sabato 30 aprile 2022

Bulimia ... fame da bue


BULIMIA …  fame da bue

Una grande “voracità“ d’ amore e, contemporaneamente, il suo rifiuto; tratto ossessivo compulsivo connesso a un sentimento di abbandono o di colpa.


in dalla nascita, l’uomo mangia non soltanto per vivere: su questo atto biologico si radicano fattori emozionali e sociali che rendono indissolubili gli aspetti sia fisiologici sia psicologici dal comportamento alimentare … non si vive solo di companatico, in questo istinto c'è qualcosina in più!!! Il primo contatto sociale, infatti, consiste nel ricevere il nutrimento, si ottiene in questo modo la soddisfazione della fame, conforto, gratificazione dei bisogni e dei desideri … calore, affetto e, soprattutto, protezione; più tardi, man mano che si cresce, insorge la possibilità di opporsi, di non ricevere, di rifiutare, di sputare il cibo e, infine, con la dentizione, di mordere … un essere aggressivi che per qualcuno potrebbe essere insopportabile. Il bambino quindi porterà alla bocca e inghiottirà tutto ciò che gli sembra “buono”, desiderabile, suscettibile di soddisfare i bisogni, rifiutando e sputando ciò che considera “cattivo”. Come hanno messo in evidenza alcuni autori, lo stomaco può subire, per condizionamento, influenze simboliche (si veda in particolare la ricerca di Pavlov … produrre acido cloridrico anche senza aver introdotto proteine); man mano che passa il tempo, i vari rospi ingoiati e la personalità, il suo funzionamento sarà in rapporto più o meno stretto con il mondo esterno. Le vestigia del rapporto nutritizio con la figura parentale sono sottese da affezioni come nausee o vomiti emozionali, la sensazione di bolla faringea, la difficoltà di digestione. 


elle fasi iniziali della vita, quindi, nessuna altra funzione vitale svolge un ruolo importante nella crescita quanto l’alimentazione. Soddisfare la fame produce un sentimento di gratificazione, sicurezza e benessere; nell’allattamento il bambino prova il primo sollievo dal disagio fisico, e il contatto “caloroso” con la pelle della madre gli dà la sensazione di essere amato e sentirsi al sicuro. Inoltre, durante l’allattamento egli sperimenta sensazioni piacevoli nella bocca, nelle labbra e sulla lingua, che poi cercherà di produrre, in assenza della madre, succhiandosi il dito. Così le sensazioni di sazietà, di sicurezza e di essere amato sono indivisibili nelle prime esperienze del bambino. Alcune ricerche (Luban, Plozza, Poldiger, Kroger) hanno dimostrato che se i bisogni vitali sono prematuramente frustrati - in un modo che il bambino non è in grado a quella determinata età di capire e gestire - creeranno un disagio che può trovare la sua espressione nel pianto parossistico, eccessi nervosi, disturbi del sonno, irrequietezza e disturbi della digestione. In breve, quando il bambino è frustrato troppo precocemente chiederà più attenzione rispetto a coloro che hanno ricevuto risposte attente e soddisfazioni tempestive. Durante l’alimentazione questi bambini tendono a bere rapidamente, desiderano grandi quantità e, apparentemente, non sembrano mai soddisfatti. Questo modello comportamentale pare predisponga in futuro a sentimenti di avidità, invidia e gelosia. Per certi versi è possibile affermare che la relazione tra madre e bambino è ancora più importante del metodo di alimentazione attivato (ovviamente questa affermazione non intende assolutamente mettere in risalto difetti o, peggio ancora, a colpevolizzare la madre: ognuno dà quello che ha … che ha ricevuto a suo tempo). Fattori, comunque, quali amore e attenzione insufficienti, disattenzione, alimentazione poco attenta e frettolosa suscitano il primo sentimento di aggressività … di voracità incontrollata, si tende a mordere ogni cosa si incontra. Tali reazioni conflittuali provocano esperienze vegetative. Da una parte l’organismo del bambino è pronto per assumere il cibo, dall’altro la persona che accudisce viene respinta. In questa condizione si creano stimolazioni nervose negative con crampi allo stomaco e vomito, che possono predisporre a un vero o proprio disagio psicosomatico. Alcuni studi recenti affermano che le pause per il caffè abituali negli uffici e in altri ambienti lavorativi non hanno la finalità di soddisfare un bisogno calorico ma piuttosto quello di alleviare l’irrequietezza collegata a quella situazione particolare del momento, esattamente come il bambino collega l’esperienza della poppata al sollievo del disagio fisico. L’atto del mangiare è in realtà molto adatto a far rivivere umori, timori, paure e sentimenti provati in passato in un’atmosfera simile. Oltre a queste considerazioni sembra, inoltre, che la bulimia sia un disturbo della nostra epoca. I mezzi elettronici di comunicazione di massa bombardano la popolazione con immagini di donne snelle che “hanno tutto”. In molte aree della cultura occidentale vi è cibo in abbondanza, precondizione necessaria per una condotta caratterizzata da “abbuffate” alimentari. Gli individui affetti da questi disturbi tendono ad essere istruiti, economicamente avvantaggiati e radicati nella cultura occidentale (non è più, però, prerogativa femminile come fino a poco tempo fa si pensava). Le immagini delle donne fornite dai mass media, inoltre, suggeriscono che l’apparenza esterna è assai più importante dell’identità interna. Questi dati, pertanto, indicano che il malessere bulimico non ha un’unica causa ma è il prodotto di una serie di fattori stressanti: intrapsichici, familiare e ambientali.

