domenica 25 settembre 2022

 


I  primi  RAPPORTI  con  le FIGURE  di RIFERIMENTO


Attaccamento insicuro - evitante (crea personaggi eccentrici, anche un po' strani).

uando il bambino sperimenta un rapporto insicuro - evitante con la figura di riferimento (mancanza di rapporti calorosi, l'altro quasi sempre inaccessibile o inesistente) imparerà presto farne a meno. Il rapporto con gli altri sarà caratterizzato dall'isolamento, distacco e indifferenza (delimitare i propri confini, vietare l'accesso agli altri). Attraverso il rifiuto delle relazioni cercherà di gestire e difendersi dai rapporti con le persone considerate sempre minacciose, invalidanti ed ostili. Da queste relazioni nascono vari disturbi della personalità: paranoide, schizoide e schizotipico.

Attaccamento insicuro - resistente (favorisce personaggi paurosi e ansiosi).

 uando invece la figura di riferimento viene vissuta come insensibile ed imprevedibile il rapporto che si svilupperà è di nuovo insicuro ed ambivalente. Il bambino sentendosi trascurato e non soddisfatto nei suoi bisogni primari svilupperà ansia, chiederà continue conferme, attenzioni e dimostrazioni. Metterà in atto atteggiamenti aggressivi e provocatori, fino a sfinire ed esasperare l'altro. Non riuscendo a gestire completamente questa ambivalenza affettiva cercherà, per la propria salute emotiva, di ridurre lo spazio di libero movimento ... metterà in atto il meccanismo di evitamento per evitare di trovarsi di fronte a cose non conosciute. In tal modo selezionerà i rapporti stretti e diminuirà il campo esplorativo per evitare critiche sociali ed eventuali disapprovazioni. I disturbi che potrebbero emergere da tale rapporto sono: dipendente, evitamento e ossessivo compulsivo.

Attaccamento disorganizzato (determina individui emotivi, imprevedibili, melodrammatici).

uando la figura di riferimento, invece, è dominata dalla tristezza, dall'ansia o da forti conflitti irrisolti, viene percepita dal bimbo non come una fonte rassicurante ma come una figura minacciosa ... un attaccamento disorganizzato, pieno di ostilità e con atteggiamenti ambivalenti. Il bambino impotente di fronte a tale rapporto cercherà di imporre le proprie convinzioni e posizioni, con quello che può, ignorando gli altri oppure manipolandoli ... li rende innocui screditandoli, si sente davvero speciale. Da tali sviluppi interpersonali prendono forma i disturbi: narcisistico, antisociale, borderline e istrionico.

Come mai diventiamo così … “complicati”.

gni essere vivente entra nel mondo attraverso una “perdita”. La vita inizia con una sensazione dolorosa, una separazione, un abbandono, un distacco repentino dal corpo materno: il feto diventa neonato. Si comincia con l’ambiente intra - uterino poi, si spera, in un rapporto clemente e responsabile con le figure di riferimento. Non diverso è ciò che riguarda gli uomini: essi sono il riassunto di forze genetiche e ambientali. Il nostro ben - essere, pertanto, dipende da tutte quelle “esperienze” che nel tempo ci hanno modellato e trasformato. Sarà, quindi, l’incontro - scontro con l’ambiente circostante a favorire o meno la nostra storia mettendo in funzione quella personalità oppure quell’altra: la nostra identità nel bene e nel male (sicurezza, fiducia, autonomia, spontaneità, libertà, autostima). Le persone sono complesse, ma le loro complicazioni non sono mai casuali. Attraverso questa organizzazione, questo vivace dibattito relazionale si deciderà, con le sue infinite sfumature, la nostra felicità … la voglia di vivere o il desiderio di non esistere. In questa grandiosa fucina esistenziale, quasi sempre incandescente, avvengono continue trasformazioni dalle quali prenderà forma il nostro aspetto fisico, la nostra capacità adattiva, i nostri comportamenti e il nostro talento. Tutti eventi che influenzeranno, a seconda dell’età anagrafica in cui si sono verificati, le nostre patologie, il nostro modo di amare, di percepire e di pensare, la nostra capacità di fiducia e di speranza, il rapportarsi con gli altri e con noi stessi. Un alternarsi di sentimenti di amore, di odio, di indifferenza, di incomprensione, di diffidenza, di ostilità, di rabbia, di abbandono modellano in silenzio, pian piano, i nostri comportamenti. Un’evoluzione in continua oscillazione tra “avanti e indietro”, fare e non fare, accettazione e rifiuto, critica e disapprovazione, distacco, indifferenza, inadeguatezza e insicurezza: un navigare spesso senza sestante, disorganizzato e privo di punti di riferimento. 


l bambino che cresce è sempre vulnerabile perché non sono consolidate le sue “condizioni” interne, e questo pericolo è tanto maggiore quanto più il soggetto è piccolo. Più gli eventi che hanno disturbato la situazione di sviluppo naturale sono vicini alla nascita, tanto più gravi saranno le conseguenze e il “piccolo” ne sarà influenzato per il resto dello sviluppo e della vita adulta. Un malessere infantile che, in futuro, si esprimerà attraverso un rapporto d’amore disturbato con se stessi e con tutte le altre persone … un tormento che si ripeterà e coinvolgerà lavoro, studio e l’intero mondo esterno. E così, un bel giorno, apparentemente senza ragione, sotto il peso della vita, scopriamo che siamo diventati difficili, esigenti, intrattabili, chiusi e scontrosi: una vita penosa e piena di disagi perché dobbiamo “compensare” quell’affetto primordiale che non c’è mai stato e di cui non abbiamo consapevolezza, se non in forma sfumata. Quando le “difese” diminuiscono, ecco che riappaiono i vecchi fantasmi … i “lividi” dell’infanzia improvvisamente fanno la loro comparsa. Paola, infatti, con i suoi tratti depressivi, porta i segni evidenti di questa sua carenza affettiva … un vuoto incolmabile d’amore che nessuno mai riesce a riempire. Una storia in cui non le è stato riconosciuto e rispettato il suo modo di valere, le sue tappe maturative e, soprattutto, le sue opinioni. Un’evoluzione fragile, fatta di continue assenze e di non attenzioni, caratterizzata da insicurezza, dipendenza, rassegnazione, tristezza, tribolazione, dispiacere e sofferenza … i pochi pensieri rimasti ruotano attorno a temi catastrofici e di rovina imminente. Un fenomeno che ha prodotto un modo di pensare fallimentare, un atteggiamento rinunciatario e pessimista … come potrà mai prendere decisioni importanti? Convinta di non riuscire a far niente di buono nella vita, rinuncia ad ogni esperienza ancor prima di tentare, perché il fallimento sarebbe ancora più doloroso … da qui la rinuncia a “vivere”: il non “godere” diventa un valore. Se non è stata sufficientemente amata, apprezzata, stimata e considerata come potrà esprimere e dare affetto? Nella sua mente si è sviluppata l’idea di essere difficile, cattiva, di non meritare amore, degna di stima e di considerazione … una sensazione di tristezza diffusa controlla completamente la sua esistenza. 


