martedì 7 novembre 2017

Timidezza ... un disagio che condiziona la vita

TIMIDEZZA   un disagio che condiziona la vita


apita a tutti di sentirsi intimiditi ed imbarazzati in situazioni impegnative, nuove o inconsuete. La timidezza, quella occasionale, è una condizione del tutto normale, mentre quella permanente - caratterizzata da un senso di disagio che paralizza l’azione - è un tratto “patologico” della personalità legato a carenze affettive, scarsa autostima e a profondi sentimenti di inferiorità. E’ una condizione che, fin dal suo esordio, ostacola lo sviluppo, impedisce di conoscere, di evolvere, di imporsi, di vivere il proprio talento e le proprie potenzialità, toglie l’entusiasmo, rovina lentamente la vita quotidiana. L’obbligo che il timido si autoimpone di incontrare persone o situazioni fa sì che i suoi tentativi di socializzazione risultino sofisticati, maldestri e sempre fuori tempo … difficili e anacronistici. Il soggetto, quindi, man mano che passa il tempo, tende ad isolarsi, evita l’intimità ed ogni tipo di incontro sociale. 

l timido sembra colpito da paralisi psichica, dominato da rossori e tremori, non osa mai; ipersensibile alla critica, perennemente terrorizzato dall’idea di rendersi ridicolo, teme costantemente l’umiliazione, il rifiuto e la vergogna. La vergogna, per intenderci, è un'emozione, un turbamento che prende corpo dentro di noi quando riteniamo che certi nostri comportamenti e desideri - passati, presenti o futuri - sono percepiti come riprovevoli o profondamente in contrasto con la nostra coscienza (fenomeno che si sviluppa attraverso rapporti con il proprio ambiente … all'esterno del soggetto … una situazione che cambia o cessa quando si pensa che gli altri hanno modificato opinione o giudizio nei nostri confronti). Sempre dotato di una eccessiva dose di insicurezza, oltre a nascondersi agli occhi altrui, vede in sé carenze e difetti inesistenti: un vero agnello tra lupi affamati. Un disagio che può portare a totale sottomissione o ad incontrollabile aggressività (frustrazione = aggressività). A volte, usando un atteggiamento di compensazione al proprio sentimento di inferiorità e al basso livello di autostima, reagisce a certe situazioni in maniera eccessiva ed impulsiva, adottando spesso comportamenti autoritari ed aggressivi.

oiché le occasioni sociali sono incubi da evitare ad ogni costo, il timido nei vari rapporti fa di tutto per non essere notato, assume un atteggiamento “trasparente”, “rannicchiato”, con testa e collo completamente infossati sulle spalle; parla con voce strozzata e bassa, evita lo sguardo diretto, si rinchiude negli angoli con posture da vero contorsionista (Giuseppe, invece, come vedremo ha uno sguardo diretto, deciso, fiero, curioso). L’essere osservato dagli altri poi lo fa sentire ancora più insicuro, goffo, inetto e continuamente sotto esame perché teme di rendersi ridicolo con qualche fantomatico gesto mal coordinato, maldestro o sgraziato (caratteristiche che mancano nel modo di esprimersi di Giuseppe). Rossori improvvisi, tachicardia, la voce con suono flebile … un soggetto che ha la sensazione di essere collocato nel “ripostiglio” o in “cantina”, mai in prima fila. Segnali corporei precisi, da interpretare come un linguaggio curioso, affascinante e particolarissimo. 

rrossire non è altro che la manifestazione di una concentrazione di energia libidica nel volto e nel capo ... il flusso sanguigno confluisce copiosamente nella testa. E la pelle del viso avvampa, d’un rossore che svela, nostro malgrado, le nostre intime e segrete intenzioni. Anche la voce strozzata ci parla di un discorso che non vorremmo fare, una conversazione cui non vorremmo prendere parte, un aspetto di noi che non vorremmo svelare. Così, le parole si fermano giusto sulla soglia della gola ... si blocca nella sala di smistamento; sbiancare invece significa scarsa energia. Cosa succede nel corpo e nella mente?


