lunedì 26 settembre 2022

 


CLASSIFICAZIONE dei DISTURBI di PERSONALITA'

SOGGETTI CHE APPAIONO STRANI ED ECCENTRICI

Disturbo Paranoide di Personalità. 

Disturbo Schizoide di Personalità.

Disturbo Schizotipico di Personalità.

Cluster* Disturbo paranoide di personalità

(diffidenza e sospettosità) … il rapporto primario con figure di riferimento è contradditorio, minaccioso ed umiliante. Un soggetto che si valuta sempre corretto, giusto e innocente ... perennemente minacciato. E' un disagio emotivo caratterizzato da idee persistenti in cui il soggetto vede nemici ovunque ... insicuro e sensibile, sempre sulle difensive, pensa che gli altri ce l'abbiano con lui o che stiano tramando oscure o diaboliche trappole nei suoi confronti. Porta rancore, si sente perseguitato, sempre vittima di un complotto o di truffe ... cerca conferme ai loro sospetti, accusa e contrattacca. In ogni occasione si trova dalla parte giusta, puro, innocente e minacciato ... gli altri sono visti come intrusivi, ostili e maligni. Ogni cosa viene vissuta e interpretata - senza nessuna giustificazione concreta - come malevole o pericolosa. Non ha assolutamente fiducia nel prossimo ed è sempre alla ricerca di qualcosa che non va, umiliazioni, inganni e fregature di vario tipo: la parola d'ordine è diffidare, stare sempre allerta ... il mondo è popolato da nemici. Oscilla tra una impotente vulnerabilità a una distruttività grandiosa e onnipotente. Nelle sue forme più sfumate il soggetto viene definito come geloso e sospettoso ... dilaniato dal dubbio. Essendo un disturbo psicotico non dovrebbe essere difficile fare questa diagnosi; tuttavia possono sorgere dubbi con la personalità psicopatica, ossessiva e dissociativa. Difficilmente chiude gli occhi (spalancati, fissi, impenetrabili) e alcuni distretti corporei sono duri come acciaio. Saranno gli apparati di contatto e di scambio a farsi carico del malessere fisico.



IASSUNTO (Disturbo Paranoide di Personalità). Gli individui con disturbo paranoide di personalità sono estremamente sospettosi, sprecano gran parte delle loro energie nella ricerca di intrighi, motivi loschi dietro il comportamento altrui … si consumano nel dubbio. Alcuni possono essere furtivi, rigidi e sospettosi, altri invece arroganti con mania di grandezza. Interpretano le azioni della gente come umilianti o minacciose: dubitano della lealtà e si aspettano sempre, da un momento all’altro, qualche inganno … la realtà - pur non essendo rifiutata o negata - viene distorta. I sentimenti spiacevoli e pericolosi vengono separati (scissione) con quelli di valenza positiva: i primi sono proiettati sugli altri i secondi non sono presi in considerazione. Chi è affetto da questo disturbo è in uno stato di vigilanza esasperata e prende le dovute precauzioni verso qualunque minaccia percepita. Proprio per questa ragione difficilmente rinuncia al controllo, si lascia andare in maniera affettuosa alle relazioni perché diversamente lo renderebbe fragile di fronte ad un eventuale attacco. Gli altri – in modo da mantenere l’autostima - sono passati al setaccio, analizzati, scrutati in ogni minimo gesto: esaminano le cose con pregiudizio scartando quel che non riguarda le loro supposizione. Cercano segnali e conferme che diano sostegno ai loro sospetti o pregiudizi … ignorando completamento le cose che possono dimostrare il contrario. 

risaputo che la persona sospettosa ha un’attenzione acuta, ristretta rigidamente diretta a trovare indizi, certe prove. Questi soggetti vivono ogni nuova situazione o relazione con diffidenza estrema circa il modo di pensare e il comportarsi degli altri. Il più delle volte fraintendono le intenzioni interpretandole male, leggendo fra le righe scovano, a loro dire, significati reconditi e malevoli. Possono arrivare ad una condizione emotiva in cui non sono più in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Quando sono sotto tensione possono sviluppare sentimenti di insicurezza, vulnerabilità, debolezza, inadeguatezza o di inferiorità … non percependo alcuna alterazione in se stessi difficilmente cercano un aiuto psicologico. Si presentano con un fare critico (moralisti), accusano tutto e tutti dei propri fallimenti (attribuiscono agli altri i loro stessi sentimenti e impulsi: proiezione)non riescono a digerire colpe, critiche e rimproveri per gli errori - anche quando sono fondati - che hanno commesso. Un soggetto che oltre ad essere stato carente di affetto, ha vissuto conflitti con l’autorità (padre)dominato dalla paura dalla punizione, terrorizzato dal rimprovero e dal rifiuto. Una madre spesso iperprotettiva ha insegnato a diffidare delle proprie capacità e degli altri.


Non   mi   fid  di nessuno!

ristotele era solito affermare che i giovani non possono essere sospettosi perché di male non ne hanno ancora visto molto; sono fiduciosi perché non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati. Ma è proprio vero? Non sempre è così. Il sospetto, infatti, anche nelle sue forme più sfumate, è presente sia nei grandi sia nei piccini. Un certo grado di diffidenza, comunque, è indispensabile per evitare profonde frustrazioni e scongiurare delusioni più brucianti; può diventare un prezioso salvavita contro truffe, colpi bassi, porte in faccia, raggiri, inganni, tranelli e soluzioni miracolose. In realtà, un ragionevole sospetto verso gli altri è una norma di prudenza, soprattutto quando si è di fronte ad un ambiente potenzialmente pericoloso e realisticamente ostile. Se non supera un certo valore, quindi, può avere un ruolo fondamentale a livello evolutivo e nell’organizzazione dell’esperienza di ogni individuo, facilitando la percezione e la consapevolezza di potenziali pericoli. E’ l’eccesso di diffidenza, quella inutile e paradossale, che può rovinare la vita di queste persone. Diventa una modalità patologica, quando tale fenomeno spinge il soggetto a interpretare le motivazioni degli altri, anche le più neutre, sempre come malevole e minacciose; un relazionarsi rigido, una mancanza di fiducia nel prossimo, un atteggiamento perennemente guardingo e reticente. Un personaggio sempre sul chi va là, spesso litigioso, freddo e distaccato, attento a ricercare significati oscuri e minacciosi. Tutto ciò implica un’eccessiva ipervigilanza, grande circospezione e continuo controllo. E’ un soggetto che spende tutte le sue energie per “sventare” i tentativi di coloro che, a suo dire, hanno intenzione di umiliarlo e svergognarlo. Non sono soltanto oppressi dai sensi di colpa, preoccupati, cauti, diffidenti, invidiosi, guardinghi, sospettosi, vendicativi, spesso inaciditi, ma essi - nelle forme più gravi - vedono il crimine in ogni angolo o il complotto dietro ogni sguardo.


hiunque può essere vissuto come una potenziale minaccia o un nemico crudele: nemici sempre pronti a minare la felicità e mettere in pericolo i loro valori. Queste persone non sembrano avere seri problemi lavorativi e sociali, ma spesso non è affatto così: nel lavoro esse hanno di solito difficoltà con figure che incarnano l’autorità, e data la loro scarsa fiducia verso il prossimo, è possibile che vivano la loro vita sociale in perfetto isolamento. Spesso, nell’ambito lavorativo, per tenere sotto controllo tale atteggiamento e gestire l’autorità temuta, hanno scelto di indossare l’uniforme che, anch’essa, rappresenta il comando e l’autocontrollo. E’ un’esperienza a dir poco terrificante, anche se non è altro che una colossale montatura fantasiosa. La loro sofferenza non trova facilmente una soluzione in quanto, avendo questa enorme difficoltà ad accordare fiducia a qualsiasi professionista e, quindi, a tutte le metodiche terapeutiche possibili, difficilmente chiedono - se non dietro la spinta di pressioni esterne - aiuti o iniziano spontaneamente una terapia. Quelli che, in un attimo di profondo sconforto, ricorrono autonomamente ad un trattamento sono, spesso, talmente sospettosi che abbandonano anzi tempo la cura (temono di essere avvelenati, sfruttati, danneggiati, ingannati … avere a che fare con incapaci o ciarlatani). Cosa molto più seria è che molti di questi soggetti solitamente non cercano nessun trattamento perché non scorgono in se stessi alcuna alterazione. Tali tratti caratteriali, infatti, nel tempo, diventano stabili e talmente “normali” che il soggetto stesso non è più in grado di rendersi conto della problematica invalidante. Questo tipo di pensiero “persecutorio” affonda le sue radici in un passato caratterizzato da un rapporto difficile con l’adulto e pieno di mortificazioni emotive: piccoli continuamente esposti a ripetute esperienze di sopraffazione e umiliazione. Nella storia, quindi, di queste persone si ritrovano critiche assurde, spesso punizioni pretestuose, adulti difficili da soddisfare e pesanti mortificazioni. Un contesto sociale difficile in cui dominava rigidità, sarcasmo, critica e scherno. Poiché questo tipo di rapporto, spesso lo si riscontra, con sfumature assai diverse, in ogni nucleo familiare è possibile che ogni individuo, a sua insaputa, sia portatore - se non intervengono, durante le fasi evolutive, meccanismi compensatori - di questa singolare organizzazione mentale. 


a diffidenza, comunque, profonda o sfumata che sia, fa male alla salute. Chi è calato in questa dimensione mentale, quindi, può essere affetto da una serie di malesseri psicosomatici. Anzitutto questi soggetti, proprio perché si trovano costantemente sulla difensiva, sono rigidi a livello fisico (ossa, muscoli) e mentale (pensiero, stile di vita). Essendo poi ansiosi, oltre a non essere in grado di vivere serenamente incontri ed esperienze affettive, dormono male, soffrono di tachicardia e problemi cardiocircolatori. I problemi sessuali, poi, sono all’ordine del giorno. Cosa fare. Come sopra evidenziato, è difficile che questi soggetti cerchino spontaneamente aiuto perché non vedono in se stessi alcuna alterazione. Chi invece ricorre ad un trattamento, in genere per ansia o tratti depressivi connessi, sono così sospettosi che abbandonano il trattamento subito dopo un piccolo miglioramento. Poiché i problemi sono radicati da lungo tempo, richiedono sempre interventi intensivi e di lunga durata. La chiave del successo è lo sviluppo di una relazione leale, onesta e di sostegno tra soggetto e professionista, proprio quello che questi individui stentano a garantire. Una volta, però, superata questa difficoltà, essi cominciano a fronteggiare i sentimenti di insicurezza, di vulnerabilità, di debolezza, di inadeguatezza, di inferiorità e di disistima con grande determinazione. La psicoterapia di supporto è considerata ancora oggi il metodo più idoneo per uscire da questo atteggiamento e cambiare le percezioni che sono all’origine di tale problema. Sviluppare, quindi, un po’ di autostima, guardare la vita con più obiettività e aprirsi leggermente alla socievolezza … tutto ciò, con le mosse terapeutiche adeguate e l’impegno giusto, può essere risolutivo e “costare” davvero poco.

i sospetti impoveriscono i rapporti, spengono l’entusiasmo e la spontaneità… non meno importante, poi, con quel fare saccente si perde la possibilità di confrontarsi, di conoscere, di esplorare nuovi percorsi, di fare nuove esperienze genuine… non va dimenticato, inoltre, che quando ci si sente autosufficienti, si pensa di non aver più bisogno di nessuno, di aiuto anche quando è necessario, altro non si fa che creare cronicità ai vari disagi … il rimprovero continuo agli altri crea deserto e solitudine.



