martedì 13 settembre 2022

 

Quel fantastico mondo della Medicina Psicosomatica

APPARATO TEGUMENTARIO

ui si manifestano i conflitti di svalutazione ... una carta geografica precisa, una mappa delle nostre difficoltà vissute con il mondo interno ed esterno.

Acne: “una forza infuocata affiora dal profondo”, bisogna prestare più attenzione all’eros e alla vita affettiva!... quando si trova sul viso si vuole tenere a distanza “qualcuno”, se localizzato nella schiena si getta alle “spalle (non si vede) un “desiderio”, sul petto, invece, c’è lotta tra pulsioni e sentimenti … NON schiacciare MAI i brufoli. Un aiuto naturale: Juglans regia MG, Ulmus campestre MG e Ribes nigrum MG … lavorare su fegato e intestino.

Orticaria  (fenomeno cutaneo simile a punture di ortica, con prurito e bruciore) … soppressione dei propri desideri con l’obbligo di condividere o sopportare situazioni fastidiose ed esasperanti (relazioni, eventi), il tutto percepito come minaccia (forte prurito) … eccesso di energia: sessualità e sentimento di rabbia spingono (affiorano) per essere ascoltati.

Onissi  (unghia infiammata) … l’unghia è un organo che rappresenta la difesa, la protezione … i soggetti che hanno problemi in questa formazione cornea sono particolarmente vulnerabili, deboli e fragili sul piano emotivo.

Ciste (le interpretazioni psicosomatiche sono in funzione dell’organo o del tessuto interessato: pelle, polmoni, cervello, ovaie, pancreas, ossa)… una cavità che in generale racchiude dolore, sofferenza, vecchi risentimenti che bloccano… pelle: bisogno di affetto, di sicurezza, di nutrimento, di sentirsi accettati, desiderio di essere toccati.

Adenofibroma (nodulo). Questa massa di piccoli nodi, spesso, fanno la loro comparsa a seguito di una ferita affettiva (abbandono, delusione, tradimento): sono veri i propri “grumi” di sofferenza, di tristezza, di preoccupazione, di profondo dolore.

Cloasma (gravidico o nella menopausa: chiazze marroni sul torace, mani, viso, collo) … provare sentimenti di vergogna, sentirsi umiliati in situazioni particolari.

Blefarite (palpebre: chiusura, vedere o non vedere; occhi: approvazione, disapprovazione, protezioni da stimoli esterni). Un’infiammazione del bordo delle palpebre dovuta alla collera relativa a quello che si ha davanti, al desiderio di non voler vedere certe cose (conflitto: vedere o non vedere, non voler affrontare la vita).

Patomimia cutanea (sfregamento, pizzicamento, bruciature, morsi, tagli autoindotti) … autopunizione, atto aggressivo sulla propria pelle … un fenomeno borderline con un Io particolarmente debole: al limite della nevrosi e della psicosi … comportamento infantile per avere più attenzione, essere più considerati e creare una reazione compassionevole sulle persone del proprio ambiente … uno strumento di difesa primitivo contro un’incalzante depressione mascherata.

' costituito dalla pelle, peli, unghie, ghiandole sebacee e ghiandole sudoripare. La pelle è l'organo più grande e completo del corpo umano: copre mediamente circa 17.000 centimetri quadrati. Quando alcuni organi - come reni, vescica, polmoni e intestino - sono “affaticati” diventa un prezioso assistente nello scaricare le tossine, le impurità del corpo serve a regolare la temperatura ed è anche il nostro "confine", la nostra "frontiera", il nostro "limite". Svolge una funzione respiratoria molto importante, attraverso i pori della pelle, infatti, assorbe ossigeno. E' quella parte del corpo che non passa mai inosservata, bella o brutta non possiamo nasconderla e, quindi, la dobbiamo far vedere anche camuffata, si fa notare immediatamente … si vedono subito l'invecchiamento e le sue affezioni. Uno dei suoi compiti principali - oltre a tenere unito il corpo - è quello protettivo: una barriera con il mondo esterno (batterico, relazionale, emotivo). In realtà, ci permette di entrare in contatto direttamente con il mondo circostante fisico e relazionale. Questo “guscio” non solo ha il dono miracoloso di autoripararsi ma in esso sono "memorizzate" anche tutte le nostre esperienze e le nostre emozioni più antiche … i conflitti più reconditi (accettazioni e rifiuti). Senza dubbio è il nostro principale e più interessante organo di contatto. I segnali così percepiti vengono inviati, provocando in tal modo una sensazione direttamente al cervello (gradevole o sgradevole)ci informa delle "cose" con cui veniamo a contatto, anche quelle che “irritano” e che fanno diventare la cute una perfetta mappa, una insostituibile cartina geografica piena di "segni". Permette di riconoscere lo stato emotivo di ogni persona. La collera imbianca il volto, la vergogna rende bordeaux, il terrore sbianca come un lenzuolo e la rabbia colora di giallo... verde di bile. Quando poi arriva un attacco di panico sudiamo abbondantemente … per spegnere i "bollenti spiriti". Il cambiamento cromatico permette di individuare lo stato di salute di una persona. Il rapporto, quindi, tra disagio emotivo e malattie della pelle è un fatto ormai accertato da vecchia data. I modi di dire sulla pelle sono davvero tanti e significativi ... sottolineano questo fenomeno attraverso emozioni e stati d'animo: “Non sto più nella pelle, Cambiare pelle, E' una questione di pelle, Mettersi nella pelle di qualcuno, Avere i nervi a fior di pelle, Avere la pelle dura, Rischiare la pelle, Avere paura di rimetterci la pelle, Tenere alla propria pelle, Fare la pelle”. Ciò che osserviamo sulla pelle umana altro non è che la storia, il racconto di ogni individuo intriso di ricordi e di vissuti emotivi: fierezza, debolezza, vergogna e pene varie. I disturbi cutanei, quindi, sono il segno delle difficoltà sperimentate in passato con gli altri … un avvertimento delicato, ricco di indicazioni, a volte un po' più irruento, ma sempre un segnale che stimola a prendersi cura di se stessi. La pelle essendo il primo organo di contatto con il mondo esterno, costituisce una struttura privilegiata nella vita di relazione. E’ proprio in base è questi contatti primordiali che il bambino sviluppa la propria identità, la consapevolezza di esistere ... di essere importante. Risulta fondamentale il rapporto con la madre e con le persone significative: la gravità della sintomatologia è sempre condizionata dal tipo e dall’intensità del rapporto affettivo. La patologia cutanea insorge come espressione di emozioni trattenute e di impulsi non soddisfatti. Riporta inesorabilmente a galla vecchi vissuti emotivi conflittuali. Un tema conflittuale interiore che si fa sentire, si disegna, si rende visibile nella cute. Il desiderio primario represso (amore, calore, tenerezza) agisce sul meccanismo endocrino e il sistema nervoso vegetativo, determinando a sua volta delle lesioni epidermiche. Facendo un esempio concreto, un individuo poco amato nella prima infanzia (poco toccato, coccolato, accarezzato) potrà sviluppare in futuro l’eczema oppure se è stato privato completamente di affetto, potrà manifestare la sua “cicatrice” affettiva con la psoriasi. I problemi cutanei - poiché coinvolgono un organo con un ruolo sociale ben preciso - parleranno sempre della nostra realtà interiore e delle relazioni con gli altri: contatti, barriera, scambi, fragilità, pene, tenerezza, limitazioni, separazioni, paure, allontanamento, libertà, narcisismo, vulnerabilità, vergogna, verità, bugie, piacere, controllo, isolamento. Il corpo diventa il palcoscenico dove viene rappresentata questa sorta di dramma interiore … racconta la nostra storia, rivela profondi processi psichici e invisibili rapporti emotivi. L'intervento terapeutico non dovrebbe ostacolare, non deve bloccare l'espressione patologica, ma la deve far vivere ed affrontare in maniera soggettiva e diversa: placarla nella sua globalità e, soprattutto, nella sua grande umanità.

Chakra.

I disturbi della pelle sono collegati al terzo C. (energia, forza, potere, riuscire, libertà, rabbia, essere se stessi) mentre una cute che suda eccessivamente riguarderà il primo C. (sicurezza, voglia di vivere).

ATTENZIONE … il colore della pelle non stabilisce soltanto l’appartenenza ad un gruppo etnico ma indica sempre il vero stato di salute di ogni individuo.


a pelle, come detto più volte, rappresenta le parti più profonde di ogni organismo (specchio dell’anima): la condizione dell’intero psicosoma … rivela la verità interiore. Quando gli organi interni non funzionano correttamente, sulla pelle compaiono segnali ben precisi: macchie, segni (grassa, umida, secca, ruvida, flaccida) e modificazioni cromatiche. La cute rivela sempre squilibri passati e presenti a carico degli organi interni: le scorie tossiche esploderanno il più delle volte sul viso. Reagisce rapidamente in maniera sorprendente ed immediata alle condizioni interiori: è il barometro della nostra esistenza. Vediamo di seguito i colori che essa ci invia e come possiamo leggerli, in modo tale da correggere alcuni comportamenti, se necessario, per renderla sempre più radiosa, elastica, splendente e luminosa. Una pelle di colore rosso è sempre legata alla circolazione. Segnala soprattutto disordini dell’apparato cardiocircolatorio. Qualsiasi fenomeno che accelera l’attività cardiaca - stato di imbarazzo, spavento improvviso, attività fisica ed ilarità - aumenta anche la circolazione periferica (espansione dei capillari) provocando un cambiamento cutaneo. Anche un consumo di zuccheri semplici, spezie, alcol e sostanze stimolanti possono determinare un certo tipo di rossore. A livello emotivo segnala un considerevole disordine nervoso e instabilità emotiva. Il colore giallastro è connesso al fegato e alla cistifellea (bile e secrezione epatiche provocano questo colorito).

n fenomeno che segnala anche disordini al pancreas, ai reni e al sistema escretore in generale. L’ittero (eccesso di bilirubina) è l’esempio più evidente di un disturbo epatico che provoca la colorazione gialla della cute e delle sclere. Tale colorito può essere causato dall’assunzione esagerata di carne, uova, molluschi e pesce. Il soggetto risulta particolarmente aggressivo … il colorito giallastro della pelle o l’urina molto scura sono sintomi di danni epatici. Il bianco diffuso nella cute, invece, segnala una contrazione dei capillari sanguigni. Ha un rapporto diretto con i polmoni e l’intestino crasso. Può essere determinato dall’assunzione di troppi grassi o da prodotti lattiero – caseari. Il pallore cutaneo mette in evidenza una mentalità ostinata e gretta … un colorito grigiastro della pelle, accompagnato da secchezza e arrossamenti vari sono un segnale di tristezza, insofferenza, scontentezza e invecchiamento precoce, mentre una cute luminosa indica creatività e un vissuto in sintonia con le proprie emozioni … Un colore bluastro (tempie, naso e area attorno agli occhi) indica un disordine allo stomaco, al fegato, milza e pancreas (circolazione carente nel fegato e milza). Può essere causato anche dall’assunzione di troppi zuccheri, farinacei, alcol e sostanze stimolanti. E’ un soggetto che si presenta il più delle volte di cattivo umore, collerico e irascibile. Un colorito “scuro” (area sotto gli occhi) segnala disordini renali (il sangue diventa più scuro), intestinali e digestivi. Potrebbe risultare eccessivo il consumo di frutta, carboidrati semplici e sostanze chimiche. Il soggetto presenta attacchi di panico ed è controllato da tratti depressivi. Il colore verde è collegato alla decomposizione dei tessuti o delle cellule in generale: cisti e tumori. Può essere un segnale di un consumo eccessivo di proteine, grassi, zuccheri e sostanze chimiche. E’ un soggetto che si relaziona con un atteggiamento insicuro e arrogante. Come abbiamo potuto vedere, il modo di affrontare lo stress e l’assunzione di cibi animali, seguiti da un consumo eccessivo di zucchero, sono i veri responsabili dello stato segnalato dalla pelle.

reddo (sensazione) … la tendenza alla freddolosità è collegata al sentimento di solitudine, di essere stati abbandonati, di ritrovarsi completamente soli … la sensazione di essere isolati, non percepire o non essere più circondati da calore umano.



L’ABBANDONO


er quanto riguarda il termine abbandono, il dizionario ci fornisce diverse definizioni: “lasciare senza aiuto, sostegno, assistenza … lasciare definitivamente”La parola in sé non ha comunque un suono piacevole ed evoca una sensazione di sconfitta, di inquietudine e di fallimento. Questa insicurezza affettiva è legata ad esperienze di deprivazione sperimentate nei primi anni di vita e caratterizzate da sensazioni, più o meno profonde, di mancanza di protezione o, magari, da atteggiamenti poco soddisfacenti e affettuosi. Il neonato, infatti, prototipo dell’essere umano “dipendente”, può fondare il suo istintivo senso di sicurezza esclusivamente in base all’attenzione ed alle cure che gli altri gli porgono. Abbandonato a se stesso perirebbe senza scampo. Tanto il momento di disinteresse volontario che quello di involontaria disattenzione sono percepiti dal neonato come un estremo pericolo di “morte”. La propensione all’attenzione ed alle cure per i neonati piccoli in genere è insita comunque nella natura umana a garanzia della continuità della specie (è sempre la qualità del rapporto che risulta determinante). Tale propensione, arricchita da motivi accessori, è indicata comunemente come “affetto”, l’affetto per eccellenza. Una sorta di profondo riflesso condizionato stabilisce così nella percezione istintiva del bambino un nesso insolubile tra ricezione di manifestazioni d’affetto e “sicurezza” di restare in vita, tra carenza d’affetto e pericolo di morte. Così il “senso di sicurezza” potrà svilupparsi nel bambino se sarà stato oggetto di soddisfacenti e compiute manifestazioni affettive. Subentrerà invece il “senso di insicurezza”, come basilare ansietà, in logica conseguenza di una insoddisfacente o instabile o incompiuta manifestazione affettiva. Così insoddisfazioni e insicurezze di natura istintiva possono distrarre parte delle energie tendenti allo sviluppo psichico e arrestarlo a fissazioni relative a situazioni ansiose. 


iù tardi, nella personalità dell’adulto, portatore del fenomeno di dipendenza, lo stesso anacronistico allarme, dovuto alle insoddisfazioni ed alle insicurezze infantili, si perpetuerà a causa del carattere inconscio – e quindi inattaccabile dal senso critico – dell’antica carica emozionale che lo determina tuttora. Così affiora nella coscienza un misterioso senso d’insicurezza e d’insoddisfazione che, tuttavia, le facoltà mentali razionali giustificheranno di volta in volta con motivi banali. Ad essi il soggetto, ogni volta, presterà fede pur notando come l’insicurezza e l’insoddisfazione permangono oltre il dileguarsi dei motivi che per breve tempo hanno prestata loro una giustificazione. Tali reazioni dunque, sono prive di una logica vincolata all’ambiente presente (non è riconducibile a fenomeni oggettivi, realistici, ecc.) e, perché siano spiegate logicamente, occorre risalire alla loro genesi. Queste esperienze iniziali, come abbiamo visto, man mano che passa il tempo, non solo creano un profondo malessere, ma possono pregiudicare la vita relazionale successiva, determinando in chi soffre un’irrequietezza e una sfiducia di base, spesso responsabili del fallimento dei rapporti interpersonali (amicizia, lavoro, coppia). Essere abbandonato è un’esperienza drammatica e, incide, soprattutto in tenera età, sulla psiche in maniera indelebile. E’ talmente dolorosa che crea nel soggetto, come modalità reattiva, una profonda disistima, insicurezza, un senso di autodistruzione psico – fisico e un legame di totale dipendenza dagli altri. In realtà chi ha sofferto di abbandono è convinto, pur avendo straordinarie capacità, di non essere in grado di far niente da solo; chiede continuamente consigli e pareri (che il più delle volte non utilizza), ha una grande necessità di sentirsi sostenuto e continuamente approvato in ogni scelta che fa. 