er sopravvivere a questa "ingiustizia" affettiva non le rimane altro che “affidarsi” completamente a qualcuno per “sorreggersi” … il suo ruolo, se non intervengono cambiamenti “ristrutturanti”, sarà prevalentemente quello di vittima, di gregario o di spettatore, ma mai di primo attore. Le antiche ferite di Paola sono profonde ma con l’aiuto di persone qualificate - attraverso sentimenti di accettazione e di comprensione - potranno rimarginarsi … potrà trasformare tutte quelle figure di riferimento anaffettive in persone, finalmente, accudenti. Cosa dire di Sergio del suo costante rimuginare, della sua ferma ostinazione, del suo ossessivo bisogno di controllare e di vigilare. Sempre al “palo” con i rituali, il perfezionismo, la diffidenza e i dubbi esistenziali. Una perdita di tempo che oltre ad ostacolare la creatività toglie completamente libertà e spontaneità. Rievoca esperienze educative rigide e rapporti interamente caratterizzati da opposità e limitazioni … un reticolo di norme precise, minuziose che hanno ostacolato e paralizzato la sua libertà personale. In questa atmosfera evolutiva, in questo clima persecutorio, quindi, prende corpo un personaggio pieno di rabbia e di rancore, “avaro” non solo nel denaro ma anche negli affetti, nel coinvolgimento e nella disponibilità (ipse dixit) … è diventato, a sua insaputa, come il “persecutore”


a sua aggressività è tenuta sotto controllo attraverso astuti atti di potere: antico conflitto tra esigenze infantili e controllo genitoriale. Questa sua costante allerta, questa sua perenne rigidità non solo crea una forte tensione muscolare (che può sfociare in ipocondria) e un’insonnia serale, ma anche un’ipertensione arteriosa con i conseguenti malesseri circolatori e cardiaci. Anche lo slancio sessuale sarà inibito dalla sua stessa rigidità mentale in quanto tutto deve rientrare nello “schematismo” (solo un certo giorno, ora, posizione, luogo): elasticità, disponibilità e fiducia sono gli ingredienti indispensabili a Sergio per affrontare una vita in maniera più fiduciosa, spontanea e armoniosa … un lasciarsi andare che spezzerà i legami “arrugginiti” e ridimensionerà il rigore con cui ha organizzato, nel tempo, il suo mal - vivere.



La trappola esistenziale … ANSIA.


n questa breve esposizione non parleremo di ansia “normale”, moderata, comune e familiare a tutti gli esseri umani - come espressione di un desiderio, di un impegno o di un protendere verso una meta - che permette di ottenere una buona performance nella vita di tutti i giorni, ma di quella che avvelena l’esistenza, distrugge i rapporti, ingabbia la vita e fa ammalare inesorabilmente mente e corpo … ovvero, la regina della sofferenza psichica che si insinua silenziosamente in ogni piega del vivere quotidiano. L’altra ansia, quindi, quella patologica o fisiologica per intenderci, tenuta attiva da un pensiero continuo e bizzarro, è una condizione emotiva di allerta permanente, di smarrimento vertiginoso, di preoccupazione eccessiva e incontrollabile, spesso del tutto immotivata e sproporzionata, legata a vicende o situazioni particolari non necessariamente “pericolose” (attesa penosa di qualcosa che di “sicuro” farà star male o creerà difficoltà; finti allarmismi e profezie che non si avvereranno mai). La giornata è “accompagnata” da una fastidiosa sensazione che qualcosa di brutto, all’improvviso, possa capitare, dal terrore di essere completamente soli e dalla convinzione ossessiva di non farcela … ci si sente “sospesi”, in bilico e dei perfetti estranei in “casa” propria. E’ una condizione di precarietà, di perenne incertezza connessa a condizionamenti esterni, a modi di pensare che non rispettano la gioia di vivere, la naturalezza e la spontaneità. Anche i gesti più semplici come i rapporti sociali diventano, spesso, una forzatura se non una sudditanza… si recita in ogni circostanza la parte del soggetto conformista, sempre pronto e disponibile, con il solo scopo di farsi accettare dall’ambiente circostante. Può essere un fenomeno temporaneo oppure - quando si presenta in maniera costante - cronico e, quindi, portatore di sintomi come: confusione mentale, difficoltà a respirare, sensazione di nodo in gola, tensione muscolare, insonnia, vuoti di memoria, stanchezza, irritabilità, palpitazioni, affaticamento e pensieri ossessivi. Al disagio fisico si associa un malessere intellettuale, relazionale, familiare, professionale, alimentare e sessuale. Un fenomeno emotivo caratterizzato da scarsa concentrazione, facile distraibilità, difficoltà ad apprendere e pensare, minore attitudine ad esprimere un giudizio critico e coerente sugli avvenimenti che si sta vivendo.
 

l tutto “condito” da diffidenza e sospettosità verso ogni cosa, e da una incontrollabile inquietudine senza cause apparenti… l’attività lavorativa sarà vissuta con grande fatica, continua insofferenza, perenne stanchezza e tensione insopportabile (la critica agli altri è sempre lì a portata di mano). L’organismo allora viene chiamato in causa per gestire e superare questo malessere psicofisico davvero invalidante. Sarà portato, quindi, ad eccedere in quei comportamenti considerati utili per scaricare le tensioni diffuse come il tabagismo, l’etilismo, la sessualità in solitudine o l’alimentazione, bene che vada, scorretta. E così, all’improvviso, l’ansia irrompe per spazzar via i pensieri inutili, il superfluo, quel ruolo che limita e snatura giorno dopo giorno, quel personaggio fasullo costruito forzatamente nel tempo, quella maschera finta di buonismo a tutti i costi, rivolta solo a ricevere riconoscimento, attenzione e favori altrui. Arriva per liberare dai “pesi” e dalle inquietudini nascoste che bloccano, per smantellare quel ruolo innaturale spesso pieno di finzioni e contraddizioni, per risvegliare quel mondo di sensazioni assopite o completamente negate … toglie da un vissuto ordinario e monotono. Esprime la vera voglia di vivere, segnala che si stanno facendo cose che non interessano più e, soprattutto, prive di entusiasmo. Così, senza saperlo, si imbocca una strada esistenziale che porta così lontano da se stessi da diventare “fantocci”, sempre impacciati e fuori luogo … una vita “contromano”, congelata che con scorre più. 



na forte spinta a cambiar stile di vita, per ridare piacere e appagamento ai semplici gesti quotidiani, per riprendere in mano la propria vita con grinta e felicità … quella gioia che non si prova oramai da tempo. In questo modo la luce affiora, l’incertezza si dirada, la vista si rischiara, l’animo si calma e ritrova la sua spontanea, naturale quiete. La sua vera funzione - per dirla brutalmente - è quella di riportare il soggetto alle vere passioni, a vivere una vita più frizzante e autentica … stimola la creatività e la voglia di fare cose nuove. Cosa fare. Dopo aver verificato le condizioni fisiche (alcune malattie come quelle della tiroide possono causare ansia) è necessario capire, con lucidità, il senso “nascosto” di questo malessere psicofisico, per “convertirlo” in una nuova forma di vitalità, di autenticità, di creatività e di piacere nel fare le cose … spogliarsi dei “personaggi” che il vivere quotidiano obbliga a vestire. Le metodiche terapeutiche che placano l’ansia e aiutano a “trasformarla” sono davvero tante. Agiscono sull’intera dimensione psicofisica liberando il soggetto dai vari pesi esistenziali che lo bloccano. La scelta è ampia dagli ansiolitici naturali alla psicoterapia. Tutte tecniche psicosomatiche che possono ridare una nuova leggerezza e ritrovare il vero equilibrio quotidiano. Ridare all’ansioso il gusto della vita e il senso concreto che le cose possono cambiare … senza dubbio in in meglio.