Vincere i più comuni disagi quotidiani


n questo periodo storico, caratterizzato da una profonda crisi economica e segnato da un indiscutibile declino dei valori tradizionali, le sensazioni negative che rendono spiacevole la vita sono all’ordine del giorno… sono davvero tante. Tutto cambia con estrema rapidità. Le convinzioni, i modi di pensare, il senso di precarietà, i fenomeni in costume, l’amore, l’aggressività, determinano una cultura imprevedibile, confusa e provvisoria sul domani. Si diventa sempre più vulnerabili alle novità della vita. La realtà circostante si colora intensamente di sensazioni negative e di avvenimenti spiacevoli. Tale fenomeno tocca, in modo differente, ogni individuo. Ed ecco, all’improvviso, comparire una serie di scomodi e sgradevoli compagni di viaggio: la paura di perdere quello che si è conquistato nel tempo, rende la vita sempre più invivibile, l’ansia per un futuro incerto rende apprensivi e fa girare a vuoto, avvitandosi su se stessi, un senso di impotenza per il timore di non riuscire cambiare le cose fa sentire inadeguati e a corto di energia, la rabbia, che aumenta per le ingiustizie subite, si fa sempre più distruttiva, l’insicurezza, rigorosamente collegata a tratti depressivi, fa scivolare sempre più in uno stato grigiore, di buio assoluto e di totale apatia. La paura è una sensazione piuttosto diffusa in certi momenti di crisi. Dopo tanti sforzi per raggiungere una tranquillità economica e sociale, ecco che si rischia di perdere improvvisamente tutte quelle condizioni di benessere acquisite e consolidate nel tempo. La paura è un modo fisiologico di reagire alle novità o a tutto ciò che turba l’equilibrio. Quando la convinzione di aver perso l’appoggio esterno, che caratterizzava e sosteneva la propria esistenza, si fa sempre più dilagante, si crea una condizione che finisce per annichilire l’individuo che si trova immobile, disorientato e terrorizzato di fronte a qualunque cosa possa riservargli il futuro. Queste paure, secondo la psicosomatica, possono esprimersi a livello somatico attraverso vari disturbi come: calcoli renali, pollachiuria, colite e incubi notturni. Cosa fare. Alcune strategie terapeutiche cognitive, basate sulla concretezza e sulla realtà, aiutano ad allontanare i timori e i fantasmi del futuro. 

ansia, invece, è la paura senza oggetto specifico. Si vive nella dolorosa attesa di un pericolo indefinito ed imprevedibile. E’ caratterizzata da un’inspiegabile ed immotivata frenesia: il soggetto si sente un po’ strano, il cuore batte velocemente, la gola è contratta, manca il respiro e, all’improvviso, si trova madido di sudore. E’ un fenomeno di grande agitazione che, oltre a scatenare un grande timore per la propria salute, si insinua nella quotidianità producendo stanchezza e malesseri diffusi. Anche in questa condizione emotiva ci si sente ingabbiati, i ritmi naturali vengono completamente sconvolti e possono comparire: palpitazioni, insonnia, sudorazioni, eiaculazione precoce, dispareunia e disturbi alimentari. Cosa fare. Con semplici esercizi distensivi psicosomatici è possibile ritrovare il ritmo giusto e la propria serenità. Il senso di impotenza emerge quando la persona, di fronte anche ad un problema di poco conto, è bloccata dalla convinzione di non potercela fare o di non avere sufficienti energie per terminare un progetto che, improvvisamente, appare inaffrontabile: tutto sembra impossibile a realizzarsi. La paralisi è totale: amarezza e delusione aumentano in maniera esagerata, e ben presto il senso di impotenza lascia il posto ad un’amara rassegnazione; in questa condizione prende corpo la convinzione che la vita non riservi più nulla di interessante. Questa sensazione si esprime nel corpo attraverso: aritmia cardiaca, impotenza e frigidità, perdita di capelli e astenia. Cosa fare. Poiché sono sensazioni difficili da sradicare sarà utile suddividere tutti gli impegni della vita quotidiana in piccole tappe in modo tale da ottenere non solo un risultato immediato e, quindi, la conferma delle potenzialità, ma soprattutto ritrovare, man mano che si raggiungono i risultati, l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità.


n altro atteggiamento che spesso si accompagna a sofferenza piuttosto diffusa è la tendenza a frenare o soffocare l’espressione di rabbia che le varie situazioni quotidiane possono fare insorgere. Alcuni ambienti sociali suggeriscono di reprimerla e di controllarla dando, in tal modo, un volto negativo e non costruttivo dell’aggressività. Molte persone, infatti, anziché “sbottare” di fronte a situazioni ingiuste ingoiano completamente la rabbia e il risentimento. Questi sentimenti, però, non essendo completamente “neutralizzati”, continuano a ribollire determinando nel soggetto una forte tensione invalidante. Ecco allora che, continuando ad accumulare rabbia senza sapere come esprimerla, il corpo prenderà in consegna tale disagio emotivo. Per dare libero sfogo all’aggressività il corpo avrà una propria modalità espressiva specifica: cefalea martellante, crampi muscolari, gastrite, esofagite da reflusso, eczema alle mani. Cosa fare. Per questa emozione l’intervento terapeutico principale sarà quello di sciogliere completamente le tensioni e decomprimere tutti gli organi troppo sollecitati da istanze aggressive non adeguatamente espresse. Attraverso alcune metodiche terapeutiche immaginative sarà possibile entrare in contatto con gli aspetti più costruttivi del sentimento di rabbia. 


insicurezza è una condizione psicologica che si manifesta col timore che “manchi la terra sotto i piedi”. Le preoccupazioni, i timori e i vari malesseri generalizzati, quando il futuro appare incerto, sono più che “giustificati”: ci si sente smarriti, sfiduciati ed insicuri. Si ha la sensazione che da un momento all’altro alcuni eventi della vita possano sovvertire in maniera drammatica il corso della vita. Non avendo più nessun punto rassicurante si è completamente in balia degli eventi e, quindi, presi dal dubbio si è incapaci di fare scelte adeguate. Una condizione, questa, che si accompagna spesso ad alcuni sintomi che traducono nel corpo questo stato di preoccupante insicurezza: vertigini, bulimia, cefalea, disturbi oculari. Cosa fare. Per questo disturbo esistenziale saranno utili tutte quelle metodiche terapeutiche rivolte a migliorare le condizioni di autostima.

Cluster A  .Disturbo schizoide di personalità

(ama star solo, autosufficiente, profondamente distaccato dalle cose, non sono attratti dagli altri, indifferenza per le relazioni sociali ... una fobia per il contatto) ... difficoltà nello stabilire relazioni sociali. In questo disturbo i rapporti sono superficiali e, quindi, la parola d'ordine è statemi lontano ... osservatore, mai coinvolto e partecipe alle situazioni, agli eventi della vita. E' distaccato, freddo, non ha sogni, tantomeno desideri e interesse per i suoi simili ... non prova emozioni né positive né negative. Un soggetto che ha vissuto il suo primo rapporto con una figura di riferimento troppo assente (incapace di manifestazioni affettive e di contatto, un'atmosfera glaciale: rifiutante. Un bimbo terrorizzato e pieno di paura) o troppo presente (una figura invadente, invasiva che controlla e priva il fanciullo di fare esperienza: non c'è privacy e intimità ... solo paura). Solitario, ritirato in se stesso, staccato dal mondo, nella sua turris eburnea guarda le cose e gli altri con profonda diffidenza ... un mondo pieno di tranelli e pericoli. 


ono individui che non desiderano provare piacere nelle relazioni interpersonali strette e quando si trovano costretti a sperimentare tale esperienza, reagiscono in maniera inadeguata, sprezzante e arrogante. Scelgono lavori solitari con scarsi contatti umani ... non amano condividere affetti ed esperienze sociali. Non ci sono esperienze sensuali corporee che colorano le loro giornante, tanto meno l'attività sessuale (a volte notevole ma senza relazione emotiva) ... non esprimono emozioni e reagiscono con indifferenza sia alle approvazioni sia alle critiche: impassibili di fronte ad eventuali rifiuti. Nella forma grave in questi soggetti si riscontra un atteggiamento di controllo, dominante e sadico. Proprio perché ha sviluppato una fobia di contatto e di scambio le tensioni croniche si localizzeranno sulla pelle (in particolare psoriasi, eczemi) e a livello respiratorio (asma, dispnea). Un disturbo che può essere confuso con la personalità ossessiva - compulsiva. Un soggetto, spesso - quanto è "puro" - molto magro, astenico e contratto.

Cluster .Disturbo schizotipico di personalità

(Disagio nei rapporti intimi, isolamento, aspetto bizzarro, comportamento strano e eccentrico) ... cure materne inadeguate e ritiro in un mondo immaginario. Anche qui troviamo un soggetto isolato, sospettoso, disturbato nel pensiero, che non si fida di nessuno, ma che si fa notare ... eccentrico nel comportamento, nel vestire e nel parlare (difficile da capire). I rapporti sono vissuti con senso di disagio ed ansia (pensa che gli altri possono trarre sempre vantaggio a suo scapito), non manifestano alcuna emozione se non in maniera imbarazzata ed inappropriata. Pur avendo la consapevolezza delle loro stranezze hanno l'impressione che la gente parli o rida di loro, credono in cose assurde e strane, sentono la presenza di defunti e odono voci ... si sentono chiamare per nome. E' un disturbo vicino alla personalità schizoide. I problemi fisici sono legati a problemi di contatto e scambio (epidermici, respiratori e intestinali).


IASSUNTO (Disturbo Schizotipico di Personalità). I soggetti con questo disturbo, oltre ad avere problemi relazionali (incapaci di interagire, di confrontarsi e di dialogare), pensano, percepiscono, agiscono e comunicano, in maniera visibilmente insolita, strana, bizzarra ed eccentrica. Usano frasi e parole insolite senza mai guardare in viso l’interlocutore. Un quadro clinico molto simile a quello schizoide, ma con sintomi psicotici più marcati: ritiro dalla realtà e creazione di un mondo fantastico (immaginario). Traggono scarsa gioia dal vivere quotidiano, dallo scambio affettivo e dalle relazioni con gli altri, possono presentare stati d’animo dolorosi, ansia e depressione: tendono all’ipocondria (illusioni corporee, sintomi fisici insoliti) e al suicidio. Li caratterizza una vita grigia e vuota priva di entusiasmo e di motivazioni: non hanno amici intimi o confidenti. Hanno un aspetto insolito: vestiario inadeguato alle circostanze, parlano in maniera strana, look disordinato e igiene personale che lascia un po’ a desiderare. Sono individui freddi e distaccati che vivono in un clima di isolamento, sfiducia e sospetto (pensieri paranoici). 


ondizionati da opinioni, idee e percezioni distorte: possono pensare, girando per strada, che un passante occasionale parli o rida di loro, magari sentire voci che li chiamano per nome, parlare da soli o credere di possedere capacità profetiche (credenze magiche) … pensano di avere una missione speciale da compiere sulla terra. Sono spesso seguaci di sette religiose, attratti dall’occulto, storie di ufo… credono nella chiaroveggenza, telepatia, a un sesto senso. Anche in questo disturbo troviamo un deficit relazionale infantile. La sua difficoltà relazionale attuale, infatti, può aver preso avvio da cure affettive inadeguate.

SOGGETTI CHE APPAIONO MELODRAMMATICI, 

EMOTIVI ED IMPREVEDIBILI.

Disturbo Antisociale di Personalità. 

• Disturbo Borderline di Personalità. 

• Disturbo Istrionico di personalità. 

• Disturbo Narcisistico di Personalità.

Cluster . Disturbo Antisociale di Personalità

(comportamento irresponsabile e distruttivo, impulsivo, dispregio per l'autorità, mancanza di rispetto e violazione dei diritti altrui, violenza su animali e persone, nessun rimorso per le azioni criminali). Il rapporto con la figura di riferimento viene vissuto - dal soggetto - come estraneo, cattivo, malvagio, una madre indegna di fiducia ... si determina da ciò, inevitabilmente, insicurezza e caos. Il comportamento antisociale, quindi, può essere interpretato come il tentativo di ottenere attenzione e l'accudimento che non ha mai avuto ma che desiderava tanto ... il malcapitato impara la regola della sopravvivenza (manipolando come fa la figura di riferimento, burla gli altri sentendosi burlato).


o scopo principale di questi individui è di sentirsi potenti, di avere la consapevolezza del proprio potere sugli altri, di manipolarli, di averli in pugno e di sfruttarli. Si lascia facilmente coinvolgere in attività illecite, fa uso con una certa disinvoltura di alcol e di droghe anche pesanti, ed è indifferente della propria e altrui sicurezza ... non tiene conto delle conseguenze, non si assume le responsabilità delle proprie azioni. Avendo scarsa tolleranza alle frustrazioni, quando non raggiunge la soddisfazione desiderata, diventa aggressivo e violento. I tratti di questo disturbo possono essere fraintesi con la personalità paranoide, dissociativa e narcisistica. I suoi problemi fisici saranno evidenziati nella parte scheletrica, a livello respiratorio e digerente ... stanchezza, disidratazione, congestione venosa, disturbi ghiandolari, stipsi.


IASSUNTO (Disturbo Antisociale di Personalità)Le regole vigenti sociali e le imposizione a questo soggetto vanno davvero strette ... non le sopporta. I comportamenti principali sono dispregio per l’autorità e scarsa attenzione per i diritti altrui… abile a manipolare e a ingannare gli altri. Sfrutta letteralmente gli altri con la forza e l’astuzia per il proprio tornaconto. Non conosce né senso di colpa né prova sofferenza per i suoi crimini. Una vita impulsiva, tumultuosa di sfida e di disprezzo che rende questo individuo impaziente, bugiardo, sospettoso, imbroglione, vendicativo, cinico, arrogante, egoista, incapace di integrarsi nella vita di gruppo e adattarsi a semplici norme di vita sociale (distacco dalle relazioni umane). Si lascia facilmente coinvolgere in attività illecite (non tiene conto delle conseguenze dei suoi gesti) come atti vandalici, alta velocità, furti e spaccio di droga … sempre alle prese con sfide estreme (eccesso per ogni sorta di stimolo, uno stile di vita sempre più frenetico). La mancanza di morale, oltre a renderlo freddo e insensibile, crea un’immagine di lui sprezzante e di scarsa umanità. Uno stato emotivo irregolare caratterizzato da instabilità e impulsività che compromette la capacità di adattamento … intollerante alle frustrazioni e allergico alle responsabilità. 


uando non ottiene ciò che vuole o magari si trova alle prese con una banale contrarietà può irritarsi, esprimere rabbia (narcisistica), diventare violento e aggressivo, perdere il controllo fino ad arrivare allo scontro fisico ... ecco perché non hanno molti sostenitori e godono di poche simpatie in qualsiasi ambiente. Incapace di inserirsi nel mondo lavorativo vive di espedienti, di raggiri o attività truffaldine a danno di altri. Le relazioni sono inesistenti o effimere: separazioni, divorzi e abbandoni della famiglia sono all’ordine del giorno. Gran parte di questi soggetti provengono da ambienti con instabilità e carenze educative: violenze, sevizie, atti di crudeltà, carenze di affetto, deprivazioni … genitori che nutrono sentimenti negativi e con atteggiamenti di cui è impossibile fidarsi. Figure di riferimento ostili, assenti, severe, deboli (padre), indifferenti e permissive (madre) … mancano sempre in questo soggetto esperienze d’amore dirette.