ani e gambe irrequiete. E’ il corpo che, più saggio di noi, ci vuole portare altrove lontani dalla situazione imbarazzante. La testa, invece, nega la possibilità di una salubre evasione; il tremore è il risultato più logico di questa lotta interiore. Allora compaiono tic facciali e buffi gesti nervosi, tutto il corpo si ritrae, lo stomaco si contrae (accidenti, l'ulcera comincia a farsi sentire) e si avverte un crescente senso di nausea, le mani tremano e sudano copiosamente, le gambe irrequiete si muovono incessantemente, una fastidiosa vampata di calore si impossessa del volto, il cuore rimbomba in ogni piccolo segmento del corpo, la bocca improvvisamente si asciuga e le parole prendono forma in maniera confusa e pasticciata, le braccia si incrociano come segno di blocco, di protezione o di resa… si ha la sensazione di non padroneggiare più le reazioni fisiche e di essere in balia degli eventi. Il solo pensiero di non essere all’altezza delle aspettative, di poter dire o commettere qualcosa di sbagliato spaventa terribilmente. 
uesti soggetti sottovalutandosi, terrorizzati dall’idea di ogni nuova relazione, pur desiderandola, arrivano a rinchiudersi in se stessi, isolandosi e ripiegandosi ancora una volta sulla loro sensazione di incompetenza sociale. Il timido teme gli altri perché odia il confronto, li ritiene estremamente esigenti, critici, impossibili da accontentare e soddisfare. Lui stesso è diventato un giudice particolarmente severo. La paura, i luoghi comuni, l’incertezza, la frenesia dipendono da ideali di perfezione, diktat, modelli sociali, spesso irraggiungibili, a cui deve aderire completamente: Devo muovermi con grazia e stile”, “Devo parlare senza arrossire”, “Devo trovare argomenti originali”, “Devo dimostrare … fare … essere … comportarmi”; condizionato da schemi mentali e blocchi emotivi, segue rigide regole, si adegua inflessibilmente a qualcosa che non ha niente a che fare con lui. Sembra che in ogni rapporto rievochi un vecchio copione, un fastidioso ritornello, un’antica paura, riapra di colpo una vecchia ferita affettiva: dal lontano passato, si presenta un terribile scenario, appare una vita inquietante, povera di stimoli, piena di apprensione, insicurezza, rifiuti, indifferenza e timori. 
n fenomeno conflittuale e di disagio spesso vissuto con una figura di riferimento distante, dalla personalità particolarmente ingombrante, schiacciante e incapace di valorizzare gli altri. Una terribile “ombra” giudicante che ha bloccato, soffocato, sepolto, inchiodato, spaventato, mai stimato, considerato ed incoraggiato. Un astuto manipolatore affettivo che si esprimeva attraverso derisione e severi giudizi di valore: “Tanto tu nella vita non concluderai mai niente… non ce la farai mai… non diventerai mai come Tizio (o cosa ancora più gravissima come tuo fratello o tua sorella … un confronto diabolico, malsano, devastante a livello emotivo) … sei troppo debole per farti spazio nella vita… non ti impegni a sufficienza … guarda invece tizio, caio e sempronio… ci vuole coraggio e spina dorsale… Avrai tutto il tempo che vuoi per conoscere (blocco) … ogni cosa a suo tempo… figlio mia la vita è un inferno … proprio dura” (si insegnano aspettative drammatiche); tutti ritornelli e modi di pensare che, oltre ad ostacolare l’interazione col proprio ambiente - e quindi la vera conoscenza diretta della vita - rendono insicuri, predispongono alla solitudine, preparano una vita infelice e senza amore (consigli che, come vedremo più avanti, sono statti formulati a ruota libera da quel birbaccione del prof. “Keating” (.). La sensazione di non protezione e le esperienze precoci di instabilità sono gli ingredienti che hanno minato in qualche modo la sicurezza e l’autostima del soggetto. Questo timore eccessivo di inadeguatezza trasforma ogni piccolo rapporto interpersonale in una terribile sfida, soffoca la personalità e predispone ad un perenne imbarazzo.




