lunedì 7 marzo 2016

Il DUBBIO “spegne” la vita …


Il      dubbio  “spegne” la vita 


he cos’è il dubbio?  Il vocabolario ci può dare un piccolo aiuto per definire questa particolare condizione della mente: incertezza, insicurezza e diffidenza. Il realtà, segnala una diffusa incertezza nell’opinione o nel giudizio. Significa che ci si sente insicuri: si mette in “forse” ogni cosa. E’ un fluttuare del pensiero proveniente da un difetto di conoscenza o di evidenza. E’ un disordinato stato di opinabilità concernente la realtà, il giudizio o la desiderabilità di qualcosa. Tutto questo, in realtà, rappresenta l’aspetto intellettuale del dubbio. Il dubbio, soprattutto, segnala  la mancanza di fiducia, sospetto, apprensione, paura, esitazione; troncare in maniera più o meno repentina quello che si sta facendo e che potrebbe dare soddisfazione. In altre parole il dubbio non è semplicemente una disinvolta e spassionata analisi delle alternative.

o, non è soltanto un passatempo intellettuale. Il dubbio coinvolge molto di più: la mente e il corpo. Nei nostri atti, l’immagine autentica di noi stessi è in gioco. Siamo soddisfatti di noi stessi quando siamo fiduciosi, e ci sentiamo terribilmente vulnerabili, deboli e minacciati quando non siamo in grado di decidere. L’opposto del dubbio è l’assenza di paura. Fede, fiducia, sicurezza, certezza, convinzione non sono affatto connesse con le condizioni del nostro turbamento emotivo. Al contrario sia che siamo sia che non siamo disposti a condividere le convinzioni e le credenze di un’altra persona, dobbiamo ammettere che tale stato emotivo lo tiene lontano dallo smarrimento, dal pessimismo, dalla paura. Il dubbio quindi non è semplicemente un intellettuale porsi di un’alternativa. Sebbene occasionalmente possiamo usare il termine in questo senso, molto più spesso il dubbio è il peso dell’incertezza che deteriora il nostro modo di vedere in alcune importanti biforcazioni del nostro percorso esistenziale. Ci sono persone che in certe condizioni emotive non riescono o non possono decidere nemmeno in faccende banali. Ma la maggior parte di noi soffre dell’angoscia del dubbio nel caso di decisioni più importanti. Lo sappiamo tutti, esistono molte decisioni importanti e inevitabili da prendere nel corso della vita. La scelta di una scuola, di una professione, decidere se sposarsi o magari di separarsi, cambiare compagnia oppure il lavoro. Molte persone, inoltre, non completamente sicure di sé chiedono continuamente se sono simpatiche o antipatiche a quel determinato gruppo, compagnia o più semplicemente alla gente in generale. 

osì piano, piano, dominati dal dilemma amletico, il nostro dubbio generando tanto sconforto e timore, ingigantendosi, ci priva dell’abilità di fare scelte, di decidere … domina irritabilità, insonnia, e la semplice incapacità di disfarci di piccoli problemi. Il fatto curioso è che il dubbio ha due aspetti, uno positivo e uno negativo. Più di quanto siamo disposti ad ammettere e a riconoscere, la gran parte del nostro comportamento quotidiano è automatico e frutto di abitudine. La nostra consapevolezza è anche troppo facilmente offuscata dalla monotonia e dalla routine quotidiana. Il risultato è che ciò ci lascia vivere meno attentamente e le nostre risorse intellettuali giacciono inutilizzate come un gigante che dorme dentro di noi.


spetti positivi e negativi. Uno degli sfortunati inconvenienti di essere costretti a pensare per “problemi”, è  quello di pagare un dazio molto caro, un mare di apprensione, di ansietà e paura: sentimenti che solitamente accompagnano il dubbio. Appena iniziamo a pensare, cominciamo a notare le cose intorno a noi più acutamente, siamo travolti da una moltitudine di cose estranee a quelle che alla fine potrebbero favorire gli elementi necessari alla soluzione. Così facendo cominciamo a vivere in maniera più ricettiva e sviluppiamo una relazione più rispondente al mondo che ci circonda. Una volta che abbiamo risolto il problema possiamo più facilmente smettere di pensar nuovamente su ogni aspetto del problema. Non ricordiamo di allacciare le scarpe al mattino. Mettiamo le scarpe e le allacciamo meccanicamente. Eppure, quando abbiamo imparato a farlo per la prima volta, ciò ha richiesto un’enorme concentrazione. Un ragazzino che si allaccia le scarpe si concentra così profondamente su ciò che sta facendo, da tagliar fuori il resto del mondo. Ma una volta che ciò diventa abituale, difficilmente dobbiamo ricordarci di farlo… perché è semplicemente un riflesso condizionato. Il dubbio può stimolare il pensiero, educare all’umiltà e anche alla prudenza  … importante per la riflessione perché può condurre a scelte felici, spinge a una piccola pausa per poi, fare un’azione più vera, più sentita. 