Cluster . Disturbo Borderline di Personalità

(relazioni interpersonali instabili, immagine di sé ballerina, impulsività, affettività disforica ... qui il problema relazionale coinvolge entrambe i genitori non sanno amare). I suoi rapporti interpersonali sono tumultuosi, impulsivi e svalutativi. Ha paura di essere abbandonato ed è particolarmente sensibile ai minimi segnali di rifiuto ... non tollera la solitudine e odia i cambiamenti repentini. Anche questo soggetto tende a manipolare gli altri per i propri scopi, ma i suoi tentativi sono talmente "maldestri" che anziché impietosirli li allontana. 


amentano spesso un senso di vuoto e di incertezza circa la loro identità: valori personali e professionali, orientamento sessuale, ruolo, la capacità di estraniare i propri pensieri e sentimenti da quelli degli altri ... stati d'animo contradditori e contrapposti. Considerano gli altri responsabili delle proprie avversità e problemi. Non tollerano frustrazioni ... a tali esperienze reagiscono con rabbia e gesti impulsivi rischiando spesso la vita (abuso di sostanze, tentativo di suicidio). L'espressione somatica non si differenzierà di molto dai disturbi di personalità sopra indicati. A livello teorico e descrittivo è una struttura molto simile a quella istrionica.


IASSUNTO (Disturbo Borderline di Personalità). Questo tipo di struttura si esprime con un umore piuttosto ballerino. Uno stato d’animo davvero imprevedibile, vertiginoso e teatrale (fenomeno che spesso porta al suicidio)freddezza emotiva, sguardo penetrante, violenti eccessi di rabbia e manifestazioni di disprezzo. E’ una terra di confine con elementi di profonda instabilità in ambito relazionale in cui spesso si perde il contatto con la realtà. Un malessere che può avere diversi livelli di gravità: più vicino all’area nevrotica (buon rapporto con la realtà) o psicotica (perdita del contatto con la realtà: aggressività, autolesionismo). Si arrabbia facilmente quando ci sono cambiamenti improvvisi di programma, non tollera ritardi o l’annullamento di impegni fissati … può diventare, a seconda del livello di gravità, furioso, minaccioso e arrivare persino allo scontro fisico. Le relazioni interpersonali sono spesso adesive, tumultuose, intense e instabili … una vita di alti e bassi senza fine. I rapporti con le persone o le cose in generale sono buone oppure cattive. Si lasciano andare facilmente alla collera intensa e fuori luogo, sono dominati dalla tristezza, agitazione, rabbia e risentimento (parlano spesso di una sensazione di vuoto interiore devastante). Alcuni hanno dei comportamenti che sembrano di natura isterica, ma è evidente l’assenza di erotizzazione degli investimenti corporei ed una manipolazione più aggressiva che genitale. Alcune fobie, inoltre, alcune ereutofobie, alcuni casi di agorafobia e claustrofobia, certi stati ossessivi caratterizzati da una docilità strana e da un bisogno di stima piuttosto che di punizione, compresi certi stati psicosomatici gravi, possono costituire un quadro sintomatologico borderline. 


l pericolo permanente contro il quale si difende questo soggetto è la depressione. Che è legata, appunto, ad un sentimento di solitudine, di abbandono, alla paura di perdere una figura importante. L’aggressività è davvero notevole e si traduce in crisi di collera, ostilità, violenza. La loro impulsività è a volte espressa in maniera più o meno continuativa attraverso episodi di bulimia, di alcolismo e tossicomanie. Sono particolarmente fragili, incapaci di controllare gli impulso, sensibili ad ogni piccolo segnale di critica o di rifiuto … sono letteralmente terrorizzati dall’abbandono reale o immaginario. Gli atteggiamenti verso se stesso (manca di un chiaro senso di identità) e gli altri (perfetti o di nessun valore, supervaluta o disprezza) sono sempre idealizzati … alternano momenti di enorme passione a momenti di grande delusione (ama o odia). Conduce una vita veramente caotica con comportamenti impulsivi, stravaganti e autodistruttivi caratterizzati sempre da estremismi: droga, doppia vita, sesso, spese eccessive, automutilazioni, gioco d’azzardo e, come diceva quel famoso cantautore, guida spericolata. Alcuni hanno tendenze sessuali perverse e davvero curiose … caotiche e multiple. Appartiene ad un quadro clinico con tratti che possono essere presenti in altri disturbi: Istrionico, Dipendente, Antisociale e Schizotipico. Pur essendo incapaci di una vera intimità sono portati a relazioni - brevi ma intense - eccessive, esplosive e di grande passionalità. I meccanismi di difesa principali sono: scissione, idealizzazione e isolamento. In questi individui prevalgono le esigenze provenienti dalle fissazioni narcisistiche. Il quadro clinico di questo soggetto è caratterizzato da un adattamento (sociale, lavorativo, affettivo) spesso soddisfacente malgrado la sua confusione … relazioni affettive a volte instabili, un’aggressività ed impulsività a volte considerevole. Il rapporto con le figure di riferimento frustrante ed infelice … non risulta per niente soddisfacente. Un ambiente frustrante in cui si verificano cambiamenti d’umore inspiegabili … non gli non gli è stato possibile edificarsi su fondamenta solide. Il futuro borderline, infatti, prende forma da un’atmosfera familiare di rifiuto, estremamente rigida e critica, con poche opportunità di divertimento e gioiosità.

Cluster . Disturbo Istrionico di Personalità

(emotività eccessiva e bisogno di essere sempre al centro dell'attenzione) … un rapporto primario caratterizzato da una precarietà affettiva, un'esperienza precoce di abbandono, una grave carenza di cure materne. Le attenzioni sono inadeguate ... il piccolo non esiste. La parola d'ordine in questo caso è teatralità e seduttività. Qui l'esperienza interpersonale con la figura di riferimento - anziché essere fonte di rassicurazione viene vissuta come minacciosa - è colma di tristezza, preoccupazione e ansia. Per controllare, impressionare gli altri sono pronti a tutto, anche con gesti autolesivi: scoppi di pianto e accesso di rabbia teatrale. Soggetto che risulta facilmente influenzabile dagli altri, dalle situazioni e dalle circostanze … con un'autostima labile e una diffusa svalutazione di se stesso vede ogni relazione più "intima" di quanto non sia in realtà. E' un disturbo che può essere confuso con la personalità psicopatica, narcisistica e dissociativa. I disturbi fisici sono di conversione: sintomi riguardanti funzioni motorie o sensitive.




IASSUNTO (Personalità Isterica - Disturbo Istrionico). Non ci si può sbagliare nel riconoscere i comportamenti di questa persona che spesso, non del tutto integrata, sono un chiaro segnale di disadattamento (conflitti orali ed edipici). La sua preoccupazione maggiore, in ogni situazione, è quella di apparire attraente, di essere al centro dell’attenzione: in breve, di essere sempre la “prima donna”. Desidera più di ogni altra cosa, oltre l’immediata gratificazione, le lodi, la rassicurazione e l’attenzione altrui … non gradisce le frustrazioni. Deve essere in ogni occasione al centro del palcoscenico e se non ce l’ha - con stizza - se la prende … deve apparire sempre al meglio e se questo non le viene riconosciuto si irrita rapidamente (bisogni compensatori di attenzione e rassicurazione). Appare entusiasta, socievole, spesso può dare la sensazione di essere frivola e superficiale, diretta ed esibizionista, espansiva, familiarizza con facilità, mutevole (calorosa o fredda completamente) sempre pronta alla battuta, ingannatrice, volubile, mutevole, influenzabile, buona attitudine alla teatralità, manipolativa, ben tenuta nei minimi particolari, apertamente seduttiva e provocante a livello sessuale … un personaggio davvero camaleontico.


na personalità dotata di grande creatività e immensa immaginazione che si eccita facilmente (si abbandona a sensazioni viscerali), cambia spesso i suoi sentimenti, ama il nuovo, la novità, si annoia facilmente … brucia in fretta molti legami o semplici rapporti interpersonali. In compenso è una campionessa davvero speciale nel cercare storie impossibili o figure proibite. Contrariamente ad altri tipi di personalità, l’organizzazione isterica non presta molta attenzione ai “tempi” passato e futuro perché è intrappolata nel presente. Nonostante la loro instabilità ottengono nell’ambito lavorativo - proprio per l’evidente ambizione e la costruttiva competitività - sempre buoni risultati, discreti successi a livello organizzativo. Tutto ciò avviene solo in certe condizioni: per i nuovi progetti perché questi soggetti perdono velocemente l’entusiasmo nelle attività ripetitive. La storia familiari di questi soggetti è caratterizzata da rapporti inadeguati, con messaggi stile narcisistico e atteggiamenti apertamente seduttivi. Alla struttura istrionica non è stato concesso di sviluppare un rapporto significativo e maturo con le figure di riferimento: eccessivo attaccamento, dinamica masochista e tratti paranoici. Quando si verifica nel rapporto familiare una carenza di cure materne, il soggetto portatore dell’organizzazione isterica (deluso dalla madre) si rivolgerà al padre per le gratificazioni … imparerà ben presto che per ottenere la sua attenzione sarà necessario “civettare” … ecco da dove arrivano i suoi modi seduttivi e il suo esibizionismo! I meccanismi specifici dell’organizzazione isterica sono prevalentemente: rimozione, regressione, acting out (agire prima di riflettere senza considerare le conseguenze dell’azione), dissociazione, idealizzazione e svalutazione.


Cluster  .Disturbo Narcisistico di Personalità

(l'autostima viene mantenuta tramite le conferme dell'ambiente circostante, incapacità di mettersi nei panni degli altri, bisogno di essere sempre ammirati, idea grandiosa di sé, pseudoumiltà e tratti depressivi, esagerazione dei risultati ottenuti) le figure di riferimento non hanno risposto in maniera adeguata alle richieste naturali del bimbo ... una relazione genitoriale per certi versi fallita. Un soggetto con un certo grado di arroganza, che per compensare la sua grande fragilità ha sviluppato un'immagine di sé grandiosa ed autosufficiente (rafforza l'autostima svalutando e disprezzando gli altri). Non si fida di nessuno … non ha bisogno di niente e di nessuno ... come potrà chiedere un aiuto psicoterapeutico o dipendere da un altro nell'ambito lavorativo? Le attività di gruppo sono forzate e mai genuine, se ci sono vengono utilizzate per mettersi in mostra. 


i considera un individuo superiore agli altri, brillante, dotato di ineguagliabile abilità, poteri speciali e con fantasie di successo illimitato: tutti sono insignificanti e privi di valore … mors tua vita mea. Le relazioni interpersonali sono tantissime ma tutte superficiali (lo si riconosce subito: le sue conoscenze sono sempre di alto livello, sfodera sempre la cosa migliore e originale, dal medico al meccanico personale). Nell'ambito familiare considera più importanti i figli che il partner ... forte insensibilità ai bisogni e sentimenti degli altri. Se non si è attenti è un disturbo che può essere confuso con personalità psicopatiche, depressive, isteriche e ossessive – compulsive. Un candidato all'ansia e alla depressione con manifestazioni corporee specifiche (attacchi di panico, tachicardia, tensione muscolare).



