mercoledì 7 settembre 2022

 


Agorafobiapaura della “piazza”

Introduzione



ignifica letteralmente “paura della piazza del mercato”. Nel linguaggio corrente indica un timore irragionevole di una imprecisata minaccia al proprio benessere; l'evitamento di situazioni e luoghi normalissimi, piuttosto comuni come ad esempio: spazi aperti e luoghi pubblici (teatri, stadi, parchi, autostrade, centri commerciali, cinema, ponti, gallerie). Sebbene non esista alcun pericolo immediato o diretto, sono luoghi evitati perché vissuti come pericolosi, trappole, situazioni poco sicure, difficili, imbarazzanti ed umilianti da neutralizzare o da allontanarsi facilmente da esse, scappare velocemente, magari chiedere soccorso, un aiuto adeguato per la propria salute: l'immagine che ha di certe situazioni scatenano ansia, ogni cosa appare catastrofica, tutto si colora di drammatico; sono luoghi o situazioni che al solo pensiero creano terrore, scatenano profonde tensioni, cambiamenti ormonali, reazioni fisiologiche davvero drammatiche: vertigini, sudorazione, tremore, rossore, vomito, tachicardia, aumento di pressione, mancanza di aria, timore di perdere il controllo della vescica o dell'intestino. Il soggetto colpito da agorafobia si paralizza, entra in uno stato di paura e turbamento assurdo; l'ansia anticipatoria causa una grave sofferenza, lo blocca, interferisce con la vita familiare e sociale, non riesce più a realizzare quello che ha messo in atto: terminare un lavoro, attraversare una via, una piazza, mescolarsi alla folla, senza provare una certa angoscia o a un vero e proprio attacco di panico. Lentamente tutti quei luoghi, considerati “pericolosi” aumentano, si allargano, si estendono - pur non essendo collegati fra loro - ad altre situazioni analoghe; il soggetto, allora, sopraffatto dall'ansia, svilupperà un'avversione verso tutte quelle che cose che a suo giudizio sono fonte di paura e pensieri catastrofici … un fenomeno che, nel tempo, può portare non solo ad un profondo disagio e sofferenza interiore, ma anche ad un isolamento totale e ad un fallimento relazionale; ne risentono sia i rapporti di coppia, sia la vita sociale e lavorativa: i conflitti con familiari, amici e colleghi sono sempre difficili e complicati, se non conflittuali ... un individuo perennemente in guerra con se stesso e gli altri; un malessere che se non è trattato adeguatamente non solo si aggrava sempre più - compromettendo completamente le capacità cognitive e professionali acquisite nel tempo - ma lo isola dal resto del mondo: il rischio di depressione è alto e l'uso di alcolici aumenta in maniera significativa. In casi estremi il malcapitato, modificando completamente per paura la routine quotidiana, si rinchiude nella sua turris eburnea credendo di essere al sicuro; si ritira, isolandosi nella sua tana, in casa, nella propria abitazione - unica zona a suo dire sicura - per tutta la vita. 


ell'angoscia della strada il soggetto non osa uscire se non è accompagnato anche da quelle figure che, paradossalmente, in quel frangente non sono in grado di sostenerlo o aiutarlo, come ad esempio bambini piccoli, amuleti o animali. Secondo alcuni studiosi, l'agorafobia viene spiegata sia con la paura di essere abbandonato – paura che risale alla prima infanzia – sia con il timore di cedere a delle tentazioni legate a particolari insoddisfazioni di natura affettiva o sessuale … individui particolarmente ansiosi che hanno vissuto in maniera drammatica e prematura la separazione dall'adulto (ansia da separazione). E' uno stato psicofisico che può modificare completamente la personalità del soggetto, la dinamica familiare e i rapporti sociali. Persone di grande socialità, indipendenti ed autonomi che possono mutarsi improvvisamente in individui estremamente introversi, complicati, eccessivamente disponibili rinunciando ai propri desideri e, soprattutto, trovarsi completamente dipendenti, in balia degli altri … con il timore di essere umiliati, si ritrovano sempre più soli ed isolati … loro stessi non sono in grado di spiegare questo fastidioso ed inspiegabile terrore! Le persone che vivono di fianco sono letteralmente frustrate, impressionate, confuse ed infastidite per le loro esagerate limitazioni, eccessive incertezze ed insensate stranezze. Pur essendo a volte comprensivi, non riescono completamente a capirli, perché certe situazione che mettono in atto, all'improvviso, di colpo li terrorizzano, non riescono più ad andare in certi luoghi, frequentare amici, trovare divertente tutte quelle cose che un tempo li rendevano attivi e soddisfatti. Questi individui, con l'intensificarsi di tale disagio, come abbiamo visto vivono a metà, tendono ad isolarsi da ogni cosa: ambiente familiare, sociale e lavorativo. Attorno a loro creano - se non aiutati - deserto, solo conflitti ed incomprensioni.