cco i luoghi dove ci si trova sotto la lente di ingrandimento ... sotto esame ... sotto processo. Il timido, come è già stato sottolineato, sogna la solitudine come il naufrago la sua isola felice. Perché è proprio nelle occasioni mondane che l’imbarazzo e le difficoltà diventano insopportabili. Entrare in un negozio. Detesto - mi diceva Serena sempre più avvilita - andare a far compere; sono così insicura che spesso non vedo nemmeno cosa sto guardando: la mia preoccupazione per quello che dovrò dire al commesso aumenta al punto da farmi dimenticare cosa devo chiedere. I timidi devono vincere il timore di essere guardati, di dover parlare con persone estranee, di essere al centro dell’attenzione. Per questo non riescono dire di no e si sentono obbligati a comprare qualcosa.

arlare in pubblico. Parlare davanti ad altre persone è la situazione più temuta in assoluto dai timidi, per i quali essere al centro dell’attenzione è il peggiore degli incubi. L’ansia da “esibizione” è proprio intollerabile e può produrre effetti fisici inabilitanti quali sudorazione, rossore, tremore, balbuzie e incapacità di parlare, talvolta anche nausea. La paura che tutto questo possa accadere porta ad una perdita di lucidità: la mente si svuota per il terrore, il cervello non ha più idee. E l’unico rimedio per molti consiste nel fuggire davanti al problema, cercando di evitare le situazioni di cui ci si deve esporre, con gravi conseguenze per lo sviluppo della carriera scolastica e professionale.

a toilette pubblica. Si chiama disuria, o sindrome della vescica inibita: familiare a molti timidi; è l’incapacità di urinare in un bagno pubblico, o in alcuni casi in casa d’altri o anche nella propria se è presente qualcuno. E’ più diffusa tra gli uomini, e si presenta con modalità differenti. Alcuni sono inibiti dalla presenza di estranei, ma non di amici o familiari, per altri è esattamente il contrario; per alcuni l’inibizione deriva dall’essere sentiti, per altri dall’essere visti. Alla radice di questa sindrome, ci sono vari fattori, tra cui la vergogna del proprio corpo, l’identificazione della minzione con la sessualità, l’ansia da impotenza e un senso di colpa che porta al desiderio di punizione.

tare al telefono. Evitano l’uso del telefono ogni volta che possono e nelle loro case c’è sempre la segreteria telefonica a fare da filtro verso l’esterno. Ciò che più temono tutti è di essere presi alla sprovvista senza avere nulla da dire, senza rispondere a “tono”. Sono timidi con la fobia della cornetta, quelli che paventano silenzi imbarazzati e l’incapacità di sostenere una conversazione “come si deve”. C’è la preoccupazione di inviare un segnale di debolezza o di inadeguatezza, senza poter verificare “de visu” le reazioni dell’interlocutore.


cchi negli occhi. Per molti timidi guardare qualcuno negli occhi è un’impresa insostenibile. Per altri l’ansia nasce invece quando si è guardati. La preoccupazione è come rispondere allo sguardo altrui e come controllare il proprio, perché si è consapevoli che il contatto oculare ha un ruolo nei rapporti sociali e che lo sguardo diretto ha una connotazione positiva di chiarezza e sincerità. La paura del linguaggio degli occhi ha significati diversi per uomini e donne. I primi temono di apparire minacciosi e aggressivi, incontrollati o strani. Le seconde sono invece più preoccupate di trasmettere messaggi non voluti di seduzione o di disponibilità sessuale.

angiare al ristorante. In genere non riescono a mangiare al ristorante, ma talvolta succede anche a casa in presenza di ospiti. L’essere osservati dagli altri li fa sentire sotto esame e ciò che li blocca, perché li terrorizza, è la paura di rendersi ridicoli con gesti goffi: rovesciare il cibo, mancare la bocca, mandare il boccone di traverso, di essere rumorosi, non riuscire a deglutire, soffocare o vomitare. Molto spesso l’umiliazione che si prova in casi del genere, porta ad escogitare strategie complicate: dalla scelta del ristorante, informale e poco affollato, al cibo, che deve essere semplice e facile da mangiarsi.