oiché non ha mai avuto (o perlomeno ne è convinto) l’attenzione desiderata, ama passare per vittima e drammatizzare anche gli eventi più banali. Attraverso questa strategia riesce ad attirare l’attenzione con i mezzi più disparati (anche con problemi di salute) raggiungendo in tal modo il suo scopo, ovvero il sostegno, l’attenzione degli altri e qualche piccola porzione di dimostrazione d’affetto. Il "dipendente" quando agisce da altruista non lo fa mai in modo spontaneo, ma usa questo gesto per ricevere esclusivamente attenzione, riconoscimenti e complimenti (si sente importante ed aumenta la sua autostima). E’ una persona tormentata da notevoli sbalzi d’umore, in quanto non essendo completamente autonomo e incapace di gestire un semplice rifiuto, evoca lo spettro drammatico della solitudine (che farò da solo? … che ne sarà di me?). L’individuo dipendente, temendo profondamente la solitudine, ha l’abitudine di aggrapparsi fisicamente agli altri in modo vischioso (ecco perché predilige tutte quelle attività in cui c’è il contatto fisico … ama i balli in cui ci si può "stringere") e proprio per evitare di ripetere l’esperienza dolorosa di abbandono, accetta situazioni drammatiche e rapporti di sofferenza (marito etilista, violento, autoritario, ecc.). Non ha, inoltre, particolare simpatia per le divise, perché tale abbigliamento, in qualche modo, rappresenta l’autorità. La persona autoritaria (tono, aspetto, comportamento deciso, ecc.), infatti, viene definita dal dipendente come una figura fredda, indifferente e, soprattutto, non attenta - proprio per queste sue caratteristiche - alle sue esigenze affettive (continua la giostra dell’infelicità: si aggrappa eccessivamente agli altri, li “soffoca” e … li perde). Il dipendente, pur avendo un discreto appetito sessuale, usa il sesso per sentirsi più importante in quanto si sente desiderato dal partner. Anche quando non ne ha voglia non si oppone perché, a suo dire, perde una opportunità o, meglio, una occasione per sentirsi importante e desiderato (è un altro modo, non spontaneo, per ottenere attenzione)


vendo, inoltre, vissuto l’esperienza di abbandono, il più delle volte con il genitore di sesso opposto, non solo gli risulterà più difficile il rapporto con le persone dell’altro sesso ma il suo malessere si riacutizzerà anche ogni volta che accantonerà un progetto cui gli stava a cuore, ogni volta che si allontanerà da un luogo o da una situazione familiare, oppure, cosa più grave, quando non si occupa in modo adeguato di se stesso. I comportamenti e gli atteggiamenti propri del dipendente (stili di vita, gesti imbarazzanti, indecisione, remissione) sono dettati dal terrore di rivivere quelle drammatiche esperienze abbandoniche sperimentate nell’infanzia. Poiché tali caratteristiche non si presentano mai contemporaneamente, con le stesse modalità e, soprattutto, non sono vincolati all’ambiente esterno, il dipendente non avrà mai una profonda consapevolezza dei vari comportamenti descritti ma li riconoscerà solamente quando essi si presenteranno in modo ostacolante e dominante: fuga dal senso di responsabilità, bisogno di essere curato, bisogno di aiuto e protezione, dipendenza, ecc. (il tutto accompagnato da una profonda insicurezza e insoddisfazione). L’individuo, con queste caratteristiche, continuerà allora a cercare di scansare le responsabilità proprie della sua età, si attenderà di essere amato e protetto, vagheggerà in modo di sbarcare il lunario a “spese” di una persona o di un ente o della società, e cercherà di raggiungere tutto ciò con sistemi esibizionistici diretti a suscitare, come un tempo, simpatia ammirazione affetto o pietà. Alla ricerca di una “razionalizzazione” delle sue “pene” il soggetto finisce per attribuirne la colpa ad altri (proiezione), o ad uno spiacevole destino, o a qualche divinità, o ad un’assidua sfortuna o a causa di carattere superstizioso, o addirittura al fatto che tutto il mondo “è fatto a rovescio”. Poiché è “cieco” verso i veri motivi delle sue esigenze - è condizionato dalla necessità di non perdere la fiducia in se stesso - giustifica come motivi di gloria (autoglorificazione) proprio i lati più negativi del suo psichismo. D’altra parte tale processo ha una funzione protettiva dell’equilibrio emotivo, dal momento che se l’individuo perdesse del tutto la fiducia in se stesso tale equilibrio verrebbe a mancare. Il mentire a se stessi (in modo più o meno consapevole) diviene, sotto questo aspetto patologico, una necessità vitale. Il bisogno di essere amato e protetto verrà considerato desiderio d’amore ed il soggetto coltiverà un ideale di se stesso quale generoso dispensatore d’amore.

 

a tendenza a fuggire le doverose responsabilità dell’adulto verrà dichiarata come eccezionale destrezza nel vivere. Il desiderio di vivere a “spese” degli altri – altro tentativo di perpetuare l’antica situazione infantile – quando fosse autosservato, lo sarebbe come eccellente indice di astuzia e diventerebbe fonte di ammirazione. Poiché nulla di male il soggetto si addebita, non riesce egli a vedere su che cosa si fondi l’ostilità altrui (nel nostro caso specifico le reazioni abbandoniche). Soffrirà allora di sentirsi (in ogni rapporto) incompreso, angariato, disamato, deriso a torto e diventerà vittima depressa oppure rabbioso di un destino senza speranza o di un prossimo apparentemente perfido e ingannevole. E’ bene ricordare, comunque, che questi modi di pensare, di sentire, di agire non sono fenomeni “patologici” (ovviamente quando non ostacolano il soggetto nelle più elementari attività quotidiane) ma sono modalità reattive che permettono all’individuo di “adattarsi”, seppur in maniera poco vantaggiosa, a situazioni ed esperienze particolarmente dolorose (creando, attraverso l’equilibrio raggiunto, per quanto possa essere strano, ulteriore sofferenza). Tale “equilibrio”, inizialmente vantaggioso, a lungo andare però può creare nell’individuo stesso malessere e sofferenza in quanto non gli permette di condurre la vita in maniera spontanea, naturale, di grande apertura mentale e di sana adattabilità all’ambiente circostante. Tuttavia possiamo affermare che la dipendenza è presente in altri stati emotivi ma resta sempre più marcata e dominante nell’ambito dell’abbandono (è il tema dominante che crea la “sofferenza”). Tutto quanto è stato menzionato in questa breve esposizione non deve essere inteso come un lungo elenco di “difetti” senza senso, ma devono essere interpretati come piccoli ostacoli che non consentono di aprirci mentalmente e a migliorare la nostra dimensione emozionale e mentale. Attraverso tale conoscenza possiamo decidere se continuare a salire sulla “giostra dell’infelicità” (che ci siamo creati) oppure diventare consapevoli dell’inutilità delle nostre risorse reattive che, pur non essendo soddisfacenti, continuano a dominano la nostra vita.


Non mandiamo in vacanza anche ... l'AUTOSTIMA


nche in vacanza, se siamo sfiduciati, pessimisti, delusi e remissivi, sempre con sguardo fugace, anziché ricaricarci e fare il pieno di benessere, rischiamo di spegnere ogni vigore, la forza vitale, la gioia e cancellare la voglia di vivere. E’ abbastanza comune - quando si perde l’entusiasmo e la voglia di fare - sentirsi degli stracci, scarichi, preoccupati, spenti, svogliati, stonati, stanchi, privi di iniziativa, inadeguati anche nelle piccole azioni quotidiane; ogni gesto diventa sciapo e sgradevole, proprio come una pietanza più volte riscaldata. Si rimane fermi al palo avviliti e sfiniti … una vita fredda e buia, piena di strazianti lamenti e di continue rinunce. La sensazione di inadeguatezza paralizza anche la cosa più desiderata e sognata da lungo tempo la meritata VACANZA. Non si vede l’ora di mollare tutto, di andarsene, ma prima di partire si è già in tensione perché si teme che qualche evento disturbante possa portare cambiamenti repentini alla routine, agli schemi di sempre e smantellare le vecchie abitudini … e allora - proprio perché siamo dei campioni a rovinarci da soli - eccoci, pronti ad accendere il semaforo rosso a tutte le passioni e voglie estive. La paura di cambiare ci allarma e ci blocca; non ci distoglie da questa fastidiosa situazione nemmeno un gesto gentile o sguardo ammiccante di una graziosa fanciulla disponibile … niente riesce ad accendere la passione, non ci schioda nemmeno un vero e proprio colpo di fulmine!

l’entusiasmo invece che ci rende unici e speciali, ci illumina lo sguardo, ci rende lucidi e le cose più facili, ci sveglia contenti al mattino con la voglia di fare, ci rende attivi e leggeri … è un patrimonio interiore davvero ineguagliabile che, oltre ad annullare le delusioni, rende ricettivi, lucidi, intuitivi e pieni di idee. Quando puntiamo su cose che non ci interessano davvero è facile spegnere l’entusiasmo e riportare alla luce antiche delusione paralizzanti … e così la DEPRESSIONE in punta di piedi finisce per rovinare tutto. E’ un dramma perdere la fiducia in se stessi perché ci si sente disarmati, deboli, estranei, smarriti, in pericolo, completamente in balia di un mondo circostante ormai ostile, minaccioso e incomprensibile. Sensazioni penose in cui non ci sopportiamo, non ci stimiamo, non ci piacciamo e, soprattutto, non crediamo più nelle nostre vere risorse e capacità (che sono sempre tante, credetemi!). Sono tutte cose che, lentamente, minano la sicurezza e trasformano le persone in svogliate, rinunciatarie e prive di energia e di interessi … la sfiducia ci mette all’angolo, alle corde, completamente in ginocchio anche in vacanza. Ma è proprio grazie alla vacanza in modo “spensierato”, “stile libero” che possiamo goderci la vita … ritrovare il piacere, infuocarci ai sorrisi e stupirci del nuovo, dell’insolito, portare l’armonia e la voglia di vivere alle nostre giornate. La vacanza è il periodo dell’anno in cui risulta più facile “spassarsela”, liberarsi della zavorra invernale e, se si è ben predisposti, tutto può diventare possibile: il brivido, l’originalità, la conoscenza, il divertimento, il gioco … ogni piccola cosa nuova può arricchire la vita rendendola piena e ancora più completa. Se ci allontaniamo dai percorsi obbligati, da cliché mentali triti e ritriti, pieni di noia, di impegni e doveri, sempre accompagnati da stanchezza e da profonda insoddisfazione, possiamo mettere le ali ai nostri pensieri, ai nostri veri desideri e rendere la vacanza piena di vitalità. Il cambiamento di abitudini, di schemi mentali e stili di vita, infatti, oltre a portarci lontani da stress, sofferenze, malattie e disturbi vari - attivando i “mediatori chimici del benessere”, le famose molecole del piacere - crea uno stato di felicità, di profonda armonia e di intenso piacere. Urge, allora, “spezzare” quei percorsi obbligati, quei programmi forzati e “rinsecchiti” con i quali non si era mai d’accordo … quando ci si chiude in se stessi non si vede nient’altro, il mondo diventa freddo e monocolore. Solo diventando “ingordi” di esperienze, “famelici” di sguardi e bramosi di nuove esperienze si possono riaccendere le antiche voglie e passioni; sono questi gli stimoli che fanno incontrare sempre qualcosa di nuovo e aiutano a lasciare a casa dubbi, insicurezze e incertezze. Solo aprendo la nostra mente a cose nuove, a nuovi ambienti, alle novità, agli incontri e smontando parecchie convinzioni ormai stantie, possiamo ritrovare entusiasmo, fantasia, creatività, voglia di vivere, scacciare lo stress, la noia e rinforzare in profondità le difese immunitarie … con uno sguardo più aperto e curioso si riparte alla grande! Per ricevere, quindi, il massimo benessere anche in vacanza dobbiamo abbandonare i luoghi comuni, ma lasciarci influenzare dal nuovo, allontanarci dalla vita piatta, insulsa e noiosa… il cervello “felice” sprizza salute da ogni parte. Le vacanze non si giudicano mai, si vivono così come sono, intensamente: se afferri al volo tutte le occasioni di piacere, ti riappropri della tua vera identità (non si fa nulla di strano perché è la “naturalezza” che fa il suo corso) avrai sicuramente delle sorprese eccitanti. Lasciati guidare, “infiammare”, dalle azioni spontanee, e dalle persone che ti danno piacere.


ttenzione però a non lasciarsi influenzare da quei luoghi comuni, da quelle mode assurde che sole, cibo e sonno sono già tutto. Il corpo e la mente, non abituati alla “stasi”, se abbandonati a queste condizioni di “stallo”, rischiano a dir poco il “collasso” e, ancora, il troppo cibo ingurgitato, per il solo gusto di riempire i “vuoti“, in assenza completamente di movimento, si andrà a stratificare in un grasso che richiederà mesi, se non anni, per essere “bruciato”. Mai fermare il corso della vita, al cervello servono sempre nuovi stimoli per ritrovare l’entusiasmo, la “grinta”, l’eccitazione e l’energia … lasciati guidare liberamente dal momento, lasciati spingere e portare al largo dalle passioni. Non preoccuparti di quello che pensano gli altri e, soprattutto, quando ti spogli non confrontarti con il contesto sociale del momento, con un corpo da top model, con il vestito che fa difetto sui fianchi, concentrati, invece, sul tuo pareo … più bello, vivace e colorato che hai. Quando partiamo per una breve o lunga vacanza che sia, dobbiamo mettere sempre in valigia piccole cose: autonomia (ricorrere sempre agli altri espropria dalla propria identità), generosità (si esce dai dubbi e dalla meschinità) eros (diventare “selvaggi” fa sentire vivi e ricarica di energia, è il modo giusto per ritrovare fiducia in se stessi). Guai ai paragoni e confronti estemporanei, e mai cercare di raggiungere obiettivi a tutti i costi perché, senza volerlo, oltre a rubare la gioia del presente, ostacoliamo il fluire continuo dell’esperienza e della vitalità. E’ invece fondamentale godere quello che la vacanza ci offre in quel preciso momento, in quel prezioso e forse indimenticabile istante… se desideri fare una cosa è il momento di buttarsi nell’onda travolgente del momento presente, non rovinarti questa fantastica “stagione”, le tue preziose vacanze!
vivere il tempo presente è sempre la cosa migliore: se si guarda indietro si obbliga la mente a rimanere dentro a una piccola cornice, la si costringe a vivere dentro uno spazio angusto, controllata da certe convinzioni e rimpianti dolori, drammi e sofferenze passate, sconfitte subite, situazioni che non esistono più, sono già passate ma che bloccano, disperdono e tolgono energia al proprio benessere naturale … afferra il presente e affidati al domani il meno possibile. “Orazio”

LA PELLE … specchio dell'anima


elimita, separa, unisce, mette in contatto: termometro delle passioni … i disturbi della pelle segnalano un pericolo, rivelano conflitti profondi nei rapporti con gli altri: si entra in “guerra”… un mondo esterno (anche interno: qualcosa che vuole emergere in superficie) vissuto come minaccioso per i propri confini, la propria identità, la propria integrità… un confine perennemente minacciato.

non aver paura, i disturbi cutanei parlano al posto nostro, arrivano per protestare, per rivelare i propri conflitti, per segnalare le trasformazioni che avvengono a livello psichico: le guerre e i disagi interiori lasciano il “segno”, rivelano, a volte, modi di essere soffocati e un’energia imprigionata (fame d’amore, rapporti sbagliati, emozioni mal gestite … che si “depositano” sulla cute) … se vuoi proteggere e mantenere la tua pelle sana non bloccare i tuoi pensieri e prova ad esprimere le tue emozioni.