l termine agorafobia - che deriva dal greco àgoraphobos - significa letteralmente “paura dei luoghi affollati, degli spazi aperti” (agorà: nell’antica Grecia, era la piazza principale e centrale della città - luogo di mercato - posto pubblico; phobos: paura). Una descrizione tuttavia più appropriata del fenomeno è sicuramente quella di una reazione esagerata di paura di star lontani dalla sicurezza della casa. L’agorafobia, infatti, costituisce una reazione di paura inadeguata di fronte a una situazione inoffensiva. In breve, è una paura ossessiva, irreale, inappropriata e, soprattutto, irragionevole (fobia: è un complesso di sentimenti, un misto di paura, fino al terrore, e di ripugnanza sino all’orrore, nei confronti di un oggetto, di un animale, o di una situazione che di per sé normalmente non provoca questi sentimenti. Il soggetto è cosciente della anormalità del suo stato d’animo e mette in atto un comportamento di evitamento nei riguardi di quegli stimoli). Questo stato non è, quindi, controllabile dalla forza di volontà e non può essere spiegato in modo adeguato e logico. La paura, quando non diventa un fenomeno paralizzante, è un’emozione vantaggiosa e necessaria per la sopravvivenza (non è un nemico ma è nostra alleata)


ssa, infatti, costituisce non solo una reazione normale, ma si rivela essenziale per l’essere umano. In realtà, essa ci permette di prendere coscienza di un pericolo, di una minaccia. Il pericolo può essere immediato come quando siamo a passeggio e sopraggiunge un veicolo nell’attimo in cui stiamo attraversando la strada. Oppure può essere anticipato, come nel caso in cui si teme un’aggressione girando in un luogo poco sicuro e fuori mano dalle forze dell’ordine. In breve, possiamo dire che la paura è strettamente collegata a una situazione concreta, specifica e perfettamente identificabile che comporta, come appena descritto, un pericolo reale vissuto nel presente o nel futuro. La comparsa di questa emozione permette, quindi, all’individuo di attivare alcune reazioni psicologiche (comprese quelle chimiche, ormonali) e, soprattutto, modificare il comportamento umano per far fronte al pericolo contingente. Pure l’ansia è - quando non ha una connotazione negativa nel senso di tensione eccessiva e logorante - indispensabile come spinta produttiva verso la realizzazione di un obiettivo, uno stimolo cioè all’azione. L’ansia è un fenomeno psichico derivante da un conflitto interno tra istinto, educazione e coscienza sociale. Non sempre si è consapevoli di questa sensazione interna. Le fobie potrebbero essere manifestazioni simboliche dei turbamenti interni che ne derivano. In questa dinamica, il conflitto interno è trasferito o spostato, l’individuo, quindi, sperimenta il fenomeno agorafobico come una minaccia proveniente dall’esterno. La difficoltà di misurarsi con l’esterno può portare a ignorare o a negare il conflitto. 


’ansia quindi associata al conflitto viene collegata a un fattore, a un’attività o a una situazione esterni, perché più facilmente evitabili. L’agorafobia deve essere considerato come un malessere specifico, invalidante e devastante, quando ad esempio si deve attraversare da soli piazze, vie larghe o, in genere, nell’allontanarsi da un punto fisso di appoggio per inoltrarsi nello spazio aperto. L’agorafobo non teme che gli succeda qualcosa di spiacevole, ma dà per scontato, per certo, che dovrà affrontare inevitabilmente un’esperienza drammatica. Non possono, infatti, fermarsi in nessun luogo, far la fila, soffermarsi per un tempo indeterminato in posti particolari. Sono assillati dal pensiero: e se per qualche ragione mi sentissi male? Reagiscono a tutto ciò in modo passivo, taciturno e con comportamenti imbarazzanti. Una condizione emotiva a cui molto spesso non viene data la giusta importanza nella manifestazione agorafobia è l’umore. Tale fenomeno possiamo definirlo come stato d’animo persistente, da cui si valutano le qualità dei sentimenti e la tendenza alla stabilità o alla fluttuazione di queste qualità (allegria, tristezza, ottimismo). Il tono dell’umore, quindi, che spazia e occupa tutta la gamma che va dalla gioia alla tristezza, influenza l’attività intellettiva, volitiva, comportamentale e fisiologica. Comprendere e distinguere i sintomi inclusi quei meccanismi che connotano lo stato patologico da una effimera alterazione del tono dell’umore, è fondamentale per rendersi conto quando è il momento di chiedere aiuto per se stessi o aiutare chi ci vive accanto. Da un punto di vista statistico il 60% dei pazienti fobici può essere incluso nel quadro clinico definito agorafobo. Il 90% di tale percentuale è costituita da donne, in genere sposate (pare che per il sesso maschile l’ansia, solitamente, si manifesti in modi diversi dall’agorafobia). La maggioranza degli agorafobi si ammala tra i 20 e i 30 anni, appartengono a qualsiasi strato sociale e non hanno, a volte, particolari sofferenze emotive.