, per finire, un goccino. Si comincia a bere un bicchierino prima di andare a una cena o a un impegno importante, per la sensazione di benessere e sicurezza che l’alcol trasmette. E' così - per l’illusione di spazzare via quella paura degli altri che li opprime - che molto spesso comincia il rapporto privilegiato dei timidi con il bicchiere. E in effetti basse dosi di alcol agiscono sulle aree del cervello che controllano il comportamento, per cui chi beve si sente più libero e si comporta in modo “sciolto”. L’alcol libera nel cervello dei neurotrasmettitori che, momentaneamente, inibiscono l’ansia, producendo una sensazione di benessere sociale e di rilassamento. Il problema è che con il passare del tempo le dosi di queste sostanze psicoattive aumentano gradatamente e cresce la tolleranza nei confronti dei suoi effetti, che diventano l’unico mezzo per combattere la timidezza ... l’ansia che ne deriva, la paura della solitudine.

osì l’alcol a lungo andare, interferisce con il processo psicologico che dovrebbe portare ad affrontare le proprie ansie e paure mano a mano che si presentano. Il problema è molto presente anche tra gli adolescenti: è provato il maggior ricorso a sostanze psicoattive da parte dei timidi. Sono soprattutto i maschi - anche se le femmine attualmente se la cavano molto bene - estremamente timidi che tendono a fare abuso di alcol. Non bisogna mai dimenticare che l’alcol dà coraggio ma è solo in prestito… prima o poi chiede indietro tutti gli interessi ... di pagare prima o poi il “dazio”: sia a livello fisico sia a livello psichico.
Cosa fare. Il primo passo è quello di essere più flessibili e tolleranti con se stessi. Potrebbe essere banale, ma non ci sono dubbi: tutto ciò che è malleabile, morbido e fluido, trasforma e sviluppa la vita, mentre ciò che è rigido, inflessibile blocca ed “avvizzisce” ogni cosa vitale. Essere “sciolti” aiuterà ad eliminare la sensazione di “goffaggine” prima che degeneri in un quadro clinico importante. Attraverso massaggi psicosomatici, rilassamento, e visualizzazioni si possono sciogliere gradatamente la tensione e la rigidità legate a questo vissuto emotivo che limita l’immaginazione e lo spazio di libero movimento. Alzare, poi, il livello di autostima è fondamentale perché fa sentire bene con se stessi, al comando della propria vita, pieni di risorse e creativi.

oiché il sentimento di inferiorità è un terreno fertile per la depressione sarà importante “lavorare” sulla consapevolezza del legame tra pensieri e stati emotivi, che si modificano e variano di intensità grazie all’influenza reciproca. E’ una strategia che permette di controllare ed integrare pensieri ed emozioni, così da modificare in maniera più vantaggiosa il “comportamento” nelle relazioni interpersonali. Gli altri giudicano? Giudicherebbero ugualmente, anche se “andasse tutto bene… anche quando si è quasi perfetti”, anzi forse di più! Provaci, si può vincere da soli o, in casi più gravi, con l’aiuto di un professionista qualificato … dai, su la testa … non fare il timido!


IMIDEZZA nei BAMBININonostante la super tecnologia e l'eccessiva libertà di questo grandioso periodo storico, la timidezza nei bambini è un fenomeno ancora molto diffuso; una condizione emotiva che rende difficile la loro integrazione sociale. Secondo la mia esperienza clinica diretta, un buon 25% dei ragazzi che si rivolgono ad una psicoterapia presenta serie difficoltà relazionali (più maschi che femmine, perché avvertono in maniera schiacciante il giudizio dell’adulto e il peso di vivere secondo un modello prestabilito; alla femmina nella nostra cultura è concessa - credo non ancora per molto - una più vasta gamma di reazioni emotive). L’elemento fondamentale di questa richiesta è proprio la timidezza. Spesso, la timidezza esprime una condizione esistenziale momentanea, legata alla difficoltà di trovare un’identità solida. In questi casi intervenire è davvero superfluo, se non addirittura dannoso. La timidezza sfocia nella patologia quando è un fenomeno continuo e dà sintomi di scarso adattamento sociale, distinguendosi così da profonda ansia e depressione.

