Quando un PARTNER è in difficoltà …
n bel mattino Enrico di buon’ora,
all’improvviso, senza una evidente ragione, non comunica e non interagisce più con
i familiari, appare assente, ostinato, distratto, insensibile, eccitato, intollerante,
in preda alla collera … chiuso in se stesso; Paola, invece, da un po’ di tempo,
appare “strana”, sembra terrorizzata, irritata, sempre di
pessimo umore, basta una semplice occhiata di sbieco, una piccola cosa fuori
posto per farla piangere più di una grondaia in una notte piovosa …
visibilmente tormentata e distratta. Un partner, solitamente, per quanto
equilibrato sia, non solo passa a setaccio tutti i suoi più recenti comportamenti, ma
si dispera per cercare risposte plausibili a tali atteggiamenti … ragioni che tardano ad arrivare, che lasciano
un senso diffuso di impotenza, una profonda delusione e frustrazione nel
soggetto armato di buone intenzioni e, soprattutto, non “colpevole” di tale
situazione.
i pensa al superlavoro, ai problemi finanziari, alla crisi di coppia, alla noia, alla routine, ai figli, alle difficoltà sessuali, ma niente e ancora niente, non si smuove, le “stranezze” continuano ancora in modo più violento, non segnalano alcun cenno di miglioramento … pare che non ci siano spiegazioni evidenti, tantomeno ragioni oggettive da giustificare simili atteggiamenti. Alcuni stati emotivi sono così contagiosi dal punto di vista psicologico che la maggior parte dei coniugi sviluppa, nel tempo, lo stesso quadro clinico. Mantenere un rapporto intimo e positivo - essenziale comunque per la guarigione - è difficile e, nel tempo, diventa anche pericoloso perché avvelena e destabilizza la vita a tutte le persone coinvolte in tale menage che diventa sempre più difficile: grandi tensioni e continue incomprensioni sono all’ordine del giorno. Non è facile la convivenza nonostante la buona volontà.
olti, inoltre, sono travolti dalla stesso disagio vissuto dal partner: si
fanno carico di ogni cosa, compresi compiti e responsabilità (mai sostituirsi a
lui ... “insistere” che continui a svolgere sempre qualche faccenda). Un modo di
reagire, comunque, che non aiuta il compagno ad abbandonare i suoi sintomi, in
quanto è interessato più ai “vantaggi secondari” che risolvere la propria
sofferenza e conflittualità emotiva: diminuzione dei doveri e meno responsabilità,
maggiore attenzione e gratificazione dei bisogni sono “offerte” sicuramente più allettanti
e favorevoli nel gestire la complessa quotidianità. Col tempo si crea
un’atmosfera che deteriora la fiducia, il senso di intimità e di libertà, mette
in pericolo l’unione e ogni cosa piacevole che potrebbe nascere dal vivere insieme, nel
quotidiano.
ECCO COSA FARE PER
GESTIRE TALE PROBLEMA
(non si possono
comunque aiutare gli altri ad uscire dalla sofferenza se non lo si desidera ... non si è lucidi e fermi)
Non cercare mai di trattare le difficoltà da soli. In qualsiasi
quadro clinico, mai sostenere il partner con una visione eccessivamente ottimistica
del suo stato emotivo, con battute superficiali, commenti pasticciati o banali
perché non solo tutto ciò viene vissuto come un rifiuto, come un tentativo di non
voler ascoltare o, magari, liquidare velocemente tale sofferenza, ma può
sviluppare la sensazione di essere ingannato (Che bella giornata, Vedrai che il
tempo aggiusterà le cose, Tieni duro mai mollare, “Ricattare”, Sei sempre stato
una roccia, Non ti manca nulla … ). ATTENZIONE, il soggetto attraverso la sua
sofferenza interiore può sicuramente percepire le cose in maniera gigantesca,
distorta o fallimentare ma non è certamente uno “sciocco”!
intonizzarsi sulla sua stessa lunghezza d’onda emotiva può essere utile per mettere in relazione i fatti quotidiani con il suo reale problema cronico e ricorrente. Un soggetto, infatti, che non ha rielaborato completamente una perdita, un lutto, un tradimento, una forte delusione, un fallimento affettivo, non solo gli sarà più facile comprendere questa connessione con eventi passati ma sarà più disponibile a parlarne … a non nascondersi se c’è comprensione e disponibilità genuina.
timolare ad esser sempre attivi. Sappiamo dal tempo di Ippocrate
che certi malesseri emotivi “bloccano”, paralizzano, succhiano energia …
portano all’inerzia (depressione “anaclitica” = passività, dipendenza;
ansia = agitazione, irrequietezza). Un leggero esercizio fisico aiuta l’organismo
a produrre le famose endorfine indispensabili per il buon umore, allentare
tensione e agitazione. Poiché è difficile schiodarlo dalle sue convinzioni e
dalla sua passività può essere utile, senza troppe insistenze, coinvolgerlo
in modo chiaro e diretto in certe
attività stimolanti e rilassanti.
istinguere la persona dalla patologia. E’ facile rimanere offesi da gesti o parole espresse in maniera frettolosa da chi soffre. Presi dal tormento e dalla disperazione ognuno di noi può dire cose spiacevoli e odiose che, poi, ripensandoci bene ci si pente. Il soggetto sofferente, invece, si esprime in un modo anaffettivo, scostante, come se non avesse mai amato, come se non fosse mai stato felice. Non deve mai essere vissuto come un rifiuto o un insulto personale perché è la malattia che parla non la persona. Scoprire improvvisamente che quella persona è diversa da quella con cui si è condiviso esperienze e vissuto anni e anni della propria vita non è davvero facile … ecco perché è indispensabile rivolgersi sempre a persone competenti, cercare di mantenere e gestire il problema dentro le sue reali dimensioni.
NB. Le
informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo
articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico
di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la
diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore
educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 – 0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it
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