Che cos’è


a bulimia è una forma di compulsione* che induce chi ne soffre a mangiare a dismisura o, in casi peggiori, a inghiottire tutto ciò che gli passa sotto gli occhi, senza nessuna distinzione (*impulso irrefrenabile a compiere un atto; tendenza a ripetere alcuni atti rituali, inutili e ingiustificati; nel compiere questi atti il soggetto non prova alcun piacere, ma la sua ansia ne risulta momentaneamente alleviata. Quando la patologia è grave, l'individuo può addirittura passare la maggior parte del suo tempo in attività compulsive: svuotare completamente frigo e intere dispense appena rifornite). In brevissimo tempo, infatti, vengono ingurgitati enormi quantitativi di cibo ad alto contenuto calorico (in alcuni casi si arriva, in poco tempo, fino a 15.000 calorie). A tutto ciò segue, in genere, vomito autoindotto, abuso di lassativi e di diuretici. Queste grandi mangiate sono spesso pianificate o fanno parte di un rituale quotidiano. Dopo un breve periodo di particolare soddisfazione, questo fenomeno è seguito da forti tensioni interiori e da profondi sentimenti di colpa e di vergogna. I disturbi dell’alimentazione hanno a che fare, come già menzionato più volte, con il contatto, il nutrimento, la relazione con il proprio ambiente ma, soprattutto, con la rabbia, la delusione, il dolore; è un segnale rivolto direttamente a qualcuno o qualcosa, difficile da decifrare (ciascuno può dare significati diversi allo stesso gesto, indispensabile, quindi, sempre un aiuto esterno qualificato). Non è ancora ben noto il numero preciso dei casi, la cifra sommersa sembra piuttosto elevata. Pare che in circa la metà delle persone anoressiche, il disagio si estenda alla bulimia - quest’ultima è definita la “sorella segreta” dell’anoressia - dopo un decorso di vari mesi. Essa comunque è conosciuta come quadro clinico a se stante.
 
l decorso abituale è cronico e intermittente su un arco di molti anni. Di solito le abbuffate si alternano con periodi di alimentazione normale e di digiuno. Nei casi estremi comunque, ci possono essere alternativamente eccessi e digiuni senza periodi di alimentazione normale. Benché molti individui affetti da Bulimia siano nei limiti di una fascia di peso normale, alcuni possono essere leggermente sotto peso, e altri soprappeso. Alcune persone sono soggette a intermittenti abusi di sostanze, più frequentemente barbiturici, anfetamine o alcol. Altre persone possono manifestare grande apprensione per la loro immagine corporea e il loro aspetto, frequentemente in relazione con la mancanza di attrattiva sessuale; tale inquietudine è focalizzata su come gli altri possono vederli e su come possono reagire nei loro confronti.