Quando una persona cara soffre

na moglie, un tempo particolarmente efficiente e dinamica, all’improvviso passa buona parte della sua giornata sul divano con le tende tirate, completamente al buio. Un figlio adolescente con una vita, a dir poco gioiosa, un bel giorno di colpo, si chiude nella sua camera perché, a suo dire, tutti lo deridono qualsiasi cosa faccia. Un avvocato famoso e con una carriera davvero brillante, tutto d’un tratto, si sente soffocare non appena vede l’ascensore o piccoli spazi architettonici. Una studentessa alla pari con gli esami universitari (forse una qualcosina in più), nel cuore della notte, si rimpinza di cioccolata, di patatine fritte e biscotti e poi vomita il tutto di proposito. Un marito attento e devoto alla famiglia si versa il primo “bicchierino” della giornata alla mattina sempre più presto. E ancora, la sorella maggiore che, presa da un interminabile pianto, descrive ansimante i devastanti attacchi di panico che le creano difficoltà a guidare, a recarsi al lavoro e persino uscire di casa. 


veramente drammatico e sconvolgente - mi raccontano solitamente i familiari - vedere le persone care cambiare in modo così repentino sotto i propri occhi e struggersi continuamente per una “indefinita” sofferenza. Si fruga nei meandri della speranza e ci si affida a qualche miracolo estemporaneo per farle ritornare felici e in pieno benessere ma, purtroppo, non si sa mai quando. Si sospetta che ci siano problemi gravi proprio perché alcuni comportamenti e atteggiamenti appaiono incomprensibili e bizzarri, ma non si riesce a comprendere quali; si vuole prestare aiuto, ma non si sa come. Rendersi conto improvvisamente - anche se da un po’ di tempo si intuiva che qualcosa non andava per il verso giusto - che una persona cara soffre di un disagio emotivo crea malessere diffuso ed una profonda impotenza più di quanto si possa pensare per la diagnosi di una grave patologia organica, proprio perché tale malessere è qualcosa di vago e, a volte, la sua natura pare decisamente irrazionale: sembra veramente un dolore senza spiegazioni. A volte, purtroppo, quando si mette a fuoco questo disagio, scatta il senso di colpa, si cercano giustificazioni, ci si rimprovera e comincia a frullare per la mente, con una certa insistenza, dove è stato commesso l’errore e cosa si poteva fare per ostacolare o evitare lo sviluppo di tale sofferenza. Quali che siano le circostanze peculiari, la vita della famiglia cambia veramente in maniera drastica. Tutti coloro che vivono accanto ad un soggetto con un grave disagio psichico, possono subire un profondo stress quando emozioni e paure intense si abbattono su di loro, i rapporti interpersonali cambiano e le priorità subiscono una nuova valutazione: ci si sente impotenti, vulnerabili e confusi. 

utti vogliono disperatamente sapere, a ragione, quando tale incubo finirà e la vita tornerà normale, se il sofferente tornerà a essere mai più se stesso e quali saranno le conseguenze future di tale fenomeno. I familiari spesso non si rendono conto che un profondo legame d’amore da solo non basta a curare un disagio emotivo: occorre sempre tempo, pazienza, affetto, sincerità, impegno e grande competenza professionale. E’ bene ricordare, comunque, che i disagi emotivi non compaiono all’improvviso, dalla sera all’indomani. Si calcola infatti che, nel corso della vita, una persona su tre sia colpita da un disagio emotivo, variabile per origine ed importanza. Eppure i pregiudizi, la vergogna, i timori, le approssimazioni su tali malesseri sono davvero innumerevoli. E, forse, l’atteggiamento migliore per combatterli consiste proprio nell’essere informati (è un diritto!) sui sintomi, sulla diagnosi e sulle terapie: la condizione di salute dei pazienti, senza dubbio, migliora nettamente nel momento in cui comprendono cosa sta accadendo dentro di loro e, soprattutto, quando vengono messi al corrente delle metodiche terapeutiche disponibili, senza contare che i familiari, conoscendo in profondità la malattia possono aiutare, con il tempo necessario, i propri cari in modo efficace. Si possono determinare “stranezze” nel comportamento o nell’atteggiamento - sicuramente impercettibili all’inizio - che i familiari notano, ma erroneamente attribuiscono a stress, ad un recente insuccesso oppure ad una importante delusione. Poiché i disagi emotivi interferiscono profondamente con la capacità di esprimere i propri sentimenti, i familiari si sentono spesso, a livello affettivo, come abbandonati. 


ali disagi, pertanto, sono sempre fonti di grande tensione e di continue incomprensioni. Diventa fondamentale, quindi, anche se spesso difficile, che tutti i soggetti della famiglia coinvolti cerchino di evitare un atteggiamento di biasimo reciproco. Non è gratificante stare accanto a una persona sempre depressa, eccitata, terrorizzata, in preda alla collera o assorbita in rituali privi di senso, per fare qualche esempio. E’ comprensibile che i familiari perdano di tanto in tanto la pazienza e diventino irritabili, frustrati e intolleranti. Più i familiari impareranno a conoscere il disagio emotivo, meno tenderanno a biasimare, esprimere giudizi di valore e condannare. Una migliore conoscenza scientifica della malattia permetterà di capire quello che il soggetto sta attraversando realmente. I disagi psichici, contrariamente a quello che si pensa, sono molto diffusi (forse molto di più di un comune raffreddore), il più delle volte completamente mascherati, ed è quindi fondamentale che ciascuno possa conoscerli e riconoscerli nella loro vera dimensione per affidarsi, quando sia il caso, alla competenza di uno specialista in modo tale da non lasciare all’improvvisazione ma avere maggiori probabilità di ricevere le cure adeguate se individuato correttamente il disturbo che affligge. In questo modo si evita di cronicizzare la patologia e, soprattutto, lo scoraggiamento di chi soffre perché, a lungo andare, a forza di continui tentativi terapeutici andati a vuoto, potrebbe pensare di essere veramente un caso grave oppure incurabile. E’ utile, inoltre, se non si accede immediatamente ad una terapia qualificata, seguire le seguenti regole: non cercare di gestire il disagio da soli e in continuo isolamento, non sommergere mai il partner di complimenti e di osservazioni positive se non ci sono, incoraggiare il sofferente - nel limite del possibile - ad essere attivo, scindere tra la persona e il fenomeno patologico, non mascherare mai i propri sentimenti negativi, evitare il più possibile di cadere nel vortice del malessere … e, soprattutto, non aspettarsi mai una trasformazione improvvisa.