... rivela uno stato emotivo "invisibile"



a pelle non è un tessuto, ma un vero e proprio organo. Essa, organo più grande, più completo, più interessante del corpo umano, è costituita da tre strati: epidermide, derma e ipoderma. E’ un organo ben visibile e unico, di confine, uno schermo iterattivo, un mezzo di comunicazione: costituisce il simbolo dell’identità individuale. Il fatto che non esistano due soggetti con le stesse impronte digitali è la prova dell’unicità di ogni persona. Molto spesso si parla di qualcuno che “non si sente per niente bene nella propria pelle”: ciò rileva un senso di impotenza, disorientamento, profonda insoddisfazione e perdita di identità. Permette, inoltre, di riconoscere in maniera inequivocabile lo stato emotivo di una persona. Tale organo, psicosomatico per eccellenza, ha infinite funzioni: delimitare e proteggere (primo compito), contatto, espressione e rappresentazione, sessuale, regolazione del calore, ecc. Non dobbiamo dimenticare che la pelle è il nostro limite, il nostro confine e, nello stesso tempo, attraverso essa entriamo direttamente in contatto con l’esterno. E’ un organo che rispecchia il nostro mondo interiore, rappresenta l’immagine che abbiamo di noi stessi, e lo fa in diversi modi. Ogni disfunzione interna, infatti, viene proiettata immediatamente sulla pelle. Quando si verifica qualcosa sulla cute, in maniera più o meno violenta - arrossamenti, gonfiore, prurito, ascesso, infiammazione - l’area in cui tale fenomeno si manifesta non è casuale, ma indica un processo interiore corrispondente (carta geografica dello stato di salute generale). Questo prezioso rivestimento esterno del corpo umano non mostra esclusivamente uno stato organico interno, ma in esso si estrinsecano anche molteplici processi e svariate reazioni emotive. 



ono reazioni talmente imprevedibili, chiare ed evidenti che tutti le possono rilevare: rossi come un pomodoro per la vergogna e bianchi come un lenzuolo per la paura, sudare per l’agitazione, i capelli si rizzano per l’orrore e, ancora, l’emozione è tanta che può venire la pelle d’oca. In una reazione panica e nei momenti di forte tensione, solitamente, i palmi delle mani sono completamente pervasi da fastidiosi cambiamenti di temperatura e abbondante sudorazione. Il rapporto tra disagio psicologico e malattie della pelle è un fatto accertato. Non rivela soltanto la salute e la vitalità del soggetto, ma anche il suo stato d’animo, i suoi conflitti, i suoi desideri, i suoi modi di pensare, le sue credenze, la sua autovalorizzazione, le sue passioni e, soprattutto, la sua personalità: è il sito d’azione dei conflitti interiori. Ogni condizione di aggressività o repressione, ogni sovraccarico psichico o emotivo esplode violentemente all’esterno determinando, in tal modo, allergie, foruncoli, acne, eczemi, indurimenti cutanei e dermatosi. Come è stato più volte sottolineato, la pelle ben si adatta ad esprimere disadattamento, disistima, insicurezza, frustrazione, difficoltà nei rapporti interpersonali. Esprime una importante reazione difensiva come risposta ad una minaccia, reale o meno, rappresentata da profondi conflitti interiori. I disturbi delle pelle hanno quindi un senso e un linguaggio specifico: vediamo alcuni esempi. Eczema: è una particolare reazione infiammatoria che causa prurito, vescicole, gonfiore, croste e desquamazione. L’eczema psicosomatica, che si presenta senza contatti con allergeni, è connessa all’insicurezza, alla paura, all’incertezza e all’ansia. Sono a rischio le persone, che trattengono le proprie emozioni e che non riescono a manifestare apertamente la loro profonda passione, il loro talento e la loro grande capacità: non si esprimono perché, oltre a temere il giudizio degli altri, sono influenzati da figure dotate di autorità e di autorevolezza (bloccano creatività e talento). Orticaria: è un disturbo cutaneo caratterizzato da un’eruzione di ponfi affossati e pruriginosi. E’ un fenomeno che generalmente troviamo in persone che vivono con diffidenza e sospetto. I rapporti interpersonali sono tendenzialmente ambivalenti: hanno timore, paura, diffidenza ma allo stesso tempo sperimentano una forte attrazione. In alcuni casi il prurito segnala una forte collera trattenuta, in seguito ad una forte frustrazione inespressa che comunque non si è in grado di esteriorizzare (impulsi aggressivi inibiti). Le persone che reagiscono con irritabilità, insoddisfazione, stress, ansia ed agitazione al tormento emotivo manifestano più frequentemente sensazioni di prurito e di bruciore. Patomimia cutanea: si tratta di un danno cutaneo (lesione) provocato dal soggetto stesso. Tale “autopunizione corporale” insorge in soggetti, prevalentemente donne, pienamente consapevoli, ma con tratti psicologici assai particolari: inibizione dell’aggressività, umore depresso, forti blocchi affettivi, bassa soglia della frustrazione e profonde tendenze autoaggressive. Psoriasi: è una dermatosi cronica e recidivante; pur avendo una base ereditaria il suo decorso appare decisamente influenzato da una componente emotiva. Alcune situazioni di stress, la minaccia alla salute e alla sicurezza, sembrano inequivocabilmente coincidere con un deterioramento della condizione. Sono a rischio quelle persone che hanno vissuto in nuclei familiari i cui genitori erano assenti e anaffettivi. Chi soffre di questa dermatosi, oltre a vivere con estrema difficoltà le relazioni e gli scambi interpersonali, fa particolarmente fatica ad esprimere le emozioni e a sostenere quelle altrui.


a Pelle … delimita, separa, unisce, mette in contatto: termometro delle passioni senza finzioni… i disturbi della pelle segnalano un pericolo, rivelano conflitti profondi nei rapporti con gli altri: si entra in “guerra”… una spia, un mondo esterno (anche interno: qualcosa che vuole emergere in superficie) vissuto come minaccioso per i propri confini, la propria identità, la propria integrità … un confine perennemente minacciato … testimonia quei contenuti emotivi che non si vuol vedere.

i disturbi della pelle vengono perché manchiamo di tenerezza nei nostri confronti, per farci osservare emozioni che tratteniamo e, soprattutto, farci capire che non rispettiamo la nostra unica e vera autenticità … NON avere paura, sono voci dell’anima, la pelle si fa carico di sofferenze trascurate da tempo e di qualche imbarazzo verso la vita… se non ti sfoghi sarà la dimensione cutanea ad “alleggerirti”.


LA PELLE … specchio della salute.

se il mondo interiore è sofferente l’epidermide lo rivela con grande solerzia, si oppone - attraverso il suo prezioso ed enigmatico linguaggio - di essere "contaminata" da relazioni sbagliate, forzate e distorte: grida la sua disperazione, smaltisce le "tossine".


e malattie della pelle sono senza dubbio le più comuni e diffuse. La cute è il primo apparato “preposto” a manifestare il disagio nei bambini più piccoli e non potrebbe essere diversamente vista l’immaturità psichica che li espone a un contatto più diretto e meno schermato con l’ambiente circostante. Pelle e mente: il connubio è perfetto, soprattutto quando abbiamo a che fare con disturbi cutanei. Le reazioni “a pelle” non sono però prerogativa dell’età evolutiva, si verificano in tutti quei momenti in cui la mente non riesce a contenere adeguatamente emozioni che sfuggono al controllo, ecco che, improvvisamente, i disturbi dermatologici si incaricano di far affiorare il malessere: di renderlo manifesto. La pelle non può essere considerata come un organo “superficiale”. Essa è davvero di più: rappresenta una dimensione dove i nostri modi d’essere si legano con il mondo, dove il nostro essere, la nostra vita dialoga con l’esterno. Ecco perché la sfera cutanea va “letta” in più modi, scoprendo cosa significano e come vanno affrontati tutti i disturbi che l’affliggono. La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo, eppure difficilmente le diamo importanza come il cuore, fegato, reni, polmoni. Il rapporto che abbiamo con la pelle è del tutto esclusivo, nella nostra percezione non abbiamo la pelle ma “siamo” la nostra pelle. E non è un caso, se analizziamo infatti il valore funzionale e simbolico di questo apparato ci renderemo conto che esso è strettamente connesso alla nostra identità più profonda ma anche all’istintiva difesa della vita.


ntanto, grazie alla sua elasticità che separa l’interno dall’esterno, protegge il corpo da traumi, pressioni, colpi. Inoltre, è una barriera che impedisce l’ingresso di agenti potenzialmente patogeni come batteri, sostanze acide e alcaline, radiazioni solari. Da questo punto di vista potremmo considerarla come una sorta di tuta protettiva che può arrivare a diventare, all’occorrenza, vera e propria corazza impenetrabile. Il limite dell’uomo è, quindi, la sua pelle. Essa dà la forma e sembianza a ogni essere vivente, non solo rendendo visibile all’esterno la forma del corpo, ma – attraverso i segni che porta con se – esprimendo l’individualità. E’ il tratto distintivo di ognuno di noi, poiché nessun altro può averne una identica. E’ l’involucro vivente che cresce e invecchia con la nostra persona, costantemente rinnovato, ma sempre uguale a se stesso. E’ la linea di demarcazione tra noi e l’universo stesso. Ci delimita e protegge, si costituisce come filtro e barriera permeabile contro gli agenti nocivi. In questo senso svolge un’importante funzione di limite e confine che consente alla persona di percepirsi come distinto e delimitato. Contribuisce quindi a determinare la consapevolezza di sé, l’individualità, attraverso la consapevolezza di possedere un corpo. Tramite la pelle tocchiamo e siamo toccati, definiamo il nostro spazio e siamo definiti nello spazio. Ed è nel contatto tra pelle e pelle che prende origine il processo di delimitazione psichica. Ma non solo: la cute rappresenta inoltre un importante mezzo di comunicazione interpersonale.



ttraverso la cute il corpo emana il suo odore, che ha un suo codice di riconoscimento e una sua “marcatura” in grado di influenzare il comportamento dell’altro e la relazione con esso. La pelle è da sempre vettore di simboli e idee, il cui fine è la comunicazione verso chi ci circonda. Può essere territorio di bellezza e di attrazione, di un messaggio particolare oppure anche di “repulsione”. Così, chi soffre di una patologia cutanea cerca di condividere il problema di cui è portatore, si sforza di portare in mezzo agli altri il vissuto interno che sottende la patologia ma contemporaneamente prova vergogna e disagio per la sua affezione. E’ in questo momento che la malattia diventa “stigma”, ovvero marchio che spesso va a bloccare l’emotività di chi ne soffre. E’ confine protettivo e territorio di scambio emozionale: ma anche spazio dove appaiono i disagi e le emozioni nascoste. Così la cute diventa autentica carte di identità del nostro vivere quotidiano. Ma da dove nascono i disturbi cutanei? Perché una mente che non riesce a esprimersi invia i suoi “segni” proprio sulla pelle? In realtà, l’acne, la vitiligine, gli eczemi, la psoriasi vengono per farci osservare emozioni che tratteniamo. Vediamo ora questi meccanismi, ovvero impariamo a leggere quanto “sta scritto” sulla "mappa" cutanea: le origini psicosomatici dei disturbi che l’affliggono.

... la pelle, attraverso i suoi "segnali", dice tutto ciò che non si ha il coraggio di ammettere ... esprime e fa sentire le sue risorse più preziose.


Problemi alla pelle, un succo di: mela, ananas e uva può aiutare.



L’INSICUREZZA … quando il primo ostacolo paralizza il vivere.


ddio credo proprio che non riuscirò a concludere un bel niente … Povero me non so proprio che pesci pigliare … Vorrei ma non riesco… Oggi proprio non me la sento … e ancora … Non valgo niente… Non riuscirò mai a controllarmi… Chissà se avrò fatto bene, se avrò fatto la cosa giusta … Accidenti! Queste sono alcune delle famose frasi emblematiche che riassumono, sintetizzano in maniera inequivocabile la dimensione psicologica in cui è calato l’insicuro. E’ una condizione emotiva, il più delle volte legata a circostanze temporanee, in cui il soggetto si sente spesso vittima e prigioniero di situazioni che, di per sé, non hanno assolutamente niente di drammatico o pericoloso. Una esperienza che incredibilmente opprime, blocca, soffoca, impedisce di realizzare - perché offusca la mente e fa perdere la lucidità - i progetti e i vari sogni della vita. Tale disagio, però, non deve essere confuso con una sana riflessione creativa, con quella fase ponderata, una “paralisi” benefica, quella pausa momentanea in cui si sta prendendo tempo per poi fare la cosa giusta. Riflettere attentamente prima di decidere, soppesare le possibili conseguenze è sempre indice di buon equilibrio tra la propria autostima e una corretta valutazione della realtà. L’indeciso cronico, al contrario, non si sente mai all’altezza della situazione, ha un’immagine svilita di sé, una modestia fuori misura, eccessiva, esprime un’insufficiente conoscenza di se stesso, delega all’infinito ogni decisione e si inchioda sui propri dubbi amletici rimandando continuamente ogni decisione. Per questi atteggiamenti l’insicuro rischia parecchio: l’immobilismo, il blocco evolutivo e la dipendenza dagli altri (fenomeno che nel tempo può dar vita a tratti depressivi)



ominato dalla disistima, da un forte senso di fallimento e dal complesso di inferiorità ha sviluppato la convinzione che gli altri sono migliori e valgono più di lui. E’ un soggetto che appare senza grinta, smarrito, spaventato, convinto di non riuscire a farsi valere e cavarsela da solo, sempre imprigionato e relegato nel suo guscio protettivo del non fare, del non esporsi. Un rigagnolo che è diventato un enorme torrente, un grande baratro in cui si ha paura di essere completamente fagocitati. Spesso viene etichettato come un soggetto debole, fragile, inattendibile e problematico. L’insicuro non passa mai inosservato, sempre aderente ai muri, lascia sempre le sue impronte, segnala le sue difficoltà relazionali e sociali, a seconda dei casi, attraverso l’eritrosi al viso, il balbettio, l’incespicare e un fare davvero goffo. Per mascherare questa sua forte dipendenza, questo suo sentimento di inferiorità, spesso, si nasconde dietro una facciata di “falsa sicurezza” con un fare polemico, aggressivo ed oppositivo. Questa finzione, tuttavia, oltre ad essere particolarmente rischiosa, non porta da nessuna parte, il suo atteggiamento sostanzialmente non cambia: la ricerca di consigli, di sostegno, di suggerimenti, le forti pretese di essere continuamente rassicurato rimangono sempre i suoi tratti principali. Quando si indossa la maschera di un personaggio forte e sicuro, per fini compensativi, si corre il rischio - oltre a creare facili illusioni e false aspettative negli altri - di trasmettere un immagine fuorviante, confusa e non realistica: non farsi conoscere per quello che si è veramente (valore e talento). Il più delle volte, infatti, il nostro entusiasmo viene bloccato, soffocato da abitudini di vita, di pensiero e di relazione. 

insicuro, inoltre, temendo il giudizio degli altri risulta perennemente contratto e teso, si sforza continuamente, ed è costantemente concentrato su come offrire l’immagine migliore di sé. Proprio per questa ragione a livello somatico la rigidità, la tensione e il bruciore intenso, si assumono l’onere di richiamare il soggetto alle sue reali difficoltà decisionali. Ignorare o non prestare attenzione necessaria a tale fenomeno provocherà uno stato doloroso di ansietà. Il perenne tentennamento si trasforma a livello fisiologico in una fastidiosa sensazione di debolezza alle gambe, capogiri e vertigini. Spesso l’ansia è talmente forte da spingere il soggetto ad esprimersi attraverso piccole manie o rituali ossessivi come ad esempio perfezionismo, pulizia, ordinare le cose: tutte modalità che permettono all’insicuro - seppur in maniera goffa - di gestirla e tenerla in qualche modo sotto controllo. Il ronzio mentale e il costante rimuginare, inoltre, fanno il resto, spingono il soggetto ad un cattivo riposo o, ancora peggio, a contare le pecore per intere nottate. L’insicurezza, come per tante altre condizioni psicologiche, non è un fenomeno genetico: appartiene in maniera inequivocabile all’autobiografia del soggetto. Entrano in gioco esperienze evolutive traumatiche precoci in cui il bambino non vivendo in un clima rassicurante e tranquillo rimane in balia dell’incerto e dell’imprevedibile. Quando si cresce in un ambiente privo di protezioni adeguate anche l’immagine di sé diventa instabile (disistima), vacillante e basta un piccolo imprevisto per sgretolarla. In tal modo si rischia seriamente di minare l’intero processo di crescita del piccolo. Cresciuto in questa atmosfera educativa incerta il bimbo impara ad affrontare le varie situazioni impegnative della vita con apprensione e allarmismo: ogni decisione, anche la più banale, può diventare fonte di disagio e di pericolosità per l’integrità psicologica … un’impresa titanica. 


osa fare. Il primo passo è migliorare il concetto di se stessi: nei rapporti non è necessario essere presuntuosi o magari vanagloriosi ma nemmeno essere dominati da un forte sentimento di svalutazione acuta. Quando si ha una buona considerazione di se stessi si è più fiduciosi, decisi e sicuri nell’affrontare le sfide della vita. Gran parte del lavoro, comunque, è diretto all’autovalorizzazione e allo sviluppo di un crescente senso di indipendenza (autostima). Resi più sicuri dal sostegno psicoterapico, questi soggetti imparano ad esprimere i loro sentimenti in maniera genuina, prendono le loro decisione e sanno far fronte ai vari episodi ansiogeni. Tra le altre metodiche terapeutiche che possono contribuire a gestire stress ed ansia - proprio per il fatto che ogni processo decisionale accompagna tensioni e contrazioni - ricordiamo le combinazioni di respirazione controllata e le varie tecniche di rilassamento.

si chiede continuamente supporto, sostegno, aiuto esterno perché ci si sente fragili, si ha la convinzione di non essere in grado di affrontare il peso della vita … si è incapaci fronteggiare da soli gli impegni quotidiani.