Alcuni comportamenti alimentari nei bambini

Che cos'è il cibo?


l cibo è una fonte di vita. sul piano psichico costituisce un legame tra il piccolo e l'ambiente esterno; il primo legame che lo collega con il mondo dopo la nascita, perché la figura di riferimento si occupa soprattutto di lui nelle ore della poppata o del biberon. fin dalla nascita, o quanto meno alcune ore dopo di essa, il bimbo è spinto verso il cibo con lo slancio di tutto il suo essere, il che costituisce una delle forme più profonde dell'istinto di conservazione. è quel che più semplicemente si suol chiamare appetito. di fronte a un lattante affamato le cui urla cessano solo al contatto. il bambino che mangia normalmente con soddisfazione e che digerisce bene, è in generale un bambino in buona salute, che possiede un buon equilibrio, che vive in armonia con il proprio organismo e con l'ambiente circostante. ma questo stato ideale, certamente molto piacevole per coloro che lo circondano e specialmente per la madre, è soggetto - come ogni stato umano - a fluttuazioni e può essere bruscamente o progressivamente sostituito da uno stato di malessere ... di crisi più o meno profonda. il fatto è che nel bambino avviene un'evoluzione interiore che si scontra con molteplici incidenti i quali comportano reazioni più o meno evidenti da parte sua: e particolarmente per quanto riguarda l'alimentazione. tali reazioni sorprendono i genitori, poi li gettano in uno stato di inquietudine, perché essi non ne comprendono la causa e si domandano quale ne sarà lo sviluppo. d'altra parte, spesso tutto si aggiusta soprattutto quando i genitori muniti di pazienza e saggezza lasciano che la crisi si sviluppi intervenendo il meno possibile sul piccolo. quasi sempre, invece, la situazione si complica se la famiglia, e specialmente la madre, assume un atteggiamento di inquietudine, supplicante o autoritario, di fronte alla mancanza d'appetito del bimbo. il rifiuto di mangiare può avere la stessa importanza di un vero e proprio fenomeno morboso chiamato "anoressia" e che deve essere oggetto di una visita medica specialistica in un centro psicopedagogico o di neuropsichiatria infantile. fin dai primi giorni di vita, possono sorgere incidenti che derivano dal pasto steso: costringiamo il bambino a mangiare più rapidamente di quanto egli non voglia o non possa; lo disponiamo in una posizione che per lui è scomoda, o tra rumori e confusione, oppure in un luogo che non gli piace; lo costringiamo a mangiare quel che non gradisce. il bambino comincia allora a protestare. noi insistiamo, alziamo la voce, e la resistenza diviene allora più decisa, più forte, più decisa. per ambedue le parti in causa entra in gioco il prestigio. con l'intervento della testardaggine e dell'abitudine, ha inizio una lotta che si ripete e si aggrava a ogni pasto successivo. questi sono però i casi più semplici: quelli che dovremmo essere in grado di risolvere. in altri casi il conflitto presenta cause indirette. il bambino non vuol mangiare perché è infelice o scontento, depresso o nervoso, per diverse ragioni spesso inconsce e perciò difficili da individuare immediatamente. forse ha creduto di essere abbandonato, ha perso la fiducia, il senso di sicurezza che gli sono necessari. il rifiuto di mangiare è allora una difesa che si assomma ad altre: tutto ciò è particolarmente frequente e significativo.