ause scatenanti dell’agorafobia sono, in ordine di incidenza: malattie fisiche, situazioni familiari stressanti, perdita di una persona cara, genitori autoritari, infelici ed alcolizzati, il manifestarsi improvviso di sintomi allarmanti fuori di casa. Inoltre, non meno importanti, si riscontrano frequentemente dei problemi relazionali familiari o di coppia. Spesso tende a ipercontrollare in modo ossessivo, vive particolari conflittualità e, solitamente, è insoddisfatto della vita familiare. Esso ha il terrore della separazione oppure teme di non essere amato in modo adeguato o di essere, addirittura, abbandonato. Nell’agorafobia non sono sicuramente gli eventi esterni, quali che siano, a produrre una reazione di paura, ma quello che si pensa e si crede di essi. In particolar modo sono le valutazioni che facciamo circa la nostra capacità di poterli fronteggiare. L’ansia e la paura, quindi, sono dovute a meccanismi cognitivi di valutazione e di anticipazione degli eventi (ovviamente in senso catastrofico e pessimistico). Infatti, allo stesso modo in cui una musica o un profumo fanno rivivere un ricordo che si pensava dimenticato, il pensiero di trovarci in un certo luogo o di fare qualcosa in particolare può rievocare una paura per quanto non abbiamo la piena consapevolezza della sua origine (il cambiamento biochimico - ormonale, però, all’interno dell’organismo avviene realmente). Quando i pensieri “lavorano contro di noi” danno inizio ad un processo di respirazione (il respiro corto e rapido provocato dalla produzione eccessiva di adrenalina può portare all’iperventilazione). Qui comincia il calvario: si teme che la respirazione si fermi oppure di non poter respirare profondamente a causa del senso d’oppressione precordiale. Quando iperventiliamo, la sintomatologia viene esaltata al massimo, poi il ritmo cardiaco aumenta, si inizia a sudare e la mente continua a produrre pensieri terrificanti instaurando un circolo vizioso: paura – angoscia – paura, questa risposta “esagerata” è alla base dell’attacco d’angoscia.


I sintomi più comunii:

· Idea che nessuno possa prestare soccorso in caso di svenimento;

· Stanchezza, impazienza;

· Tremito alle gambe;

· Sudorazione abbondante, pallore;

· Angoscia paralizzante;

· Ronzio forte;

· Stordimento;

· Perdita di concentrazione;

· Sentirsi male a poca distanza dalla meta;

· Paura di perdere il controllo di fronte ad estranei considerati critici e giudicanti.

Situazioni evitate e in cui l’agorafobico sperimenta ansia:

· Guidare l’auto nel traffico;

· Attraversare ponti e gallerie, entrare in un supermarket;

· Entrare in un grande magazzino;

· Salire su i mezzi pubblici;

· Andare al ristorante, partecipare a feste, andare al cinema;

· Fare la fila in posta, in banca, in luoghi pubblici in generale.

· Stare da soli in casa.

ome abbiamo visto, certe caratteristiche dell’agorafobia sembrano proprio sfidare il senso comune o la ragione. Perché una persona apparentemente con pochi disagi emotivi, dovrebbe improvvisamente sviluppare una fobia di andare in luoghi pubblici, condurre l’automobile, andare in autobus, in treno o in ascensore? Perché essa, capace di molte cose, dovrebbe mettere a repentaglio il proprio lavoro o il proprio matrimonio o rifiutarsi di uscire di casa? E ancora, perché una persona impegnata in numerose attività dovrebbe diventare così dipendente da non poter uscire o viaggiare senza il supporto di una compagnia? Sono domande che giustamente assillano quei teorici che cercano di spiegare i disagi emotivi relativi a questa reazione devastante ed invalidante. Il problema dell’agorafobia ha attratto un’attenzione considerevole, come indicato da un ampio numero di volumi che trattano questo argomento. L’ampio approccio al problema dal punto di vista clinico comportamentale e psicoterapeutico può produrre qualche risposta a questo nebuloso enigma. Perché i sintomi agorafobici tendono ad apparire dopo l’età di vent’anni (dal momento che la maggior parte di questi disagi si origina nell’infanzia)? Si suppone che alcuni individui abbiano una “predisposizione(i fattori predisponenti sono definiti come le caratteristiche di un individuo che lo rendono più suscettibile di un altro a sviluppare un problema fobico). La presenza, tuttavia, di uno o più fattori predisponenti - vulnerabilità biologica, influenza familiare, personalità - non costituisce una garanzia di sviluppo del disturbo ma aumenta il rischio che esso ne sia colpito dall’agorafobia … fenomeno che non si esprime fino a quando un cambiamento di circostanze non la attivi. Alcuni autori hanno postulato, infatti, che questi soggetti non hanno un “armamento psicologico” adeguato per far fronte a queste reazioni agorafobiche. 