IASSUNTO (Personalità Narcisistica). Questa personalità mantiene la propria autostima (o disistima) tramite le conferme (o disapprovazioni) provenienti dall’esterno. Una grande fame di riconoscimento, attenzione, ammirazione e un bisogno continuo di essere rassicurati: letteralmente terrorizzati di essere svergognati da qualcuno o che la loro fragile autostima venga sminuita. Il narcisista, infatti, oltre ad essere costantemente alla ricerca di situazioni in cui possa essere ammirato in modo tale da aumentare la considerazione di se stesso, è perennemente allarmato e preoccupato del giudizio altrui. Questi soggetti, pertanto, non ammetteranno mai i propri errori, cercano in tutti i modi, sfoderando unghie e denti, di nasconderli a chi potrebbe scoprirli, sono spesso arroganti e, sotto sotto, pensano che tutto gli sia dovuto: una modalità comportamentale che spesso ferisce e, quindi, non facilita il rapporto interpersonale, anzi li allontana dagli altri. Nei casi più gravi, denigra i modi di pensare altrui ma pretende una buona considerazione delle proprie opinioni. 


el mondo del lavoro, poi, rischia continuamente l’emarginazione perché insiste su un trattamento di riguardo in funzione delle sue fantasticate capacità fuori dal comune: a dir poco eccezionali. Sono soggetti a cui “manca qualcosa” nella loro vita interiore e nell’interazione con gli altri … non chiedono mai nulla perché in tal modo ammetterebbero di avere “bisogno” degli altri (di essere “difettosi”, di avere dei problemi). Fanno di tutto per non riconoscere i propri impulsi e desideri… sono intolleranti alle critiche, non accettano l’imperfezione e la possibilità di fallire in qualcosa. La vergogna (convinzione di essere considerati cattivi o trasgressivi) e l’invidia sono emozioni dominanti di questa organizzazione psichica. Una personalità caratterizzata da atteggiamenti esibizionistici, sensazione di vuoto, arroganza, distacco, inaccessibilità emotiva, pensiero onnipotente (immagine grandiosa di ciò che vorrebbe essere), sopravvalutazione delle proprie capacità e tendenza a giudicare gli altri. Sono soggetti preoccupati di come appaiono agli altri … in fondo in fondo si sentono impotenti, deboli, inferiori, disonesti, temono di essere inadeguati e incapaci di amare. Sono continuamente in lotta perché temono di essere trovati con le mani nella marmellata: smascherati nelle loro debolezze. 


soggetti a rischio, cioè capaci di sviluppare un carattere narcisistico, oltre ad aver vissuto in un clima eccessivamente valutativo, sono particolarmente sensibili ai messaggi emotivi, sono stati (sfruttati) utilizzati dalle figure di riferimento per mantenere la loro autostima (cresce disorientato perché non capisce a chi appartiene la vita che conduce ed è criticato ferocemente quando sbaglia). Utilizzano principalmente come difesa l’idealizzazione (grandiosità interna ed esterna: ecco perché il narcisista ha sempre lo specialista migliore, il figlio più diligente, il docente più autorevole, il dentista più bravo, il parrucchiere all’avanguardia, ecc.), la svalutazione (gli altri non valgono niente) e il perfezionismo (obiettivi grandiosi, esagerati). Queste persone particolarmente vulnerabili e sofferenti sono difficili da trattare a livello terapeutico: difficilmente si avvicineranno spontaneamente ai vari trattamenti psicologici, perché sarebbe come ammettere che hanno qualche problema … basta davvero poco per ferirle e deluderle.

SOGGETTI CHE APPAIONO ANSIOSI     PAUROSI

Disturbo Dipendente di Personalità. 

• Disturbo Evitante di Personalità. 

• Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità.

Cluster C .Disturbo Dipendente di Personalità

(Bisogno eccessivo di essere accudito, dipendente, sottomesso, indifeso, mancanza di fiducia nelle capacità) ... il rapporto con le figure di riferimento è di totale dipendenza, caratterizzato da controllo eccessivo, ostacolo e rifiuto all'autonomia del piccolo. Genitori intrusivi, dominanti e potenti che rifiutano ogni tentativo di indipendenza del figlio ... insegnano che l'autonomia è piena di insidie e pericoli. In questo modo il soggetto diventa docile, impara a delegare ogni cosa, rinunciare alla sua libertà e a vivere la propria vita alle dipendenze di qualcuno ... preferisce demandare agli altri le proprie responsabilità, scelte, impegni e decisioni, anche a costo di umiliazioni e di fare cose degradanti (diventa un modo di reagire costante e permanente) ... tomba dell'evoluzione personale. 


uando viene messo alle strette, reagisce ad un'eventuale minaccia di separazione con estrema sottomissione e passività (anziché rabbia ed aggressività): accentuando ulteriormente il comportamento dipendente oppure piangendo ... diventa ancora più docile di prima. Non riesce a funzionare senza l'appoggio di qualcuno e tanto meno assumersi le dovute responsabilità, anche le più banali. C'é un tratto della personalità che accomuna sia il disturbo dipendente sia il disturbo borderline: il terrore dell'abbandono, di perdere la protezione. Il dipendente, oltre alle relazioni distorte, dovrà vedersela con alcuni malesseri psicosomatici come ansia, attacchi di panico, depressione ed insonnia. Ci sono somiglianze tra il disturbo dipendente e il disturbo borderline di personalità.



IASSUNTO (Disturbo Dipendente di Personalità). Il dipendente appare indifeso, schivo, docile, bisognoso, sottomesso, passivo, incapace di vivere in maniera autonoma senza ricevere supporto emotivo, rassicurazioni e approvazione dall’ambiente circostante … è sempre imprigionato dai suoi eccessivi bisogni. In breve, vuole che qualcuno lo guidi, si prenda cura di lui e si assuma tutte le responsabilità … vuole essere accudito dalla testa ai piedi. Ha una cattiva opinione di se stesso e una bassa autostima: si definisce come un personaggio stupido e sciocco. Le critiche o le disapprovazioni sono devastanti per il suo equilibrio emotivo. Per evitare scontri e conflitti è sempre d’accordo con tutti e il resto del mondo!. Gli riesce difficile portare avanti un progetto semplice, prendere decisioni e assumersi responsabilità riguardanti la vita di tutti i giorni anche di poco conto, in quanto sminuisce le proprie capacità (anche di giudizio) in ogni situazione … preferisce delegare perché si sente un perfetto incompetente, è convinto di non saper far nulla da solo! Demanda continuamente agli altri ciò che dovrebbe fare lui. La personalità dipendente, nei periodi di stress acuto, non riesce proprio a scegliere, non sa decidere con chi stare, quale lavoro cercare, che indumento indossare, perfino cosa mangiare. Questo soggetto, anche se odia l’isolamento (soffre molto quando è solo), non ha mai un folto numero di amici … i suoi rapporti sociali sono alquanto limitati. 

i attacca a quei pochi rapporti come un adesivo, una ventosa, perché teme la separazione, di essere abbandonato dal “capo branco” (si aggrappa alla figura di riferimento perché senza la quale si sente perduto) … per evitare tutto ciò diventa insolitamente sottomesso fino ad arrivare a fare cose spiacevoli e degradanti. Anche in questa struttura troviamo ansia e tratti depressivi. Difficilmente appare come quadro clinico unico, le sue caratteristiche principali possono apparire in altre personalità (Borderline, Istrionica). La personalità dipendente trae origine da un ambiente familiare in cui le figure di riferimento hanno ostacolato o messo in evidenza che ogni strada per la libertà è insidiosa e piena di pericoli. Nelle vicende evolutive del soggetto, troviamo figure parentali eccessivamente coinvolte, minacciose, molto invadenti, particolarmente intrusive e, soprattutto, per raggiungere i loro obiettivi di opposizione ai cambiamenti libertini (premiare per non aver intrapreso un proprio percorso di indipendenza verso i genitori), usano strumenti di ricatto non molto strutturanti e formativi … sempre pronti a bloccare desideri e disapprovare scelte libere ed autonome.

* Cluster. Il termine si usa per indicare un raggruppamento che si presta a costituire un insieme omogeneo.

Dipendenza  …  figlia dell’insicurezza

a dipendenza è un comportamento in base al quale l’individuo instaura una relazione distorta con i suoi simili oppure verso un’attività, una situazione, una cosa, una sostanza o un luogo. I soggetti dipendenti, quando il loro disagio è particolarmente profondo, vivono imprigionati dai loro stessi bisogni, sono insolitamente sottomessi. Sono incapaci di vivere in maniera autonoma senza ricevere continue cure, approvazione da parte degli altri, rassicurazioni e, soprattutto, supporto emotivo; hanno un desiderio disperato di essere amati e si sentono particolarmente offesi da un minimo accenno di disapprovazione o critica. Mancano di fiducia in se stessi, sono portati solitamente a sminuire, a volte in maniera impressionante e ingiustificata, le proprie capacità, e si definiscono come stupidi e sciocchi. Considerandosi di poco valore non sono in grado di farsi valere e prendere decisioni - anche le più semplici - che riguardino la vita quotidiana senza il parere e le rassicurazioni degli altri. Prendere decisioni, importanti o di poco conto, diventa un vero dramma per il dipendente, che solitamente preferisce delegare ad altri le proprie responsabilità in quanto non sa decidere con chi stare, dove vivere, quale attività lavorativa cercare, l’abbigliamento da indossare, quali alimenti mangiare, come educare i figli. 


ssendo convinti di non essere in grado di realizzare niente di buono da soli, questi soggetti hanno una notevole difficoltà ad avviare un qualsiasi progetto, non per mancanza di motivazioni o di energia, ma per la sensazione di incompetenza che in loro è particolarmente diffusa. Per non creare aspettative e ricevere incarichi di responsabilità, nascondono le loro capacità e tendono a delegare i loro compiti; in questo modo, mantenendo il talento nascosto e le potenzialità sempre inespresse, non “rischiano” di assumersi delle responsabilità ma anche di non fare carriera nell’ambito lavorativo. E’ ovvio che demandare agli altri le proprie scelte, oltre a mettere la loro vita in mano ad altre persone (che sanno sempre ben poco di loro!) e crearsi alibi puerili, impedisce di assumersi anche le responsabilità minime richieste dall’età e, nel contempo, permette a questi individui di perpetuare comportamenti infantili che creano ulteriore dipendenza e un profondo senso di inadeguatezza. Gli individui dipendenti si accontentano di una cerchia decisamente limitata di relazioni sociali, ma allo stesso tempo evitano, attivando varie strategie comportamentali, di rimanere isolati perché da soli sprofonderebbero nella depressione più terrificante e in un’ansia a dir poco devastante; limitano pertanto le relazioni sociali ai pochi soggetti dai quali maggiormente dipendono. A livello sociale, per guadagnarsi l’affetto giungono al punto di far credere di essere sulla stessa lunghezza d’onda o essere d’accordo con la gente anche quando pensa che sta sbagliando, oppure fa cose spiacevoli o avvilenti al solo scopo di compiacere gli amici e il partner.

bene ricordare comunque che le caratteristiche di passività, sottomissione e docilità sono tenute in grande considerazione in alcuni ambienti, presso molte società e, soprattutto, sono dinamiche presenti in alcune coppie, in quanto permette a chi ha assunto il ruolo dominante di mantenere in maniera vantaggiosa il proprio spazio di libero movimento (libertà e autonomia indiscussa!). La dipendenza comunque non sempre è un problema emotivo invalidante, almeno fino a quando non crea difficoltà all’individuo in cerca di maggiore autonomia. Nel caso di questo disturbo è fondamentale distinguere lo “stato” dal “tratto”: entrambi, in caso di profondo disagio, quando ci sono problemi emotivi o durante i periodi di stress acuto, accentuano le proprie caratteristiche di dipendenza per far fronte ad una necessità temporanea, poi, quando il fenomeno stressogeno si risolve o cessa, ogni cosa ritorna alla normalità. Al contrario, nello “stato” di dipendenza il soggetto persevera (se non ha intrapreso un trattamento terapeutico per ripristinare la propria autonomia), ovvero continua a demandare agli altri le proprie responsabilità; si affida agli altri sempre, non solo in momenti particolarmente difficili e stressanti. Cosa fare. Il trattamento primario per questo disturbo consiste nella psicoterapia. Gran parte del lavoro sarà rivolto e diretto all’autovalorizzazione e allo sviluppo di un crescente senso di indipendenza. Sviluppando maggiore sicurezza questi individui impareranno ad esprimere sentimenti genuini prendendo le adeguate decisioni e a essere in grado di far fronte a diversi episodi d’ansia. Tutto ciò non fa altro che incoraggiare un nuovo stile di vita, nuove strategie nel lavoro come nel privato e quindi aumentare la fiducia in se stessi. I trattamenti psicosomatici non dovrebbero mancare in quanto, inizialmente, portano energia e forza a livello fisiologico.


DIPENDENZE …  perché è così difficile uscirne?


a dipendenza è una condizione di “resa”, una forma di “schiavitù”, un atto con cui si “consegna” la propria vita a qualcuno o a qualcosa. Un comportamento altalenante, con effetti distruttivi, in base al quale un individuo attiva una relazione distorta con altre persone, situazioni, luoghi o cose. Un abbandonarsi a situazioni che gradualmente dominano e gestiscono la vita del soggetto fino a distruggerla completamente; impulsi forti che spingono l’individuo a compiere azioni dannose non soltanto per se stesso ma anche per gli altri (familiari, amici, colleghi). Un modo sbrigativo per sfuggire ai problemi o per alleviare sensazioni di impotenza, colpa, ansia o depressione. E’ una ricerca confusa del “piacere” attraverso qualche surrogato che, paradossalmente, pur limitando il potere decisionale, rende “accettabile” e “vivibile” il disagio quotidiano: un modo davvero singolare per alleviare la sofferenza quotidiana e sedare il malessere interiore. L’aspetto veramente distruttivo della dipendenza è l’impossibilità assoluta di gestire il comportamento ripetitivo, anche se consapevoli della sua inadeguatezza e del disagio che comporta. Il soggetto getta via il suo tempo, dissipando completamente la sua energia, perdendosi in lunghi ed inutili rituali.
 

