti per staccarci dalla realtà ed immergerci nella fantasia. Ad esempio, ci sono ancora molte cose nel mondo intorno a noi che non comprendiamo. La natura umana è fondamentalmente un insieme di contraddizioni. Vogliamo essere liberi, ma c’è conforto e compagnia nell’uniformità. Vogliamo affermare noi stessi, ma la disapprovazione degli altri è minacciosa. Vogliamo essere in buona saluta, ricchi, astuti, ma lavorare per ciò è troppo difficile. Vogliamo vivere in eterno, ma nessuno vuole invecchiare. La contraddizione è il maggiore ingrediente del conflitto, e il conflitto è una legge dentro di noi. Siamo continuamente in conflitto con qualcosa, anche quando non ne siamo consapevoli. Frequentemente la nostra coscienza è sopraffatta non dal conflitto in sé, ma dal suo inevitabile vincitore, l’ANSIETA’. La timidezza, la paura, l’apprensività, la preoccupazione, questo è quello che emerge o lascia alle spalle un conflitto interiore. La vita è difficile; non ci va mai bene niente quando siamo in conflitto con qualcosa. Oltre a tormentarci nell’intimo, ci tormentiamo anche all’esterno lottando fra i nostri desideri e le difficoltà pratiche per soddisfarli. Virtualmente ogni cosa che vogliamo è circondata da un muro, il suo PREZZO. E la valuta non è costituita da euro o da centesimi. Quando non abbiamo il “denaro” per pagare i nostri desideri, siamo frustrati. Questo ci lascia con l’ansietà che deriva dal nostro struggimento interiore e con la frustrazione che deriva dal nostro tormento esteriore. La combinazione conduce a un senso di futilità; la realtà diventa qualcosa che deve essere evitato. E noi la evitiamo. Abbiamo una notevole inventiva nel trovare stratagemmi, perché l’essere umano ha una grande capacità di adattamento (nel bene e nel male). Una delle cose che dobbiamo fare è di razionalizzare, proprio come fece la volpe con l’uva acerba. 

i adattiamo attraverso una repressione. Ciò costituisce il nostro modo di comportarci quando escludiamo dalla coscienza e dalle reali espressioni fisiche un oggetto che ci spaventa o non ci piace. Rifiutiamo di guardare ciò che non vogliamo vedere. Naturalmente facciamo ciò inconsciamente, in maniera automatica. Qualche volta il rifiuto di guardare assume la forma della dimenticanza. Dimenticare è un comune mezzo di repressione. Dimentichiamo quello che non vogliamo ricordare. Dimentichiamo che abbiamo un appuntamento con qualcuno che, infatti, non vogliamo vedere. O possiamo scendere a un compromesso. Non vogliamo andare all’appuntamento, ma la realtà vuole che vi andiamo. Da un lato avvertiamo i nostri obblighi sociali e gli affari, e dall’altro sentiamo i nostri impulsi e le nostre esigenze … preferenze. Così scegliamo il compromesso, andiamo un po’ più tardi. L’essere in ritardo è un’espressione comune di un’incertezza che sentiamo come il risultato di un tale conflitto. Un altro modo di rendere più accettabile la realtà è quello di trasformare i nostri desideri in modalità di espressioni accettate dalla società. Chiamiamo ciò sublimazione. Un bambino, ad esempio, che è educato allo pulizia con costrizione, con minacce, con punizioni, può cadere in una fissazione nella zona anale, cioè può restare con una costante preoccupazione nei confronti di quella parte del corpo. Un irresistibile interesse rimane concentrato su quella zona, su quell’oggetto. Che cosa può fare quando sarà adulto?  Se tutto va per il verso giusto, può essere invogliato a diventare uno specialista di quella parte del corpo. Un altro tipo di sublimazione prende la via dell’arte piuttosto che quella della scienza. Un altro modo di uscire dalla realtà consiste nel giocare. I bambini usano questo mezzo più di quanto facciano gli adulti. Se guardate i giochi dei bambini, vedrete che essi sono costituiti da finzioni fantastiche. Infatti, uno dei migliori modi di avvicinarsi alla psicologia evolutiva è di giocare con loro, organizzando attentamente i giochi. Alcuni dei nostri sforzi per trattare le difficoltà che abbiamo sono causa di sintomi. Così, anche il senso di fallimento e la malattia qualche volta ci aiutano a smussare gli spigoli della realtà.
 