OSTILITA’ sentimento di avversione espressa o latente 

verso il prossimo


no dei problemi dell’ostilità è che la riconosciamo abbastanza facilmente negli altri ma raramente la vediamo in noi stessi. In una discussione la cui animazione aumenta a dismisura, non è fuori del comune che una persona dica all’altra: “Eh, ma sta un po’ tranquillo, non essere così eccitato!” cosa che implica che chi ha parlato sia calma e del tutto razionale, e non è insolito che l’altra persona replichi con la stessa “cecità”: “E chi è eccitato?”. Noi tutti, chi più chi meno, abbiamo recitato una di queste parti in un’occasione o in un’altra. Nei confronti dell’ostilità, siamo un po’ come quel moralista che disse alla moglie con convinzione: “Tutto il mondo è un po’ matto tranne te e me” … ma dopo un po’ bisbigliò a se stesso: “A volte mi domando se non lo sei anche tu”. Naturalmente, differiamo enormemente l’uno dall’altro per la quantità di ostilità che nutriamo in noi e per il nostro modo di esprimerla. Perciò la maggior parte di noi è provocata in maniera del tutto banale e lo dimostriamo. Ciò accade perché abbiamo leggi, poliziotti, giudici, anche eserciti per proteggerci dall’ostilità (sempre) degli altri. Quanto questi strumenti in sé contribuiscono all’ostilità, dipende da come sono usati e da come vengono considerati. Gli antropologi hanno evidenziato che la ricorrenza di certe parole nel linguaggio di alcune persone (o popolo) è rivelatrice di una gran quantità di particolari circa la loro società; ad esempio, è logico aspettarsi che gli esquimesi abbiano un notevole numero di parole per indicare la neve. Nel Medio Oriente, dove per anni il cammello è stato il più importante mezzo di trasporto, esistono diverse parole per indicarlo; per quello giovane, per quello basso, per quello alto, eccetera. L’ostilità è il risultato di una frustrazione. Diventiamo ostili quando siamo ostacolati o quando ci viene impedito di ottenere soddisfazione. Nella nostra vita quotidiana generalmente ci muoviamo nel senso che ci consente di ottenere alcuni generi di soddisfazione; il nostro comportamento è “diretto a uno scopo”. Quando qualcosa improvvisamente ci impedisce di raggiungere determinati scopi, possiamo essere in un primo tempo storditi e cominciare a pensare a possibili alternative. Qualche dubbio può penetrare nelle nostre deliberazioni; sia che facciamo realmente qualche cosa oppure no, noi vogliamo fare veramente qualcosa. Siamo come le piante che si protendono alla ricerca della luce o dell’acqua. Soltanto che cominciamo ad agire in modo incerto, incoerente: diventiamo irrequieti. 


irrequietezza è un’attività disordinata e senza scopo. Si tratta di una specie di attività che si espande intorno come i giochi dei bambini chiusi in casa in una giornata di pioggia e che contagia, come forse l’irrequietezza di molti adulti nei giorni di festa. I bambini hanno un forte bisogno di attività e se vengono trattenuti divengono irrequieti. Tutti gli animali, e ciò vale anche per l’uomo, quando sono bloccati, tendono ad agire in modo indefinito, incoerente. Possiamo osservare ciò molto semplicemente, mettendo un animale in quella che è chiamata “ruota di movimento”. A volte nelle vetrine dei negozi di animali domestici si vede un criceto o una cavia che danno spettacolo correndo in una ruota. Nella maggior parte dei casi essi corrono proprio prima di essere nutriti, perché sono affamati e non possono soddisfare il loro bisogno. Dopo aver mangiato cadono nel sonno. L’irrequietezza non è solamente irritante per l’uomo o non spinge soltanto una tigre a percorrere a grandi passi la gabbia; è un segno di insoddisfazione. Ci sentiamo ostacolati e ben presto cominciamo a lamentarci e a brontolare. Vogliamo ciò che vogliamo nel momento in cui lo vogliamo, ma in quel momento non riusciamo ad ottenerlo. Se questi desideri sono fisici, per il cibo, per il bere, per il sesso, per le comodità, è veramente difficile posporre la loro realizzazione. Se sono desideri sociali che coinvolgono altre persone, possiamo procrastinare la loro soddisfazione più facilmente, ma rimaniamo insoddisfatti e frustrati: cominciamo a sentirci respinti, avvertiamo che ci è negato qualcosa, perciò naturalmente tendiamo a personalizzare le nostre relazioni con la gente, e quando non possiamo ottenere ciò che vogliamo non consideriamo ciò un nostro fallimento; diciamo invece che qualcuno si è messo di traverso sulla nostra strada. Questa è ostilità. Le fonti di frustrazioni, e quindi di ostilità, possono essere “individuate” nella nostra infanzia. Una scuola di pensiero insiste col dire che siamo nati ostili, ma l’evidenza è insufficiente e certo non favorevole a tale ipotesi ai giorni nostri. In ogni caso l’intera questione è accademica perché, sia che siamo nati con l’ostilità o sia che l’ostilità sia stata acquisita, il nostro metodo di trattarla non deve cambiare. Il fatto di essere nati con qualcosa non significa che non possiamo modificarlo… essere nati è la nostra prima esperienza di frustrazione emotiva (si lascia l’acqua per l’aria)


a perdita della sicurezza data dal grembo materno è così acuta che in segno di “protesta” piangiamo. Sia che accettiamo questa teoria oppure no, non c’è dubbio che la nostra prima e seconda infanzia sono segnate da un profondo senso di dipendenza e di inadeguatezza. In questo stato di totale dipendenza siamo destinati alla frustrazione perché la gente che ci circonda non sempre capisce ciò che vogliamo. Ci vogliono degli anni interi soltanto per imparare come esprimerci con un certo grado di fluidità. Anche quando siamo adulti, abbiamo delle difficoltà ad esprimerci. Figuriamoci la situazione di un bambino. Deve gridare quando vuole qualcosa. E dopo un po’ anche un grido non è abbastanza. Batte la testa contro la culla e diventa rosso in viso proprio come facciamo noi quando siamo sconvolti, oppressi. Noi tutti durante l’infanzia cerchiamo, man mano che cresciamo, di reagire a questa oppressione. Lo sviluppo del nostro modo di alimentarci ne è un esempio. Alcune madri credono che avere dei bambini che “mangiano” più di altri bambini sia motivo di vanto per loro come genitrici. Così insistono sull’alimentazione. Alcuni bambini in seguito continuano a risentirne: anche da adulti, davanti ad abbondanti porzioni di cibo, perdono improvvisamente il loro appetito alla vista delle grandi portate, per quanto possano essere affamati, non hanno mai superato l’impressione di nutrizione forzata di cui hanno sofferto sul seggiolone. Nell’infanzia siamo frustrati ugualmente in altri campi significativi. I genitori sentono la necessità di imporre ai figli i propri valori educativi. Con riferimento alla pulizia, ciò significa metterli sul vaso, spesso a sei o a otto mesi, anche se il controllo sfinterico che regola la defecazione non può svilupparsi in nessun caso prima dell’età che va dai tredici ai diciotto mesi. Più tardi, a circa cinque o sei anni, i bambini scoprono i propri organi genitali e cominciano a trastullarsi con essi perché lo trovano piacevole. La reazione abituale dei genitori è di tirar via la mano del bambino, di sgridarlo e di raccontargli delle storie in tono punitivo. Il bambino sente che nonostante quello che fa sia piacevole, le persone che ama veramente gli impediscono di farlo … ciò è frustrante. Un neonato, nella famiglia è causa di nuove frustrazioni e di rivalità tra fratelli. I genitori dicono al loro bambino che avrà un fratellino o una sorellina con cui giocare. Ma quando il bambino è nato, il maggiore non può far nulla con lui e, ancora peggio, il nuovo nato attira l’attenzione di tutti lontano da lui. 