 segnali. Insicurezza, difficoltà di articolazione del linguaggio, problemi scolastici gravi e ritardo nello sviluppo intellettivo. Ma anche un comportamento aggressivo, può essere una valvola di sfogo per esprimere il disagio. In ogni caso, un’attenzione sensibile e costante verso i figli, e un intervento tempestivo sono la chiave per risolvere il problema. La timidezza non è sempre un male silenzioso. Spesso si esprime con il linguaggio della malattia. O, persino, della devianza, in età preadolescenziale. L’asma, ad esempio, insorge solitamente intorno a tre o quattro anni, come richiesta di calore, attenzione e di coccole di un genitore distante. Si accompagna, soprattutto nell’età prescolare, ad un vissuto di isolamento. Ed esprime un bisogno di contenimento che il bambino non comunica, per paura di un rifiuto. 

tipsi e diarrea presentano una chiara matrice simbolica: l’intestino trattiene e rilascia in base a certi tratti emotivi, testimoniando la difficoltà del ragazzo a porre se stesso in relazione con il mondo circostante. Quando la timidezza soffoca l’aggressività, non è raro rilevare problemi digestivi. E in alcuni casi, persino ulcera. Stessa eziologia anche per i problemi dermatologici, croce di molti preadolescenti: le difficoltà di relazione esplodono sulla pelle, che delimita simbolicamente lo spazio interno in funzione del contatto con gli altri (temuto). E quando timidezza ed aggressività convivono? L’associazione di timidezza e aggressività, alcuni studi lo confermano, può essere un fattore di rischio per le “dipendenze”, atteggiamenti, comportamenti futuri … l’abuso di sostanze stupefacenti.


osa fare. Innanzitutto, evitare comportamenti errati, come quello di etichettare il bambino con definizioni improprie. Dargli del timido è decisamente sbagliato: magari il piccolo è solo poco socievole, a volte con la sua ritrosia esprime un’antipatia istintiva per qualcuno… si rischia di etichettarlo, di farlo identificare in quella parola – immagine (rendere una cosa permanente che invece è solo momentanea). Per di più si corre il rischio che il bambino si comporti da timido per non tradire le aspettative di un genitore che lo considera tale, finendo così per eleggere la timidezza a uno stile di vita, a un'unica modalità di rapporto con gli altri (o come alibi: tanto io sono così quindi non posso fare, andare, sbigare ...). In secondo luogo, se proprio di timidezza si tratta, è bene utilizzare il gioco per risolvere il problema. Tanto meno poi si “medicalizza” il piccolo, tanto più facilmente si uscirà dal problema (ti porto dal dottore, dalla dottoressa, dallo specialista…). In questo modo è possibile evitare che nel bambino si instauri un sentimento di inferiorità che sarebbe molto controproducente.


ONCLUSIONI … e un po' di mitologia. E' importante ricordare che la mente di ogni fanciullo è plasmata non solo dai genitori (primi garanti dell'educazione), ma anche dai vari incontri sociali: in particolar modo dagli “educatori”. Il potere di questi ultimi non deve mai essere sottovalutato perché sono personaggi che possono fare il buono o il cattivo tempo nella psiche del giovane: portare sereno ma anche un maltempo devastante. Non allarmiamoci: ci sono genitori “meravigliosi” e insegnanti “stupendi”, davvero “capaci” ... fortunato è chi li incontra. Ricordiamolo ancora una volta:

NO permissivismo, ma comprensione e fermezza, MAI derisione. MAI saltargli addosso o aggredirlo solo perché ha fatto scelte che non combaciano con le nostre che, in fondo in fondo, vorremmo fare per lui ... solo perché il suo percorso di vita non coincide con il nostro … aiutiamolo a diventare ciò che è realmente. 