uesto rapporto “maldestro”, soprattutto se profondo ed intenso, oltre a far crescere l’ansia, può produrre sbalzi d’umore e modificare negativamente i rapporti interpersonali; la dipendenza - a causa di pensieri “spazzatura” e comportamenti forzati - avvelena, domina, controlla, distrugge, rende schiavi ed impoverisce l’esistenza fino a diventarne la padrona assoluta. Tale esperienza, inoltre, contrariamente a quel che si pensa, non è prerogativa di un’età a rischio e tanto meno circoscritta ad un particolare ceto sociale. E’ un problema endemico che si acuisce con i “crolli” emotivi e si insinua indistintamente, senza misericordia, nelle case dei ricchi, nelle chiese, nelle case popolari, nei colti e negli ignoranti. E’ un fenomeno intenso e travolgente che in maniera subdola prepara il terreno a patologie psicosomatiche ricorrenti davvero importanti come insonnia, eruzioni cutanee, ulcere, cefalea, attacchi di panico e depressione. Il logorio associato alle varie dipendenze, inoltre, può esacerbare o peggiorare alcune condizioni fisiche, spesso già compromesse: intestinali, epatiche, respiratorie, cardiovascolari, neurologiche ed endocrini. La dipendenza, alterando la visione della realtà dell’individuo, non è un’abitudine innocua, una banale scusa, una mancanza di responsabilità o un’incapacità di esercitare il controllo su determinate situazioni, ma è - secondo il DSM IV - un vero e proprio quadro clinico che coinvolge aspetti sia fisici sia psicologici.


l ventaglio delle dipendenze è particolarmente ampio: da sostanze chimiche (collegate al consumo: alcol, cibo, nicotina, farmaci, psicostimolanti) e psicologiche (collegate al comportamento: - shopping, tentare di colmare un vuoto interiore oppure sentirsi più potenti in virtù del fatto di lasciarsi andare a spese pazze - gioco d’azzardo, difficoltà a gestire la propria affettività - sessuale, distrazione e sollievo emotivo - affettiva, scarsa autostima e bisogno di definire il proprio valore in base all’opinione altrui - lavoro bisogno ossessivo di garantirsi il futuro attraverso l’accumulo di ricchezza e beni - internet, mezzo per evitare qualsiasi approccio costruttivo al vivere con se stessi e gli altri). La distinzione tra “fisica” o “psicologica” è comunque solo teorica perché tutte le forme di dipendenza alterano e modificano la chimica cerebrale attraverso complessi messaggeri chimici (neurotrasmettitori). Al riguardo si veda la complicata natura della dipendenza da gioco d’azzardo, definita drugless, in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica esterna. Ogni dipendenza, infatti, proprio perché agisce su precise zone cerebrali, dando un senso di esaltazione e piacere provvisorio, alimenta la ricerca del benessere illusorio e scatena il desiderio di ripetere l’esperienza “tossica”. Per la complicata natura assuefante del fenomeno, quindi, non è possibile fare una netta distinzione tra fattori biologici della dipendenza ed elementi psicologici della stessa. 


e sostanze psicoattive (in maniera più marcata) e i vari sentimenti umani attivano sempre uno scambio di informazioni tra milioni di cellule nervose. Questa alterazione, agendo sullo stato emotivo, si impossessa lentamente della persona fino ad annullarla completamente: si diventa, man mano che passa il tempo, sempre meno padroni della propria vita. Un ebbrezza altamente distruttiva che assorbe completamente tutte le energie mentali e conduce ad una vita di sterile infelicità. Gesti e rituali che danno un sollievo temporaneo ma che fanno aumentare l’angoscia anziché ridurla. Cosa fare. Avere la consapevolezza di questi problemi al loro esordio, prima che diventino parte integrante della vita e del modo di pensare, comporta sicuramente dei vantaggi notevoli. E’ un po’ come riparare le tegole di una vecchia casa prima che venga danneggiato il tetto e lentamente tutto il resto dell’edificio. La tentazione, proprio per la natura complicata della sofferenza emotiva, è di non curarsi del problema e di continuare a sopravvivere con la speranza che qualcosa di “miracoloso” possa aggiustare ogni cosa, ma prima o poi la piccola “rottura” iniziale rovinerà l’intonaco e quello che avrebbe potuto essere riparato in maniera veloce e con una spesa irrisoria, richiederà costosi ed impegnativi interventi di ristrutturazione. Misure preventive, interventi tempestivi e qualificati rappresentano sempre, proprio per la complessità del problema, la strategia più saggia, conveniente e vincente. Come è stato più volte sottolineato, più si è dipendenti, depressi o compulsivi, più le aree cerebrali di questi sintomi diventano capaci di generarli (kindling). Un programma terapeutico tempestivo ed adeguato, oltre a ridurre il rischio di ricadute e aiutare il dipendente ad affrontare il senso di vuoto che emerge nella fase di recupero, permette di velocizzare i trattamenti e migliorare, fin da subito, la vita del malato. Il piano di recupero deve basarsi sulla comprensione del significato della dipendenza per il singolo soggetto e delle valenze specifiche attivate in ciascuna situazione.

L’Alcolismo … è molto di più del fatto di bere


alcolismo, detto anche etilismo, e’ uno stato di dipendenza definito come l’insieme dei fenomeni patologici provocati dall’abuso di bevande alcoliche. Tale condizione assume caratteristiche di cronicità quando l’abitudine al consumo di bevande alcoliche si prolunga nel tempo, mentre acuta, se si riferisce alla semplice “ebbrezza” episodica. I fattori psicologici che “spingono” l’individuo ad assumere l’alcol in grandi quantità ed in modo continuativo sono: stato di tensione, difficoltà relazionali, sentimento di insicurezza, incapacità di autoaffermarsi e bisogno continuo di gratificazioni. L’uso di alcol comunque non è un fenomeno recente e non appartiene sicuramente a questo periodo storico. I nostri antenati, infatti, avevano scoperto – oltre gli effetti apparentemente benefici come forza e coraggio – molti metodi per produrre alcol e altre sostanze psicoattive, a cui veniva riconosciuto un valore spirituale tale da farne il centro di cerimonie religiose e riti di iniziazione sociale. Anche la medicina popolare utilizza da sempre questa sostanza per alleviare il dolore, sia fisico sia psicologico, per dare rilassamento, conforto e felicità, per migliorare le prestazioni e favorirne la socializzazione. Molte persone riescono a godere dell’effetto piacevole dell’alcol senza diventare dipendenti e sopportare conseguenze negative. Nella maggior parte dei casi, però, i consumatori di alcol da occasionali diventano abituali e, quando la dipendenza si è instaurata, ogni momento della giornata ruota attorno alla ricerca di questa sostanza; non appena gli effetti di una “dose” scompaiano inizia l’attesa spasmodica della successiva. 


sintomi fisici e le conseguenze psicologiche sono gravi e gli effetti negativi coinvolgono l’intera società, oltre ovviamente il consumatore: aumentano gli incidenti d’auto e sul lavoro, i divorzi, i crimini e le violenze, calano la produttività e la coesione sociale. I soggetti che abusano di alcol difficilmente riescono ad ammetterlo; anzi, il più delle volte, lo negano anche di fronte all’evidenza dei fatti. Molto prima di danneggiare il fegato, l’alcol causa perdita della memoria e gastrite; i continui ritardi sul lavoro o le frequenti assenze per malattia portano al licenziamento; il vizio del bere è motivo di gravi problemi familiari, spesso di divorzio, e di comportamenti socialmente pericolosi come la guida in stato di ebbrezza. Quando si abusa di alcol la vita è dominata da dolorose contraddizioni e si impara a mentire, soprattutto, a se stessi. Si ama la famiglia ma si trascurano i doveri; non si chiede aiuto ma si ha il bisogno di qualcuno su cui contare; si assumono sostanze con la speranza di alleviare depressione, ansia e tristezza esistenziale che invece si fanno sentire ogni giorno di più, non appena sfuma l’effetto acuto dell’alcol; si lavora con accanimento ma non si riesce a concludere nulla di buono (… non c’è soddisfazione!) provocando i malumori di capi e colleghi; si crede di trovare sicurezza e autostima in una sostanza che in realtà costringe a una forma di schiavitù terribile e, infine, si compiono sforzi davvero immani per uscire dal circolo vizioso in cui si è intrappolati e, ogni volta, poi … si ricade. La dipendenza da sostanze può essere fisica o psicologica. Quella fisica si instaura perché il cervello umano è dotato di uno straordinario sistema di adattamento: le cellule nervose, a contatto con una sostanza estranea si adattano ai suoi effetti e modificano gradualmente il numero, la configurazione e la sensibilità dei ricettori specifici. Un eccesso di sostanza all’inizio provoca un effetto intenso sulle cellule nervose, che si attenua con l’abitudine. Questo fenomeno detto “tolleranza”, è un meccanismo protettivo che permette al sistema nervoso di adattarsi alla sostanza; ma è anche il responsabile di quel comportamento tipico dell’etilista che lo spinge ad avere bisogno di quantità sempre maggiori della sostanza per ottenere il medesimo effetto, esponendo il cervello e il corpo a dosaggi altissimi e tossici. 


’alcol, infatti, è una droga potente che anestetizza il cervello, mima gli effetti di sostanze naturalmente presenti in esso che danno benessere, rilassamento, piacere ed eccitazione. Nell’area corticale del cervello, l’alcol agisce come rilassante e frequentemente distorce la capacità di apprendimento, la memoria, il giudizio e il comportamento. Ma non ha un effetto devastante solo sul cervello. Tutte le cellule sono esposte agli effetti tossici dell’alcol, in particolar modo il fegato e i reni. Non devono essere esclusi comunque i rischi per molte altre patologie come il cancro e i disturbi mentali. Alcuni orientamenti scientifici hanno classificato i bevitori problematici in base a tre grandi tipologie: il bevitore compulsivo – fortemente esposto alla depressione che tende a produrre troppa istamina; il bevitore da sbronza del sabato sera – che può avere bassi livelli di istamina e alti livelli di rame; il bevitore ipoglicemico – che sostituisce lo zucchero con l’alcol. La dipendenza psicologica, invece, consiste nella perdita del controllo sull’utilizzo della sostanza, cioè nel cercare di porsi dei limiti senza riuscirvi. Numerose teorie cercano di spiegare le ragioni per cui questa dipendenza induce in un individuo la coazione a bere. Molti etilisti sono persone ipersensibili, forse troppo sensibili, con grandi difficoltà a sostenere le frustrazioni della vita e di imporsi l’autodisciplina necessaria a smettere di bere. Quasi tutti soffrono di un profondo complesso di inferiorità che cercano di anestetizzare con l’alcol. Un’altra spiegazione può essere quella di evadere la realtà piena di conflitti e tensioni. Mentre per la maggior parte delle persone, chi più chi meno, accettano la responsabilità della vita, alcuni vogliono fuggirle, credono, di non avere la determinazione sufficiente per superarle. Si considerano, a torto, “differenti”. Vi sono molti modi per evadere dalla realtà e all’ansia. Alcuni giocano, altri vanno a donne, altri ancora si masturbano in modo compulsivo e ci sono infine quelli che usano l’alcol. Il motivo sottostante è, tuttavia, sempre lo stesso: anestetizzare, o almeno alleviare in qualche modo, il dolore prodotto dalle vicissitudini personali. 


debiti, un rapporto infelice, la convinzione di un fallimento professionale, la solitudine, la sensazione di non essere considerasti o amati, una malattia sono altrettanto alibi per giustificare questa diabolica abitudine. E’ un suicidio lento, parziale, un “avvelenamento” del corpo e della mente, perché non si riesce a riconoscere il vero motivo che sta alla base del senso di sconfitta, della disperazione. La dipendenza dalle bevande alcoliche diventa paradossalmente il compromesso tra il desiderio di vivere e quello di morire: troppo terrorizzato per morire e troppo spaventato per vivere. Un’altra spiegazione di questa dipendenza psicologica è che l’alcol libera le inibizioni. Abbiamo tutti delle emozioni, un mondo istintivo che ci piacerebbe sfogare, ma non riusciamo perché alcuni “vincoli” non ce lo permettono (il lettore attento avrà capito sicuramente che non si tratta di realizzare atti “vandalici” contro la società ma semplicemente di dare corso ai sentimenti!). L’alcol agisce da stimolante, libera l’individuo dal peso delle preoccupazioni e delle paure, allevia i suoi sentimenti di inferiorità e debolezza, permette di accantonare inibizioni e autocensure che normalmente bloccano i sentimenti, scioglie la lingua, rende un timido un perfetto dongiovanni; gli dà la scusa per essere espansivo, spiritoso e, perché no, un perfetto romanticone. Se si viene respinti, la nostra mente è formidabile nel conservare l’autostima, può sempre dare la colpa al “bicchiere in più” (questo è un comune meccanismo ossessivo compulsivo presente anche in chi frequenta fattucchiere e cartomanti, non si dice forse, quando le previsioni sono negative, ma tanto è un gioco!). COSA FARE. Ippocrate scriveva: “Si beve per alleviare paura e terrore”. Purtroppo chi ricerca il benessere in una sostanza - anche se apparentemente dà una sensazione di forza e coraggio - è destinato ad aggravare anziché alleviare il proprio malessere, a causa proprio dei sintomi psicosomatici connessi all’assunzione continua di alcol. 