stato anche ipotizzato che queste persone per tutta la loro vita si siano preoccupate della loro salute o capacità di gestire l’agitazione o gli sconvolgimenti emotivi, ma siano riuscite a mantenere l’equilibrio finché hanno avuto la disponibilità di una o più figure protettive (genitori, amici, coetanei, marito, moglie). Molte di queste persone hanno una storia d’ansia da separazione risalente alla prima infanzia. Così, un prolungato distacco dalla propria casa può rimuovere questo sostegno e far sperimentare al soggetto episodi agorafobici. Analogamente la rottura di un rapporto matrimoniale mette a repentaglio la disponibilità di una persona di sostegno. La nascita di un bambino, la perdita di una figura cara molto importante attraverso la separazione o la morte, un aumento di responsabilità a casa o al lavoro, tutto ciò può provocare o, meglio, far precipitare i sintomi agorafobici. L’aumento di responsabilità rappresenta una minaccia per il paziente, poiché egli crede, a torto, che se si comporterà inadeguatamente potranno esserci conseguenze disastrose (profonda disistima). Pertanto, la sfiducia in se stesso può essere minacciata dalle aspettative e aumentata dall’allontanamento di un sostegno sociale. Paradossalmente, in un scenario tipico, l’individuo si percepisce come represso da un’altra persona da cui egli dipende per l’appoggio sociale e interpersonale. Egli attribuisce una grande importanza al proprio – per quanto malfermo – senso di autocontrollo e competenza, ma il dominio di un’altra persona tende a erodere la sua fiducia nelle proprie capacità di funzionare adeguatamente su una base di indipendenza. Poiché le nuove richieste e responsabilità sono viste come cruciali, può tornare (regredire) a uno stadio precedente di dipendenza. Si sente più minacciato da problemi esterni e interni, e fa sempre più affidamento sulle figure di sostegno per avere un aiuto nel fronteggiare questi pericoli.


l futuro agorafobico inizia comunemente a percepire una varietà di possibili pericoli nel mondo “esterno”: per esempio, perdita del controllo dell’automobile, rimanere imbottigliato nel traffico, restare incastrato in una porta girevole, essere calpestato dalla folla (pericoli che assomigliano alle paure relativamente realistiche dei bambini piccoli). Queste paure si accumulano e si espandono, finché alla fine quasi ogni stadio del processo dell’andare a far spesa o in un altro luogo fuori di casa diventa un grave problema. Il risultato è che l’individuo percepisce se stesso come sempre più vulnerabile man mano che passa attraverso ognuna di queste fasi:

1. Percepisce un numero illimitato di opportunità di essere immobilizzato, umiliato, annientato, soffocato o attaccato, non può fare affidamento su nessuna difesa contro questi “pericoli” esterni.

2. Le reazioni riflesse automatiche producono sintomi che fanno pensare a gravi disturbi interni: attacco cardiaco, momenti di mancamento, ecc. L’individuo non ha modo di difendersi da questi attacchi “interni”.

3. Il soggetto prova una sensazione di “cattivo funzionamento” e un calo di competenza. Crede di non poter controllare l’automobile, mantenere il proprio equilibrio, comunicare oralmente con altre persone senza bloccarsi o balbettare, e così via.

4. La perdita del controllo sulle reazioni alla minaccia rinforza il concetto di essere vittima di forze interne ed esterne su cui non ha nessun controllo.

5. Questa perdita della sensazione di competenza insieme alla paura del “disturbo interno” conduce il soggetto a cercare aiuto da una figura protettiva.

6. L’ansia intensa provata nella situazione minacciosa (negozio, supermercato, strade, cavalcavia) può crescere fino a sfociare in un attacco devastante e incontrollato. In ogni caso, la forte ansia innesca un forte desiderio di fuggire dalla situazione e ritornare a un rifugio sicuro (generalmente casa).

7. La casa o un rifugio equivalente, rappresenta la sicurezza dal pericolo esterno. L’individuo prova una forte resistenza ad avventurarsi di nuovo fuori, e generalmente prova ansia se lascia casa.