REPARIAMOCI ad insegnare, ma anche ad apprendere e conoscere la sua spensieratezza, il suo entusiasmo, la sua energia e, se non la spegniamo, la sua voglia di vivere ... il suo meraviglioso mondo “incantato”. 
E ANCORA, ascoltare senza esprimere giudizi di valore, esercitare volontà di censura, ma nemmeno una eccessiva e distruttiva condiscendenza … oppure quelle frasi colpevolizzanti che non portano da nessuna parte “Te l'avevo pur detto che quella cosa non si doveva fare” … comprensione ma, soprattutto, fermezza e determinazione.


na buona parte del nostro “destino”, della nostra felicità, oltre all'impronta genetica, è nelle loro mani. Una preziosa conferma di quanto affermato ci viene da un racconto antico, a me molto caro per la sua freschezza narrativa: il mito di Pigmalione.
Pigmalione era un giovane leggendario amante dell'arte, ma anche il re di Cipro. Non era conosciuto come Sovrano, ma come abile scultore in tutta la Grecia. Il troppo amore per l'arte lo fece diventare un proverbiale scapolo: una passione che lo allontanò più volte dal matrimonio. Vivendo con questa grande passione ebbe, un bel giorno, una felice ispirazione, realizzò un suo grandissimo sogno: scolpì, in un candido avorio, una bellissima statua; una figura femminile talmente bella da non temere rivali; nemmeno quelle in carne ed ossa potevano competere con questa grande, meravigliosa e maestosa opera. 

na fanciulla graziosa, con perfette forme e straordinarie sembianze umane, di cui era impossibile non nutrire attenzione, affetto, qualche sentimento … e così avvenne, Pigmalione cadde nella trappola dell'amore (oggi diremmo agalmatofilia: amore per una statua … una parafilia che comporta attrazione sessuale per oggetti inanimati). Era talmente infatuato e attratto dalle sue prosperose forme che negò completamente la realtà; dimenticò infatti che la sua opera era un pezzo di marmo: un semplice “manufatto”. La vestiva di tessuti incantevoli, rari e preziosi, la riempiva di tenerezze, la colmava di regali e di profumi, la coccolava, la abbracciava, la baciava continuamente e le sussurrava dolci paroline d'amore come se fosse reale; era convinto che la statua ricambiasse queste sue effusioni solo perché riscontrava, dopo ogni gesto affettuoso, segni sul suo corpo … profondi lividi (non poteva essere diversamente considerato l'oggetto d'amore!)


vvilito, frustrato, disorientato, confuso e spinto dalla bramosia d'amore vero volle renderla viva, e così si rivolse ad Afrodite affinché realizzasse questo suo profondo desiderio. La Dea sensibile a questa supplica e a questa sua esagerata passione esaudì la richiesta. Afrodite non esitò, incalzata da quella sincera e insistente preghiera, trasformò la statua in una bellissima fanciulla in carne ed ossa: infuse la vita a quella singolare opera. Pigmalione la chiamò Galatea, la sposò ed ebbe un figlio di nome Pafo … e così vissero felici e contenti per sempre (questa bellissima storia, per chi la vuole approfondire, si trova nel poema “Le Metamorfosi” di P. Ovidio Nasone).


a perché ho scelto questo mito? Che cosa c'entra con la timidezza? Che ci vorrà mai 'insegnare'?
Si tratta di una forma di suggestione che può influenzare o condizionare profondamente atteggiamenti, comportamenti, schemi mentali e modi di pensare; un fenomeno che può attivarsi silenziosamente in ogni rapporto umano: familiare, sociale, lavorativo; noi però questo concetto lo collochiamo in un settore della vita ben preciso: nell'ambito educativo. Si tratta, in realtà, di una profezia in cui le persone di un certo ambiente (in questo caso studenti) tendono a conformarsi all'immagine di altri individui che hanno di loro (docenti): sia nel positivo sia nel negativo. Facciamo un esempio pratico. 