AUTOSTIMA …


essuno, purtroppo, riesce a vivere in una condizione di constante e completa salute emotiva. Proprio per la sua stessa natura, la vita ci mette a dura prova, ci fa piangere, ci fa preoccupare, ci pone di fronte a frustrazioni e a insuccessi. Si calcola che, nel corso della vita, una persona su tre sia colpita da un disagio emotivo, variabile, naturalmente, per origine ed importanza. Eppure i pregiudizi, i timori, il pressappochismo su tali malesseri sono ancora innumerevoli. E, forse, la maniera migliore per combatterli consiste proprio nell’essere informati sui vari sintomi, sulla diagnosi e sulle terapie: la condizione di salute dei pazienti, infatti, migliora nettamente nel momento in cui comprendono cosa sta accadendo dentro di loro e quando vengono messi al corrente delle terapie disponibili, senza contare che i loro familiari, conoscendo a fondo la patologia, possono aiutare i propri cari in modo più efficace. Come è possibile fare molto per raggiungere e mantenere una buona salute fisica, allo stesso modo è possibile adottare misure e strategie per affrontare e risolvere più efficacemente i problemi psicologici quotidiani. Una maniera vantaggiosa di iniziare consiste nel capire veramente che cos’è la salute emotiva. Molti sono gli autori che, in maniera diversa e unica, hanno cercato di dare una risposta a questo quesito: alcuni parlano di salute mentale quando si ha la capacità di lavorare ed amare, per altri invece è la capacità di dare una risposta soddisfacente al problema dell’esistenza. Ma al di là delle varie interpretazioni, tutti gli individui in “equilibrio” mentale hanno in comune determinate caratteristiche; sono accomunati dall’insieme di elementi - ovviamente costanti nel tempo - di pensiero, sentimenti e comportamento di un individuo. Rimangono in contatto con le proprie condizioni emotive e sanno riconoscerle ed esprimerle; sanno percepire la realtà come è. Rispondono in maniera appropriata alle sfide della vita e sviluppano strategie razionali per vivere il meglio possibile. Benché non estranei ed immuni da problemi o conflitti, essi sanno affrontarli in un modo che consente una indubbia crescita psicologica. Sanno trattare con gli altri, il più delle volte, in maniera vantaggiosa e ragionevole. E, poiché stimano se stessi e il proprio ruolo, provano un senso di soddisfazione e di realizzazione che dà un significato davvero stimolante alla routine della vita quotidiana e allo sforzo che questa richiede. 



no degli “ingredienti” fondamentali della salute emotiva è l’autostima, il senso di fiducia in se stessi o di orgoglio di sé che dà a ognuno la sicurezza per adoperarsi a raggiungere un obiettivo o per aprirsi agli altri, formarsi nuove amicizie e relazioni strette. Non è uno sforzo della mente, ma corrisponde a un diverso atteggiamento della coscienza, che apprezza e accetta ciò che si è nel tempo presente, ovvero “Carpe diem, quam minimum credula postero”. L’autostima fa in modo che ogni individuo si senta “importante” (significativo) in quanto essere umano provvisto di doti uniche ed irripetibili, di capacità e di un ruolo nella vita. L’autostima non si basa su elementi esterni come la ricchezza o la bellezza, non è qualcosa di genetico né tanto meno non si può ottenere dagli altri. L’autostima si costruisce, si sviluppa nel tempo. Fa la sua comparsa appena nati, se abbiamo chi ci accudisce e ci dimostra sensibilità ed affetto profondo mentre sviluppiamo le abilità di base come il camminare e il parlare. In seguito viene incoraggiata quando, da bambini piccoli, impariamo a prenderci cura del nostro corpo e a controllare gli impulsi, sempre che ci venga restituita una risposta positiva riguardo a questi nostri “traguardi”. Una bassa autostima comunque è più comune tra gli individui che da bambini hanno subìto abusi psicologici o fisici, ed essa aumenta la probabilità di contrarre patologie come depressione, disturbo d’ansia e l’abuso di sostanze. Al confronto, gli individui che hanno una buona autostima, nonostante possano essere colti da dubbi sulla propria persona, incertezze del resto connaturate nell’essere umano, si concentrano su quello che hanno di buono e accettano i propri limiti e benché questo non indichi che sono completamente esenti da problemi dolorosi, molte indagini cliniche suggeriscono che una prospettiva fiduciosa e positiva è vantaggiosa per l’equilibrio emotivo. Esiste una correlazione infatti tra l’autostima e alcuni quadri clinici: la presenza di un alto livello di autostima si accompagna a un basso livello di ansia e di depressione. L’autostima segnala una valutazione in positivo o negativo di sé, il grado in cui un individuo si considera capace, importante ed efficiente. E’ una condizione psicologica complessa, frutto delle varie esperienze che hanno forgiato e modellato, sin dalla prima infanzia, ogni individuo. 


entirsi in armonia con se stessi, accettarsi per ciò che si è veramente e avere la consapevolezza di poter dare in ogni momento il meglio di sé consente di prestare alla vita un’attenzione totale e partecipe e di ricercare tutto ciò che può contribuire al proprio benessere. Una buona autostima coinvolge anche il senso di autoefficacia. Termine che definisce la fiducia nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessarie a gestire adeguatamente le situazioni che si incontrano, in modo tale da raggiungere gli obiettivi prefissati. E’ sicuramente un senso di efficacia personale che deriva dalla convinzione (o meno) di essere in grado di affrontare una determinata situazione, grazie ad una fiducia realistica e autentica nella possibilità di riuscire a cogliere le opportunità più vantaggiose della vita. Gli individui che riescono ad adattarsi meglio alla vita sono proprio quelli caratterizzati da questa personalità: sono curiosi, sensibili, capaci di trasformare eventi spiacevoli e carichi di stress in stimoli creativi, fiduciosi della vita. Affrontano i compiti difficili (familiari, sociali, lavorativi) con impegno e costanza e non si allontanano intimiditi di fronte alle difficoltà, si pongono obiettivi ambiziosi sapendo di potercela fare, e di fronte agli insuccessi riescono a recuperare, a riorganizzarsi … in breve a scegliere l’alternativa valida.

l’autostima non deve essere mai confusa con l’autocontrollo o con uno stato di equilibrio … l’autostima è la consapevolezza di quello che si è realmente, di cosa si prova in quel preciso istante, nel tempo presente… bisogna dare spazio a quello che c’è dentro se stessi … un mondo interno che non va combattuto, giudicato o cambiato a tutti i costi.


ECZEMA … il dolore che scava


a pelle delimita, separa, unisce, mette in contatto: termometro delle passioni senza finzioni… i disturbi della pelle segnalano un pericolo, rivelano conflitti profondi nei rapporti con gli altri: si entra in “guerra”… una spia, un mondo esterno (anche interno: qualcosa che vuole emergere in superficie) vissuto come minaccioso per i propri confini, la propria identità, la propria integrità … un confine perennemente minacciato … testimonia quei contenuti emotivi che non si vuol vedere.


eczema esprime sempre una battaglia interiore, un conflitto che brucia. I sintomi, rossore e prurito, rimandano a un fuoco interno che tende a distruggere un involucro vecchio … espressione di una identità che vuole trasformarsi. Chi ne soffre ha energie forti che vorrebbe esprimere in ambiti diversi, ma paura, timidezza, sensi di colpa e fobie lo bloccano. Nella fase acuta, cioè quando si avvertono maggiormente i disturbi dell’eczema, compaiono vescicole sulla pelle, che possono rompersi liberando il liquido chiaro. Successivamente, le vescicole si trasformano in una crosticina. L’eczema provoca intenso prurito, che può impedire il sonno. Nelle dermatiti da contatto le lesioni compaiono per l’appunto nelle zone di contatto tra parti del corpo e sostanze irritanti. Nell’eczema atopico le parti del corpo più colpite sono il viso, il collo, la pelle dei gomiti, delle ginocchia, dei polsi e delle caviglie. Molto frequente nei bambini allergici, è espressione di una difesa nei confronti di un mondo sentito pericoloso a causa della sua progressiva artificialità: giochi in materiale sintetico, cibi dalla provenienza incerta, aria sempre più inquinata. Come alterato è anche lo stile di vita di molti genitori sempre di fretta e di corsa. La caratteristica “migrante” di questo disturbo, che può spostarsi in parti diverse del corpo, indica che la pelle del bimbo si difende in zone che man mano rappresentano - in modo simbolico - i punti più vulnerabili in quella precisa fase di sviluppo. La dermatite seborroica, invece, che colpisce adolescenti e adulti di mezza età, è proprio collegata a un conflitto con l’ambiente esterno dovuto a discrepanze tra la capacità di produrre risultati da parte dell’individuo e le richieste della società. 



on è un caso che essa si manifesti soprattutto al cuoio capelluto, cioè sulla testa (il luogo dei pensieri), in persone fortemente stressate e che si “spremono” per impegni professionali frenetici. La seborrea inoltre indica che il soggetto non sta vivendo una quota importante della sua carica erotica, costretta ad uscire in forma indiretta sotto forma di sebo. L’eczema classico ha a che fare in modo prevalente con la difficoltà a esprimere un fuoco creativo che, per quanto si cerchi di nasconderlo, non può essere mai veramente domato. Una creatività intesa non solo in senso artistico ovviamente, ma anche possibilità di portare la propria impronta in ciò che si sta facendo. In molti casi la persona “arde di interesse” per qualcosa o per qualcuno, ed è così sensibile da “accendersi” per un non nulla … ma non sente legittima la decisione di seguire questa via perché teme che potrebbe portarla lontano dalle scelte e dallo stile di vita consueti, a cui è legata per abitudine ma non per passione. A un atteggiamento conciliante e comprensivo corrisponde nell’interiorità un temperamento sanguigno che facilmente si irrita: un filtro di autocontrollo molto forte inibisce le loro reazioni, lasciando che affiorino sulla pelle. Una vita interiore ricca e profonda ma che poco traspare all’esterno: per chi soffre di eczema è difficile parlare di sé, sfogarsi per un dolore o un’ingiustizia, raccontare o condividere. Ma la loro tenuta ha un limite e spesso uno sfogo sulla pelle è l’equivalente di una parole.

Chi rischia di più

Persone che trattengono le proprie emozioni anche in contesti protetti in cui potrebbero lasciarsi andare;
Persone ricche di passioni e di talento che però temono il giudizio degli altri e che sono molto influenzabili dalle figure dotate di autorità e autorevolezza;
Persone insicure riguardo alle proprie capacità, che tuttavia sanno di avere, ma che non riescono a manifestare e utilizzare come è nelle loro possibilità;
Persone timide e sensibili, poco propense a parlare delle cose importante di sé.


a pelle è un grande organo che non sa fingere e non dipende dalla volontà… segnala al mondo circostante - sempre a modo suo - i sentimenti, a volte i conflitti più profondi, quelli, in particolare, che non si vogliono guardare direttamente … delimita e nello stesso tempo contiene… le lesioni cutanee raccontano e disegnano chi siamo veramente.

Autostima … questa grande sconosciuta.


uante volte abbiamo pensato che la nostra esistenza (lavoro, studio, rapporti sociali, convivenza, matrimonio) è una continua tribolazione, ci fa star male, ci crea disagi e sofferenze a non finire, ansie e, per non farci mancare proprio nulla perché spesso siamo dei veri campioni in questo campo, anche depressione più o meno grave. Nonostante questa consapevolezza - con un immobilismo davvero da artisti - proiettati nel futuro colmo di ansia, lasciamo passare le ore, i giorni, i mesi, i “secoli” con la speranza di un futuro migliore. Il futuro blocca, uccide il presente, rende sordi e ciechi di fronte alle esperienze della vita: angoscia, tensione e ansia lentamente dominano la scena quotidiana spegnendo completamente passione e vitalità. Quante volte, ancorati nel passato - che genera solamente rimpianti e rimorsi - abbiamo ritagliato un “pezzo” di tale tempo burrascoso pieno di rancori, di ricordi negativi, di obblighi, di risentimenti, rendendolo attuale, fatto sopravvivere per - a seconda delle proprie condizioni emotive - rassicurarci, rallegrarci, consolarci, rattristarci e eventualmente per espiare. In questo modo, allontanandoci dalla vera esistenza, prendendo le distanze da quello che si vive nel tempo presente, essendo estranei a se stessi, si vive un atteggiamento mentale non reale, lasciando spazio a tempi “inesistenti” come passato e futuro (tempi che inquinano il terreno mentale). A volte - dando spazio a questi meccanismi mentali - siamo davvero decisivi nel rovinarci con le nostre stesse mani sprecando, nel contempo, le grandi occasioni che rinfrescano la vita. L’autostima, infatti, oltre ad essere parte integrante di una vita di qualità, significa piacere di vivere, sentirsi bene con se stessi e gli altri, adesso, ora, nel tempo reale. Il presente è l’unico momento in cui è possibile sentirsi bene perché si è direttamente in contatto con le proprie sensazioni in tempo reale … ciò che è ora, in questo momento, in questo istante. 


una grande apertura mentale attraverso la quale si attivano zone cerebrali e mediatori chimici che portano lontano da stress, sofferenza e insoddisfazione. Cosa diversa è l’abitudine, la noia e la routine che riattivano sempre le stesse aree, gli stessi circuiti cerebrali ormai logori, vecchi e “atrofizzati”. Avere una buona stima di se stessi significa piacersi, essere soddisfatti di come si è e, soprattutto, volersi bene. Con questi atteggiamenti si diventa indubbiamente più creativi, più rilassati e si diffonde, in maniera davvero contagiosa, felicità e buonumore. Al contrario, la disistima scatta quando il nostro modo di pensare si traduce immediatamente in un vero e proprio tormento: rimpianti, rancori, sensi di colpa, giudizi, autocritica, confronti. Il tutto ruota attorno al passato (malinconia, sensi di colpa, rabbia), si è colti dal dubbio di non essere all’altezza in quello che si fa (timore di non riuscire), ci si sente inferiori (gli altri sembrano sempre migliori, più capaci), perennemente concentrati sugli insuccessi (il pensiero torna sempre lì, avvitandosi su se stesso, con lo stesso tormento). Basta una piccola delusione per “sgonfiarsi”, sentirsi dei falliti, degli incapaci. Ci si giudica continuamente, non si va mai bene, si è completamente in balia e vincolati al modo di pensare della gente. Arriva all’improvviso, senza trombe e tamburi, in un momento apparentemente tranquillo: un banale riassunto quotidiano, un superficiale bilancio giornaliero ed ecco che si affaccia un profondo senso di insoddisfazione, di malessere diffuso. Quando la disistima domina la scena, ci si vede brutti, non si ha più fiducia e manca un buon rapporto con se stessi, le malattie cosiddette organiche possono fare la loro comparsa. Una specie di autoaggressione corporea che, per analogia, corrisponde all’autoaggressione emozionale inflittaci in maniera continuativa a livello “cerebrale”. In breve, se la contentezza latita anche il fisico ne soffre. Il benessere del corpo e della mente, non vanno mai a velocità diverse, ma sempre di pari passo: una mente felice fa bene a tutto il corpo. Una vita confusa, piena di insoddisfazione, con la sensazione di non fare sempre le cose giuste, caratterizzata da lunghi ed interminabili periodi di scontentezza creano un drammatico sconvolgimento biochimico all’interno dell’organismo. I rischi più immediati sono indebolimento del sistema immunitario, depressione, sovrappeso, colite, gastrite e ipertensione. Non a caso, secondo recenti studi della medicina ufficiale, uno degli elementi fondamentali della salute psicosomatica è l’autostima. 

autostima è la base di una “saggia” sicurezza attraverso la quale si raggiungono gli obiettivi, non solo di ordine esistenziale, ma anche di natura fisiologica: equilibrio psicosomatico, amicizie e relazioni strette. Tale condizione fa in modo che ogni individuo abbia una giusta e soddisfacente collocazione in questo mondo: consapevolezza del proprio valore e di essere sempre originale, unico ed irripetibile. L’autostima non si basa su elementi esterni (denaro, potere, bellezza), è uno stato interiore, si sviluppa nel tempo, mattone su mattone, dentro di noi. La sua costruzione è riconducibile a momenti lontani, alla notte dei tempi, all’infanzia. Se chi ci accudisce ci accoglie senza remore, ci rispetta per quello che siamo e ci ama senza riserve sarà più facile per noi accettare le sfide della vita: imparare sarà sempre entusiasmante e una grande gioia (le cose nuove saranno sempre una sfida, uno stimolo costruttivo perenne, mai un timore paralizzante, pauroso, rinunciatario). Quando il piccolo ha la consapevolezza di poter contare sull’adulto e di avervi facile accesso nei momenti di bisogno, si dedica fiducioso all’esplorazione dell’ambiente circostante. Con queste caratteristiche il bambino svilupperà uno stile cognitivo caratterizzato da curiosità e ricerca attiva (autonomia, libertà, sicurezza). Se poi veniamo incoraggiati a prenderci cura del nostro corpo (come amico non come antagonista) saremo più liberi, spontanei e naturali: sarà più facile concentrarci su quello che si ha di buono e non sui sentimenti negativi e distruttivi. La disistima è più comune tra gli individui che da bambini sono stati trascurati, hanno subito in qualche modo abusi psicologici o fisici. Dati clinici, purtroppo, confermano che tali deprivazioni determinano predisposizioni a disagi emotivi come depressione, disturbi d’ansia e dipendenze fisiche da sostanze specifiche, quali ad esempio nicotina, alcol, farmaci e droghe. Ma anche dipendenze di natura psicologica in relazione al cibo, al lavoro, al gioco e allo shopping compulsivo.


a disistima spesso dipende da noi … ma attenzione ai soggetti che frequentiamo, in particolare quelli con cui non ci sentiamo sulla stessa lunghezza d’onda, in sintonia ... che manipolano, vogliono cambiare gli altri a tutti i costi perché solo loro sono migliori e perfetti, hanno sempre le soluzioni a portata di mano, notizie fresche, le più vere e le più importanti, che stendono al tappeto con lamenti continui, sono sempre nella ragione e mai nel torto, semmai gli altri sono difettosi … alla larga dai lamentosi che trascinano inesorabilmente nel vortice della depressione … se siamo in linea con noi stessi nessuno è in grado di manipolarci!