li effetti comportamentali prodotti dall’alcol mimano fedelmente i sintomi riscontrabili in chi soffre di disagi emotivi che non fanno uso di sostanze alcoliche, perché il cervello presenta sempre le stesse modalità di alterazione: depressione, ansia, delirio, allucinazioni. Il bevitore problematico, attraverso l’alcol cerca di cambiare la sua vita, di trasformare la sua esistenza e di superare una profonda insicurezza relazionale. In questo modo l’alcol diventa lo strumento, purtroppo inadeguato in quanto illusorio, per sciogliere tutte quelle inibizioni che hanno favorito, nel corso degli anni, l’incomunicabilità con il mondo circostante. L’alcol comunque è e non potrà mai essere uno strumento di felicità. Questa sensazione illusoria di forza, coraggio, felicità e gioia - oltre ad evitare il contatto con i conflitti esistenziali irrisolti - viene trasformata, una volta sfumati gli effetti alcolici, in paura, senso di colpa, isolamento, tristezza, rimorsi. Ecco allora il bisogno di bere nuovamente per coprire quel profondo malessere, per sfuggire ad una realtà deludente … a prezzo di una ulteriore “punizione”. Con l’inebriarsi, infatti, si crea una condizione transitoria di esaltazione, quello che sta intorno “scompare”. Ma quando l’effetto finisce, il bevitore problematico si sente ancora più impotente e più incompreso di prima, a tal punto che è spinto a ricorrere nuovamente all’alcol con una frequenza e una quantità sempre crescenti. La dipendenza da sostanze in genere dura molti anni, con fasi di remissioni e continue ricadute. Non bisogna, però, perdere le speranze: disintossicarsi è possibile, la sobrietà è un obiettivo reale e raggiungibile, molti ne sono usciti con successo. Il primo passo è, ovviamente, ammettere di avere un problema, poi è necessario “impegnarsi” per venirne fuori (senza delegare la risoluzione a qualcosa, qualcuno). Il mondo allora apparirà sotto una nuova luce, sarà grandioso liberarsi della dipendenza. Gli alti e bassi che caratterizzano l’andamento della dipendenza da alcol sono simili a quelli di ogni altra patologia cronica. Non ci si dovrebbe sorprendere né mostrare disappunto davanti a una ricaduta: è controproducente parlare di fallimento morale ogni volta che un etilista ha un “ripensamento” o un piccolo cedimento.


sistono, comunque, molti tipi di cura per l’etilismo (si tratta sempre di metodi che, ovviamente, efficaci per alcuni, non lo sono per altri). Alcune scuole di pensiero chiedono (anche chi scrive ritiene utile questa strategia) che l’individuo esamini se stesso e sia “responsabile” nel farlo. Questo è il metodo che più di ogni altro ha dato buoni risultati. L’analisi transazionale agisce sul comportamento, la psicoterapia tradizionale ricerca le radici della dipendenza e del significato simbolico della “bottiglia”, la medicina allopatica prescrive spesso farmaci che, il più delle volte, provocano il vomito quando si ingerisce l’alcol. Anche l’ipnosi è uno strumento che può essere molto utile nel vincere l’etilismo, specie se usata in combinazione con un programma terapeutico ben preciso e, ovviamente, coordinato da una persona qualificata. Altre scuole “organiciste”, invece, sostengono che la dipendenza da alcol ha molto a che fare con gli squilibri biochimici. I tipi ad alta produzione di istamina sono particolarmente inclini all’alcol e possono in genere tollerarlo bene. Un’ampia percentuale di bevitori sono forti produttori di istamina: usano l’alcol come un lento suicidio. Il bevitore da sbronza occasionale ha più probabilmente bassi livelli di istamina. In stretta relazione con l’alcol, molti ipoglicemici diventano dipendenti dall’alcol invece che dello zucchero. Ed è pratica comune degli etilisti, quando non possono bere, usano larghe dosi di zucchero in sua vece. 


dentificare quali di questi fattori svolga una parte importante nella dipendenza fornisce un indizio su come modificare la “nutrizione” per ridurre il desiderio. Leggere queste righe, comunque, non è sufficiente per risolvere un problema di dipendenza; lo scopo è quello di riconoscere o ammettere che tale drammatico problema c’è e, soprattutto, avere informazioni utili; tutto ciò rappresenta un primo, importante passo sulla lunga e difficile strada della guarigione. Non bisogna mai dimenticare che un consumo moderato, se di buona qualità, può essere un elemento di benessere, mentre delegare agli alcolici la risoluzione dei conflitti porta inevitabilmente all’infelicità. Per cui è sempre indispensabile scegliere e selezionare cosa bere - anche da un punto di vista organolettico - sia il tipo di “liquido” sia la qualità, perché in questo modo è possibile gustare la sostanza e cogliere quegli aspetti piacevoli (odore e sapore) che ci permettono di “dominare” la bevanda anziché essere “inghiottiti” da essa (perché anche questo appartiene ai piaceri della vita). Un altro aspetto importante, per contrastare l’assunzione di alcolici, è quello di riflettere sulle cose che ci fanno realmente star bene - mettere a fuoco le sorgenti di piacere - senza ricorrere a quel meccanismo automatico del bicchierino per riprendere “quota”. L’alcol, inoltre, a lungo andare, cerca di strutturare in modo automatico e ripetitivo lo stile di vita, tutto ruota attorno al rituale del bere: la cena, comprare la “sostanza”, l’occasione per bere qualcosa. Per stroncare questa modalità reattiva, quindi, è spesso indispensabile introdurre elementi innovativi (nella propria esistenza) in modo tale da stimolare nuove scelte e nuovi comportamenti.



Pianeta Alco …  il nettare del diavolo


’essere umano da sempre ha il desiderio di trascendere se stesso (oltrepassare, andare oltre): è portato ad ampliare le proprie potenzialità, prestazioni, esperienze, a ricercare con ogni mezzo il piacere o il rilassamento, mettere in atto strategie per evitare il dolore. E’ affamato di cultura, ingordo di fantasie gratificanti, di potere, di controllo, di essere in un sogno, di essere “in un mondo a sé”. Nella ricerca di “paradisi artificiali” ha conosciuto e creato molti strumenti e varie sostanze (si veda ad esempio il Viagra): una di queste è l’alcol (alimento – droga). L’alcol è la sostanza psicoattiva più antica dell’umanità, oltre che più diffusa, poco costosa e a portata di mano. Nella ritualità cristiana lo troviamo nell’Eucarestia: il grande mistero del pane e del vino. Mentre nella mitologia Dionisio (o Bacco), divinità dell’ebbrezza, veniva celebrato il tutta la Grecia attraverso questa bevanda considerata immortale. In apparenza, l’assunzione di questa sostanza alcolica dà forza e coraggio. L’alcolismo non dovrebbe mai essere sottovalutato, perché la continua assunzione di tali bevande può causare gravi patologie al fegato, danni cerebrali, cancro al pancreas, obesità, anemia, problemi sessuali, disturbi al sistema nervoso e al cuore. Chi beve cerca nella sostanza alcolica il “fuoco” capace di accendere la vita, di darle una spinta e far emergere, seppur momentaneamente, uno stato di coscienza diverso. Per la stessa ragione questa bevanda, come altre sostanze inebrianti, è ricercata nei rituali di cambiamento, in quanto, operando un’alterazione di consapevolezza, consente di oltrepassare i confini della razionalità, così da permettere alla mente di “andare oltre”: libero sfogo agli istinti rompendo gli argini dei limiti e del controllo. Che l’alcol, abbia anche effetti positivi è indubbio: l’antica medicina ippocratea lo considerava, preso in maniera moderata, come un vero e proprio farmaco (il problema è trovare la giusta misura). Un consumo occasionale e moderato di alcol, se di buona qualità, può essere sicuramente un elemento di benessere, mentre delegare alle “droghe” la risoluzione dei propri disagi porta dritto all’infelicità. 


uperare i problemi relazionali, specie con l’altro sesso (non solo femminile, adesso anche maschile), è ancora oggi uno dei tanti vantaggi ricercati nell’alcol: come se il trangugiare tale sostanza permettesse, in qualche modo, di sciogliere completamente le inibizioni che creano una barriera, un muro di incomunicabilità tra se stessi e gli altri. Mi raccontava qualche tempo fa, una signora in terapia, che nella sua vita non aveva ancora trovato un “passatempo” migliore, nonostante la sua avanzata età, che scolarsi alla sera a cena, prima di coricarsi, due bottiglie di buon vino bianco frizzante… era l’unico strumento per smorzare il senso diffuso di smarrimento e inutilità. Reggere la solitudine è invece il peso che solitamente si cerca di spartire con un calice in più, soprattutto quando è costellata da pensieri negativi su se stessi: autoaccuse, senso di inadeguatezza, fallimenti, sensi di colpa. Proprio per la sua capacità di “bruciare via” i pensieri nefasti, l’alcol sembra diventare, ovviamente a torto, la scorciatoia più sicura per la felicità. Come in tutte le dipendenze da sostanze (cibo, fumo, droghe) il mito da smantellare, in realtà, è che l’alcol sia uno strumento di felicità: la sua costante assunzione distrae dai veri malesseri da cui si fugge bevendo, cronicizzandoli spesso per sempre. Dà infatti una sensazione illusoria di coraggio, calore, gioia, che però, una volta svaniti gli effetti, si trasformano in paura, freddo interiore e tristezza. Il soggetto che beve diventa lunatico, strano, sconcertante; passa improvvisamente dall’allegria alla tristezza e i periodi di malinconia sono sempre più lunghi e frequenti: emergono collere improvvise, che possono a volte evolvere in aggressività verbale oppure in atti veri e propri di violenza.
 

 tratti fisiologici cambiano improvvisamente: le palpebre si gonfiano, i denti si guastano, la sclera diventa più opaca e perde la sua limpidezza. Ecco l’urgenza di mettere a fuoco i problemi che spingono a bere e, una volta individuati, valutare con lucidità se si sta consegnando all’alcol la soluzione. Riflettere e fermarsi a considerare ciò che veramente può far star bene, senza cedere nell’automatismo del “calicino” è una strategia per alcuni semplicistica, ma sicuramente efficace, per identificare le sorgenti di piacere messe in ombra dai fumi dell’alcol. Quando si avvertono, inoltre, in maniera continuativa i sensi di colpa vuol dire che il boccale di birra o il calice facile di vino non costituiscono più una piacevole occasione, ma diventano la fonte di autorimproveri, di disistima e profonda sofferenza. Cosa fare. Negare di avere un problema di questo tipo rappresenta il principale sintomo dell’alcolismo. La prima fase comunque del trattamento si concentra sulla disintossicazione, riposo, buona alimentazione (sempre cereali e legumi integrali per rendere alcalino l’organismo; distrugge alcune vitamine: A, C, B12, PABA.) ed, eventualmente, sempre seguendo le indicazioni del proprio medico, l’assunzione di specifici integratori per ovviare ai danni causati all’organismo (l’alcol distrugge varie vitamine e non solo)


oiché l’alcolismo è spesso un sintomo di relazioni familiari o di matrimoni poco felici è indispensabile non solo una consulenza qualificata per capire le dinamiche psicologiche negative tra i vari componenti ma, soprattutto, il soggetto deve riappropriarsi di strumenti idonei per superare i danni subiti. Un malessere diffuso aleggia per la casa e si sviluppa, inevitabilmente, in tutti i membri della famiglia una comunicazione sempre più povera e distorta: un’incomprensione disastrosa si installa in famiglia. L’alcolismo infatti, non deve mai essere dimenticato, oltre a distruggere se stessi, distrugge completamente le famiglie e crea forme di comunicazione particolarmente negative. La guarigione dall’alcolismo è un processo lento e, per i primi tempi, pieno di insidie: le ricadute sono, purtroppo, piuttosto comuni. Proprio per questo pericolo i programmi terapeutici sono concentrati sia sulla prevenzione delle ricadute sia sulle strategie di sviluppo attraverso le quali è possibile far fronte e convivere con un costante desiderio di alcol. Parallelamente a questa evoluzione psicologica, le persone che stanno superando una forma di abuso o di dipendenza da alcol, possono fare molto per appianare le difficoltà: esercizio fisico (si producono endorfine, allevia la tensione e migliora l’immagine di sé), tutte quelle metodiche terapeutiche utili per controllare lo stress, come rilassamento progressivo, ipnosi, biofeedback, touch of health.

Cluster C .Disturbo Evitante di Personalità

(Ipersensibilità agli eventi, sentimenti di inadeguatezza, eccessiva sensibilità alle critiche e al rifiuto). La persona evitante si sente impacciata e imbarazzata nella vita sociale, teme i giudizi negativi e manca completamente di fiducia in se stessa … è estremamente vergognosa, timida, introversa, si sente sciocca e non si fida degli altri. Persone che temono fortemente le critiche, di rivelare i propri vissuti e aspetti della propria personalità ritenuti "difettosi" che li rendono particolarmente vulnerabili e deboli. Ancor prima di entrare in rapporto con qualcuno deve essere rassicurata che è ben accetta e, soprattutto, che tale relazione non abbia termine … se non ha queste garanzie diventa goffa, reticente, scostante, si ritira dalla situazione interpersonale e lavorativa. Difficilmente inizia nuove attività o rischia in prima persona perché - oltre a produrre ansia anticipatoria - pensa di essere inadeguata e non all'altezza delle situazioni … teme di fallire, di far pessima figura, di essere criticata o rifiutata. In questa personalità si possono trovare elementi di altre strutture: schizoidi, narcisistici, ossessivi - compulsivi e depressivi.