a queste virtù sono combattute dagli altri aspetti del dubbio che può condurre a procrastinare, alla paura, infine anche alla distruzione.
Esitiamo, ondeggiamo fra le alternative. Ciò provoca un senso di tensione e di conseguenza diventiamo ansiosi, ciò particolarmente timorosi. Successivamente, sintomi psicosomatici (mal di testa, mal di schiena, problemi respiratori, mal di stomaco) compaiono inesorabilmente. Questo è fondamentale. La nostra incapacità di completare qualcosa, di raggiungere qualche obiettivo, soddisfazione e realizzazione, generalmente è causa di ansietà e ben presto aumenta il nostro bisogno di dipendenza. Cominciamo a dibatterci, ad andare in cerca di aiuto. Cominciamo a riflettere sempre più sugli stessi pensieri. L’effetto è esattamente lo stesso che se ripetessimo la parola “e” (c’è stato un periodo storico in cui nelle varie fasi di un discorso veniva arbitrariamente inserito non solo questo  strano “intercalare” ma anche un inutile “cioè”…  chi ha la mia età se lo ricorda bene!), una parola che usiamo centinaia di volte al giorno, ad alta voce per trenta secondi o forse più. Provate. Risuonerà sempre più strana e alla fine anormale. Ora, se prendiamo una parola non neutra, bensì un insieme di pensieri carichi di significato emotivo e cominciamo a ripeterli senza agire in base ad essi, ben presto essi diventano bizzarri, impensabili e persino minacciosi. Ma il dubbio, come sopra evidenziato, non è detto che sia sempre anormale. E’ comune a tutti noi, è parte della nostra esperienza quotidiana. 


ella maggior parte dei casi riusciamo ad evitare la rovina emotiva del dubbio non perché siamo ben equilibrati, ma perché la maggior parte del nostro comportamento è dovuta all’abitudine e all’impulsività. Nonostante viviamo come uomini liberi, non facciamo sempre delle scelte libere. Siamo “spinti” a rigirarci in un ambiente circoscritto, limitato ulteriormente dalle nostre abitudini. ATTENZIONE, il dubbio è per eccellenza passibile di essere ingrandito e sovrasviluppato. In  breve può diventare morboso. Ogni problema per il quale sprechiamo troppo tempo corre il rischio di sfuggirci dalle mani. Perdiamo la nostra prospettiva su di esso e rapidamente giungiamo ad essere privi di fiducia nel nostro modo di “valutare” le alternative. La decisione e l’azione si allontanano più che mai da noi. Ciò che è cominciato come pensiero diventa abitudine emotiva. La nostra indecisione, la nostra apprensione, a riprodursi da sé.


ove comincia. Ma da dove viene realmente questo stato emotivo? Come si sviluppa? Noi tutti, come il DNA, ne siamo portatori … alcuni, però, ne hanno più di quanto sia necessario, opportuno. Esistono due principali fonti di dubbio nella nostra originale e sempre unica personalità. Una va ricercata nelle contraddizioni e nei conflitti in noi stessi, l’altra nei disturbi di quella istanza denominata Io di cui tutti soffriamo in vario modo nel corso del nostro sviluppo.

iviamo in una società piena di contraddizioni molto forti. Ad esempio, ci viene insegnato di “amare il prossimo tuo come te stesso”, ma anche “fai una cosa agli altri e la rifaranno a te”. Dunque viviamo condizionati da un sistema di valori che dà una grande considerazione alla competizione e al successo, e nel quale i risultati conseguiti dona l’unità di misura di una vita spesa bene o spesa male. Ancora, ci viene assicurato che l’amore fraterno e l’umiltà hanno lo stesso valore. Ci dicono che “a colui che non ha sarà dato” ma anche “i mansueti erediteranno la terra”. Ci viene continuamente rammentato che viviamo in una zona del mondo che gode della più grande libertà della storia. Eppure urtiamo ripetutamente contro i condizionamenti sociali del nostro comportamento. I nostri desideri sono stimolati fra gli ostacoli che si innalzano inutilmente a frustrarne l’autentica soddisfazione. Ci insegnano le virtù della parsimonia, ma siamo costantemente stimolati a spendere ogni euro anche prima di possedere poco più della somma necessaria per il primo versamento (si veda il curioso ed emblematico collasso bancario americano e non). Siamo incoraggiati a credere che l’onestà è la miglior linea di condotta, ma “gli affari sono affari” … l’acquirente stia ben attento! Mi fermo qui … gli esempi sono davvero tanti (dal “vicino” a chi ci governa). Sì, è vero, viviamo in una situazione molto complessa e difficile. 