PSORIASI

la pelle si “spacca” per far emergere quel mondo emozionale che, a tutti i costi, si vuole occultare nella vita quotidiana … soggetti prevalentemente con tratti depressivi e fobici.


a psoriasi si manifesta con placche secche di forma e dimensioni variabili, ricoperte di squame bianco e argento facilmente staccabili, al di sotto delle quali è presente un eritema più o meno spiccato. Le alterazioni descritte si generano per un difetto del turnover cellulare che da 28 giorni passa a soli 2 o 3 giorni: così la pelle si squama e si stacca quasi fosse una pelle morta esprimendo il bisogno di cambiare, ossia di rompere i limiti difensivi imposti e lasciar emergere il nuovo, ciò che si nasconde nel profondo. Ma tale desiderio è tutt’altro che sereno e lineare e l’accatastarsi delle cellule morte rivela un profondo conflitto tra un desiderio di rinnovamento e la paura di "perdersi". Ma da cosa si difende il malato di psoriasi? Dagli istinti più sanguigni, dall’aggressività, dall’impulsività, dalle passioni brucianti che rischiano di minare il suo bisogno di ordine e di pulizia, il suo candore morale e la sua immagine. Il rosso che si manifesta potrà essere espressione di una aggressività non vissuta e di sensi di colpa di cui non è facile liberarsi. Spesso la psoriasi si associa e si alterna a episodi diarroici, veri tentativi di scarica liberatoria verso gli impulsi inaccettabili. La scelta della sede dove la psoriasi attacca è casuale o ha un senso? Esaminando attentamente la sua localizzazione scopriamo che ha la tendenza a localizzarsi nelle pieghe delle giunture: gomiti e ginocchia sono articolazioni che consentono di muoverci in maniera autonoma, rappresentano da una parte la libertà di movimento e la possibilità di difendersi ... servono, infatti, a parare i colpi così come ad attaccare. 


na localizzazione alle giunture parla del timore dell’aggressività, di subirla, come di manifestarla. Diverso è il caso delle mani: lesione difficile da nascondere, quella che colpisce le mani è in stretta relazione con la paura e il desiderio di entrare in contatto con l’altro ma anche con l’emergere di una carica aggressiva, un desiderio di “menar le mani”, fortemente colpevolizzato e represso. Una malattia da cui non si guarisce facilmente. Già nel modo di presentarsi racconta il mondo interiore di chi ne soffre (rosso sangue: aggressività non agita, le scaglie bianche è il tentativo di purificarsi da elementi che si accumulano e fanno da corazza di protezione).

Le persone affette da questa patologia hanno in comune alcuni tratti importanti:

Per quanto possano sembrare socievoli, non mettono mai in gioco, nella relazione, il loro nucleo profondo: l’interlocutore, anche il partner, sente che “oltre un certo punto” essi non permettono di entrare e che non si mettono mai in gioco del tutto;
Fanno fatica ad esprimere le emozioni in modo diretto e lineare, e altrettanta ne fanno per accettare dall’esterno senza mediazioni verbali che ne riducono l’intensità e l’immediatezza;
Si percepiscono fragili in alcuni ambiti (soprattutto affettivi), e per non affrontare il problema si dichiarano indipendenti, senza accorgersi di cadere spesso in un atteggiamento di continua richiesta di supporto.



l problema centrale dunque - la vulnerabilità - viene risolto eludendo e lasciandolo immutato. Il tutto, ovviamente, in modo inconsapevole. Quando l’energia che si esprime nell’eritema viene “coperta” dalla corazza, finisce per spingersi in profondità, dove si trasforma in intensi episodi di cefalea o di colite, a testimonianza di come essa contenga un’energia incomprimibile che cerca comunque di essere elaborata ed espressa. L’estensione della psoriasi è in proporzione alla insicurezza che la persona sente di avere: tentare di eliminare drasticamente il sintomo (psoriasi), quando è esteso, è pericoloso e mette a rischio di forti disagi psichici (ansia, depressione e, spesso, episodi psicotici), perché la malattia è, evidentemente, l’unico modo che la persona ha trovato per stare in equilibrio con il mondo. Va quindi sempre rispettato! La psoriasi esprime, in ultima analisi, un problema di identità. Chi soffre di psoriasi si muove a disagio nell’ambito emotivo, mentre si trova molto a suo agio in quello razionale. Discreti e riservati, lasciano trapelare poco i loro sentimenti, e si "lasciano" ferire facilmente dagli altri. L’intimità emotiva è difficile da raggiungere anche se spesso è fortemente desiderata. Si aspettano tanto da se stessi e dagli altri e reagiscono male quando rimangono delusi. Nell'ambito evolutivo, di frequente, si registra la presenza di genitori poco espansivi, piuttosto esigenti e moralmente rigidi, più attenti al versante disciplinare che a quello emotivo. La lontananza affettiva talvolta dipende anche dall’assenza vera e propria che induce a vissuti di abbandono e di rabbia impotente.


e infiammazioni nell’organismo segnalano conflitti inconsci, disagi interiori non risolti vissuti, spesso, come estranei, opposti o pericolosi per il proprio equilibrio, vediamo il tema conflittuale e il processo infiammatorio ad esso collegato:

identità personale … il processo infiammatorio riguarderà le infezioni, intestino e tiroide;

rapporti interpersonali … si esprimeranno attraverso dermatiti, problemi allo stomaco, bronchiti;

potere decisionale … artrite, tendinite;

sfera morale … colite, artrosi, problemi agli occhi;

sentimenti di rabbia e aggressività … fegato, patologie autoimmuni, esofagite;

area indipendenza e autonomia … apparato respiratorio, tensioni muscolari.


icorda, una visione diversa verso se stessi evita al corpo di farsi carico di tutte quelle cose che non vanno o che, con un grande sforzo di volontà, si vuole dare intendere agli altri, costi quel che costi, di essere nella “norma”, la somatizzazione, quindi, arriva per segnalare che in quel personaggio finto, partorito da una mente fissa, rigida e sempre uguale non c’è felicità, che dietro quella maschera non si poi a proprio agio, non si vive bene, non si è contenti, ma che bisogna cambiare qualcosa: chiede di dare una svolta alla propria esistenza, si è saturi dell’attuale stile di vita … non guardiamo dalla parte opposta, cambia lo sguardo sui tuoi vissuti senza troppo giudicarli.

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TIMIDEZZA … un disagio che condiziona la vita


apita a tutti di sentirsi intimiditi ed imbarazzati in situazioni impegnative, nuove o inconsuete. La timidezza, quella occasionale, è una condizione del tutto normale, mentre quella permanente - caratterizzata da un senso di disagio che paralizza l’azione - è un tratto “patologico” della personalità legato a carenze affettive, scarsa autostima e a profondi sentimenti di inferiorità. E’ una condizione che ostacola lo sviluppo, impedisce di conoscere, vivere il proprio talento, toglie l’entusiasmo, rovina la vita quotidiana. L’obbligo che il timido si autoimpone di incontrare persone e situazioni fa sì che i suoi tentativi di socializzazione risultino sofisticati, maldestri e sempre fuori tempo. Il soggetto, quindi, man mano che passa il tempo, tende ad isolarsi, evita l’intimità ed ogni tipo di incontro sociale. Il timido sembra colpito da paralisi psichica, dominato da rossori e tremori, non osa mai, ipersensibile alla critica, perennemente terrorizzato dall’idea di rendersi ridicolo, teme costantemente l’umiliazione, la vergogna e il rifiuto. Sempre dotato di una eccessiva dose di insicurezza, oltre a nascondersi agli occhi altrui, vede in sé carenze e difetti inesistenti: un vero agnello tra lupi affamati. Un disagio che può portare a totale sottomissione o ad incontrollabile aggressività (frustrazione = aggressività). A volte, infatti, usando un atteggiamento di compensazione al proprio sentimento di inferiorità e al basso livello di autostima, reagisce a certe situazioni in maniera eccessiva ed impulsiva, adottando spesso comportamenti autoritari ed aggressivi. Poiché le occasioni sociali sono incubi da evitare ad ogni costo, il timido nei vari rapporti fa di tutto per non essere notato, assume un atteggiamento “trasparente”, rannicchiato, con testa e collo completamente infossati sulle spalle; parla con voce strozzata e bassa, evita lo sguardo diretto, si rinchiude negli angoli con posture da vero contorsionista. 

essere osservato dagli altri poi lo fa sentire ancora più insicuro, goffo, inetto e continuamente sotto esame perché teme di rendersi ridicolo con qualche fantomatico gesto mal coordinato, maldestro e sgraziato. Rossori improvvisi, tachicardia, la voce con suono flebile… in cantina. Segnali corporei precisi, da interpretare come un linguaggio affascinante e particolarissimo. Arrossire non è altro che la manifestazione di una concentrazione di energia libidica nel volto e nel capo. Ben lungi dal potersi esprimere in un bacio o magari in una relazione aggressiva, confluisce tutto nella testa. E la pelle del viso avvampa, d’un rossore che svela, nostro malgrado, le nostre intime e segrete intenzioni. Anche la voce strozzata ci parla. Di un discorso che non vorremmo fare, una conversazione cui non vorremmo prendere parte, un aspetto di noi che non vorremmo svelare. Così, le parole si fermano giusto sulla soglia della gola. Mani e gambe irrequiete? E’ il corpo che, più saggio di noi, ci vuole portare altrove lontani dalla situazione imbarazzante. La testa, invece, nega la possibilità di una salubre evasione. E il tremore è il risultato più logico di questa lotta interiore. Allora compaiono tic facciali e buffi gesti nervosi, tutto il corpo si ritrae, lo stomaco si contrae e si avverte un crescente senso di nausea, le mani tremano e sudano copiosamente, le gambe irrequiete si muovono incessantemente, una fastidiosa vampata di calore si impossessa del volto, il cuore rimbomba in ogni piccolo segmento del corpo, la bocca improvvisamente si asciuga e le parole prendono forma in maniera confusa e pasticciata, le braccia si incrociano come segno di protezione o di resa… si ha la sensazione di non padroneggiare più le reazioni fisiche e di essere in balia degli eventi. Il solo pensiero di non essere all’altezza delle aspettative, di poter dire o commettere qualcosa di sbagliato lo spaventa terribilmente. Questi soggetti sottovalutandosi, terrorizzati dall’idea di ogni nuova relazione, pur desiderandola, arrivano a rinchiudersi in se stessi, isolandosi e ripiegandosi ancora una volta sulla loro sensazione di incompetenza sociale. Il timido teme gli altri perché odia il confronto, li ritiene estremamente esigenti, critici, impossibili da accontentare e soddisfare. Lui stesso è diventato un giudice particolarmente severo: la paura, i luoghi comuni, l’incertezza, la frenesia dipendono da ideali di perfezione, diktat, modelli sociali, spesso irraggiungibili, a cui deve aderire completamente: “Devo muovermi con grazia e stile”, “Devo parlare senza arrossire”, “Devo trovare argomenti originali”, “Devo dimostrare … essere … comportarmi”; condizionato da schemi mentali e blocchi emotivi; segue regole, si adegua rigidamente a qualcosa che non ha niente a che fare con lui. 


embra che in ogni rapporto rievochi un vecchio copione, un’antica paura, riapra di colpo una vecchia ferita affettiva: dal lontano passato, appare una vita povera di stimoli, piena di apprensione, insicurezza, rifiuti, indifferenza e timori. Un fenomeno conflittuale e di disagio spesso vissuto con una figura di riferimento distante, dalla personalità particolarmente ingombrante, schiacciante e incapace di valorizzare gli altri. Una terribile “ombra” giudicante che ha bloccato, soffocato, sepolto, inchiodato, spaventato, mai stimato, considerato ed incoraggiato. Un astuto manipolatore affettivo che si esprimeva attraverso derisione e severi giudizi di valore: “Tanto tu nella vita non concluderai mai niente… non ce la farai mai… non diventerai mai come Tizio… sei troppo debole per farti spazio nella vita… non ti impegni a sufficienza…guarda invece tizio, caio e sempronio… ci vuole coraggio e spina dorsale… Avrai tutto il tempo che vuoi per conoscere… ogni cosa a suo tempo… figlio mia la vita è dura!”; tutti “ritornelli” che, oltre ad ostacolare l’interazione col proprio ambiente - e quindi la vera conoscenza diretta della vita - rendono insicuri, predispongono alla solitudine, preparano una vita infelice e senza amore. La sensazione di non protezione e le esperienze precoci di instabilità sono gli “ingredienti” che hanno minato in qualche modo la sicurezza e l’autostima del soggetto. Questo timore eccessivo di inadeguatezza trasforma ogni piccolo rapporto interpersonale in una terribile sfida, soffoca la personalità e predispone ad un perenne imbarazzo. Ecco i luoghi dove si trova sotto processo. Il timido, come è già stato sottolineato, sogna la solitudine come il naufrago la sua isola felice. Perché è proprio nelle “occasioni mondane” che l’imbarazzo e le difficoltà diventano insopportabili. Entrare in un negozio. ‘Detesto andare a far compere. Sono così insicura che spesso non vedo nemmeno cosa sto guardando: la mia preoccupazione per quello che dovrò dire al commesso aumenta al punto da farmi dimenticare cosa dovevo chiedere. I timidi devono vincere il timore di essere guardati, di dover parlare con persone estranee, di essere al centro dell’attenzione. Per questo non riescono dire di no e si sentono obbligati a comprare qualcosa. Parlare in pubblico. Parlare davanti ad altre persone è la situazione più temuta in assoluto dai timidi, per i quali essere al centro dell’attenzione è il peggiore degli incubi. L’ansia da “esibizione” è proprio intollerabile e può produrre effetti inabilitanti quali sudorazione, rossore, tremore, balbuzie e incapacità di parlare, talvolta anche nausea. La paura che tutto questo possa accadere porta ad una perdita di lucidità: la mente si svuota per il terrore. E l’unico rimedio per molti consiste nel fuggire davanti al problema, cercando di evitare le situazioni di cui ci si deve esporre, con gravi conseguenze per lo sviluppo della carriera scolastica e professionale. La toilette pubblica. 


i chiama disuria, o sindrome della vescica inibita: familiare a molti timidi, è l’incapacità di urinare in un bagno pubblico, o in alcuni casi in casa d’altri o anche nella propria se è presente qualcuno. E’ più diffusa tra gli uomini, e si presenta con modalità differenti. Alcuni sono inibiti dalla presenza di estranei, ma non di amici o familiari, per altri è esattamente il contrario; per alcuni l’inibizione deriva dall’essere sentiti, per altri dall’essere visti. Alla radice di questa sindrome, vari fattori, tra cui la vergogna del proprio corpo, l’identificazione della minzione con la sessualità, l’ansia da impotenza e un senso di colpa che porta al desiderio di punizione. Stare al telefono. Evitano l’uso del telefono ogni volta che possono e nelle loro case c’è sempre la segreteria telefonica a fare da filtro verso l’esterno. Ciò che più temono tutti è di essere presi alla sprovvista senza avere nulla da dire, senza rispondere a “tono”. Sono timidi con la fobia della cornetta, quelli che paventano silenzi imbarazzati e imbarazzanti, l’incapacità di sostenere una conversazione “come si deve”. C’è la preoccupazione di inviare un segnale di debolezza e di inadeguatezza, senza poter verificare “de visu” le reazioni dell’interlocutore. Occhi negli occhi. Per molti timidi guardare qualcuno negli occhi è un’impresa insostenibile. Per altri l’ansia nasce invece quando si è guardati. La preoccupazione è come rispondere allo sguardo altrui e come controllare il proprio, perché si è consapevoli che il contatto oculare ha un ruolo nei rapporti sociali e che lo sguardo diretto ha una connotazione positiva di chiarezza e sincerità. La paura del linguaggio degli occhi ha significati diversi per uomini e donne. I primi temono di apparire minacciosi e aggressivi, incontrollati o “strani”. Le seconde sono invece più preoccupate di trasmettere messaggi non voluti di seduzione o di disponibilità sessuale. Mangiare al ristorante. In genere non riescono a mangiare al ristorante, ma talvolta succede anche a casa in presenza di ospiti. L’essere osservati dagli altri li fa sentire sotto esame e ciò che li blocca, perché li terrorizza, è la paura di rendersi ridicoli con gesti goffi: rovesciare il cibo, mancare la bocca, mandare il boccone di traverso, non riuscire a deglutire, soffocare o vomitare. 