8. Le inibizioni multiple, le tendenze alla sottomissione e le autovalutazioni negative indeboliscono la fiducia in sé e conducono così allo squilibrio nelle relazioni interpersonali, a un ulteriore senso di inadeguatezza e, infine, alla sensazione di essere in trappola e dominato dalle altre persone.


an mano che l’agorafobico si avvicina alla situazione fobica, si “rinchiude” in un set di vulnerabilità: un’anticipazione delle afflizioni che gli capiteranno. E’ preoccupato per la possibilità di un improvviso, parossistico e incontrollabile disturbo interno. Prima di entrare nella situazione, egli considera questo stato di agitazione come indicativo di un grave disturbo fisico, comportamentale o psichico. Quando si trova nella situazione, tuttavia, crede di stare sviluppando un serio malanno. Qual è la “causa” dello stato di attivazione neurofisiologico? Secondo le mie osservazioni dirette, sembra sia basata sulla convinzione dell’individuo (quando è solo) di essere vulnerabile a improvvisi disturbi medici, mentali ed emotivi. Egli crede che a questi disturbi potrebbe porre rimedio se avesse un pronto e libero accesso a un luogo sicuro, come la sua casa, un medico o un ospedale. Perciò sensazioni somatiche relativamente poco importanti che fanno pensare ad un malore, possono essere messe a tacere o ignorate se esiste la possibilità di ricevere assistenza o supporto reale. Se è lontano o gli viene impedito l’accesso a tale assistenza, il soggetto può non riuscire ad ignorare questi sintomi somatici come segnali di disastro incombente, accresce la paura di una grave disgrazia. L’aumento della paura conduce all’ansia e alle sue concomitanti che possono ulteriormente accrescere i sintomi somatici, si instaura così un circolo vizioso. Infine, le difficoltà di pensiero impediscono al soggetto di usare le sue capacità di ragionamento per negare le paure esagerate. Un individuo che sta per entrare nella situazione agorafobica, dunque, si muove secondo i seguenti principi:

· “Un disastro che incombe su di me può colpirmi in qualsiasi momento”.

· “Non c’è nulla che io possa fare per schivarlo o mitigarlo”.

· “Se potessi ricorrere a un esperto o a un aiuto (amico), potrei allontanare o ridurre le terribili conseguenze”.

· “Qualsiasi sensazione particolare (dolore toracico o addominale) può essere un segno di questo fatale stato”.

· “Se il processo non è bloccato, può accelerare fino al disastro finale”.


erché dei luoghi del tutto normali o situazioni specifiche banali sembrano innescare gli attacchi? Un fattore evidente sembra essere rappresentato dal fatto che tali luoghi o situazioni bloccano l’accesso alla casa o alla figura protettiva. Negozi affollati interferiscono con la mobilità. Andare in treno, su una superstrada o in una galleria blocca l’accesso libero all’aiuto di emergenza. Analogamente, l’impossibilità di raggiungere l’uscita in un ristorante affollato o in un teatro impedisce la fuga verso un rifugio sicuro e l’aiuto. La parola chiave in queste situazioni è “intrappolato”. L’altro possibile fattore più importante è che ognuna di queste situazioni è percepita come pericolosa in se stessa. Così, la persona che sta dirigendosi verso una situazione “agorafobica” specifica, come un centro commerciale chiuso o un supermercato, incontra una varietà di potenziali pericoli nel tragitto (… sia il corpo sia la mente si preparano e anticipano situazioni che non si verificheranno mai). Può andare fuori strada con l’auto o investire un pedone, perdersi, essere investita da un’auto mentre attraversa la strada o soffocare in un tunnel della metropolitana. Inoltre, le gallerie e i ponti possono crollare, gli autobus possono avere incidenti e gli ascensori bloccarsi. I “pericoli” quando l’individuo entra nella situazione agorafobica sono meno evidenti. I negozi affollati interferiscono con la libertà di movimento e limitano la libertà di fuga e di accesso al soccorso. I piani affollati possono produrre la sensazione di essere circondati e soffocati che, a sua volta, può condurre la persona all’iperventilazione e, così, a presentare certi sintomi (vertigini, formicolio) associati con uno stato panico.

