domenica 9 marzo 2014

- IL MALATO APPESTATO.


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Il   Malato … “appestato”


 
uando una persona è malata, non solo si affida alle cure mediche ma, soprattutto, si aspetta anche che l’ambiente circostante rispetti e abbia una certa attenzione per il suo stato (si spera!). Il malato, pertanto, può essere tranquillo e sicuro di una certa attenzione e, soprattutto, di una adeguata considerazione. Di regola, si ha riguardo per il malato, lo si compiange e lo si cura con i mezzi più adatti. Esiste però un’eccezione: il disagio emotivo. Guai a coloro per i quali  venga emessa tale diagnosi o inseriti in un  quadro clinico così “nefasto”. L’attenzione presto si trasforma in sospetto, in disprezzo e, bene che vada, in vergogna. In breve, egli non gode più di alcuna protezione. Lo si addita egli si fa una colpa del suo disagio. Poi, alla prima occasione, al ben minimo litigio, alla piccola contrarietà, per qualche ragione, il più delle volte banale e superficiale, di nessuna importanza, la malattia gli viene rinfacciata come una colpa (conosco fin troppo bene il ritornello: “Hai troppe fisime, Ti prestiamo troppe attenzione, Sei sempre in balia dei tuoi umori, Non hai alcuna forza di volontà e spina dorsale”; oppure la fatidica frase: ”Ma cosa ti manca, non hai bisogno di nulla, hai già tutto”…e, ancora più colpevolizzante,  “Mi sono sempre sacrificato, ho rinunciato tutto per  te e guarda in che modo mi ripaghi”) … il lettore troverà sicuramente tantissime locuzioni personali da aggiungere. 

ome se fosse un grande mentitore, subdolo, cattivo, meschino e, soprattutto, senza valore. In breve tempo non trova più attenzione e compassione, qualunque disturbo possa lamentare, ormai non gli si crede più: è attorniato da increduli e diffidenti. Il termine disagio emotivo è apparso nella medicina, anche se Socrate ai suoi tempi l’aveva già trattato sapientemente, poco meno di duecento anni fa. Raramente comunque viene usato da solo,  perché si presenta principalmente collegato con altri termini di specificazione: ossessivo, compulsivo, ansiogeno, fobico, paranoide, schizoide, psicopatico, masochista, dissociativo, narcisistico, depressivo, di conversione, ecc. Il disagio emotivo comunque ha molti volti ma per la persona coinvolta è assolutamente irrilevante. Agli occhi delle persone che gli stanno vicino, egli non ha un disagio emotivo, così come una gastrite o una frattura, no: egli è da rifuggire, non è attendibile è un incorreggibile bugiardo e fastidioso, opprime o tirannizza tutti coloro che gli ruotano intorno (è un appestato).



Risultati immagini per malato nei dipintiNessuno però è al sicuro, immune, da questa malattia. La si contrae in maniera impercettibile, durante il processo evolutivo, la si porta in sé senza averne la minima idea. Sicuramente è il risultato di un delicato e complesso processo cominciato nei primi anni della propria vita. Proprio per questo motivo i disagi emotivi meritano di essere considerati con simpatia e comprensione: essi rappresentano il costo pagato nella vita adulta per troppo rapide o malsicure vittorie sugli istinti infantili. E dopo un tempo imprevedibile, al primo problema, alla prima difficoltà, alla prima profonda sofferenza, tale disagio può manifestarsi apparentemente in maniera innocua (a volte completamente all’insaputa dell’interessato) ma anche terribile, in modo tale da tormentare o distruggere un’intera esistenza propria e altrui. In ultima analisi, i pazienti, secondo questa visione scientifica, chi più chi meno, siamo tutti noi. Tale imprevedibile e minacciosa sorte, infatti, può toccare a ciascuno di noi. Spesso si sente dire che il tempo è la cura migliore, sistemerà tutto … ma, purtroppo, le cose non funzionano in questo modo, il disagio emotivo, infatti, può cronicizzarsi ed evolvere, a volte in maniera davvero impercettibile, in un malessere profondo ed invalidante per se stessi e gli altri. Il disagio emotivo, quindi, più o meno evidente, può celarsi in ognuno di noi, solo che non lo sappiamo: si è avvolti da una intermittente irrequietezza, una continua sensazione di insoddisfazione, di preoccupazione, di  malessere, di disistima. Tuttociò non deve essere interpretato come un anatema divino, ma esso si manifesta in maniera più “semplice” attraverso modi di pensare e di reagire, atteggiamenti, schemi mentali, stili di vita, sentimenti, ecc.  Può celarsi già in noi, solo che il più delle volte non abbiamo la consapevolezza; l’unico segnale è che siamo sofferenti, inadeguati, intolleranti: si è sotto il controllo di una sensazione quasi permanente di disistima, insicurezza  e in balia dell’ansia senza una evidente ragione. Quando però tale sofferenza esplode improvvisamente, è giusto desiderare personalmente di essere trattati e curati in maniera più idonea e consapevole possibile. Trovo infatti grandioso il fatto che esista un orientamento scientifico che considera tutta la persona nella sua globalità, che sia inoltre possibile un processo di guarigione attraverso metodi nuovi e forme diverse, operando in maniera rispettosa, attiva e consapevole da entrambi i fronti. 

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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio  Tel. 349.1050551 – E mail: bonipozzi@libero.it

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