giovedì 6 marzo 2014

- PANICO. Come fermarlo.


PANICO … come fermarlo

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l Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è una forma piuttosto complessa di disagio psichico caratterizzato dall’insorgere improvviso di angoscia acuta e incontrollabile che lascia, a dir poco, atterriti. Si presenta sulla scena in modo del tutto inaspettato, spesso senza motivi evidenti e giustificati. Assale all’improvviso con effetti devastanti sul corpo e sulla mente. Solitamente tale stato d’animo raggiunge il picco in pochi minuti e si esaurisce del tutto nel giro di mezz’ora circa. Gambe imbizzarrite, stomaco “stretto” in una morsa, fronte madida di sudore, iperidrosi alle mani, cuore che inizia a battere a velocità insostenibile, problemi respiratori, gola strozzata, violenti spasmi, o peggio ancora, scariche diarroiche improvvise, questa è la fenomenologia raccapricciante ed interminabile di chi vive tale malessere. L’esperienza, a volte, è talmente intensa che la persona può rimanere sfinita anche per alcuni giorni. Questi episodi sono vissuti come un incubo, una catastrofe imminente, tanto sono le violente sensazioni di terrore e di impotenza. Le crisi di panico accompagnano, come abbiamo appena visto, diversi sintomi psicofisici: palpitazioni, sudorazione, sensazione di soffocamento, vertigini, formicolio, rossore al viso (eritrosi), paura di perdere il controllo, cambiamenti di temperatura, senso di irrealtà, dolori al petto, paura di morire, disturbi all’apparato digerente. Quando il panico diviene una consuetudine, fino a diventare una “paura della paura”, stravolgendo completamente la routine, il terrore di morire e la paura di impazzire costituiscono le premesse per una condizione di vita piena di limiti ed ostacoli. L’adozione di “strategie difensive” per scongiurare tale disagio conduce lentamente a una schiavitù cronica. La persona, dominata dai cosiddetti comportamenti “evitanti” finisce col trovare un minimo di pace solo all’interno delle mura di casa (prigioniera in casa sua e rassicurata solo dai riti quotidiani). 

olto spesso è quell’attenzione esagerata e quell’attesa angosciosa di un attacco successivo a far sì che la condizione di panico possa ripetersi in determinate situazioni. E’ un fenomeno che spinge ad isolarsi, a temere tutto, a volte anche le terapie. Questa “gabbia protettiva invisibile” è presente nel cervello del soggetto sotto forma di una lunga lista personale di cose che si possono realizzare oppure evitare (luoghi, incontri, cene, spostarsi, cambiamenti, situazioni emotive intense, viaggiare, confronti, prove ed esami, attese). Il soggetto, quindi, dominato da questa paura, altro non può fare che fissarsi sulle solite abitudini: una vita, spesso, superficiale, piena di limiti, noiosa, ripetitiva e banale… non vive più, soffocato da se stesso. Il malessere può dipendere da un comportamento non idoneo (errato), da scelte che non appartengono alla propria personalità, da una mentalità (appresa) che condiziona in maniera negativa: conformismo e comportamenti costantemente nella norma in apparenza assicurano, ma in realtà spengono perché soffocano le vere necessità ed esigenze naturali di ogni individuo. Esprimere i propri sentimenti, esserne consapevoli, poterli sperimentare sempre in un clima “protetto” senza censurarli, è il primo passo per vivere in armonia con se stessi, evitando in tal modo quell’alternanza tra la maschera di “buone maniere” e il terrore di essere travolti dall’improvviso erompere di sentimenti che, per il quieto vivere, sono stati nascosti troppo in profondità. Una strada che, oltre a far salire l’ansia, porta lontano da se stessi e dritti ad una soffocante e opprimente frustrazione. 

i entra, quindi in una spirale di paura: paura di stare male. Quando si è presi dall’ansia, si reagisce con paura, ed è proprio questa modalità reattiva che tiene in trappola. In questo frangente il corpo si prepara ad affrontare la situazione reale (il più delle volte solo ipotizzata, pensata): gli ormoni dello stress e l’adrenalina, entrano nel flusso sanguigno del soggetto per prepararlo a sfuggire la situazione oppure a rimanere ad affrontarla. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più l’adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua, inevitabilmente, la sintomatologia (il battito cardiaco accelera, il respiro diventa affannoso, si può tremare o sudare abbondantemente). In realtà, il panico arriva quando si è lontani da se stessi, si seguono modelli di vita che non sono propri, ci si sforza di aderire a qualcosa o a piacere a qualcuno… fino a consegnare la propria vita in mano ad altri e, quindi, diventare inutili. La paura di perdere l’equilibrio, il terrore di essere inghiottiti dal vuoto, la sensazione che la terra si apre sotto i piedi trascinando giù, sono tutti stati psicofisici che chi soffre di panico conosce bene: gira come un funambolo sospeso nel vuoto, e il baratro diventa un buco nero da cui fuggire sempre e comunque, finchè l’esistenza si riduce via via alla ricerca spasmodica di uno sbocco (via d’uscita)… ma non si sa bene da cosa. Emerge una vita statica, poco travolgente, caratterizzata da un tempo che non passa mai in cui la lungaggine, gli ozi (girare a vuoto), la noia e la monotonia la fanno da padroni. 

na reazione che dà voce alle proprie esigenze più profonde, quel vivere che odia le abitudini, la vita pianificata e spenta. In breve, un profondo senso di inadeguatezza che, proprio perché ignorato, va a cronicizzarsi in uno stato di scontento con cui si convive o che, nelle situazioni peggiori, si tramuta in ansia, depressione o panico. Proprio per queste ragioni, alcune scuole di pensiero, ipotizzano che gli attacchi di panico siano generati da schemi mentali caratterizzati da percezioni distorte della realtà, pensieri automatici e convinzioni errate. Non sempre comunque una profonda emozione è sinonimo di attacco di panico. Quando è presente un motivo reale a giustificare l’ansia, come ad esempio affrontare una semplice situazione problematica o sostenere un esame, siamo alle prese con un timore o una paura. Per quanto possa essere sgradevole la paura è un’emozione indispensabile perché prepara in maniera adeguata, attraverso la produzioni di neurotrasmettitori, ad affrontare le difficoltà del momento. 

COSA FARE. Il raggiungimento del benessere dipende dalla capacità di abbassare il livello d’ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questa condizione può essere raggiunta attraverso metodiche terapeutiche basate su tecniche distensive e concentrative ad orientamento psicosomatico. Con queste tecniche non solo è possibile “gestire” sensazioni ed emozioni, ma anche fermare il chiacchiericcio mentale. I metodi terapeutici distensivi (ipnosi medica, moxa, massaggio psicosomatico, rilassamento frazionato) non solo affrontano la sintomatologia in atto ma risultano fondamentali a livello di prevenzione. Un altro intervento qualificato sarà quello di agire sul respiro che è sempre in sintonia con le proprie emozioni spiacevoli e/o piacevoli. Una persona calma ha il respiro lento e profondo, una persona che soffre di panico, invece, respira in maniera superficiale ed accelerata, attivando in tal modo manifestazioni fisiologiche alterate ed esagerate. Agire sul respiro, pertanto, aiuta ad interrompere quel circolo vizioso che caratterizza il fenomeno panico.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – 0532.476055
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