olto spesso l’umiliazione che si prova in casi del genere,  porta  ad   e
scogitare strategie complicate: dalla scelta del ristorante, informale e poco affollato, al cibo, che deve essere semplice e facile da mangiarsi. E, per finire … un goccino. Si comincia a bere un bicchierino prima di andare a una cena o a un impegno importante, per la sensazione di benessere e sicurezza che l’alcol trasmette. E’ così, per l’illusione di spazzare via quella paura degli altri che li opprime, che molto spesso comincia il rapporto privilegiato dei timidi con il bicchiere. E in effetti basse dosi di alcol agiscono sulle aree del cervello che controllano il comportamento, per cui chi beve si sente più libero e si comporta in modo “sciolto”. L’alcol libera nel cervello dei neurotrasmettitori che inibiscono l’ansia, producendo una sensazione di benessere sociale e di rilassamento. Il problema è che con il passare del tempo le dosi di alcolici aumentano gradatamente e cresce la tolleranza nei confronti dei suoi effetti, che diventano l’unico mezzo per combattere la timidezza, l’ansia che ne deriva, la paura della solitudine. Così l’alcol a lungo andare, interferisce con il processo psicologico che dovrebbe portare ad affrontare le proprie ansie e paure mano a mano che si presentano. Il problema è molto presente anche tra gli adolescenti: è provato il maggior ricorso a sostanze psicoattive da parte dei timidi. Sono soprattutto i maschi - anche se le femmine attualmente se la cavano molto bene – estremamente timidi che tendono a fare abuso di alcol. Non bisogna mai dimenticare che l’alcol dà coraggio ma è solo in prestito … chiede poi tutti gli interessi. Cosa fare. Il primo passo è quello di essere più flessibili e tolleranti con se stessi. Tutto ciò che è malleabile, morbido e fluido, trasforma e sviluppa la vita, mentre ciò che è rigido, inflessibile blocca ed “avvizzisce” ogni cosa vitale. Essere “sciolti” aiuterà ad eliminare la sensazione di “goffaggine” prima che degeneri in “patologia”. Attraverso massaggi psicosomatici, rilassamento, e visualizzazioni si possono sciogliere gradatamente la tensione e la rigidità legate a questo vissuto emotivo che limita l’immaginazione e lo spazio di libero movimento. Alzare, poi, il livello di autostima è fondamentale perché fa sentire bene con se stessi, al comando della propria vita, pieni di risorse e creativi. Poiché il sentimento di inferiorità è un terreno fertile per la depressione sarà importante “lavorare” sulla consapevolezza del legame tra pensieri e stati emotivi, che si modificano e variano di intensità grazie all’influenza reciproca. E’ una strategia che permette di controllare ed integrare pensieri ed emozioni, così da modificare in maniera più vantaggiosa il “comportamento” nelle relazioni interpersonali. Gli altri giudicano? Giudicherebbero ugualmente, anche se “andasse tutto bene… anche quando si è quasi perfetti”, anzi forse di più! Provaci, si può vincere da soli o, in casi più gravi, con l’aiuto di un professionista qualificato, su la testa … non fare il timido!

TIMIDEZZA nei BAMBINI

un fenomeno moto diffuso che rende difficile l’integrazione sociale dei ragazzi d’oggi. Secondo la mia esperienza clinica, un buon 25% dei ragazzi (più maschi che femmine, perché avvertono in maniera schiacciante il giudizio dell’adulto e il peso di vivere secondo un modello prestabilito; alla femmina nella nostra cultura è concessa una più vasta gamma di reazioni emotive) che si rivolgono ad una psicoterapia presenta serie difficoltà relazionali. L’elemento fondamentale di questa richiesta è proprio la timidezza. Spesso, la timidezza esprime una condizione esistenziale momentanea, legata alla difficoltà di trovare un’identità solida. In questi casi intervenire è davvero superfluo, se non addirittura dannoso. La timidezza sfocia nella patologia quando dà sintomi di scarso adattamento sociale, distinguendosi così da profonda ansia e depressione. I segnali? Insicurezza, difficoltà di articolazione del linguaggio, problemi scolastici gravi e ritardo nello sviluppo intellettivo. Ma anche un comportamento aggressivo, può essere una valvola di sfogo per esprimere il disagio. In ogni caso, un’attenzione sensibile e costante verso i figli e un intervento tempestivo sono la chiave per risolvere il problema. La timidezza non è sempre un male silenzioso. Spesso si esprime con il linguaggio della malattia. O, persino, della devianza, in età preadolescenziale. L’asma, ad esempio, insorge solitamente intorno a tre o quattro anni, come richiesta di calore, attenzione e di coccole di un genitore distante. Si accompagna, soprattutto nell’età prescolare, ad un vissuto di isolamento. Ed esprime un bisogno di contenimento che il bambino non comunica, per paura di un rifiuto. Stipsi e diarrea presentano una chiara matrice simbolica: l’intestino trattiene e rilascia in maniera irrazionale, testimoniando la difficoltà del ragazzo a porre se stesso in relazione con il mondo. Quando la timidezza soffoca l’aggressività, non è raro rilevare problemi digestivi. E in alcuni casi, persino ulcera. Stessa eziologia anche per i problemi dermatologici, croce di molti preadolescenti: le difficoltà di relazione esplodono sulla pelle, che delimita simbolicamente lo spazio interno in funzione del (temuto) contatto con gli altri. E quando timidezza ed aggressività convivono? 

associazione di timidezza e aggressività, alcuni studi lo confermano, può essere un fattore di rischio per le “dipendenze” … l’abuso di sostanze stupefacenti. Cosa fare. Innanzitutto, evitare comportamenti errati, come quello di etichettare il bambino con definizioni improprie. Dargli del timido è decisamente sbagliato: magari il piccolo è solo poco socievole, a volte con la sua ritrosia esprime un’antipatia istintiva per qualcuno … si rischia di etichettarlo, di farlo identificare in quella parola – immagine (rendere una cosa permanente che invece è solo momentanea). Per di più si corre il rischio che il bambino si comporti da timido per non tradire le aspettative di un genitore che lo considera tale, finendo così per eleggere la timidezza a unica modalità di rapporto con gli altri (o come alibi: tanto io sono così quindi non posso …). In secondo luogo, se proprio di timidezza si tratta, è bene utilizzare il gioco per risolvere il problema. Tanto meno poi si “medicalizza” il piccolo (ti porto dal dottore, dalla dottoressa, dallo specialista …), tanto più facilmente si uscirà dal problema. In questo modo è possibile evitare che nel bambino si instauri un sentimento di inferiorità che sarebbe molto controproducente.

FINALMENTE MI PIACCIO … adesso però!


a è proprio vero che piacere agli altri sia anche piacere a se stessi? Avere un fondo schiena come l’attrice del momento o possedere un “fisico bestiale” come auspica quel famoso ritornello musicale, sia davvero sufficiente? Purtroppo, non funziona in questo modo. Sentirsi belli non è solo una questione di immagine riflessa allo specchio, ma è un qualcosa che coinvolge molti aspetti della personalità; quello che conta realmente è già dentro di noi, a volte in maniera celata, ma è sempre lì, pronto a fare la sua comparsa. Non è raro, infatti, per chi - come me - si occupa di disagi emotivi verificare, accanto ad ogni “guarigione”, un cambiamento di atteggiamento verso la propria immagine; rievocare improvvisamente quella vera, unica, quella che, inspiegabilmente, nel tempo, è stata dimenticata e sepolta. L’immagine non è mai statica, è in continua evoluzione, cambia molte volte durante l’esistenza; può essere influenzata da pensieri, emozioni e aspettative catastrofiche. Il modo di vedersi e le varie convinzioni sull’attrattività fisica costituiscono, spesso, un forte ostacolo ai rapporti sociali, tale da mettere in pericolo l’aspetto affettivo, la serenità e l’equilibrio psicofisico. Il difficile rapporto con lo specchio nasce quando l’immagine riflessa non ha niente a che fare con la realtà. In base allo stato d’animo, infatti, lentamente prende forma - accanto ai lineamenti veri - una potente immagine di riferimento: figure idealizzate, modelle impeccabili, perfette e seducenti, quelle dei rotocalchi, della pubblicità onnipresente; modelli a dir poco “difettosi” e sempre irraggiungibili, fuori dal tempo e dallo spazio, che non tengono mai conto dell’unicità della persona. Tale errore nasce in parte dalla visione confusa ed appannata della “bellezza”, imposta sempre da una pressante cultura consumistica, che spesso disorienta e crea - propinando modelli non del tutto disinteressati - problemi nel percepire correttamente la vera immagine, imprigionandola in un persistente vortice di infelicità, in ruoli forzati, in copioni sempre più sterili e futili. Un’immagine, secondo questa visione, che per apprezzarla bisogna essere completamente diversi da come si è; aggiungendo alla propria esistenza sempre quel fastidioso e snervante qualcosa in “più”: ma chi può stabilire realmente il limite per quel “più”? 


n questo modo, calandosi nel territorio dell’immagine falsificata, dell’insicurezza e sopraffatti da una persistente frustrazione, oltre a non piacersi mai abbastanza, ci si allontana dall’originalità e dalla propria identità. Quando si esibisce una bellezza estranea a se stessi, non in sintonia con il proprio stile, si è costretti ad “elemosinare” con insistenza l’attenzione della gente per verificare la gradevolezza del proprio aspetto; pareri forzati, continue conferme ed approvazioni inutili che non portano da nessuna parte (distraggono, indeboliscono e sfiniscono come un interminabile giorno di lavoro). Basta un attimo di distrazione da parte di qualcuno perché il tutto si concretizzi in una profonda angoscia, in piccoli dubbi e oscure incertezze. Non ci si sente mai abbastanza attraenti perché i “cattivi censori” (noi compresi), ci hanno inculcato che dobbiamo essere diversi da come siamo, che è fondamentale correggersi continuamente - pena l’esclusione dal “gregge” - prendendo modelli di riferimento completamente estranei e distanti dalla propria natura, che spesso si rivelano irraggiungibili e frustranti. Modelli idealizzati e seducenti, perseguiti più per farsi accettare e piacere agli altri che per il proprio benessere. Spinti sempre più dalle mode del momento, dal timore del giudizio altrui, dall’apparire sempre più giovani e avvenenti, si perde di vista la vera e propria bellezza “interiore”, quella che rende davvero soddisfatti, sicuri, liberi, felici, in pace con se stessi e con gli altri, e fa sentire bene in ogni momento della giornata.


on quella bellezza sofisticata, instabile, affannosa, fatta di lifting e trattamenti ingannevoli, in cui basta davvero poco per sentirsi “fuori posto”. Le giornate in questo modo trascorrono svogliatamente con la convinzione di essere dei perdenti, in un clima di sfiducia, sotto il segno dell’ inadeguatezza e avvolte da un profondo senso di fallimento; ci si sente perduti, abbandonati in un mondo - sebbene non proprio pericoloso - che appare incerto, squallido e un po’ spaventevole. Fenomeno che allontana, in maniera subdola, dalla propria vera “trama”, fino a perderla completamente. L’immagine non riguarda solo l’aspetto estetico, è uno stato d’animo, un fenomeno soggettivo che coinvolge altri fattori della personalità come ad esempio lo sguardo, il profumo, la naturalezza, la spontaneità, le parole, il tono di voce, il modo di parlare, di ridere e gesticolare, di accarezzarsi i capelli, il muoversi in maniera armoniosa, il look, la sicurezza, il senso di libertà, indossare “bene” un vestito. Una condizione che favorisce l’armonia psicofisica, il senso di soddisfazione, il volersi bene e, soprattutto, stimola a mettere in atto tutte quelle risorse e strategie per vivere bene nel proprio corpo. Quando ci si sente “attraenti” tutto diventa armonioso: l’unità psicosomatica, essendo in perfetto equilibrio, annulla quel senso di inadeguatezza che paralizza l’esistenza e vincola a modelli troppo distanti da se stessi. Non si dubita più del proprio aspetto perché anche quel ‘peso’, quel ‘naso’ e quell’altezza’, se portati con naturalezza, senza condizionamenti, ruoli obbligati e immagini stereotipate, possono diventare un punto di forza, un qualcosa di speciale ed originale (… che attrae)


a bellezza che nasce dall’armonia mente - corpo, non ha bisogno di “trucchi”, orpelli e maschere varie perché, in ogni momento, è autentica ed è costruita su valori solidi e sicure fondamenta emotive. Vedersi più belli significa saper “giocare”, ogni giorno, con il proprio corpo, uscire allo scoperto, alla luce del sole ... non strisciare più sui muri all’imbrunire del giorno per essere ancora una volta “invisibili”, “trasparenti” e impotenti sul palcoscenico della vita, ma essere sempre protagonisti … ritornare padroni del proprio destino. Mai arrendersi ed accontentarsi, tirare i remi in barca significa lasciare le cose al caso, la bellezza, invece, va coltivata, coinvolge ogni dimensione dell’esistenza, colora ogni aspetto della vita e, soprattutto, spinge a navigare, in maniera davvero originale, nel grande mare della vita. I miglioramenti devono avvenire sempre senza sforzo ed apprensione perché, diversamente, si crea fastidio, tormento, confusione, imbarazzo, instabilità e tensione ingiustificata nel corpo. Per piacersi, quindi, sarà utile concedersi anche quei “trattamenti” che - rispettando il proprio stile - contraddistinguono e valorizzano ogni tratto della personalità. Ogni processo di “cambiamento”, perché abbia valore nel tempo, deve essere sempre firmato da un grande autore: il soggetto stesso. Non è mai vanità, ma un’attenzione particolare che va a ricomporre, unificare, riconciliare e valorizzare quelle parti profonde trascurate che - proprio perché non ascoltate o considerate - si fanno sentire attraverso giudizi di valore, sfiducia, insoddisfazione e auto - commiserazione; la sensazione che manca sempre qualcosina … ancora e ancora, poi ancora di nuovo, all’infinito … risultato, non piacersi mai.