altro canto, gli spazi cavernosi, le ampie aperture delle grandi finestre, gli angoli poco conosciuti, le linee geometriche convergenti, possono innescare sintomi ansiogeni associati con percezioni profonde, i cosiddetti riflessi otticocinetici”. Questa reazione, presente soltanto in alcuni soggetti agorafobici, è osservata più chiaramente in ampie costruzioni a volta, come gli auditori, e in piazze pubbliche. Così l’individuo ipersensibile ai confini esterni è preso tra la paura di essere costretto alla mancanza di spazio per muoversi, da un lato, e dall’altro, di perdersi in spazi sconfinati. In più, oltre al problema di troppo o poco spazio, può temere di inciampare e cadere dalla scala mobile, di saltare giù dalla tromba delle scale, di cadere dalle ampie finestre del piano più alto del grande magazzino. L’agorafobico è tipicamente preoccupato della libertà di movimento e del libero accesso all’eventuale soccorso. Tuttavia, paradossalmente, una delle sue caratteristiche di reazione comportamentale implica l’immobilità. Il soggetto si sente debole e impotente e teme di svenire. Quando ciò avviene, questa risposta di immobilità parasimpatica rende la situazione fobica perfino più minacciosa poiché la risposta comportamentale interferisce ulteriormente con la libertà di azione. In molti casi tuttavia, l’impulso di fuggire è così forte da vincere questa sensazione di debolezza. La mobilità ha un significato che va al di là del fornire un meccanismo per la fuga e un antidoto alla debolezza. L’agorafobico attribuisce un valore alla mobilità in se stessa: la libertà, l’autodeterminazione, l’individualità. Qualunque limitazione da parte di oggetti animati o inanimati lo fa sentire in trappola, immobilizzato. Questi individui a volte presentano fantasie di completa libertà, per esempio volare in aria. Alcune donne agorafobiche, riportano fantasie “involontarie” di flagranti scappatelle sessuali. Possiamo ipotizzare che la paura di perdere il controllo, così prevalente nei soggetti agorafobici, è dovuta, in parte, al riconoscimento di un impulso a rompere le regole di comportamenti convenzionali: urlare, agire in modo folle, commettere atti distruttivi. Il conflitto dell’agorafobico, quindi, sembra ruotare intorno a problemi di dipendenza, autonomia e controllo. Da una parte, poiché crede di non poter fronteggiare i pericoli del mondo esterno da solo, è spinto a ottenere aiuto da unafigura protettiva”. Dall’altra parte, cercare aiuto può condurre a cedere la propria indipendenza a un'altra persona. Avendo “bisogno” di un’altra persona, ha una minor pretesa di libertà, di esercizio dell’individualità e di affermazione dei propri diritti. Gli agorafobici, con una certa frequenza, sono presi in una complessa interazione coniugale. Desiderano ricevere appoggio dal coniuge ed essere liberi e autonomi. Una tale relazione coniugale vischiosa tende ad avere diversi effetti. Primo, l’espressione di autonomia è inibita per via del timore della separazione che potrebbe minacciare la possibilità del soggetto di avere accanto il coniuge a cui richiedere l’aiuto necessario. Inoltre, il coniuge può usare la propria posizione di figura protettrice per dominare il compagno agorafobico, per promuovere i propri obiettivi e per umiliarlo. Il risultato di queste relazioni non paritarie è di ridurre la fiducia in sé e renderlo sempre più dipendente. In secondo luogo, le strategie di sottomissione del soggetto non solo lo fanno sentire meno efficace ma gli stimolano una sensazione di sfida impotente. Egli è preso quindi in un conflitto tra il desiderare di compiacere la figura protettrice e di ribellarsi.

Cosa fare

erto l’ansia si può curare, ma è molto meglio prevenirla e cioè adoperarsi affinché essa, tanto utile all’uomo, non abbia a trasformarsi in forma patologica che, come è stato più volte sottolineato, è invece motivo di comportamenti anormali e di grande sofferenza (agorafobia). Quando la prevenzione non è possibile e l’ansia ha raggiunto valori incontrollabili, per combatterla, possiamo ricorrere alla psicoterapia e al rilassamento. Le strategie terapeutiche, offerte dalle psicoterapie più accreditate, spaziano da quella cognitiva – comportamentale a quella psicanalitica. Nel trattamento di questo disagio, risulta utile, proprio per le sue manifestazioni specifiche che coinvolgono mente e corpo, applicare programmi terapeutici che combinano insieme varie metodiche terapeutiche ad indirizzo psicosomatico (il corpo e la psiche sono un tutt’uno indivisibile. Se lo stato d’animo è alto, aumenta la sicurezza e la fiducia in se stessi, ma anche fisicamente ci si sente meglio. La cattiva salute, la sofferenza biologica può avere ripercussioni anche gravi sull’equilibrio emotivo). L’aspetto fondamentale del programma terapeutico è che non ci si deve assolutamente concentrare solo su un unico tratto agorafobico: l’esperienza fobica e le sue manifestazioni secondarie (depressione, ansia, etilismo, iperventilazione) devono essere prese in esame contemporaneamente e non separatamente. Ogni psicoterapia, a prescindere dall’indirizzo scientifico adottato, raggiunge gli scopi prefissati quando il soggetto ha raggiunto un buon livello di autostima in modo tale da essere in grado di modificare il proprio immaginario, gli schemi mentali, i pensieri e, di conseguenza, i propri stili di vita. Tempi brevi e risultati più evidenti si ottengono con metodiche ad indirizzo psicosomatico che oltre ad avere una concezione olistica del disturbo, si basa sulla riformulazione della propria visione del “mondo” e sul raggiungimento di atteggiamenti meno rigidi e, quindi, più adattivi. In questa visione l’ansia è considerata come il risultato di precedenti esperienze (espresse anche con il linguaggio corporeo) particolarmente negative che hanno portato a convinzioni “irreali” su di sé, sugli altri e nei rapporti interpersonali. 