olto tempo fa venni “interpellato” (in qualità di presidente dell'associazione Panic Anxiety Disorder Center), da una istituzione scolastica rodigina, per un consulto; per esprimere un parere su una questione di natura relazionale: una situazione apparentemente banale, ma piuttosto delicata. L'oggetto di indagine era un giovane, chiamiamolo per comodità Giuseppe; considerato, per alcuni addetti ai lavori, teppista (prima etichetta), scontroso, ribelle, maleducato, poco rispettoso e violento … era proprio così? Mah. Un giovane che, a dire il vero, per il suo abbigliamento, modo di fare, atteggiamento spavaldo e sicurezza sfrontata, non brillava certamente di efficienza, vivacità e simpatia (vestiario un po' alla Fonzie di happy days per intenderci: giubbotto di pelle, stivaletti di cuoio, capelli nero corvino … e l'immancabile scooter anche in inverno). Alto, magro, pelle sottile e bianca, scarsa energia, quasi denutrito. Un contrasto di colori che, a prima vista, rendevano il suo aspetto ancora più inquietante.
onostante questa sua immagine 'lugubre' si muoveva in maniera armoniosa, coordinata, decisa e sicura; lo sguardo era diretto e sincero di chi vuole conoscere, avere contatti, non di sfida o di chi cerca 'rogne', ma di chi è disponibile a scendere a compromessi. Per farla breve, cosa è accaduto tra Giuseppe e l'istituzione scolastica? Quali sono state le dinamiche che hanno favorito lo scontro con un docente in particolare? Sembra che durante le presentazioni del primo giorno di scuola, proprio per l'abbigliamento di Giuseppe, un docente gli abbia detto: “Tu con quel vestiario, se non lo cambi, qui dentro - anzi con me - non farai molta strada”. Suggerimenti di questo tipo, a detta di alcuni compagni, con tonalità diverse, ma con lo stesso contenuto denigratorio, scontroso, rifiutante e giudicante, si sono protratti per quasi tutta la metà dell'anno scolastico. Un inizio con il piede sbagliato direbbe qualcuno; i soliti ben informati direbbero che quel modo di fare non aveva proprio nulla di educativo, lontano mille miglia da quella sensibilità educativa proposta dalla famosa Maria Montessori. Lo sguardo di sottecchi, poi, di entrambi, aveva spento completamente la comunicazione già al suo inizio. Un pregiudizio che, oltre alle numerose etichette denigratorie, costò molto caro a Giuseppe; fu dipinto come un personaggio poco credibile, incapace, attacca briga, incostante, scontroso, lento a livello di ideazione ... insomma non molto “sveglio” … un parassita (copiava); un quadro, per certi versi infamante, che si diffuse velocemente e condizionò altre “menti raffinate”. 
lcuni benpensanti, per fortuna pochi, inneggiavano anche i loro bei tempi passati in cui c'era “questo” e “quell'altro”: più rispetto e devozione; altri invece sussurravano con rabbia e fermezza la magica sberla come momento formativo ed educativo … soluzione adatta ad ogni situazione, per ogni cosa, che non ha mai fatto male a nessuno. Tutte queste perle di saggezza - accompagnate sempre da un paralizzante sguardo indagatore - erano consolidate dal fatto che Giuseppe non veniva coinvolto nell'attività scolastica con la continuità e la frequenza con cui venivano interpellati i suoi compagni; lo si escludeva volutamente dall'interrogazione (tanto è un 'imbecille' … tempo perso!) oppure al primo tentennamento gli si toglieva la parola passandola ad un altro (tanto non ha studiato); una profezia che si autoavvera in campo … i tentativi di demolizione erano visibili a tutti, un vero e proprio calvario! Cinque ore di lezioni alla settimana vissute da Giuseppe in una snervante allerta, come se qualcuno lo aspettasse al varco da un momento all'altro; attimi di tormento, colmi di delusioni e mortificazioni che provocavano solo astio, confusione ed indecisione; ignorato, lasciato solo, teso e su di giri, con il suo pieno di adrenalina quotidiano, non poteva andare molto lontano; finalmente arrivò la conferma delle sue capacità cognitive, ipotizzate dal “famoso” professor Keating(.)