Mettiti il vestito più bello… indossa l’AUTOSTIMA.


utostima significa piacersi, volersi bene ed essere soddisfatti di come si è adesso… sentirsi bene nella propria pelle. Se la “incontri”, te ne accorgi subito, ti cambia davvero la vita. Un processo interno che produce fiducia in se stessi e, soprattutto, permette di affrontare con serenità , lucidità e sicurezza tutte le esperienze della vita: la famiglia, la coppia, il lavoro e le amicizie. E’ uno stato di coscienza che - oltre a portarci fuori dai labirinti del quotidiano e dal pantano esistenziale - nasce quando si ha un buon rapporto con se stessi e gli altri… non ci si lascia mai influenzare o condizionare - per quanto allettanti - da aspettative “miracolose” esterne. L’autostima, impossibile farne a meno, è la colonna portante della nostra salute, restandoci accanto ci regala, in maniera naturale, senza sforzo alcuno, felicità, benessere e voglia di vivere. Si esprime attraverso la fantasia, la creatività, il talento, il buonumore e la voglia di fare. Chi si stima, infatti, è pieno di energia, ha una salute di ferro, diventa sereno, creativo, rilassato, meno svogliato e sa trasmettere il suo buonumore agli altri… sa prendere le decisioni e le “strade giuste”. Chi non si stima, invece, si giudica, si autocritica, si sente in soggezione, non riesce a rilassarsi in mezzo agli altri, presta troppa attenzione a ciò che la gente può pensare di lui, ragiona con la testa non sua, non sa mai cosa dire, si muove poco per paura di fare brutta figura … si sente sempre in prestito a casa propria. In breve, non va mai bene, non è all’altezza delle situazioni e pensa sempre male di sé. Soggetti sempre pronti a soddisfare gli altri e far contento - sopprimendo le proprie esigenze - chi vive al loro fianco …. pendono letteralmente dalle labbra altrui. Quando manca la giusta percezione di se stessi, la consapevolezza delle proprie qualità e del proprio valore è facile creare rapporti interpersonali difficili e conflittuali, e crescere figli che a loro volta avranno problemi relazionali (recita un vecchio adagio: oggi a me domani a te… di ripete la fotocopia del disagio).


hi si svalorizza lo si riconosce subito, in genere non si espone mai, usa frasi fatte con voce flebile, senza vitalità, con un eloquio incerto, evita - per bypassare le critiche - di mettersi al centro dell’attenzione, guarda in basso, si contorce in preda all’ansia: offre un’immagine di sé scarica, rinunciataria, perdente e pessimista. La disistima si manifesta attraverso una profonda insoddisfazione, un senso costante di inadeguatezza, un continuo nervosismo e una stanchezza generale… ci sentiamo dei perfetti falliti, ci vediamo incredibilmente goffi e brutti. Ogni volta, poi, che questo soggetto intravede la possibilità di un cambiamento viene preso dai dubbi, dall’incertezza e dai sensi di colpa che lo portano a “transennare”, se non bloccare completamente, il processo innovativo, condannandolo in tal modo ad un’esistenza senza via d’uscita. I danni più immediati della mancata autostostima, sempre incalcolabili, non si esprimono solo a livello psichico (depressione, ansia, panico) ma anche nell’organismo: se la soddisfazione latita anche il corpo ne soffre. I disturbi del corpo, spesso, riguardano fenomeni di rigidità e di trattenimento: mal di schiena, torcicollo, cefalea, artrite, mal di stomaco, stipsi e colite. Malattie classiche di chi è eccessivamente rigido, contratto e severo … tipico di chi non si vuole molto bene. Tutti malesseri che denotano una difficoltà a rilassarsi, lasciarsi andare e di essere se stessi, completamente estranei ad un agire spontaneo, autonomo e libero… così, l’ansia è di casa e il panico nell’androne. I danni del mancato amor proprio, alcuni studi lo confermano, sono anche fra le concause di patologie piuttosto serie e frequenti: abbassamento delle difese (scontentezza, rimpianti, rancori), infarto (agitazione, tensione e sforzo mettono a rischio il cuore) e soprappeso (la mancanza di creatività lascia un “vuoto” interiore incolmabile). Il pericolo maggiore quando si è presi dalla disistima è probabilmente quello di inciampare nella depressione. Quando la vita è caratterizzata da insoddisfazione, da frustrazione, da un profondo senso di inferiorità, dalla convinzione di non riuscire a fare nulla di buono, di essere inferiori, incapaci e inconcludenti (tendenza di chi non si piace) può cronicizzarsi in un drammatico quadro clinico depressivo.


olti sono i modi di pensare che si traducono immediatamente in sofferenza e frustrazione: credere di raggiungere la felicità solo quando si avrà successo, si incontrerà il partner giusto, si metteranno via più soldi, si comprerà l’auto di moda, la casa e il vestito più bello… l’autostima invece comincia subito, non domani, si vive ora, adesso! In questo modo, legando l’autostima ad obiettivi futuri, altro non si fa che rimandarla ad un tempo incerto e lontano… e così, proiettati pericolosamente nel futuro, gli anni passano tra illusioni e delusioni per obiettivi non raggiunti. I progetti mai realizzati e le ambizioni mai raggiunte sono tra i motivi principali che fanno entrare nel tunnel della depressione e cadere nella disistima. Anche il passato ha i suoi grattacapi: un tempo che fa cambiare lo stato d’animo attuale a seconda dei ricordi (positivi o negativi). Ritagliamo una sequenza, un pezzo del passato, un tempo che non esiste più, pieno di confronti, rimpianti e rimorsi, con tutti i suoi perché e i sensi di colpa (trappola della disistima), e lo facciamo rivivere nell’attualità. L’autostima, quindi, non è un lusso ma una preziosa chiave che apre la porta al benessere e mantiene in perfetta salute l’intero psicosoma nel tempo presente … vivere nel tempo presente fa incontrare se stessi e aiuta ad appropriarsi del proprio spazio fisico e mentale. Ma come si recupera la fiducia smarrita? Pensar male di sé, l’abbiamo visto, produce una grande quantità di effetti negativi sia nella mente sia nel corpo. Se cambiamo mentalità, la sicurezza, la salute e il benessere sono a portata di mano. L’autostima si crea giorno dopo giorno, mattone su mattone, quando si è presenti a se stessi, facendo piccole e semplici cose quotidiane: riattivando antiche sensazioni e realizzando qualcosa per se stessi che si vuole davvero. La rinascita dell’autostima, quindi, essendo un fenomeno interno non esterno a noi, passa esclusivamente attraverso una serie di atteggiamenti, pensieri e operazioni pratiche che hanno un unico obiettivo: dare spazio alle nostre risorse e recuperare un buon rapporto con noi stessi. Gesti che possono cambiare la percezione di noi stessi e delle cose. Una via maestra per ricominciare a rispettarsi e a volersi bene… fare di se stessi sempre un capolavoro. Uno stile di vita più spontaneo e un “sano egoismo” spengono i disagi e fanno ritrovare l’autostima … benessere che si può raggiungere da soli o, nei casi più delicati, con l’aiuto di uno psicoterapeuta qualificato.


ICORDA, l’autostima, non solo ti libera l’organismo da pesi inutili e dannosi, ma è anche l’arma più potente a tua disposizione per sconfiggere ogni malattia … anche il cancro. Alla larga da tutti quei rapporti “tossici” che ti contaminano, ti fanno sentire sempre difettoso, allontanati da chi ti fa sentire “piccolo”, ti toglie aria e invade il tuo spazio di libero movimento … stai con quelli che ti fanno sentire spontaneo e naturale in ogni momento … senza maschera … tieni bene in mente, come la mucca caccia via istintivamente con la coda la mosca sulla sua schiena, anche tu hai il diritto di opporti a tutte quelle aspettative altrui che non ti appartengono e che spesso ti senti costretto a seguire, quei vincoli che non fanno per te … quelle cose che ti spingono a sacrificare le tue inclinazioni naturali, le tue vere esigenze: prenditi il tuo spazio, segui i tuoi progetti, le tue priorità, esprimi le tue passioni … la tua unicità (non è difficile, con l’allenamento emergerà un senso di soddisfazione, di piacere e di libertà).

FIDUCIA IN SE STESSI



a parola fiducia deriva dalla radice latina “fides”: sentimento di sicurezza che si esprime nel confidare in qualcuno o in qualcosa. Si tratta, pertanto, di un particolare legame che unisce l’individuo con l’ambiente circostante; la fiducia può essere considerata un elemento chiave del funzionamento psichico, per affrontare tutte le prove della vita semplici o complesse. Avere fiducia significa affidare all’altro, in maniera libera, autonoma, senza timori di sorta e ansie, qualcosa di importante, come ad esempio sentimenti, incarichi, segreti, ruoli, amicizia. La fiducia è un ingrediente fondamentale per una relazione significativa, sia nei rapporti interpersonali, sia nell’ambito lavorativo, in quanto rende, senza dubbio, più incisiva la comunicazione e più forte un legame. Questo termine viene utilizzato quindi per definire non solo la capacità di un individuo di percepirsi globalmente, nella sua totalità, in maniera positiva - riconoscere le principali risorse personali - ma anche la consapevolezza di possedere tutte quelle competenze necessarie per far fronte e gestire le evenienze della vita. Tale percezione realistica del proprio valore, che nasce dalla stima di sé, è estremamente importante per l’individuo, non solo per definire e programmare gli obiettivi realisticamente, ma anche per la loro realizzazione in maniera più concreta possibile (senza aspettarsi molto dagli altri). Senza questa condizione psichica, la convinzione, l’impegno e la fermezza verso la realizzazione di qualsiasi progetto diventano impossibile. Con una mediocre ed incerta valutazione delle proprie capacità l’individuo dubita di essere in grado di gestire le varie richieste che si trova di fronte ed è perennemente insoddisfatto anche dei risultati che ha raggiunto, convinto di non essere all’altezza dei colleghi, degli amici e dei familiari (… un perenne confronto e dubbio amletico). Chi è insicuro delle proprie capacità e teme l’insuccesso, non solo affronta gli impegni della vita con eccessiva apprensione, ansia e dubbi, o nei casi estremi li evita adducendo qualche pretesto, ma si assicura inevitabilmente - con questa “strategia” di chiusura, rifiuto e pessimismo - insuccesso e delusione, consolidando ulteriormente l’immagine negativa che ha di se stesso. Considerato che noi siamo le nostre decisioni (la fiducia in se stessi influisce sul modo in cui si vedono le cose, si interagisce con la gente e l’ambiente circostante), se non crediamo in noi stessi saremo certamente disimpegnati nei loro confronti. 


a supportati dalla fiducia, fondamenta indiscutibile del benessere e della felicità di ciascun individuo, diventa possibile raggiungere soddisfazioni, risultati consoni alle proprie esigenze ma, soprattutto, padroneggiare - in maniera veramente gratificante - qualsiasi compito, impegnativo o meno, si presenti davanti. Molto spesso la disistima viene compensata attraverso una facciata di millanteria e vanagloria, che non aiuta sicuramente a creare fiducia in se stessi, anzi aggiunge tensione e preoccupazione maggiore, in quanto tutte le persone con cui ci si rapporta inviano di riflesso, amplificando ulteriormente, un’opinione scadente e una pessima immagine. Se l’autostima è scarsa e la fiducia in se stessi risulta mediocre, determinando una situazione di stallo, invalidante e di grande sofferenza psichica, per sciogliere questa difficoltà emotiva può essere necessario arrivare alle cause che ne sono all’origine, e in tal caso il supporto di un professionista competente può essere opportuno e consigliabile. La fiducia in se stessi comunque può essere rafforzata, non in modo superficiale ma autentico, quando ad esempio ci si riconosce in maniera consapevole di avere più talento e risorse di quanto si possa pensare, senza criticarsi eccessivamente, senza porsi esagerate evoluzioni e aspettarsi cose grandiose, in breve, quello che si è veramente (con pregi e difetti). Il vero problema è che molte persone hanno perso il contatto con quello che costituisce le risorse personali. 


on dobbiamo dimenticare che una solida fiducia non è un fenomeno genetico ma semplicemente un’abilità che si costruire - mattone su mattone, giorno dopo giorno - attraverso una relazione positiva con l’ambiente circostante: non troppo frustrante e non troppo protettiva. Lo sviluppo della fiducia è legata sempre alle caratteristiche soggettive e alle richieste ambientali, quando questi due elementi entrano in conflitto viene compromesso il senso di fiducia e di autostima. I primi momenti di vita del bambino sono fondamentali per la formazione della sua personalità. Sono formativi in quanto consentono, attraverso i vari apprezzamenti e i riconoscimenti dei suoi successi, di garantire il senso di sicurezza, continuità, affidabilità e regolarità. Si diventa adulti a poco a poco, sempre gradatamente, non bisogna bruciare le tappe evolutive. E’ in questa fase che si gioca tutto, il bambino riceve impressioni molto profonde e prende solidissime abitudini: diventa pauroso o intraprendente, fiducioso o dissimulatore, gioioso o triste. Deve diventare adulto, attraverso una sufficiente libertà - nel massimo rispetto dei suoi tempi e delle sue competenze - e contemporaneamente deve percepire la sicurezza che scaturisce dall’autorità che il genitore esercita (caratteriste mai contrapposte: libertà e autorità sono bisogni inscindibili e complementari). Tutto ciò che va ad accelerare la crescita (competenze fisiologiche, cognitive, sociali) non fa altro che turbarla e ritardarla, ma soprattutto, crea una profonda fragilità. I figli non imparano esclusivamente attraverso le parole e consigli, ma vivendo con loro in maniera realistica e reagendo sempre in maniera spontanea a ogni avvenimento. Superare insieme le piccole difficoltà esistenziali permette di sviluppare una valida capacità emotiva in grado di superare disagi molto più importanti. Le cose più spiacevoli per un bambino sono le incomprensioni e i continui litigi familiari in quanto con tali comportamenti si distrugge il senso di fiducia futuro: i genitori, è bene ricordare, sono gli strumenti e l’equipaggiamento per gestire la vita.



uando si vive in funzione degli altri, si cerca continuamente l’approvazione dell’interlocutore non si è più se stessi, qualcosa si spegne lentamente, si ha la sensazione di essere incompleti, dentro manca qualcosa: calano gli interessi, perennemente stanchi, pesanti nel corpo e nella mente, si è spinti solo dal dovere, non dalla curiosità e dall’interesse: si è semplicemente impacciati, disorientati, annoiati, NOIOSI e OBESI!!!




Le SCELTE “giuste” …


nterrompere un rapporto in crisi o tenere duro? Coi familiari, essere severi o tolleranti? Cambiare attività o “restare lì”? In amore, in ufficio, con i figli, di fronte a situazioni più o meno complicate, volenti o nolenti, scegliere tra diverse linee di condotta è inevitabile. Nessuna persona, sana o bloccata che sia, può sottrarsi al processo decisionale. Tutti i giorni la vita impone la necessità di compiere delle scelte. La scelta, comunque la si veda, è sempre espressione di libertà. Ogni decisione può risultare faticosa e dolorosa: se si segue una possibilità, se ne deve abbandonare un’altra. Di solito, quando il malessere controlla la vita, si sceglie la cosa peggiore: rimandare… alle calende greche. Una vita “serena” non presuppone la capacità di non sbagliare mai, ma quella di prendere una strada anziché un’altra. In pratica, l’incapacità di scegliere non è semplicemente una disinvolta e spassionata analisi delle alternative. E’ un fenomeno che coinvolge molto di più del proprio essere, il proprio mondo emotivo; la propria capacità nel trovare delle soddisfazioni è in gioco. Nei fatti l’immagine autentica di se stessi è in ballo. Si è soddisfatti di se stessi quando si è fiduciosi, e ci si considera deboli, impotenti, e minacciati quando il potere decisionale è annullato. Spesso una quantità di seccature giunge ad infastidire il soggetto quando è dominato da questo stato di indecisione: irritabilità, insonnia e la semplice capacità di disfarsi di pochi problemi. L’opposto dell’incertezza è l’assenza di paura. 


iducia, sicurezza, certezza, convinzione non sono affatto associate con le condizione di questo turbamento emotivo. E’ il peso dell’incertezza che deteriora il proprio modo di vedere in alcune importanti biforcazioni della propria strada. Quando l’incertezza è dominante viene ostacolata non solo la crescita emotiva che porta ad innumerevoli insuccessi - soprattutto a livello interpersonale - ma crea dei presupposti per una cattiva condizione di salute psicosomatica. Spesso, la maggior parte delle vittime coinvolte in questo fenomeno non è consapevole del “veleno” in esso contenuto, anche se può essere cosciente della paralisi e dei sintomi che ne derivano. Il soggetto è calato in una dimensione di estraneità e di incertezza, ha la sensazione di essere fuori luogo, ma soprattutto, di essere perennemente a disagio, in “prestito”, in “affitto” in casa sua. Un atteggiamento di “stallo” determina sempre sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia, amarezza e disperazione senza rimedio. Certe scelte, senza rendersene conto, oltre a non far dormire, possono complicare in maniera esagerata la vita (la morale condiziona…mentre i preconcetti rallentano, bloccano, deviano). Ancor più difficile è fare delle scelte solide e positive in uno stato di disperazione, tensione o di grande agitazione. Ci sono situazioni, poi, in cui si deve agire con la massima solerzia e con coraggio perché non c’è molto tempo, ma anche “riposarsi sopra”, quando si devono prendere decisioni importanti, non è del tutto sbagliato. Decisioni come ad esempio matrimonio, convivere o rompere un rapporto devono essere sempre ponderate: l’arte di conoscere le persone e se stessi in relazione con gli altri richiede più tempo e molta attenzione (… soprattutto se si è confusi). Il successo in ogni settore teso verso conquiste che partono da scelte libere - in linea con la propria natura - che riflettono quello che l’individuo effettivamente è, i suoi valori reali, è un buon punto di partenza per rendere la vita più soddisfacente. 