iamo soggetti a frustrazioni così grandi nei primi sei – otto anni di vita, che non c’è da meravigliarsi se incominciamo a diventare ostili, irosi, aggressivi. I nostri genitori, naturalmente, influenzano la nostra ostilità con l’urlo delle loro frustrazioni e collere con la nostra collera. Se non facciamo le cose che essi vogliono, si arrabbiano. Esternano le loro frustrazioni e la loro ostilità. Nell’adolescenza sentiamo il bisogno di affermare noi stessi di fronte ai nostri genitori. Guardiamo tutti come competitori. Questo ci carica così fortemente che siamo pronti a dispiegare ostilità per un nonnulla. E poiché difficilmente passa giorno in cui questa ostilità non è tirata fuori in un modo o nell’altro, l’intero schema frustrazione – aggressione si rinforza, diventa abituale. La famiglia non è la sola fonte di ostilità. Ricaviamo ostilità anche dal mondo esterno. Viviamo in una società violenta. I nostri telegiornali, le nostre riviste, i film la rafforzano. Questi mezzi di comunicazione sono così spesso ispirati a una tematica turbolenta, che non solo esprimono i nostri sentimenti ostili, ma li ampliamo. Naturalmente nella nostra società si suppone che siamo aggressivi e che tendiamo ad affermarci, a servirci della gente a nostro vantaggio. Tratta bene gli affari chi sa concludere un affare vantaggioso. Si raccomanda ai venditori di essere aggressivi per ottenere ordinazioni. Nelle relazioni uomo – donna, un giovane tenta di capire fino a che punto potrà arrivare con la ragazza. L’ostilità diventa una parte del nostro modello di vita sessuale. Infine, aumentiamo lo schema aggressione – frustrazione facendoci delle illusioni e rifiutando di essere realistici. Ci poniamo spesso dei fini così irreali che siamo costretti a essere frustrati. Premiamo su noi stessi di gran lunga troppo accademicamente o secondo principi sociali; andiamo alla ricerca di lavoro al di là delle nostre possibilità, assumiamo incarichi oltre le nostre capacità. Nel matrimonio, inoltre, gli scopi non realistici sono un problema comune. Una breve relazione si alimenta delle promesse che ci si fa a vicenda. Il matrimonio richiede compimento; quando questo compimento non compare, frustrazione e ostilità seguono naturalmente. Ma come esprimiamo tutta questa ostilità? Quando ci adiriamo, ciò influisce sulle nostre condizioni fisiologiche.


uesti mutamenti fisiologici alternativamente condizionano il nostro comportamento e ulteriormente l’espressione della nostra ostilità. Che cosa succede? In primo luogo il sangue (che in una normale attività vegetativa come il mangiare o il dormire, tende a concentrarsi negli organi centrali) viene pompato negli organi periferici, le braccia, le gambe, la pelle. Il sangue affluisce di meno anche al cervello, e soffriamo di un leggero caso di anemia cerebrale; ciò spiega perché, se siamo abbastanza adirati, ci sentiamo quasi presi da un senso di vertigine. Questo è anche il motivo per cui non possiamo pensare molto bene quando siamo adirati; fattori fisiologici e psicologici ce lo impediscono. Poiché il sangue è pompato di più alla superficie, il cuore batte più rapidamente, le pulsazioni aumentano, aumenta la pressione; tendiamo a sentire e a percepire tutto ciò. Il cuore che ha battuto senza che ce ne accorgessimo durante tutto il giorno, ora improvvisamente rimbomba nel torace. Diventiamo intensamente consci del nostro stato fisiologico. Nello stesso tempo le ghiandole surrenali pompano adrenalina nel sistema circolatorio. Poiché l’adrenalina accentua la reattività, la nostra ira è sottoposta a un secondo potere. Possiamo solo valutare gli effetti dell’adrenalina sull’ira: poiché non c’è niente da opporre ai suoi effetti, non c’è antidoto per essa. E possiamo illuderci che, essendo sufficientemente ben adattati, non ci arrabbieremo mai. E’ proprio il contrario: non adirarsi è il segno di una schizofrenia e non di adattamento. La schizofrenia (vedasi sezione “psicosi”) è una seria forma di psicosi la quale, non stroncata da una cura, peggiora tagliando fuori la persona dal suo mondo affettivo e spingendola verso uno stato di mitezza totalmente apatico… allora, e solo allora, non abbiamo più sentimenti ostili. L’ostilità può anche causare una spiacevole condizione, come l’infiammazione alla mucosa orale. Gli studi dimostrano che l’ipertensione, l’alta pressione, è spesso in relazione con l’ostilità silenziosa dovuta alla pressione e alla tensione della nostra educazione altamente oppressiva. La nostra ostilità, inoltre, distrugge completamente la nostra energia. Vi sono altri che non riescono a respirare, soffrono di una respirazione troppo rapida. Se tali persone hanno l’opportunità di esprimere la loro ostilità, la loro respirazione ne è molto facilitata. L’ostilità è inevitabile perché la frustrazione è inevitabile. In ogni momento c’è qualcosa che noi vogliamo o desideriamo. E questi desideri molto semplicemente non possiamo soddisfarli. Qualche frustrazione deve seguire per forza. 



nostri desideri non possono essere soddisfatti perché spesse volte sono complessi, oscuri o persino inconsci, e in conflitto gli uni con gli altri. I nostri desideri corrono incontro a ostacoli certi, cioè ci viene costantemente impedito di esaudirne alcuni. Spesso sembra che la vita consista di una serie di cartelli che indicano il divieto di parcheggio. Quando siamo bambini troviamo delle grandi difficoltà di adattamento, perché quando vediamo qualcosa di nuovo che ci attrae tendiamo a volgerci ad esso con tutta la nostra persona; ci sporgiamo e tentiamo di afferrare ciò che vediamo, e naturalmente ci dicono continuamente di non toccare. Eppure continuiamo a vedere le cose che ci piacciono, anche durante l’età matura. Viviamo in una società ricca, fluida, dove le seduzioni di ogni genere, i cibi, le comodità, le eccitazioni, gli stimoli, sono spiegati su di noi in una forma o in un’altra. Ma mentre i nostri appetiti sono stimolati continuamente, troviamo che molte di queste seduzioni, che dipendono dal nostro assetto fisico, mentale e finanziario, non sono sempre conseguibili. Persino se i nostri desideri sono stimolati quando passeggiamo davanti alle vetrine, accettiamo la barriera di vetro fra il desiderio e il compimento del desiderio. Ma molte altre tentazioni sono continuamente spiegate davanti, di fronte a noi in un modo più tentatore. Qualche volta ce ne accorgiamo, qualche volta non ce ne accorgiamo. Piuttosto stranamente, persino la soddisfazione frustra alcuni di noi. La realizzazione di un desiderio ci lascia spenti, vuoti, stanchi, incapaci di passare ad altri desideri. E alcuni di noi sono così abituati a sognare eventuali soddisfazioni che non sono capaci di rendersi conto della realtà della soddisfazione in se stessa… è come se uno mentre sta facendo l’amore pensasse alla prestazione successiva. Come abbiamo potuto vedere, la più ovvia espressione dell’ostilità è l’ira. Ma dal momento che tale espressione non è piacevole ed è antisociale, l’ira è di solito contenuta. Nell’infanzia i nostri genitori la sopprimono con la loro autorità, con minacce, punizioni e respingendoci. Questa soppressione dell’ira non può, naturalmente, liberarci dall’ira; semplicemente la sospinge al di sotto della superficie cosciente, dalla quale fortunatamente riemerge in una forma di comportamento che è più accettabile dal punto di vista sociale. Un bambino che è sufficientemente arrabbiato a causa di qualche suo bisogno, può tentare di sviluppare una muscolatura più potente, di diventare il primo della classe o anche quello che ha il maggior numero di amici. Un giovane manifesterà la medesima ira in maniera di gran lunga meno accettabili: sbagliando un tema a scuola, ad esempio. 