i Giuseppe, infatti, se ne parlò, in maniera più dettagliata, nello scrutinio del primo trimestre. “Vedete è come vi dicevo io da tempo: E' uno scapestrato che non vale nulla, in quella testa non c'è niente di buono, nulla da recuperare, deve andare per la sua strada … è tutto tempo sprecato e soldi buttati al vento … sono due braccia rubate al mondo del lavoro” … l'unica nota positiva è che non disturbava, rimaneva in silenzio, guardava ed ascoltava. Credo non sia necessario proseguire, ma solo aggiungere che Giuseppe - se alcuni docenti, sensibili alla situazione, non avessero fatto le mosse giuste - rischiava di diventare veramente un buono a nulla o un “ciuco” patentato … e tutto questo per che cosa: una banale suggestione e un ingiusto pregiudizio. Fortunatamente Giuseppe aveva (ha) una mente brillante e come tutti i caratteri orali ha acquisito, negli anni, un buon livello di competenza cognitiva, una discreta lucidità e, soprattutto, una buona fluidità verbale. Dimenticavo, l' ignorantone” si è poi laureato a pieni voti (una laurea importante e di grande responsabilità … ora ha in mano la vita di altre persone). Vedendolo ancora, di tanto in tanto, non indossa più quel vestiario tenebroso e bizzarro; non indossa abiti lussuosi o griffati, nemmeno troppo vistosi o trasandati, ma di uno stile inconfondibile a lui tanto caro, del tutto normale: sportivo, casual, libero come è la sua natura, la sua vera identità che fin da quando si chiamava Giuseppe cercava di costruirsela in piena autonomia, in maniera unica e originale ... è un sopravvissuto a verdetti improvvisati e senza storia, a vari tentativi maldestri di piegare la passione, l'originalità e l'esuberanza giovanile, sfuggito al controllo di un personaggio freddo, severo, profondamente tormentato e in conflitto con se stesso, che non sapeva ascoltare e che odiava in maniera incredibile i cambiamenti, i mutamenti, le trasformazioni della vita; ha rischiato di vedersi calpestare la sua dignità per colpa di modelli educativi e mentali rigidi, logori, anacronistici... in fondo, in fondo, Giuseppe cosa cercava - quello che vogliano tutti gli adolescenti, se non sono schiacciati o umiliati - di tutelare, in piena libertà, la sua vita privata senza danneggiare quella degli altri. E' andata bene ... tante belle cose Giuseppe!


(.) L'attimo fuggente è una pellicola cinematografica del 1989 diretta da Peter Weir e con protagonista Robin Williams. Uno strepitoso R. Williams che interpreta il formidabile professor Keating. Una delle frasi più belle: chiamatemi professor Keating o se siete un po' più audaci, "O Capitano, mio Capitano". Bellissimo!!! Se vi capita a tiro, guardatelo … un “attimo fuggente” che aiuta a riflettere, a prendere le distanze da modelli mentali logori, banali e stratificati da antichi modi di pensare ... insegna a prendere il volo, a cavarsela e superare i vari ostacoli quotidiani, a navigare tra i vortici della vita ma, soprattutto, un invito - sempre, ma sempre nel rispetto dell'altro - a non farsi “ingabbiare.


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NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo, pertanto, ha un valore educativo, non prescrittivo.


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Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
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1 commento:

  1. Interessata all'argomento in quanto persona problematica e costantemente in crisi mi sono imbattuta in questo articolo meraviglioso!..letto tutto d'un fiato...suggestivo.... Che dire? La teoria non fa una piega...in pratica invece....quanto è dura!!!!..........Grazie per questo piacevole quarto d'ora.

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