attaglie vinte in sintonia con la propria vera natura sono un terreno fertile per giungere alla felicità e farsi una “flebo” di autostima. Al contrario, conquiste derivanti puramente da un atteggiamento di aggressività compulsiva (bisogno di dominare gli altri), dall’obbedienza conformista ai dettami culturali e sociali, o da un bisogno di trionfo vendicativo (sentimento di vendetta… la testa piena di rancori rende confusi, produce incertezza e la sensazione di sbagliare sempre tutto) lasciano un senso di vuoto, di sbandamento, di tristezza e di povertà interiore, nonostante l’apparente grandezza della conquista. Ma perché è così difficile decidere, trovare le risposte? Sembra facile, ma come si fa a decidere? Quale “oracolo” ascoltare? Di fronte a certe situazioni complicate qual è la vera strada? All’origine di tale fenomeno ci possono essere molte cause come la paura di sbagliare, una importante fragilità emotiva, la mancanza di fiducia e conoscenza di se stessi, l’ansia, lo stress e, soprattutto, la bassa autostima (quella purtroppo è come il prezzemolo, non manca mai!). Queste condizioni emotive avvolgono e permeano quasi tutti gli aspetti della vita, ma sono particolarmente deleteri nel processo decisionale. Come per tutti i malesseri di natura psicosomatica, la diagnosi è di primaria importanza, e questo è particolarmente valido nel caso dell’indecisione. Conoscere, individuare e capire perché si rimane al “palo” è fondamentale per vincere la battaglia contro l’indecisione e realizzare se stessi; è del tutto impossibile, infatti, combattere un nemico che non si vede e, ancor peggio, che non si conosce (non comprendere le origini, le cause e le declinazioni concrete di un fenomeno, non solo rende impotenti a livello risolutivo ma si amplifica nel tempo la produzione e la dimensione). Cosa fare. Saper fare delle “buone” scelte può davvero cambiare la vita e farle sicuramente bene; è una qualità che si impara nel tempo “allenandosi” ad evitare gli errori più comuni. E’ molto importante - per ripulire il cervello da dubbi e indecisioni - comprendere la differenza che esiste tra scelte false e quelle vere. Ogni volta che ci si trova davanti ad una decisione, piccola o grande che sia, e non si sa bene come affrontarla sarà importante ridurre le parole e i pensieri: evitare la tentazione di parlare con il primo che si incontra. Evitare, insomma, di addentrarsi in un labirinto di dubbi e di pensieri: la mente nitida e leggera è sempre più efficace. In questo modo, “spurgando” il cervello da tutti quei pensieri inutili, che non servono assolutamente a nulla (mettendo a tacere interferenze interne ed esterne), la scelta giusta può prendere forma. No diventare pesanti e lamentosi, parlare poco e con una persona fidata (che sa ascoltare, non da consigli e non giudica… perché l’unica cosa di cui si ha realmente bisogno è di fare chiarezza dentro se stessi) è la cosa più saggia che si possa fare in questi frangenti. 


er rendersi, poi, più liberi, autonomi ed efficaci nel decidere ci vuole sicuramente un buon addestramento. Molto spesso si fatica a fare scelte giuste perché si è terrorizzati che possa spiacere a qualcun altro. In questi particolari momenti risulta fondamentale rispolverare un “sano egoismo”. Se non si è allenati a questo amore per se stessi, cioè la capacità di tenere in primo piano le proprie esigenze, diventerà sempre più difficile prendere decisione giuste ed in linea con la propria natura. Si sarà sempre in balia dei giudizi della gente e non si sarà mai in grado di dire di “no” a tutti coloro che sono abituati a raggirare, a calpestare la libertà altrui o, ancor peggio, ad usare gli altri. Uno sguardo, poi, distaccato e un po’ più neutro, da soli o con l’aiuto di un esperto se il quadro clinico è complesso oppure quando ostacola completamente la vita, aiuterà a purificare la mente, ad essere più obiettivi, a ridurre l’ansia. Se sono ben chiari gli obiettivi si riuscirà a prendere decisioni vincenti… favorire soluzioni nuove, inaspettate e originali. Riassumendo. Ma sempre, comunque … al di là di Cosa fare. E' fondamentale fermarsi un attimo e con consapevolezza formulare questo pensiero: “E adesso tocca proprio a me”. È un pensiero un po’ fantasioso ma che porta al centro di se stessi. Una espressione che rappresenta la propria unicità perché, non dimentichiamolo mai, la vita è nostra (non degli altri), la felicità da conquistare dipende solo da noi. Saper fare scelte giuste può davvero cambiare la vita e farle bene. Altro non è che sapersi offrire il lato migliore delle cose, quindi una vita migliore. E’ umano quando non riusciamo a levare un ragno dal buco, non saper cosa fare, lasciarsi abbattere dallo sconforto, dal dubbio. Allora ogni volta che si pone una difficoltà, piccola o grande che sia, e non si sa come affrontarla è fondamentale ricordarsi di alcune strategie per attivare strumenti semplici e concreti attraverso i quali ci si avvicina in un modo nuovo al mondo delle soluzioni: Ridurre parole e pensieri. Prima di tutto evitare di addentrarsi in un labirinto di dubbi e pensieri. 


a mente leggera è decisamente più risolutiva ed efficace. No a lamenti, parlare poco e solo con una persona fidata, il cui ruolo è fare “da specchio”: mentre si parla, le parole aiuteranno a rappresentare la situazione in ogni prospettiva. Non è di un consiglio che si ha bisogno, ma di lasciar emergere le parole evitando che i dubbi ridondino in testa. Diventare spettatori. Un’altra strategia efficace è quella di guardare se stessi come uno spettatore e non come un attore sul palcoscenico. Per fare la scelta giusta occorre per un po’… non decidere (a tutti i costi). Si è più lucidi quando si osserva un evento senza essere coinvolti in prima persona. Anche questa mossa sarà molto utile al conseguimento del risultato finale. Far parlare l’interiorità. Il terzo intervento colpisce il centro o, meglio, per usare un semplice eufemismo va dritto al “cuore” del problema. E’ il cuore, non la testa, che sa cosa serve alla propria felicità, che conosce il percorso giusto, la propria autorealizzazione. Il cuore, centro degli affetti, non può essere condizionato come la mente, lui batte al suo ritmo e non si è in grado di modificarlo. Pensare con il cuore significa far decidere a lui. Nutrire la propria autostima. Per rendersi più liberi, più autonomi ed efficaci nelle scelte ci vuole un po’ di allenamento. Spesso si è disorientati perché si teme che qualcuno, in base ad una eventuale scelta, possa essere ferito. In questi casi è utile riesumare un pizzico di egoismo: è un’ottima mossa per formare e nutrire le proprie decisioni rendendole sempre più lucide e autonome.

è lo STUPORE che ci ricarica!!!


ACNE


.Fenomeno di natura infiammatoria, segnala, spesso, una persona che "ribolle" continuamente nella sua colera, sempre pronta ad esplodere, che non vuole essere avvicinata (difficoltà a far “uscire”), molto sensibile, imbarazzata, insicura, esigente con se stessa e con scarsa autostima … tende a isolarsi e a svalutarsi. Quando si riscontra negli adolescenti denota un rifiuto della propria persona e una riduzione dei contatti con gli altri … un ritiro sociale anche con l’altro sesso. Vista da questa angolazione, la manifestazione acneica serve ad alleviare lo stato ansioso del soggetto. L’acne, sotto questa luce, diventa un alibi per ridurre tutti quegli incontri che generano stati ansia ingestibili. Solitamente sono fanciulli che si sentono criticati, messi da parte, impazienti, sottomessi, dubitano delle loro capacità e hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo sociale … sono particolarmente sensibili al giudizio altrui, paura di essere se stessi, di ciò che sono veramente. Sono alle prese con continui confronti e dilemmi a livello fisico: bello, brutto, alto, basso, grasso, magro. Chakra. La malattia acneica, se localizzata sul viso, segnala una forte tensione al Terzo C. (libertà, agire, potere, controllo, rinuncia). Mentre se l'acne è diffusa nell'area corporea del collo il C. in tensione sarà il Quinto (ricevere, prendere). Quando si manifesta sul tronco è il Quarto C. (amore).

AFTA

. Ulcera sulla mucosa orale. Un problema di scambio con l'ambiente circostante... un rapporto pieno di tristezza e carente dal punto di vista affettivo (baci). Colpisce soggetti spesso ansiosi e irritati dalla vita; il loro vivere è accompagnato da una perenne collera e frustrazione.

CISTI

. Cavità in un tessuto o in un organo che racchiude una sostanza liquida. Sono personaggi "chiusi" in antichi rancori, in sofferenze, in vecchi risentimenti, un processo evolutivo bloccato, "incapsulato"... una preoccupazione passata che fa la sua comparsa e, guarda caso, presenta il suo conto "salato".

CELLULITE

. Infiammazione sottocutanea ... il blocco della creatività e delle emozioni. Persona che si svaluta sul piano estetico e che si lascia influenzare facilmente. La cellulite si sviluppa lentamente a partire dalla pubertà e negli adolescenti. All'inizio in forma leggera: lieve ritenzione idrica nei tessuti sottocutanei e sensazioni di gonfiore. I sistemi venoso e linfatico drenano con difficoltà i liquidi che continuano a ristagnare. Il processo di smaltimento di grassi e tossine diventa via più lento, difficoltoso. Così, la cellulite si concentra in punti particolari. Circonda, pertanto, tutti i Meridiani (Meridiani: canali energetici che mettono in comunicazione le regione esterne del corpo umano con i nostri organi e i visceri interni) o, le più fortunate, il Meridiano. Quando si verifica una disfunzione energetica, liquidi e tossine si accumulano. Anche il fattore psichico può mantenere o aggravare uno stato celluitico. Infatti, l'effetto ansiogeno causa uno squilibrio neurovegetativo che si ripercuote sull'apparato digerente determinando varie disfunzioni (biliare, coliti, gastriti, stitichezza): fermentazioni e putrefazioni intestinali contribuiscono ad aggravare la situazione. L'equilibrio psichico indubbiamente gioca un ruolo di primo piano perché l'ansietà, come sappiamo, è la causa principale di alcune forme di obesità e di cellulite. Gli stress psichici, alterando il normale rapporto ipotalamo - ipofisarico, determinano un aumento dell'appetito, da cui errori alimentari qualitativi e quantitativi con tutte le negative conseguenze. Tipologie di cellulite (si veda l'apparato corrispondente): di origine epatica, gastrointestinale è determinata da accumuli di sostanze tossiche e da alterato metabolismo dei lipidi (Meridiani coinvolti: fegato - cistifellea, intestino crasso e tenue, stomaco). Di origine pancreatica per alterato metabolismo dei glucidi (Meridiano: milza - pancreas). Quella di origine endocrina, corticosurrenale, ovarica, tiroidea per stasi e rallentamento circolatorio e alterato metabolismo linfatico, ormonale (Meridiano: circolazione - sesso). Poi quella di origine idrometabolica per ritenzione idrica nei tessuti (Meridiani reni e vescica). Per quanto sopra evidenziato appare evidente che l'approccio di tipo esclusivamente cosmetico esterno, come pure il trattamento unicamente interno, risulta insufficiente nella risoluzione del problema. Solo dopo aver individuato la disfunzione specifica (Meridiano), attraverso un approccio olistico, è possibile iniziare il trattamento, eliminando le tossine e, nel contempo, ripristinare l'energia. Un modo di difendersi dalla aggressività affettiva, rinuncia alla sessualità e svalutazione a livello estetico.

ECZEMA (dermatite)

. E' un'affezione cutanea caratterizzata - a seconda dei casi - da: gonfiore, chiazze rosse, trasudazione, croste, squame, papule, macule e da piccole vescichette (bruciore e prurito indicano l’eccesso di energia). Tutti questi sintomi possono recidivare o peggiorare in situazioni di stress, dell’ambiente familiare e di conflitti psicologici. Chi è affetto da questo disturbo tende ad essere bloccato, introverso, trattenuto, ed è un campione nel reprimere le proprie energie più profonde (sessuali, sociali, relazionali) … ha il timore di mostrare le proprie emozioni (trattiene). Un vulcano di emozioni che ribollono nelle profondità dell’individuo. Essendo individui facilmente influenzabili, bloccano le emozioni perché in tal modo evitano eventuali critiche e giudizi di valore ... tendono ad esercitare un eccessivo controllo su ogni cosa. La persona, pur essendo molto passionale, ha paura di dare ascolto alla propria istintualità e, quindi, si trattiene perché teme le conseguenze. Conflitti che vorrebbero esprimersi ma sono bloccati da paura, disistima, incertezza, timidezza, senso di inferiorità e sensi di colpa ... tende ad essere sensibile e, come gli asmatici, a tenere sotto controllo le emozioni. Quando si arrabbia si tiene dentro la rabbia. Quando poi ha voglia di piangere si sforza a far finta di nulla.

HERPES (Simplex, Zoster)

. L’herpes simplex (labiale) è un’eruzione cutanea di vescicole particolarmente dolorose ed evidenti che interessano prevalentemente le labbra. E’ facile riscontrare l’insorgenza di questo fenomeno - oltre in persone che stanno attraversando un momento di grande stress - anche in soggetti in cui la collera è rimasta a “fior di pelle … anzi di labbra”. Tale sentimento è stato al punto di essere espresso ma poi, all’ultimo momento, è stato bloccato, trattenuto. Può segnalare anche una profonda frustrazione vissuta nei confronti di desideri inascoltati, o una forte rabbia che non si è riusciti ad esprimere attraverso la modalità verbale. L’herpes zoster (fuoco di Sant’Antonio), invece, è una infezione (riattivazione virus varicella) che colpisce a vari livelli i nervi sensitivi. Ha come sede elettiva la regione dorsale ma lo possiamo trovare nella zona del trigemino, del retto e dei genitali. In tale regione, particolarmente dolorante, sono presenti vescicole ed eritemi. Riguarda la riattivazione di uno o più eventi negativi vissuti da diverso tempo, vecchi conflitti rimossi (amori non corrisposti, umiliazioni subite e non espresse, separazione non accettata). Eventi che hanno ferito la propria sensibilità e che riaffiorano in superficie … attraverso i nervi a “fior di pelle”.

ORTICARIA.

. E' una manifestazione cutanea caratterizzata da gonfiori, lesioni, pomfoidi e papule, di varie dimensioni, biancastre o rosa pallido; il tutto accompagnato da pruriti e da una sensazione di bruciore: fenomeno simile a un contatto diretto con l'ortica. Di solito è un fenomeno scatenato da forti emozioni, da rapporti fastidiosi, da fantasie sessuali vissute come peccaminose ma molto allettanti (attratti) e dalla paura legata a una situazione esasperata in cui si è obbligati a sopportare, come se non si fosse in grado a tener "testa alla vita" ... qualcosa nella vita pesa davvero troppo. Persone molto religiose che negano e impediscono il fluire della sessualità. Svela un desiderio ardente, un eccesso di energia, una rabbia che affiora e brucia la pelle ... qualcosa che irrita e tormenta l'anima. Sono persone, spesso ansiose e depresse, che vivono con inadeguatezza, sospetto e diffidenza le relazioni con il mondo esterno ... con grande difficoltà i rapporti di natura lavorativa, scolastica e affettiva.

PSORIASI.

. E’ una malattia cutanea - cronica e recidivante - caratterizzata da macchie rosse ricoperte di abbondanti squame secche compatte di colore grigiastro. Il fenomeno - accompagnato da intenso prurito e dolore - è localizzato prevalentemente nei gomiti, nelle ginocchia e nel cuoio capelluto, ma può interessare tutto il corpo unghie comprese (mai in viso). Colpisce individui con problemi di identità … non si permettono di essere se stessi; soggetti molto sensibili, vulnerabili e fragili che vorrebbero essere diversi da come sono … “cambiare pelle”. Sono di natura introversa, rigida, con poca fantasia, con tratti depressivi molto evidenti … difficilmente si lasciano andare all’emotività. E’ una malattia complessa legata al sentimento di vergogna, al senso di colpa o di impotenza … un modo per gestire e stare in “equilibrio” con il resto del mondo, tenere sotto controllo l’angoscia e l’ansia. Una potente “corazza” protettiva per ridurre la comunicazione emotiva con l’ambiente circostante perché vissuto come pericoloso. Un "carapace" per proteggersi dal mondo minaccioso in cui vive. Molti psoriasici per paura di essere feriti, infatti, nonostante la loro apparente socievolezza, sono isolati e completamente terrorizzati nel mettersi in gioco: un modo di sottrarsi ai problemi della vita e ai rapporti interpersonali.

VITILIGINE

. Patologia caratterizzata da un’assenza più o meno diffusa della melanina (sostanza che non solo colora ma protegge la pelle). E’ un problema di depigmentazione cutanea, un danno prevalentemente estetico. L’individuo cerca la propria identità attraverso la “ferita” cutanea che, in realtà, diviene una specie di “firma”. Queste macchie di colore biancastro, che variano per numero e per dimensione, rivelano emozioni connesse ad esperienze di separazione in cui il soggetto ha la convinzione di essere stato ingannato e umiliato. C’è una grande difficoltà ad accettare la rottura di un rapporto perché è vissuto come un rifiuto … qualcuno ha imbrogliato o si è approfittato della buona fede del soggetto. Alcuni studiosi hanno messo in evidenza il ruolo familiare nella comparsa della vitiligine: una figura paterna carente e assente nel processo educativo.

ULCERA

. Lesione della cute o di una mucosa. Le ulcere superficiali sono collegate alla rabbia nei confronti dell'ambiente circostante. Mentre quelle profonde riguardano persone rose dentro da qualcosa ... i loro risentimenti sono irremovibili.



NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 

E mail: bonipozzi@libero.it

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