er conciliare tutte queste contraddizioni dobbiamo cambiare le nostre leggi e diventare molte persone all’interno di una sola. Ci comportiamo in un modo il sabato quando siamo in libera uscita e in un altro modo diverso il lunedì mattina quando affrontiamo le nostre responsabilità lavorative. Siamo costretti a essere notevolmente flessibili per tenere insieme gli aspetti contradditori. Ci sono ruoli davvero difficili da cambiare. A volte vi sono dei passaggi necessari da una situazione a un’altra che rendono indeterminata la nostra efficienza e ci confondono probabilmente. Mario un dirigente d’azienda, responsabile della sorte di ben 250 dipendenti, mi chiede: “Ma come è possibile riuscire a gestire questo impero e responsabilità con disinvoltura e non essere in grado di mandare avanti la mia famiglia … i miei bimbi”?  Senza addentrarci in profondità la risposta è abbastanza semplice: la fabbrica e la famiglia sono situazioni che richiedono un rapporto emotivo specifico, sono relazioni molto diverse. Tutto può avere origine nella propria infanzia. Spesso, ci piace dipingere di toni allegri e spensierati questo periodo evolutivo, ma in realtà si tratta di un periodo di ricorrenti frustrazioni e costrizioni. Contrariamente a quel che si pensa, i bambini “vivono” i loro genitori non sempre disposti ad amarli, o lodarli e a ricompensarli. I genitori, proprio perché possono dare solo quel bagaglio emozionale che hanno, sono spesso scontrosi, critici e anche disposti al rifiuto. Quando un fanciullo vuole un dolce proprio prima di cena e lo dissuadiamo, gli sembriamo spregevoli e odiosi anche se gli spieghiamo che saremo ben disponibili di concederglielo subito dopo cena. Ma lui si sa, lo vuole immediatamente. Non ha sviluppano ancora la nostra “saggezza” alimentare, il modo di considerare i motivi di un rinvio, di una sequenza di tempi. A lui, la nostra decisione appare arbitraria. Queste delusioni che i bambini patiscono tendono a creare, nel piccolo, un’ambivalenza verso i genitori. Dall’ambivalenza nasce una tendenza alla duplice motivazione. E appunto quando i bambini trovano amabili e odiosi i loro genitori allora si regolano di conseguenza. Il buono e il cattivo è da essi compreso come qualcosa nascosto da un involucro molto complicato. Fondamentalmente, a un bambino piace che il padre sia grosso e forte. Inoltre ride in maniera di gran lunga più sfrenata quando il genitore rovescia qualcosa che quando qualche coetaneo fa lo stesso. Nonostante l’onnipotenza di suo padre possa essere fonte di sicurezza per lui, il bambino lo trova spesso anche minacciosa. Così, è un sollievo per lui scoprire che anche suo padre può essere tanto inetto quanto un bambino. Ciò è quanto viene provocato da un’ambivalenza e da un conflitto. A un bambino qualcosa piace o dispiace, egli ama e odia, prova attrazione e repulsione anche nello stesso momento. Il vissuto degli adulti è letteralmente pieno di situazioni simili. Noi tutti ci troviamo, sempre di più, in situazioni in cui amiamo e odiamo, in cui affetto e mancanza di affetto sono strettamente uniti in modo inestricabile. I conflitti e l’ambivalenza sono spesso molto più profondamente radicati. Come risultato dell’aver sofferto ripetutamente per i rifiuti della figura di riferimento, una donna (o uomo con la madre) può crescere insoddisfatta, con una disposizione ostile verso tutti gli uomini. 