ltre ovvie espressioni di ostilità l’insulto, il condannare, il criticare e la resistenza. Fra gli adulti, la resistenza assume normalmente forma di assenza di volontà nel cooperare. I bambini esprimono generalmente resistenza e disubbidienza. Potete dire a un bambino un centinaio di volte di appendere il suo vestito alla gruccia quando torna a casa, ed egli lo ammucchierà regolarmente in un angolo del pavimento. Lo stesso bambino, messo sul vaso troppo presto, potrebbe reagire continuando a sporcarsi più tardi. Un bambino che è costretto a mangiare spesso, inconsciamente sviluppa una tendenza al vomito. Dei molti modi di esprimere l’ostilità, alcuni sono costruttivi, la maggior parte no. Alcuni di quelli che sembrano costruttivi, come la dedizione alla verità, una moralità elevata, un dissimulato candore, di fatto non sono costruttivi. Quali sono quindi le vie costruttive per trattare l’ostilità? Che cosa dovremmo fare della frustrazione, dell’ostilità che troviamo in noi stessi. In primo luogo dobbiamo imparare a vivere con l’ostilità poiché essa è un aspetto inevitabile della nostra vita. Anche la più chiusa relazione umana, quella fra madre e figlio, è carica di ostilità reciproca. Molto spesso può capitare che una madre rimanga profondamente sconcertata quando il figlio le dice: “Ti odio”. Ma se guarda onestamente e con serenità in se stessa, vedrà che nonostante non dica al figlio “Ti odio”, essa sente ostilità per lui. Un aspetto importante per essere una buona madre è imparare a non odiare se stessa perché a volte odia il proprio figlio. Ci sono occasioni in cui odiamo persino noi stessi, così non è sorprendente che ci siano occasioni in cui odiamo coloro che amiamo di più. Ciò, naturalmente, non significa che possiamo esprimere la nostra ostilità in maniera indiscriminata. Niente di tutto ciò. E’ soltanto una riconciliazione con ciò che è inevitabile. Il lavoro più importante è imparare a evitare l’ostilità o esprimerla in maniera costruttiva. Spesso declamiamo o vaneggiamo senza cambiare la situazione che ci affligge; se, ad esempio, un cameriere in un ristorante ci serve in maniera scortese e frettolosa, più ci adiriamo, più disturbiamo la nostra digestione, non la sua. Egli non sta mangiando, così l’ira e l’ostilità nei confronti del cameriere finiranno col fare più male a noi che a lui. Idealmente, alcuni modi per accattivarci la sua attenzione e migliorare il servizio dovrebbero essere il nostro scopo. Oppure, come alternativa, potremmo utilizzare il tempo libero che abbiamo con i nostri commensali per una piacevole conversazione. Possiamo solo evitare di ripetere l’errore nello scegliere il ristorante e stabilire di non tornarci. Imparare a vivere con l’ostilità significa imparare come attenuare la sua intensità (questa grande energia vitale). Questo è un compito difficile. Ci sono occasioni in cui le espressioni di ostilità sono appropriate, persino necessarie.


uando si percepisce nettamente che un’azione vendicativa è appropriata, forse è meglio farla. Bisogna, però, cercare di compiere un’azione che gioverà alla situazione e che non esprimerà soltanto la bile personale. In secondo luogo dovremmo sviluppare tanti interessi quanto ne possiamo nella vita. ciò aumenta le fonti della nostra soddisfazione e d’altro canto diminuisce la suscettibilità alla frustrazione. Molti di noi sono troppo limitati. Siamo come delle estese praterie che non sono state irrigate e rese fertili. Non facciamo abbastanza per noi stessi. Abbiamo troppo pochi interessi, e quando siamo oppressi abbiamo una tendenza al collasso, a diventare irritati e adirati, a perdere il controllo della situazione. Se avessimo cominciato a essere assorbiti in una maggiore quantità di azioni che valga la pena di fare, non appena la frustrazione nasce potremmo facilmente sublimarla in una o nell’altra di queste attività per la nostra soddisfazione. Potremmo sviluppare l’abitudine a un adattamento istantaneo. Alcuni interessi naturalmente sono migliori di altri. Il gioco, ad esempio, è eccitante ma coinvolge il più delle volte il rischio di fallire. Meglio essere ostile che fallito. Spettacolare, un’altra via di uscita per l’ostilità, può costarvi le vostre amicizie. Se dedicate voi stessi a qualcosa che possa farvi diventare un qualcosa “assurdo ed esagerato”, potreste essere delusi da ciò che di fatto riuscite a raggiungere. Gli hobby più semplici sono vie di uscita molto più costruttive per l’ostilità. Dipingere, scrivere, far collezioni, fare lavori di falegnameria, pescare, darsi al giardinaggio … Una persona può lavorare sodo al giardinaggio e dipingere, e ciò significa cacciar fuori gran parte di energia accumulata come risultato dell’ostilità. L’abilità di modificare i nostri programmi e le nostre reazioni alle frustrazioni che ci circondano, è qualcosa che deve crescere insieme a noi, come l’opera d’arte cresce insieme all’artista. Un pittore comincerà a dipingere un oggetto in un modo, e quando la luce cambia muterà la sua interpretazione in maniera analoga e continuerà a fare operazioni di questo tipo man mano che ne sorgerà la possibilità. Nello stesso modo, c’è in noi una sorta di attesa su ciò che possiamo fare per i nostri amici, per i nostri bambini, per chiunque. Ma essendo materiale umano, questa gente, inclusi noi stessi, mostra una certa predisposizione a cambiare. Inoltre, noi non siamo in grado di controllare ogni situazione. Abbiamo i nostri programmi, ma dal momento che ci adattiamo alle situazioni dobbiamo spesso modificare i nostri fini nel cambiamento costante della realtà. Rivoltare i nostri fini è un aspetto dell’adattamento emotivo. Dobbiamo essere in movimento prima in una direzione e poi in un’altra. Quando cominciamo a muoverci in questo modo, risparmiamo noi stessi dal genere di frustrazione di natura ossessiva. Noi fronteggiamo dinieghi e frustrazioni in vari piccoli modi ogni giorno della nostra vita. Superiamo le frustrazioni e le ostilità che esse generano, in gran parte grazie allo sviluppo di un modo flessibile di considerarle. Dobbiamo imparare che il mondo non è contro di noi ogni volta che soffriamo di qualche piccolo rifiuto o negazione. Anche gli altri vengono respinti. Ciò che dobbiamo imparare è come chiedere per ottenere determinate cose in maniera efficiente. Ciò cambierà la proporzione che diamo alle frustrazioni in modo che l’ostilità diventerà meno pronta a manifestarsi al di fuori.