nche in età evolutiva, la Bulimia si caratterizza per le cosiddette “crisi bulimiche”, durante le quali vengono ingerite, in breve tempo, esagerati quantitativi di cibo ad alto contenuto calorico. Come per l’adulto, la Bulimia può accompagnarsi sia a dimagrimento che a incremento ponderale. Anche i giovani si lamentano, nonostante varie contrapposizioni, di non riuscire a controllare l’impulso a mangiare. A volte questo impulso incontrollabile si verifica improvvisamente, esplodendo come un fulmine a ciel sereno; altre volte, invece, l’abbuffata viene abilmente programmata nei minimi particolari. Durante l’eccesso iperfagico si determina nel giovane una sensazione di stordimento misto a benessere tale da paragonarla all’assunzione di una droga con effetti “miracolosi”. In questo quadro clinico sono frequenti ed evidenti tratti depressivi, instabilità affettiva e disturbi della sfera sessuale; così come un profondo senso di disagio che contribuisce a rendere sempre più marcata e difficile la vita sociale. Il giovane bulimico, nonostante manifesti una profonda inquietudine per il peso, è generalmente consapevole dell’anormalità della propria condotta. Numerosi saranno, quindi, i tentativi e le procedure adottate - anche con diete fortemente restrittive - per controllare il proprio peso che generalmente, il più delle volte, rimane nella norma. Il trattamento psicoterapico di questa patologia, pur essendo estremamente delicato per le frequenti ricadute, si è dimostrato particolarmente efficace. Poiché questo quadro clinico è caratterizzato essenzialmente dalla tendenza di perdita di controllo, il principale obiettivo sarà rivolto a far acquisire un maggior autocontrollo. In realtà si cerca di intervenire su quella erronea convinzione che la “grande abbuffata” è uno strumento antiansia, bensì evidenziare che tale procedura è patologica. Intervenendo a livello cognitivo, o meglio su queste idee, può indurre il giovane a sperimentare un comportamento alimentare (meno dispersivo) normale, più lucido, che fino a quel momento era vissuto come fonte di angoscia. Tutto ciò potrà contribuire a ridurre quelle sensazioni di incapacità e di impotenza nel gestire, in modo più idoneo e produttivo, la propria vita.


ericismo (ruminazione, risalita del cibo non digerito dallo stomaco)E’ un vomito provocato; il bambino elimina una parte più o meno cospicua degli alimenti, ma una parte del bolo alimentare viene riutilizzata per una specie di ruminazione, alla quale sembra talmente attento da disinteressarsi completamente dell’ambiente circostante. La dispersione alimentare è di entità praticamente variabile. Il Mericismo, che spesso si verifica quando il bambino è solo, può tranquillamente sfuggire all’osservazione dell’adulto. Lo si rileva per lo più nel quadro di un rapporto con l’adulto caratterizzato da piccole incomprensioni e impercettibili carenze affettive (rapporti freddi, anaffettivi, ostili). L’aspetto più significativo della sindrome non è costituito tanto dai disturbi a livello alimentare ma, soprattutto, dal disinteresse che il bambino mostra per l’ambiente circostante. E’ per questo motivo che si è ritenuto di poterlo considerare una forma precoce di isolamento autistico. Tale comportamento, con prognosi quasi sempre positiva e a breve termine, cessa quando una persona si dedica interamente, in modo caloroso, al bambino.


otomania. Si tratta di un bisogno imperioso di bere grandi quantità d’acqua o, in sua mancanza, di qualsiasi altro liquido. Quando si ostacola in modo brutale questa condotta alcune ricerche hanno dimostrato che i bambini arrivano a bere la loro stessa urina. Per effettuare, comunque, la diagnosi di potomania è necessario escludere una causa organica (come ad esempio il diabete). Sembra che questo comportamento si presenti a cavallo dell’alimentazione liquida e quella “solida”. L’angoscia per la paura del soffocamento e un comportamento oppositivo possono favorire l’espressione di episodi di potomania che regrediscono, a volte, spontaneamente.


ica. Con questo termine che in latino significa gazza, si descrive un quadro clinico in cui il bambino ingerisce sostanze non commestibili (uccello che gode della reputazione di inghiottire qualsiasi cosa; termine usato anche per designare i “capricci” alimentari delle donne incinte). La caratteristica essenziale è l’ingestione persistente di sostanze non nutritive. Ingerisce sostanze più varie (anche se tendenzialmente è attratto da un’unica sostanza): chiodi, monete, sabbia, bottoni. Questa condotta sembra osservarsi sia in bambini in situazione di carenza affettiva profonda o di abbandono, sia in bambini con personalità psicotica (autismo infantile, schizofrenia, disturbi organici: in questi casi non si potrà emettere la diagnosi di Pica). Il decorso assume caratteristica di remissione nella prima fanciullezza, ma può persistere fino all’adolescenza o, più raramente, nell’età adulta. Fortunatamente la Pica è un disturbo raro e viene riscontrato in percentuale simile ai due sessi. I fattori predisponenti sono: ritardo mentale, carenza di minerali (zinco o ferro), trascuratezza e scarsa sorveglianza.