uesti erano i sentimenti che Giulia, abbandonata e rifiutata fin da tenere età dal padre, entrata in terapia perché non riusciva a relazionarci con l’altro sesso, nutriva nei confronti degli uomini … ogni rapporto non era solo faticoso, difficile e doloroso ma anche fallimentare. Eppure nella nostra società (tutto si basa sulla famiglia) essa è incoraggiata ad essere attraente, a innamorarsi e a sposarsi. Sposa un uomo che ama e verso il quale vuole essere compiacente. Ma, d’altro canto, le può ancora rimanere un desiderio inconscio in profondità di esternare l’ostilità sviluppatasi in lei contro gli uomini durante la fase evolutiva. Un altro modo comune con cui si manifestano nella nostra vita quotidiana i profondi conflitti psicologici, è costituito dai nostri sforzi di dimagrire con una dieta. Da un lato un tale desiderio è forte e abbastanza valido in una persona che glorifica enfaticamente medicinali e cosmetici per evitare l’obesità. Eppure molti di noi non si liberano mai del profondo desiderio di essere dipendenti, la situazione in cui eravamo durante l’infanzia. D’altro canto sembra che ciò non abbia alcuna relazione con l’essere magri. Ma l’infanzia è un periodo della vita in cui il mangiare e i piaceri della zona orale sono stati di significato primario. Fare indigestione non significa soltanto ricercare i piaceri del palato; sottende il nostro desiderio inconscio di essere di nuovo ragazzini e di avere la pappa tutta per noi. In seno alla famiglia il crescere è causa di inevitabili conflitti. Abbiamo già evidenziato che i genitori amano e odiano nello stesso tempo … anche noi stessi di volere e nello stesso tempo di non volere certe cose.


l secondo fattore principale che genera dubbio è costituito da un disturbo della funzione di quella struttura psichica chiamata Io.
C’è una compressione della nostra immagine ideale in un mondo che non troviamo completamente compatibile con le nostre esigenze. Tale compressione avviene in molti modi, alcuni dei quali sono estremamente sottili. Ad esempio, viviamo in un mondo in cui la nozione di giusto e sbagliato e importantissima. A scuola, a casa, nella società in genere, si giudica continuamente intorno a noi se una cosa è buona o cattiva. Raramente, anche nella nostra stessa casa, ci viene data la sensazione che non ha importanza essere in errore. Quasi sempre ciò viene trattato come se fosse, in ultima analisi, un crimine in miniatura, che si riflette malamente non solo sulla nostra intelligenza quando siamo in torto, ma anche sul nostro modo di valutare  eticamente. Non ci è concesso di sbagliare; siamo puniti con l’essere disapprovati e respinti. 

utti giudicano così spontaneamente del giusto e dell’ingiusto che in poco tempo noi stessi ci uniformiamo allo stesso atteggiamento critico. Forse per questo motivo siamo messi in guardia dal detto biblico: “Non giudicare se non vuoi essere giudicato”, perché cominciamo col giudicare noi stessi. Ciò ci rende esitanti per paura di essere in torto, e alcuni nutrono persino dei dubbi sul valore della loro esistenza. meno importanti ci sentiamo, più difficile è per noi consolidare un senso di sicurezza e di convinzione. 
 

n altro fattore che ci deprime è l’ansia, l’ordinaria vecchia ansia ... il mondo ci offre cose per le quali dobbiamo essere in ansia. Non solo siamo in ansia per la situazione economica, lavorativa, finanziaria, per ciò che pensano i colleghi, ma anche per la guerra che sta assumendo toni particolarmente drammatici ed aggressivi. Tutte queste ansietà hanno modo di logorarci, di prostrarci. E la fatica genera depressione e dubbio. In modo più sottile siamo anche ansiosi per la nostra età. La più naturale tensione di questa struttura psichica (Io) è il senso di fallimento. Quando falliamo, in primo luogo diamo agli altri la colpa della nostra sfortuna; quindi, se ci esaminiamo cominciamo a domandarci dove abbiamo sbagliato; alla fine, se il fallimento persiste, cominciamo a dubitare di noi stessi. Necessariamente ogni senso di fallimento non è specifico. Spesso un senso di fallimento si impossessa di noi soltanto perché la realizzazione dei nostri sogni continua a essere così distante. L’accumulare piccole insoddisfazioni presto o tardi altererà il nostro umore e incrinerà la nostra considerazione di noi stessi.



OSA FARE e NON FARE. Come è stato evidenziato il dubbio può essere un momento di riflessione che porta a fare scelte più vantaggiose e felici RICORDA, avere dei dubbi non significa essere difettosi, insicuri o inferiori,  attraverso la prudenza, infatti, è possibile scoprire altre conoscenze, aprire altre strade e, soprattutto, essere più flessibili, più aperti meno rigidi. 
Mai farsi dominare dal dubbio perché il non agire, il blocco si trasforma il malessere, in sintomo; la strategia di evitamene non solo ti fa perdere le varie opportunità della vita ma spegne la curiosità e l’evoluzione  … e soprattutto evita di impantanarti nel chiedere consigli perché ti blocchi ed entri in uno stato confusionale: gli altri non possono saperne  più di te!


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 –  0532.476055
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