ali convincimenti saranno ristrutturati in maniera più realistica durante il percorso psicoterapico. Il più delle volte, momenti di stasi o ricadute, generalmente temporanei, sono parte integrante del processo terapeutico globale di miglioramento. In realtà, queste ricadute potrebbero indicare al soggetto che, proprio per porre fine il più velocemente possibile a questa sofferenza e uscire da questo disagio devastante, sta pretendendo troppo da se stesso: risulta indispensabile, quindi, procedere in maniera più riflessiva e con più calma (non bisogna mai mettere in “cantiere”, soprattutto con le fobie, troppe cose contemporaneamente). Poiché l’ansia è sempre accompagnata da un’elevata tensione muscolare, ne consegue che essa può essere eliminata se si raggiunge un buon rilassamento. Mentre le psicoterapie cercano di risolvere il problema dell’ansia puntando sui suoi aspetti emotivi, le tecniche di rilassamento sono invece incentrate sulla componente fisica dell’ansia (ovvero l’angoscia: ansia somatizzata). Le principali tecniche distensive sono particolarmente utili ed efficaci in questa affezione, in quanto sono realizzate seguendo varie forme di rilassamento progressivo dei distretti corporei e poi del sistema vascolare. La tecnica di visualizzazione consiste nel suggerire al soggetto a immaginare situazioni visive. Ottenuto il massimo rilassamento, l’individuo viene guidato ad immaginare uno scenario proposto su cui sviluppare temi e situazioni in base al suo vissuto e alla sua personalità. Possono venire utilizzati temi rilassanti e distensivi, situazioni conflittuali da cui si riesce ad uscire in modo costruttivo e positivo, problematiche personali che vengono tranquillamente risolte. I programmi terapeutici che vantano maggior successo combinano assieme metodiche psicoterapiche, distensive e tecniche respiratorie: abbassano e mantengono bassi i livelli d’ansia evitando, quindi, un ulteriore squilibrio bio - chimico all’interno dell’organismo. Si può ottenere un buon controllo dell’ansia anche mediante la regolazione del ritmo respiratorio. Infatti, respirare in eccesso significa modificare questa funzione naturale in modo rapido o superficiale, con il conseguente abbassamento dei livelli di anidride carbonica nel sangue. Questo induce un senso di vertigine, svenimento, stordimento, formicolio alle mani, piedi e viso, spasmi a mani e piedi, tensione a livello del torace. Tale fenomeno, infatti, produce una reazione a catena di eventi fisiologici che alterano tutte le funzioni dell’organismo; inoltre, col respiro superficiale si utilizza solo una piccola parte della capacità polmonare (sintomi: difficoltà di parola, esperienza di stordimento, palpitazioni fame d’aria, gola secca). L’iperventilazione può essere determinata da qualunque cosa possa impedire l’espansione del torace, postura non corretta, contrazione e tensioni muscolari, naso chiuso, asma, tosse secca e, soprattutto, ansia. Gli effetti dell’iperventilazione sono - con l’allenamento e con l’aiuto di un esperto qualificato - di gran lunga facili da ridurre, imparando a respirare lentamente e profondamente (iperventilazione: eccesso di respirazione rispetto al fabbisogno dell’organismo). Ogniqualvolta si presentano sintomi inspiegabili, dovrebbe essere presa in considerazione l’eventualità di un eccesso di respirazione cronica. Usando le tecniche di gestione acquisite, inoltre, si sarà in grado di prevenire il ritorno del disturbo agorafobico.