Complicanze fisiche della bulimia.



a Bulimia raramente inabilita, se si eccettuano alcuni individui che passano l’intera giornata dietro alle loro abbuffate e al vomito autoindotto. La maggior parte delle complicanze fisiche deriva dal comportamento di “eliminazione” e di “purificazione”. Il vomito autoindotto porta all’erosione dello smalto dei denti incisivi e all’ipertrofia dolorosa delle ghiandole salivari. A volte si crea un ipopotassiemia particolarmente grave. L’abuso di lassativi e diuretici può provocare squilibri elettrolitici ed edema; il vomito di succhi gastrici provoca esofagite, lesioni dentali, ingrossamento cronico della parotide. La masticazione frequente induce ipertofria del massetere che conferisce ai pazienti tratti facciali caratteristici. Completano il quadro somatico la distensione dello stomaco, stipsi conseguente all’abuso di lassativi e disturbi mestruali.

Ma cosa si nasconde dietro questa fame insaziabile? Qual è la funzione che svolge il cibo in questi casi?


bbiamo visto che la funzione alimentare, per quanto essenziale, non è tutta quanta innata, ma ha bisogno di essere formata, e ciò equivale a dire che tale funzione può essere deviata dalla propria destinazione originaria, qualora la formazione in questione sia mal condotta da mani inesperte. E’ come se i bulimici non fossero capaci di avvertire la sazietà; come se continuassero a mangiare pur essendo da un pezzo sazi. Mangiano dunque per altre ragioni che non per la soddisfazione dei loro bisogni fisiologici, per lo più per ragioni d’ordine emozionale. Molti autori (tra cui H.Bruch) sostengono che quando la madre non risponde in maniera adeguata ai messaggi del figlio, questo perde ben presto la capacità di discriminare fame e sazietà. Vi sono madri che alimentano il proprio figlio tutte le volte che piange, proprio perché sono incapaci di immaginare questo segnale ... altri bisogni specifici. Il rapporto madre - figlio, quindi, svolge sicuramente un ruolo importante nello sviluppo (almeno in buona parte) della sintomatologia bulimica. Si sviluppa in tal modo il nesso simbolico in cui il cibo rappresenta amore, sicurezza, protezione e soddisfazione del bisogno; nel bulimico il cibo sarà utilizzato in maniera inadeguata ed esagerata allo scopo di risolvere tutti i problemi della sua esistenza. In età adulta, quello che per alcune persone è un “buco nero”, per altre è un “vuoto incolmabile” e mangiare diventa l’unico modo per riempirlo e riempirsi, per non sentire il vuoto affettivo e relazionale circostante. Quando è una carenza affettiva ad aver segnato e caratterizzato l’infanzia, quando non si riesce a percepire il calore e l’amore di chi sta attorno, ingerire una grande quantità di cibo è un modo per “scaldarsi” e gratificarsi … di “riempirsi” di un qualcosa di buono, di caldo … di affetto. L’attacco bulimico si distingue da un eccesso di fame o di “golosità” in quanto l’individuo sembra da un lato non percepire un vero e proprio stimolo di fame, dall’altro non discriminare, in quel frangente, i diversi sapori dei cibi che sta mangiando. Le sostanze più svariate vengono così consumate insieme, dando luogo ad abbinamenti a dir poco non solo “improvvisati” e pasticciati, ma “azzardati”. Questo comportamento sopraggiunge per lo più all’improvviso, difficilmente all’ora dei pasti, spesso durante la notte. Il tentativo di soddisfare questa “fame insaziabile” avviene generalmente in casa, in assenza di qualunque altra persona, o al limite di nascosto.
 