Uno dei mezzi più comuni a portata di mano, quindi, per sfuggire alla realtà è la  fantasia. Vi sono quattro tipi di fantasia:


·         Sognare a occhi aperti, che è la forma pura;

·         Sognare nel sonno;

·         Pensare alle nostre aspirazioni;

·          Interpretazioni erronee che coinvolgono errori di 
giudizio  dominati dai nostri desideri e dalla nostra volontà.


utti questi tipi hanno un’importante caratteristica comune, la volontà o il desiderio è il loro nucleo principale. Ciò non di meno, essi differiscono in molti modi. Differiscono per la quantità di consapevolezza che contengono, per la quantità di simbolismo presente, differiscono nell’essere sistematici o casuali e negli effetti che hanno sul nostro comportamento. La fantasia può avere aspetti buoni ma, soprattutto, ci mette in contatto con le nostre risorse più profonde. La nostra abilità di rompere con la realtà ci aiuta a migliorare la nostra intelligenza, il nostro umore. Essa ha una funzione importante nell’inventiva. E’ un aspetto dell’ispirazione. I sognatori possono mancare di spirito pratico ma sono necessari, indispensabili. Il problema è quello di rendere la fantasia utile piuttosto che dannosa per noi. Nel dissidio struggente tra fantasia e realtà dobbiamo non deplorare i nostri desideri, ma imparare a valutarli in maniera vantaggiosa, perché essi possono facilmente condurci tanto a pensieri costruttivi quanto a pensieri poco pratici. Una volta che abbiamo valutato con lucidità i nostri desideri, possiamo più facilmente determinare in quale direzione la nostra fantasia deve condurci. Una indicazione importante nel fare ciò è il modo in cui dobbiamo usare la parola ”se”, quella miccia che fa esplodere il carico esplosivo della fantasia. La parola “se” permette al bambino di fuggire dalla realtà e di fare le cose che vuole fare. Quando da adulti usiamo il “se” in questo modo, e lo facciamo spesso, ci stiamo comportando allo stesso modo, stiamo fuggendo la realtà. Gli adulti dicono:  “Se avessi fatto … continuato  … fossi  stato… se, se, e ancora se”. Le fantasie salutari non hanno soltanto un certo grado di speranza in se stesse, hanno anche un elemento di realtà. L’immaginazione serve per considerare, per catturare nuovamente, per valutare … mantiene vivi. Mantiene una buona dose di piacere. In questo modo possiamo tenere le nostre fantasie a un grado accettabile e rendere più facile il nostro adattamento alla realtà. Invece di cominciare una dieta disastrosa, ad esempio, possiamo tentare una ragionevole, graduale dieta, che comporterà minore sofferenza e maggiore successo. 

obbiamo renderci conto del fatto che, finché viviamo, respiriamo e desideriamo. Come il respiro è l’inizio della vita fisiologica, così il desiderio è l’inizio della vita psicologica. L’uomo che non vuole nulla è morto, il desiderio spinge al movimento, è il trampolino di ogni cosa che facciamo. Ma il desiderio si sovrappone ai nostri pensieri e ai nostri sentimenti, offrendo ogni possibile grande opportunità al sogno a occhi aperti, alla fantasia. Esso può sfuggire dalle mani a causa della continua insoddisfazione, sempre in aumento nei confronti della realtà, ma molto spesso mantiene vivi i nostri desideri, ciò è bene per noi, perché la realtà è così dura che soltanto desiderando delle cose sempre più difficili mettiamo alla prova la nostra possibilità di ottenerle. Quindi, in giusta misura, le nostre fantasie probabilmente sono più benefiche che nocive. Diciamo ad esempio, che è estremamente importante per la nostra salute mentale avere un concetto adeguato di noi stessi. Ma se sbagliamo nel valutarci, è meglio che sbagliamo in nostro favore piuttosto che denigrandoci. E’ meglio stare sulla riva del fosso che caderci dentro. Così non dovremmo abbandonare le nostre fantasie per la realtà  … piuttosto dovremmo lavorare per rendere la realtà più strettamente simile alle nostre fantasie … se non la vuoi uccidere lasciala liberala, scappa dalla routine, non fare sempre le stesse cose, i soliti discorsi, indossa un nuovo vestito, incontra gente nuova, cambia ristorante.



NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – 0532.476055
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