CONCLUSIONI



disturbi da panico, i disturbi d'ansia generalizzata, i disturbi di tipo ossessivo-compulsivo, agorafobia, fobia sociale e fobia specifica sono tutti classificati come disturbi d'ansia (nevrosi ansiosa-nevrosi fobica). Viene dalla mitologia greca la radice etimologica di panico, e più precisamente dall'antico Dio greco Pan. E' una divinità molto antica, protettore delle greggi e dei pastori. E' talmente brutto che la madre stessa, al momento della nascita, ne è così spaventata che fugge; allora il padre Ermes lo avvolge in una pelle di lepre e lo presenta agli altri Dei che, vedendolo, si danno a grandi risate. Appare con un corpo umano villoso, capelli completamente incolti, naso particolarmente schiacciato, gambe, piedi, corna, orecchie e barba di caprone e con le corna. Esso, cioè Pan, è una divinità vigorosa, gioiosa, insomma l'allegro compagno delle ninfe che danzano ... danzano: eterno innamorato e completamente respinto per la sua bruttezza. Il Dio caprino, signore delle selve, era solito riposare nelle ore meridiane e, se disturbato, lanciava un grido spaventoso che incuteva "il terrore panico". L'attacco di panico sta proprio ad indicare il terrore irrazionale, improvviso, devastante, e paralizzante, che ci coglie di sorpresa e che invade completamente il nostro corpo in modo incontrollabile: una tempesta emotiva che esplode senza motivo. Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), per i francesi TRAC, infatti, sta a indicare il ricorrere di attacchi di paura o terrore improvvisi, associati a sentimenti di catastrofe imminente e accompagnati da sintomi fisiologici drammatici quali soffocamento, vertigini, sudorazione, spasmi muscolari, tremore e tachicardia, nodo alla gola, ecc. Le crisi colgono l'individuo come un fulmine a ciel sereno, cioè in momenti imprevedibili, spesso durante le normali attività quotidiane. 



li attacchi durano alcuni minuti generalmente, per i meno fortunati, una decina, quindi un lasso di tempo piuttosto breve, ma che può sembrare eterno per l'angoscia che procurano. E dopo, ed è questo il dramma, resta la paura che tutto possa ripetersi. Le crisi tendono, infatti, ad essere ricorrenti, per cui spesso i pazienti sviluppano un ansia anticipatoria rispetto a quando e dove avverrà l'attacco successivo. Di conseguenza si tende ad evitare luoghi o situazioni cui vengono associati gli attacchi (psicologia di evitamento invalidante). E man mano che le paure e i comportamenti di "evitamento" aumentano, la vita di queste persone viene sempre più compromessa. Infatti, dal primo momento in cui si verifica questo episodio non si riesce più ad essere autonomi, si ha bisogno ogni volta che si deve uscire, di un accompagnatore o di quel "qualcuno" particolare che rassicura, con la sua presenza fisica, di essere aiutati nel momento in cui si verificherà l'esperienza terrificante. Tutto ciò, ripeto, crea una forte dipendenza dagli altri in quanto non si è più in grado di far conto sulle proprie forze. Si entra, quindi, in una spirale di paura: paura di stare male. Nel momento in cui si verifica un attacco o siamo presi dall'ansia, reagiamo con paura, ed è la nostra reazione di paura che ci tiene in trappola. In questo frangente il nostro corpo prepara ad affrontare la situazione: gli ormoni dello stress e l'adrenalina, entrano nel flusso sanguigno per prepararci a sfuggire la situazione o rimanere ad affrontarla. Il battito cardiaco accelera, il respiro diventa affannoso e possiamo tremare o sudare abbondantemente. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua, inevitabilmente, la sintomatologia. I disturbi da ansia, comunque, non minacciano la vita della persona, come tali: è solo la nostra "incomprensione" della loro natura che ce li fa apparire così drammatici e minacciosi. Che cosa si può fare? Il raggiungimento del benessere dipende dalla capacità di abbassare il livello d'ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questo può essere raggiunto attraverso metodiche terapeutiche basate su tecniche distensive e concentrative ad orientamento psicosomatico. Con queste tecniche non solo è possibile abbandonare pensieri, sensazioni ed emozioni, ma anche il controllo. Il bisogno, infatti, di controllare noi stessi e quanto ci circonda è una delle caratteristiche principali del permanere del disturbo. Molte persone trovano alquanto paurosa la prospettiva di "lasciarsi andare" (caratteristica presente in molti disturbi psicosomatici, si veda la pagina relativa alla Psicosomatica) nella distensione, anche solo a pensarci. Si può temere di perdere il controllo e che i peggiori timori si realizzino. Non è così: "cedendo" in realtà si riprende il controllo ... certamente non lo si perde. Un altro percorso terapeutico determinante, è cercare di comprendere le finalità del sintomo (in chiave psicosomatica), cioè che cosa ci vuole comunicare attraverso questo "strano" linguaggio.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 -  0532.476055

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