IASSUNTO (Disturbo di Personalità Evitante). I soggetti appartenenti a questo tipo di organizzazione, pur desiderando ardentemente di allacciare rapporti umani e godere di essi, sono talmente timidi e impacciati da rifuggire la minima vicinanza o il piccolo contatto con gli altri … le fantasie di affetto sono tante ma non riescono a legare o avere rapporti umani adulti. Sono sensibili e spaventati dai loro simili perché sono vissuti come troppo severi, critici e esigenti da soddisfare (che è poi lo stile di vita di questi soggetti … una perfetta fotocopia dei loro timori. Quando finalmente riescono ad instaurare un rapporto con persone che si fidano, sono terrorizzati che tutto possa finire da un momento all’altro … i legami comunque sono sempre mantenuti in forma eccessivamente adesiva e di sottomissione. Anche quando sono obbligati a rapporti non desiderati, gli stati d’ansia e d’angoscia diventano insostenibili, accompagnati sempre da una serie di manifestazioni somatiche invalidanti (tachicardia, problemi intestinali, sudorazione, mal di testa). 


on solo evitano le situazioni - in quanto temono le critiche, i giudizi negativi, i richiami, i rifiuti o le eventuali umiliazioni - ma per non farsi notare diventano persino invisibili. Essendo continuamente a disagio in ogni situazione pubblica, la tentazione di abbandonare ogni cosa e di isolarsi dal mondo intero, man mano che passa il tempo, diventa sempre più forte. Spesso i tentativi di socializzazione forzata risultano maldestri e di una goffaggine fantozziana. Possono apparire aggressivi oppure con evidenti tratti depressivi (un po’ paranoici). Gli impegni sociali per questi individui sono a dir poco un vero incubo da evitare ad ogni costo. L’evitamento è sempre una modalità difensiva messa in atto per gestire la vergogna, l’imbarazzo, il rifiuto e il fallimento … se non faccio niente, nulla potrà ferirmi o farmi male! La bassa autostima, il timore di essere sciocchi o non appropriati, la profonda ipersensibilità e il terrore di essere respinti sono i motivi principali che li spingono ai margini di qualsiasi attività sociale (scolastica, lavorativa) … diventano vulnerabili anche quando percepiscono che qualcuno non nutre simpatia nei loro confronti … si considerano inadeguati sia a livello fisico sia a livello mentale. Nell’ambito lavorativo, sono soggetti destinati a vivere in penombra perché, avendo paura, rifiutano ruoli di responsabilità e impieghi prestigiosi. 


on amando le novità e i cambiamenti repentini conducono una vita sempre uguale, noiosa, vuota, insignificante e banale … non fidandosi (i contatti umani sono davvero all’osso) o per timori di obblighi sociali improvvisi rimangono tenacemente aggrappati alla routine quotidiana e dominati da quelle poche persone di cui si fidano. Diventa un soggetto incompleto in quanto isolandosi da ogni cosa non riesce ad affinare certe abilità sociali e, quindi, privo di esperienza appare - in tutte le occasioni - inesperto, inadeguato, impacciato e incapace di competere. Risultato, il soggetto evitante si sente per niente sicuro, poco considerato, rifiutato, deriso e umiliato. Nella loro esperienza evolutiva ricordano un ambiente in cui rapporti con le figure di riferimento era caratterizzato da sentimenti di vergogna e di continuo rimprovero… soggetti spinti a realizzare un immagine di se stessi a dir poco irraggiungibile. Tutti questi atteggiamenti sono facilmente riattivati in fase di forte stress nei rapporti con gli altri e nella vita sociale in generale.


Infanticidio (neonaticidio, figlicidio)… la sindrome di Medea

entre scrivo questo articolo, i mass media riportano quasi quotidianamente storie raccapriccianti di omicidi tra le mura domestiche… atti efferati e brutali, apparentemente incomprensibili. Negli ultimi tempi i casi di madri “smarrite” che uccidono in modo disumano e crudele i propri piccoli sembrano essere aumentati, rispetto al passato. Un’azione delittuosa complessa che si sta allargando, indistintamente in ogni parte del mondo, a macchia d’olio. Le madri annegano e soffocano, mentre i padri hanno la tendenza ad utilizzare metodi più aggressivi, quali battere, schiacciare o pugnalare. Gli infanticidi sono spesso opera di donne relativamente giovani, immature, fragili, frustrate e isolate, più che “malate”. Tale atto non sempre si realizza in ambienti socialmente problematici o economicamente difficili. Il gesto estremo è spesso compiuto, secondo alcune accreditate ricerche, perlopiù da madri istruite e agiate. Le condizione economiche precarie, di emarginazione e di ignoranza oramai, non “interessano” più, non fanno più notizia e, soprattutto, non aumentano la tiratura dei giornali.  La cronaca nera, infatti, enfatizza e ha particolare predilezione per avvenimenti che scaturiscono in situazioni di “normalità”: fa più notizia! 


a nascita, comunque, viene vissuta da alcune madri come un periodo difficile, un ostacolo, una vera tragedia esistenziale, un impedimento al proprio agire … diventa una potente “maledizione”. La vittima quasi sempre non è mai desiderata o voluta… è capitata per leggerezza e irresponsabilità. All’origine di questa azione delittuosa spesso troviamo madri con dinamiche di convivenza difficile, sentimenti contrastanti, legami affettivi e relazionali conflittuali … una grande difficoltà emotiva a prendersi cura o amare i propri figli (lo stato di salute della madre cambia comunque a seconda dell’età della vittima). La madre, spesso, si sente impotente, frustrata, messa da parte, confusa, insicura, incapace di stabilire buone relazioni mature con il bambino. Spesso terrorizzata al solo pensiero di non essere in grado di adempiere alle basilari funzioni materne… l’unico pensiero dominante, in alcuni omicidi, è che solo la morte può evitare alla vittima il destino peggiore della morte stessa (stato depressivo). Solo in pochi casi esse si inseriscono in un contesto psicopatologico che testimonia gravi disturbi psicotici (psicosi reattiva post - partum). Non è un fenomeno raro, è sempre esistito in tutte le culture, la storia ci tramanda racconti molto noti, brutali e inquietanti. Già nella tragedia di Euripide, una madre (Medea) gelosa e vendicativa, uccide i suoi figli per rivalsa nei confronti del marito (Giasone) che l’aveva tradita e abbandonata. Medea allora sopprime i figli come conseguenza del gesto abbandonico da parte di Giasone, che la ripudia per sposare Glauce. La donna annienta i propri figli con assoluta freddezza e determinazione, usandoli come arma per “colpire” il responsabile della sua profonda solitudine. Un personaggio che colpisce brutalmente, lascia sgomenti perché si arroga il diritto e il potere di vita o di morte: così come da la vita, così la può togliere … dal mito, alla sindrome di Medea. Non dobbiamo dimenticare che la nascita di un figlio, per alcuni, è una fase della vita delicata, può essere vissuta con immensa gioia ma anche con inquietudine, smarrimento e disperazione senza via d’uscita …


un grande calvario dove si concretizzano certe insoddisfazioni e amarezze. Può essere il prodotto dell’amore, della passione, del desiderio, ma anche di un vuoto infinito e di una profonda solitudine. Tale nascita può riattivare nella neo mamma vissuti, ricordi, fantasmi emotivi e relazionali dell’ambiente familiare d’origine. La realtà non viene più vista per quella che è, ma filtrata e deformata attraverso le proprie esperienze, i propri ricordi infantili e la proprio personalità, attribuendole un significato minaccioso, di disgrazia, di tragedia e di sofferenza interminabile. Il nucleo familiare, allora, non essendo più un posto sicuro e protetto, diventa un luogo che crea condizioni di pesanti frustrazioni, doveri ingestibili e di infinite responsabilità. La maternità è un’esperienza concreta che non ha niente a che fare con l’immagine propinata dagli spot televisivi della brava madre, efficiente e preparata alle prese con un pannolino tecnologico o unguenti profumati. Non solo richiede responsabilità e maturità ma, in alcuni casi, necessita di un supporto deciso e di un sostegno concreto. Riconoscere in anticipo i fattori di rischio e cogliere le varie richieste di aiuto con un certo anticipo è fondamentale come prevenzione e cura. Sono fenomeni che non arrivano all’improvviso, ma sono preceduti da pensieri e comportamenti sia di suicidio sia di infanticidio.


olti sono i segnali di “cedimento” e di pericolo: irrequietezza, aggressività e urla esagerate verso il piccolo, colpirlo ripetutamente con sadismo e l’intento di fargli male, ignorarlo o allontanarsi se piange o è in pericolo. Anche alcune idee psicotiche (delirio) possono essere preziosi indizi: non è mio figlio, qualcuno vuole portarmelo via o fargli del male, è l’incarnazione di Dio o di un demone. Queste persone, purtroppo, non avendo una chiara consapevolezza della loro sofferenza non chiederanno mai un aiuto diretto… quasi sempre lo chiedono con un loro codice preciso, in maniera sfumata, senza mai trovarlo in questa società fredda e di “grande” civiltà dei G 20. Un fenomeno, comunque, che vale per tutti i disagi emotivi, perché solitamente sono soggetti talmente confusi che non si rendono conto della loro esistenza fatta di stenti, completamente vuota e priva di vitalità. Può essere difficile per i familiari ammettere con se stessi o con altri che i propri cari sono da considerare a rischio di un atto incontrollabile. Ma per quanto arduo possa essere, il pericolo è troppo grande per ignorare i segnali d’allarme sopraindicati. Accertamenti e cure sono essenziali. In ogni caso lo scopo del “trattamento” è di recuperare la speranza, la fiducia e la lucidità, ridare il piacere nelle cose per affrontare il futuro e la vita in maniera più vantaggiosa e serena. Qualunque sia il problema è importante capire che la vita può essere ricca di soddisfazioni … coraggio, nessuno è colpevole, cerchiamo aiuto e andiamo avanti.




INDECISIONE  …  quando i “non so” paralizzano la vita

uando si prende in esame un argomento così importante come l’indecisione non si può fare a meno di rievocare quella famosa parabola medievale, a me tanto cara per i suoi contenuti fiabeschi, chiamata “L’asino di Buridano”. In tale novella si racconta che un asino, accovacciato in perfetta simmetria tra due mucchi di fieno e due secchi colmi di acqua fresca, nonostante fosse affamato e assetato - posto a uguale distanza dall’acqua e dalla biada - non c’era niente che lo spingesse ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. L’animale, indeciso su come cominciare, mangiare o bere, restò fermo e morì dopo poco tempo. L’individuo indeciso è po’ come “l’asino di Buridano”, non sa se è meglio prendere o lasciare, fare o non fare, dire o non dire, restare o andare: prigioniero dei suoi stessi pensieri si annulla completamente nell’inazione. Ma anche quando sceglie - pensa di essere libero - molto spesso è pilotato da schemi di pensieri fissi e modalità comportamentali che appartengono ad altri tempi, ad altri personaggi che hanno già scelto per lui. Il pensiero, infatti, difficilmente procede in maniera lineare o da sé. Deve passare attraverso sentimenti ed emozioni particolarmente complesse che spesso lo influenzano. In ogni momento della vita l’età, le situazioni, il tono dell’umore e lo stato emotivo condizionano la qualità del processo decisionale anche se in quel frangente l’unica attività è solo il pensare. Nello specifico possiamo dire che l’indecisione è un processo che riguarda più l’ambito del fare e, quindi, della rinuncia in generale. In certi casi - aprendo la mente - è sana e utile, può essere un momento creativo in cui una giusta riflessione permette di sviluppare maggiori conoscenze e prelude a soluzioni vantaggiose, ma può anche diventare un limite, una fonte di disagio, in quanto si rimane sempre fermi, immobili, bloccati in una indifferenza neghittosa … ovvero, con un pugno di mosche. 


uando il fenomeno diventa abituale si corre il rischio di impantanarsi nell’immobilismo, dimenarsi nelle tetre paludi del dubbio e, cosa più grave, sostare nell’orbita della dipendenza altrui. Attraverso il processo decisionale, invece, si esprime la vera personalità e si esce dal conformismo: si diventa liberi, spontanei, originali, artefici di se stessi. La difficoltà a prendere decisioni, fare delle scelte, complica enormemente tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Ostacola la crescita, rende mediocri e blocca completamente lo sviluppo emotivo, conduce ad innumerevoli insuccessi e sconfitte - soprattutto nei rapporti interpersonali - e concorre alla repressione dei sentimenti, creando in tal modo tutti i presupposti per un cattivo stato di salute. Ogni indecisione, di natura maligna, facilita e produce sentimenti di impotenza, frustrazione, invidia, collera, amarezza, disperazione senza rimedio. Tutte le volte che si attiva un atteggiamento di rinuncia, molti tratti della personalità si annullano, si spengono e si “atrofizzano”, non sono più disponibili per il soggetto. Tutto ciò produce ansia, unita a un senso di profonda insensibilità e di vuoto (tristi, stanchi e depressi). Ogni decisione, al contrario, se presa liberamente, fa sentire vivi, vitali, in contatto con i propri gusti e i propri valori. L’indecisione comunque non è un fenomeno genetico: indecisi non si nasce si diventa. Prendere una decisione, dovrebbe essere fonte di benessere, di soddisfazione, ci si sente liberi dai vincoli del passato (si esce dal gregge), accresce l’autostima, integra e unifica aspetti diversi della personalità, ma il più delle volte, purtroppo, in certi momenti esistenziali, quando le difese psicosomatiche sono al minimo storico, provoca, fastidio, tristezza e dolore: i timori di sbagliare e di soffrire complicano davvero la capacità decisionale. Diventa un’impresa difficile quando i processi mentali sono tormentati da insoddisfazione, da pensieri fissi, da una continua attesa, da illusioni, da eterne lamentele, da fatica eccessiva. La stima e la fiducia di sé condizionano enormemente il processo decisionale.