Il senso di inferiori … e di  superiorità.


olti individui, se si domandasse loro se si sentono inferiori, risponderebbero, spesso con solerzia, di no, e qualcuno risponderebbe persino: “Proprio il contrario direi. Io so benissimo di essere superiore a coloro che mi circondano”. Noi non abbiamo bisogno di domandare, dobbiamo soltanto osservare il comportamento di un determinato individuo, perché così scopriremmo di quali “astuzie” si serve per rassicurare se stesso del proprio valore. Se, per esempio, vediamo qualcuno che si comporta in modo arrogante, possiamo supporre che egli pensi: “Gli altri possono guardarmi dall’alto verso il basso. Debbo dimostrare che anch’io sono qualcuno”. Se vediamo una persona che gesticola energicamente quando parla, possiamo supporre che egli pensa: “Le mie parole non avranno alcun peso se io non le sottolineo”. Dietro ogni persona che si comporta come se fosse superiore agli altri, possiamo sospettare un sentimento di inferiorità che fa di tutto per nascondersi. E’ come se uno temesse di essere troppo basso e camminasse in punta di piedi per sembrare più alto. A volte possiamo verificare proprio questo tipo di comportamento quando due bambini paragonano la loro altezza. Quello che ha paura di essere basso si stirerà e si terrà ben dritto; cercherà di sembrare più grande di quello che è. Se chiedessimo a questo fanciullo: “Credi di essere troppo piccolo?”, ben difficilmente potremmo aspettarci che lo riconoscerebbe. Da tutto questo consegue che un individuo che soffre di un forte senso di inferiorità non si presenterà necessariamente inoffensivo, tranquillo, riservato e sottomesso, perché il senso di inferiorità si può manifestare in migliaia di modi. Il senso di inferiorità è, presente in tutti noi, dato che tutti noi ci troviamo in una posizione che vorremmo migliorare. Nessun essere umano può sopportare a lungo un sentimento di inferiorità, perché in tal caso precipiterà in uno stato di tensione che richiede un qualche genere di azione. 


a supponiamo che un individuo sia scoraggiato e che non riesca, che se fa degli sforzi realistici riuscirà a migliorare la situazione. Egli sarà ugualmente incapace di sopportare i suoi sentimenti di inferiorità, lotterà ancora per liberarsene, ma ricorrerà a “strumenti” che non lo faranno evolvere in modo armonioso. La meta che si prefigge è ancora quella “di riuscire a vincere le difficoltà”, ma invece di superare gli ostacoli cercherà di “inebriarsi” per sentirsi superiore. Intanto i suoi sentimenti di inferiorità si accumuleranno, perché la situazione che li produce rimane inalterata e il loro stimolo persiste. Ogni passo che fa lo porterà più in là in questa illusione, e tutti i suoi problemi premeranno su di lui con sempre maggiore intensità e insistenza. Se noi guardassimo i suoi movimenti senza essere animati da uno spirito di comprensione, penseremmo che essi sono privi di scopo e ci darebbero l’impressione di non essere rivolti a migliorare la situazione. Se si sente debole, cerca di porsi in una situazione in cui possa sentirsi forte. Invece di cercare diventare più forte e di adeguarsi, cerca di apparire più forte ai propri occhi, ma il suo tentativo di “ingannare” (strategia) avrà un successo solo parziale. Il complesso di inferiorità si manifesta quando un individuo deve affrontare un problema che non sa e non può risolvere in modo adeguato, ed esprime la sua convinzione di essere incapace di risolverlo. Da questa definizione possiamo vedere che come l’ira, così anche le lacrime o le scuse possono essere l’espressione di un complesso di inferiorità. Dato che il senso di inferiorità produce sempre una tensione, si verificherà sempre un movimento di compensazione che tenderà a trasformare il senso di inferiorità in senso di superiorità senza però avere la funzione di risolvere il problema, giacché esso si esplicherà negli aspetti futili della vita, mentre il problema reale verrà soffocato o escluso. L’individuo tenterà di restringere il proprio campo d’azione e si preoccuperà più di evitare una sconfitta che di darsi da fare per avere successo. 


hi soffre di disagi emotivi restringe, entro limiti più o meno ampi, il proprio campo d’azione e i propri contatti con la situazione complessiva. Così si costruisce una catapecchia angusta, chiude la porta e trascorre la vita al riparo dal vento, dalla luce del sole e dall’aria fresca. Dipenderà dalla sua esperienza se egli, nel tentativo di dominare, ricorrerà alla prepotenza o al pianto: sceglierà, infatti, il mezzo che ha conseguito maggior successo e che si è rivelato più efficace per i suoi scopi. A volte, se non è soddisfatto di un metodo, proverà l’altro. In ogni caso il fine è lo stesso: acquisire un senso di superiorità senza far niente per migliorare la situazione in maniera reale e concreta. Il bambino scoraggiato il quale s’accorge che può tiranneggiare meglio con le lacrime, sarà un bambino piagnucoloso; e una diretta linea di sviluppo porta dal bambino piagnucoloso all’adulto melanconico. Lacrime e lamentele possono essere un’arma estremamente efficace per disturbare la cooperazione e ridurre gli altri a una condizione di schiavitù. Con persone di questo genere, come con coloro che soffrono di timidezza, imbarazzo e senso di colpa, noi troveremo il complesso di inferiorità in superficie; costoro ammetteranno senza difficoltà la loro debolezza e la loro incapacità di badare a se stessi: quello che cercheranno di nascondere sarà la loro meta, sempre più alta, di supremazia, e il loro desiderio di essere primi a tutti i costi. Tutti i sintomi del disagio emotivo rivelano un contesto entro cui il movimento viene limitato. Nel modo di parlare del balbuziente noi possiamo vedere il suo atteggiamento esitante. Il suo residuo di senso sociale lo spinge a stringere rapporti con i suoi simili, ma la scarsa opinione che ha di se stesso, e il suo timore di giungere a un confronto, entrano in conflitto con il suo senso sociale, così egli, nel parlare esita. Abbiamo detto che i sentimenti di inferiorità non sono anormali in se stessi e che anzi, essi sono la causa di tutti i miglioramenti dell’umanità. Immaginiamo che sia possibile, per un singolo individuo, raggiungere uno stadio evolutivo dove non ci siano più difficoltà da superare. Noi non potremmo fare a meno di pensare che in tal caso la vita sarebbe molto noiosa, perché tutto sarebbe previsto, tutto calcolato in anticipo, il domani non ci porterebbe occasioni inaspettate e non ci aspetteremmo (niente) dal futuro ... che noia! 


l nostro interesse per la vita è suscitato soprattutto dalla mancanza di certezza. Se noi fossimo completamente sicuri, se sapessimo tutto, non ci sarebbero più né discussioni, né scoperte. E’ una fortuna per noi che la vita non si esaurisca così facilmente, perché così l’uomo non smette mai di “lottare”, può sempre scoprire, conoscere, e creare nuove occasioni di cooperazione e di integrazione. Chi soffre di disagi emotivi è bloccato fin dall’inizio, il livello dei suoi problemi è inversamente proporzionale a quello, molto basso, delle sue soluzioni. L’individuo più “normale” dà, dei suoi problemi, una soluzione sempre più completa, e può quindi andare avanti, affrontare nuove difficoltà, e arrivare a nuove soluzioni. Non ha bisogno di particolare considerazione né la pretende, ma procede, con coraggio e indipendenza, a risolvere i suoi problemi in armonia con il senso etico e sociale. La meta di superiorità è personale e unica per ciascun individuo, e dipende dal significato che egli dà alla vita; questo significato, però, non è fatto di parole, ma è formato dal suo stile di vita. Nel suo stile di vita egli non manifesta la sua meta in modo tale che possa essere definita una volta per tutte, ma la manifesta in modo vago, così che noi dobbiamo supporla basandoci sulle indicazioni che ci dà. Il significato della vita si acquisisce in quei primi quattro o cinque anni di vita; e non si acquisisce mediante un processo matematico, ma mediante oscuri brancolamenti, mediante sentimenti non compresi appieno, andando a caccia di sintomi annaspando in cerca di spiegazioni. La meta di superiorità quindi viene fissata allo stesso modo, "agitandosi" e congetturando; è una lotta per la vita, una tendenza dinamica, non un punto fissato su un grafico e geograficamente determinato. Nessuno conosce la propria meta di superiorità così bene da poterla descrivere completamente.

per superare il senso di inferiorità è necessario cambiare rotta: smettere di seguire modelli di perfezione, false idee di se stessi, di portare in scena quel personaggio irreprensibile e puro, di nascondere “debolezze” e “difetti”, di voler migliorare continuamente anche senza motivo, di essere sicuri e brillanti a tutti i costi … basta essere “semplicemente” quello che si è realmente.