ale atto segue un forte senso di colpa (che si caratterizza nella paura di ingrassare) e il bisogno di espellere tutto il cibo introdotto. Compare allora il vomito, quale tentativo di liberarsi di un cibo dapprima indispensabile poi riconosciuto come “tossico”, velenoso. A livello “superficiale”, questa strategia di gestione dell’aggressività può sembrare interessante, l’espulsione della “cattiveria” sotto forma di vomito consente, momentaneamente, al paziente di sentirsi bene. La maggior parte di coloro che sperimentano questo disagio danno un’immagine, un’impressione iniziale di forza, indipendenza, ambizione, franchezza e anche di autocontrollo. La loro immagine esteriore, però, differisce enormemente da quella che hanno realmente di se stessi: in alcuni casi di vuoto estremo e assenza di scopi. Inoltre, si abbandonano ad umori pessimistici o depressivi causati da modelli di pensiero e di comportamento che alimentano sentimenti di impotenza, di vergogna e di inadeguatezza. Tendono a vivere una vita particolarmente felice in pubblico e una vita infelice in privato. Spesso provengono da famiglie in cui è contraddistinta da una elevata tendenza al conflitto e all’impulsività, da pochi legami con la famiglia biologica, da stress eccessivo, da scarsa capacità di risolvere i problemi, mentre il loro ambiente esercita una elevata pressione sociale a raggiungere grandi traguardi (fama, successo). Anche tutti i membri della famiglia del bulimico apparentemente hanno un forte bisogno che chiunque li veda come grandiosi, “tutti buoni”. La grande mangiata in sé ha funzioni integrative e di riduzione dello stress, come atto di autoconsolazione, ma il sollievo è temporaneo e il soggetto successivamente percepisce questo episodio bulimico come una perdita di controllo che mette radicalmente in pericolo la sua autonomia e la padronanza di sé … crea un profondo senso di colpa. Il vomito come condotta di eliminazione (enteroclismi, lassativi, diuretici) è utilizzato per mantenere costante il peso corporeo. Questo comportamento viene vissuto come “ripresa” di autocontrollo e autodeterminazione. I conseguenti sentimenti, come è già stato sottolineato (colpa e vergogna) per quanto è successo sono, quindi, molto spesso causa del ripiegamento emotivo e sociale, oltre che della separazione tra un’immagine esterna di sé molto presentabile e un’immagine interna nettamente diversa. La differenza tra concezione di sé e immagine sociale può provocare, inevitabilmente, sentimenti di vuoto e di forte tensione che, a loro volta, possono essere attivati in situazioni di stress e disistima, e così si riprende nuovamente la “giostra dell’infelicità”.

Cosa fare

aspetto fondamentale nel trattamento della bulimia è la personalizzazione del programma terapeutico (ogni caso è unico ed irripetibile). Concomitanti disagi emotivi, come la depressione, i disturbi della personalità, l’abuso di sostanze, dovrebbero rientrare sempre nel piano di intervento globale. L’approccio terapeutico a questo particolare disagio, certamente non facile, prevede spesso interventi integrati ma, soprattutto, un aiuto esterno continuo, sapiente e qualificato. Poiché chi vive questa difficoltà appartiene ad un gruppo sociale in cui il livello di confusione e contrapposizione è molto forte, gli obiettivi terapeutici sono rivolti a favorire la definizione dei confini generazionali, separazione e differenziazione dei membri di tale sistema (definire i ruoli). In realtà si cerca di promuovere lo sviluppo del processo di autonomia (indipendenza), rafforzare quelle parti della personalità indebolite e ad aumentare il livello di autostima. Sarà indispensabile elaborare, successivamente, le tematiche collegate alla dipendenza, alla simbiosi e all’aggressività. Riassumendo, come per l’anoressia, la psicoterapia individuale di natura espressivo - supportiva è la pietra miliare del trattamento bulimico. Anche gli interventi sulla famiglia sotto forma di sostegno e di educazione sono in genere necessari per rafforzare la terapia individuale. Ogni trattamento, al di là dei vari orientamenti scientifici, deve sempre armonizzare - se non si vuol fallire - con gli interessi e il sistema di credenze del paziente. Le tecniche ipnotiche, abbinate a terapie psicoterapiche, saranno di estrema utilità per rilassare alcuni distretti corporei, riequilibrare a livello biochimico l’organismo e stimolare, nel contempo, i contenuti profondi in modo tale che essi abbiano la possibilità di esprimersi attraverso il variegato linguaggio delle immagini.


NB.
 Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.



Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
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