olti sono gli atteggiamenti che possono favorire questa paralisi strisciante e spingere ad un cattivo uso del pensiero: non fare nulla, infatti - oltre ad essere un perfetto alibi - non si rischia assolutamente di soffrire, una scelta può scontentare qualcuno e allora è meglio non prendere posizioni, essere sempre perfetti in ogni situazione è talmente faticoso che forse non prendere nessuna decisione è la cosa migliore. Se questo fenomeno diventa un unico modus vivendi, un vero e proprio stile di vita, tutte le tensioni si scaricano sull’unità psicosomatica. L’esitazione cronica ripercuotendosi sul corpo e sulla mente produce, nel tempo, anche disturbi piuttosto gravi. Tutta l’energia bloccata (agitazione, contrazione, tensione), cortocircuita nel corpo e, insistentemente, cerca una via per scaricarsi, si esprime attraverso: stanchezza cronica (l’energia si consuma e brucia velocemente), colite (l’incertezza provoca sensi di colpa, contrazioni, spasmi), ansia (anticipa un ipotetico errore o veri e propri disastri esistenziali), vertigini e svenimenti (le scelte sono a senso unico, troppo rigide, un modo per sottrarsi ad una realtà invadente, temuta e non voluta), cefalea (cervello iperattivo, il sangue ristagna nei vasi). Cosa fare. Anche in questo caso la “volontà”, il “potere razionale”, la “forza del pensiero”, qualsiasi sforzo, serve a ben poco, perché in queste condizioni psicosomatiche si è talmente tesi e contratti da non essere più spontanei, liberi, rilassati e sereni nel prendere una decisione, anche la cosa più banale diventa un’impresa titanica (sono vantaggiose tutte quelle metodiche terapeutiche che allentano le tensioni e la rigidità in generale). Prendere una decisione, inoltre, significa essere più sicuri e in sintonia con se stessi: pensieri sentimenti, valori (rispettare più se stessi, accorgersi veramente di se stessi … sentire, percepire gli stati d’animo, non abbandonarsi agli automatismi)


ualsiasi decisione, poi, coinvolge sempre il tempo presente, non riguarda il passato tanto meno il futuro, solo l’istante ha valore. Lasciarsi influenzare dal passato e dal futuro (esperienze passate o quello che accadrà), lasciarsi fagocitare dai contenuti di questi tempi, significa perdere il contatto con la realtà, perdere la consapevolezza e il legame con le proprie sensazioni … non essere più padroni del processo decisionale (il passato - non esiste più - è pieno di sensi di colpa mentre il futuro - che deve ancora venire - è colmo di ansia e tormentato da ipotetici disastri). La decisione, inoltre, è prerogativa e privilegio di ogni essere umano per cui è meglio evitare di coinvolgere altre persone … che ne sanno realmente gli altri dei nostri veri desideri, sensazioni e passioni!




Cluster C .Disturbo Ossessivo - Compulsivo di Personalità

(Rigidità, perfezionismo, controllo, eccessiva attenzione e preoccupazione per l'ordine, pensieri ricorrenti e comportamenti rituali).

L'esperienza interpersonale inizia con un clima persecutorio, con un atteggiamento di controllo e di giudizio, un punto di rifermento colpevolizzante e poco gratificante (non a caso l'ossessivo porta dentro di se uno sguardo pietrificante del genitore, che fulmina ancora prima di agire). Una lotta continua tra bimbo e genitore sull'affermazione e l'espressione spontanea che produce rabbia e aggressività verso l'altro … ben presto, però, proprio per la costituzione fragile del bimbo e per la sua paura della punizione, egli si adeguerà ai dettami genitoriali, rinunciando in tal modo alla propria autonomia e libertà. Sono soggetti caratterizzati da pensieri e atti involontari persistenti, perfezionismo, inflessibilità, rigidità, sempre tormentati dalla puntualità, dal bisogno di fare le cose giuste e perfette, preoccupati per l'ordine, dominati da regole da rispettare … sono critici, esigenti, seri e freddi, incapaci di divertirsi e di distrarsi. 


a grande incertezza che provano verso se stessi e la confusione sul proprio valore li paralizza, li rende catatonici, immobili nei cambiamenti e nel prendere decisioni per paura di sbagliare. La loro sicurezza emotiva (autostima, risoluzione conflitti interiori )viene raggiunta attraverso il pensiero (ossessivo) e l'azione (compulsivo). La struttura Ossessiva - Compulsiva ha un funzionamento simile all'organizzazione narcisistica della personalità e può essere scambiata, in alcuni casi, visto il suo isolamento, con la personalità schizoide. Considerando la funzione dell'eccessivo controllo del soggetto sulle cose e persone, i disturbi fisici coinvolgeranno l'apparato cardiocircolatorio (profonde insoddisfazioni sul piano affettivo), tensione all'apparato locomotore e insonnia serale.



IASSUNTO (Personalità Ossessiva – Compulsiva: DOC). E’ una personalità organizzata attorno al pensare (ossessiva: individuo controllato da pensieri intrusivi, inappropriati, spesso senza senso, involontari e persistenti… pensiero insistente di accoltellare un proprio familiare, pensieri disgustosi) e al fare (compulsiva: individuo spinto da un’azione ripetitiva a cui non riesce opporsi … cibo, droga, attività sessuale, gioco, shopping, controllare e ricontrollare luce e gas, mettere in ordine, lavarsi le mani fino a sanguinare). Pensieri, parole, immagini o desideri che invadono la mente contro la loro volontà e che non riescono a bloccare. Un’ideazione che domina l’intero campo della coscienza e persiste nonostante ci si sforzi di pensare ad altro. Desiderano cambiare i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro idee, i loro comportamenti, ma non sono in grado di farlo … sono intrappolati in questo modello rigido caratteriale. I pensieri, però, non sono innocui causano preoccupazione, disagio e ansia profonda … impossibile scacciarli dalla mente! Il pensare e il fare comunque spesso sono associati, coesistono come ad esempio la sensazione di aver urtato con la macchina un ciclista durante un viaggio, così il soggetto spinto dal timore di aver ferito qualcuno, verifica l’eventuale incidente tornando indietro con la macchina più volte … getta via il suo tempo perdendosi in questi inutili rituali. 


ale disturbo si fa più insistente e grave nei momenti di forte stress. I rituali e le superstizioni sono utilizzati da questi soggetti come modalità adattiva, per rassicurarsi, per neutralizzare l’ansia e per controllare fenomeni interni ed esterni (toccare ferro, evitare di passare sotto le scale, buttare sale alle spalle, lavarsi continuamente le mani, tornare indietro se si incontra un gatto nero). L’ossessivo usa di preferenza l’azione, trae piacere e autostima dall’attività mentale, mentre il compulsivo ottiene sicurezza emotiva attraverso l’azione ed è gratificato nel portare a termine attività specifiche, meticolose e dettagliate. Anche se il soggetto ha piena consapevolezza dell’assurdità di tale fenomeno, il malessere scaturisce dal fatto che esso è completamente in balia dei suoi vari rituali inutili ed estenuanti: non è più padrone in casa propria… perde tempo ed energia. Questi soggetti nella loro storia evolutiva familiare hanno sperimentato sia un eccessivo controllo fisico precoce sia un non controllo … sono costretti a rinunciare a ciò che è naturale a favore di un sociale convenzionale. I rapporti sono formali, moralizzati, privi di calore e vitalità. Hanno avuto a che fare con figure di riferimento che fissano degli obiettivi eccessivamente elevati e si aspettano una precoce e puntuale conformità ad essi … estremamente rigidi e punitivi. Tale situazione (controllo e giudizio) crea nel bimbo sentimenti di rabbia, paura, vergogna e fantasie aggressive. I soggetti con disturbo di personalità DOC sono fortemente ambiziosi, ostinati, scrupolosi, disciplinati, meticolosi, coscienziosi in maniera esagerata e, soprattutto, inflessibili nelle loro convinzioni etiche. Preoccupati delle norme, dei particolari, delle procedure e delle forme, non sono in grado di distinguere tra ciò che è importante e ciò che non lo è. Sono sensibili alle critiche, terrorizzati dalla possibilità di sbagliare, e così spesso evitano di prendere decisioni oppure perdono tempo a ruminare e procrastinare. Odiano i sentimenti d’amore, i gesti di tenerezza e qualsiasi manifestazione di compassione (si sentono imbarazzati) perché sono tutte cose associate a debolezza e vulnerabilità. I processi difensivi di questi soggetti, prevalentemente rivolti a tenere sotto controllo o allontanare sentimenti e desideri, sono: isolamento, annullamento e formazione reattiva.

Conclusioni


a maggior parte di noi tende a presupporre che gli altri reagiscono agli stimoli del proprio ambiente circostante in maniera molto simile alla nostra e, quando ciò non si verifica (sono guai), ne restiamo sorpresi. I dati relativi alla descrizione della “personalità”, spesso ampiamente discordanti tra i vari quadri clinici, dimostrano che le persone sono, al contrario, marcatamente diverse l’una dall’altra. Questo variegato spettro di “Quadri clinici” permetterà di capire te stesso con maggiore chiarezza e magari di “prevedere” come tu - o una persona con caratteristiche del tutto diverse - potresti agire, e perché. Va detto immediatamente che qualche tratto o quadro clinico è utile solo per qualche individuo, e soprattutto per un certo periodo. Dobbiamo tener presente che noi non siamo immobili nello spazio e nel tempo, ma cambiamo continuamente volenti o nolenti. Questo è solo uno dei motivi per cui nessuna “definizione”, per quanto ben fatta, è in grado di cogliere la nostra individualità. 


iò che non risulta immediatamente ovvio è che ogni tentativo di definire un “Quadro clinico” può fornire preziosi informazioni solo se lo si affronta con una certa “delicatezza”. Nell’istante stesso in cui cominciamo a credere che una “definizione” ci si adatti come un guanto, ci ritroveremo con le mani e piedi legati. A quanto pare, più diventiamo consapevoli, meno probabilità avremo di conformarci alla descrizione di un particolare “tratto”. Una delle attrazioni più diffuse nelle famose sagre di paese dei miei tempi, era la “Sala degli specchi”: in quei “pavillons” si camminava lungo una serie di specchi deformanti che falsano l’immagine in essi riflessa, facendoci apparire emaciati o con la testa a spillo, sbilenchi o troppo alti. In modo altrettanto surreale, noi entriamo ogni giorno in una sala degli specchi e confermiamo il nostro senso di identità attraverso gli specchi che gli altri (se non siamo ben “illuminati”) ci presentano. Quasi sempre ci affidiamo a queste immagini riflesse per capire chi siamo interiormente. Fin da piccoli, cominciamo a costruirci un’immagine di noi stessi a seconda di come le figure di riferimento (gli altri) ci vedono, sviluppando particolari strategie per essere ACCETTATI e AMATI. 

a tutti questi “specchi” - genitori, dottori, educatori e amici - hanno schemi mentali, modi di interagire e punti di vista “deformati” dal loro periodo storico e dalla loro educazione. Non possono semplicemente “riflettere” la persona che hanno di fronte, ma solo ciò che i loro condizionamenti permettono di “riflettere”. Cosa ci accade allora da bambini, quando gli specchi in cui guardiamo sono essi obsoleti e “difettosi”? Cerchiamo di adattare il nostro comportamento per uniformarci a un’immagine distorta… nei confronti della quale - per nostra vera natura - combattiamo mettendo in atto strategie e difese (si veda Meccanismi di difesa). Ma tali “meccanismi”, indispensabili durante quel periodo (infanzia), diventano inadeguati quando diventiamo adulti: continuiamo ad utilizzarli anche quando gli specchi originari - figure di riferimento - sono ormai un ricordo. Gli stili di vita e i modelli comportamentali originali sono talmente radicati che sono difficili da correggere o da eliminare completamente se non attraverso un processo psicoterapeutico … profondamente consolidati nella persona che crediamo di essere. 


’assurdità della situazione sta nel fatto che costantemente ci identifichiamo con un falso senso di sé, attraverso uno specchio difettoso che in realtà non esiste più. Questo originale approccio alla conoscenza del vero sé consente di guardare se stessi in modo del tutto nuovo ed originale. Un modo che permette di riflettere su come ci si sente veramente e capire che molte difese hanno influito sulla forma del corpo e della mente … aiuta a costruire gradualmente, in base a tali dati, chi sei diventato. Comprendere le motivazioni di fondo del comportamento e perché ci identifichiamo con esso. La maggior parte dei nostri tratti caratteriali è acquisita - forgiata da persone ed eventi del passato - ed è ormai fissata in modalità abituali che ci sono divenute tanto familiari da esserne del tutto inconsapevoli. Le varie descrizioni possono fungere da specchi, che riflettono fedelmente modalità spesso robotiche: più si diventa consapevoli più si abbandoneranno comportamenti rigidi ed innaturali. Non è detto che le innumerevoli “definizioni e descrizioni” riportate riflettano il tuo “vero essere”, ma ciò non ha molta importanza, perché sono elementi che servono a farti riflettere, a renderti consapevole della tua “immagine fittizia”


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 

E mail: bonipozzi@libero.it

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