Il   “partner”   più pericoloso del vivere quotidiano …


’uso della parola “stress” nella lingua inglese è molto antico e può essere tradotto letteralmente con “stretto” o “costrizione”. Poche parole della lingua italiana soffrono di un uso altrettanto diverso ed ambiguo. Nell’ambito della comunità scientifica, le definizioni dello stress psicologico e fisiologico variano confusamente dalle fonti dello stress ai risultati dello stress. In tale termine, comunque, è implicita l’idea di violenza, tensione, pressione e sforzo. Più semplicemente, il concetto - ai tempi nostri - indica l’adattamento dell’organismo a nuovi contesti e ad eventi imprevisti. E’ uno stato di tensione acuta dell’organismo “spinto” a mobilitare le sue capacità di difesa per fronteggiare una situazione di minaccia (vera o solo pensata). Il fattore aggressivo (reale o immaginario) può essere fisico - trauma, agente tossico o infezione - oppure psicologico (emozione). La reazione fisiologica è caratterizzata da modificazioni neuroendocrine strettamente connesse tra loro, che fanno intervenire l’ipotalamo (centro cerebrale delle emozioni), l’ipofisi e le ghiandole surrenali (centro della reattività). Un malessere psicosomatico capace di minare completamente il corpo ed è potenzialmente all’origine di svariate patologie: il disagio psicologico porta a una caduta delle difese immunitarie e crea il terreno per il disturbo organico. Quando l’individuo vive perennemente in uno stato ansiogeno, lo stress “aggredisce” le cellule del sistema nervoso iniziando a “deformare” le aree fisiologiche coinvolte. Somatizzazioni che comportano evidenti alterazioni del sistema nervoso neurovegetativo e del metabolismo. Solitamente si esprime con sintomi psichici come ansia, disturbi ossessivi compulsivi, attacco di panico oppure, a livello fisico, con tensione muscolare, cefalea, gastrite, ipertensione, tachicardia, dermatite, cefalea e, da non sottovalutare mai, stanchezza improvvisa… e molti altri guai, seppur in forma silente ma sempre invalidanti, come mal di schiena, insonnia, ulcera, allergie. E’ una risposta biologica (secrezione ritmata dei neurotramettitori cerebrali) a qualsiasi stimolo o richiesta ambientale; reazione d’allarme che si evidenzia attraverso modificazioni biologiche e comportamentali e si acuisce quando la sollecitazione persiste nel tempo.


olti sono i fattori che influiscono sul fenomeno stressogeno: il dolore cronico, le malattie invalidanti, le attività ripetitive ed insopportabili, la frustrazione, un diffuso senso di inadeguatezza, i cambiamenti repentini, le delusioni delle proprie aspirazioni, i lutti, la fine di rapporti importanti. Il vero problema, comunque, contrariamente a quello che si pensa, non sono solo i ritmi frenetici (lavoro, traffico, parcheggio, troppe spese, troppe tasse, comunicazione difficile) ma anche gli stati emotivi che minano le difese, indeboliscono e logorano in profondità l’individuo (continuo alternarsi di fasi attive e passive; il passare da uno stato di tensione ad uno stato di rilassamento). Gira voce, in molti ambienti qualificati, che per lo stile di vita che si conduce, soffrire di stress sia quasi un percorso obbligato. Non sempre è così. Il più delle volte non è responsabile la vita moderna, non è da lì che inizia lo stress, come spesso si preferisce credere. Quando l’esistenza viene scandita da un ritmo innaturale, sempre uguale a se stesso, privo di creatività, vuol dire che si sta alimentando un “compagno” di viaggio veramente fastidioso e pericoloso: lo stress. I veri imputati, quelli più infidi, che condizionano “l’esistenza” sono i comportamenti, gli atteggiamenti mentali sbagliati. In pratica, produce stress, tutto ciò che ostacola un ritmo spontaneo, naturale e fluido. Si diventa prigionieri di modi di dire e di fare che incrementano una tensione continua. Lo stress compare tutte le volte che non si è naturali e spontanei, quando la novità diventa uno sforzo (lavoro, trasloco, matrimonio, nascita di un figlio). Prende corpo, il più delle volte, da una mentalità “confusa” che porta a vivere una vita frammentata, in conflitto con un mondo percepito sempre come nemico, dentro un percorso che non dà felicità e, soprattutto, vincola ad un modello esistenziale che altri hanno deciso. 



osa fare. Quando si è stressati, non bisogna commettere l’errore di fermarsi, crogiolarsi al dolce far niente, illudendosi così di sfuggire alla vita: quando il riposo termina, la tensione è lì pronta a riprendere il suo posto. Non è escluso, poi, che il tempo trascorso a riposare sia immune da logorio, agitazione e ansia. E’ proprio l’inerzia a trascinare la mente nel vortice della tensione. L’inattività, nel tempo, oltre a determinare uno stato depressogeno, crea una vita opaca e decisamente noiosa. E’ il “non fare” ad innescare cerci sintomi come: depressione, emicrania, attacco di cuore, malattie infettive. L’antidoto giusto non è, quindi, il riposo assoluto tanto meno la fuga, ma le “giuste attività” che danno spazio alla vera creatività (potente anti stress) e vanno a riattivare con grande soddisfazione le energie spente o assopite. Quando si sente che la tensione sta raggiungendo i livelli di guardia, i pensieri creano confusione e le preoccupazioni assediano senza tregua è giunto il momento di mettere in atto tutte quelle cose che danno un senso di sollievo e di serenità. Evitare, nel contempo, di coltivare l’inutilità e confondere le priorità. Se lo sconforto prende il sopravvento e si è in balia di un disagio costante è doveroso esaminare e considerare la possibilità di cambiare alcuni atteggiamenti nei confronti della vita (da soli o con l’aiuto di una persona qualificata). Non bisogna mai dimenticare che la struttura mentale può influenzare enormemente la salute, il benessere e il senso di soddisfazione. Ricordarsi, inoltre, che ogni individuo è il miglior laboratorio fisiologico di se stesso. Prestare attenzione, quindi, a come si reagisce agli eventi ed alle circostanze. Alcune metodiche distensive psicosomatiche (ipnosi, meditazione, massaggio), inoltre, non solo svolgono una azione di benessere diffuso, ma riducono efficacemente la possibilità di malattie cardiovascolari (ricerche effettuate da American Medical Association).


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 -  0532.476055

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