lunedì 2 maggio 2022

La "colpa"

 

La "COLPA"


na oscura condanna morale, un'azione autopunitiva; convinzione di aver commesso qualcosa di spregevole, di aver infranto delle regole: pena e “risarcimento“ sociale; un’identità di gruppo a scapito della propria: l’ombra degli altri che si sviluppa all’interno del soggetto; un fenomeno radicato interiormente che crea disagio e fastidio, condiziona e offusca completamente la gioia di vivere. Tieni sempre presente che la colpa si esprime attraverso il linguaggio corpo: colite, cefalea, vitiligine, artrite, alopecia, menopausa.

olpa è una parola che in sé non ha un suono piacevole, evoca vagamente sentimenti spiacevoli e preferiamo allontanarci da essa. Riconosciamo i nostri errori più prontamente di quanto ammettiamo le nostre colpe. Sempre di più cerchiamo disperatamente di nascondere agli altri la nostra colpa e persino di negarla a noi stessi. Ma, perché tutto ciò? Perché è dolorosa? Sì, ma piuttosto che essere dolorosa è difficile da riconoscere e da gestire. La colpevolezza non ha la modalità di espressione così chiaramente definite come la paura, il dubbio, l’ostilità e gli altri sentimenti. E’ persino difficile per un esperto chiarire i molti modi sottili in cui la colpevolezza si esprime. Noi tutti teniamo una maschera ragionevolmente accettabile, ma al di sotto della maschera approvata dalla società c’è una complessa vita interiore che pochi di noi possono a lungo celare … tenere a bada con una certa disinvoltura. Abbiamo delle passioni e delle antipatie sepolte in noi fin dal nostro più lontano passato e nutriamo anche sogni e desideri che ci farebbero arrossire qualora fossero svelati, rivelati indiscriminatamente agli altri. Nessuno è senza segreti, sia che riguardino sia fatti semplici e banali sia fantasticherie. 



ebbene a volte sia abbastanza sciocco, esistono molte cose che “dobbiamo” tenere segrete per conservare il nostro equilibrio privato e sociale. Se ogni cosa che abbiamo celato alla pubblica vista fosse interamente privo di colpa, non perderemmo certamente tanto tempo per giustificare noi stessi. Se, ad esempio, l’interesse sessuale di un uomo verso qualche donna al di fuori del matrimonio non colpisse la sua coscienza, egli non addurrebbe a pretesto quanto è incompreso dalla moglie. Questa vecchia linea di condotta ormai logora è abbastanza facile da “denunciare”, e poche donne trovano un uomo più accettabile proprio per questo. Ma ciò aiuta l’uomo ad accettare se stesso di fronte alla propria “perfidia”. Riduce la sofferenza di tutto quanto per lui, ma questo bisogno di conservare un’apparenza “pulita” e “cristallina” per gli altri gli pone dubbi insinuanti sul concetto che ha di se stesso. Specificamente, il senso di colpa è la nostra reazione alla violazione o all’aver voluto la violazione di alcuni valori morali e di alcune proibizioni. Ciò che completa il quadro è anche il fatto che non esistono criteri universali per stabilire la colpa. Ciò che fa in modo che una persona si senta in colpa, non fa sentire necessariamente in colpa un’altra persona. Siamo consapevoli del fatto che esistono diverse norme di comportamento ma non le rispettiamo interamente. Sentiamo il rimorso della colpa soltanto quando crediamo di aver violato una norma che riconosciamo personalmente e, ancora di più, che accettiamo e rispettiamo. Ad esempio, se due persone ricevono come resto cinquanta o sessanta centesimi di € di troppo, una persona può infilarsi in tasca il denaro e andarsene. Sa che ha ricevuto un resto superiore, ma ciò non lo tocca un gran che. Se glielo si chiede egli può anche ammettere che avrebbe dovuto restituirlo, ma vorrebbe dire: “Perché sollevare delle questioni su una cosa così ridotta quantità di denaro?”. Un’altra persona potrebbe sentire che è fondamentale restituire il resto ricevuto in più e sentirebbe di essere in colpa se non lo facesse. Varia anche l’intensità con cui una persona avverte la propria colpa in confronto ad un’altra persona. La maggior variazione è, come vedremo, il modo con cui ci comportiamo in conseguenza di una nostra colpa.

Le origini del senso di colpa.


a dottrina cristiana, ponendo l’accento sulla nozione di peccato originale, insinua che siamo nati con una colpa. Oggi siamo d’accordo che impariamo come sentirci in colpa, siamo perfettamente consapevoli sul fatto che originariamente per noi non esiste né il giusto né lo sbagliato. Siamo nati senza principi morali, piccoli animali per i quali esiste solo la mera soddisfazione … si rifiuta la frustrazione! Dopo un po’, cominciamo a riconoscere i sorrisi di approvazione o le occhiate di disapprovazione. Diventiamo consapevoli di essere giudicati per quello che facciamo o per quello che non facciamo. Dal momento che siamo così totalmente dipendenti dai nostri genitori per le necessità della vita, l’approvazione o la disapprovazione diventano cruciali per la nostra autentica sopravvivenza: dobbiamo avere l’amore dei nostri genitori, che è espresso in termini di approvazione, se ci attendiamo che esso soddisfi i nostri bisogni primari. Così cominciamo a vivere in un mondo di buono e di cattivo, di brutto e di bello, di giusto e di sbagliato, di obbediente e di disobbediente. Non esistono delle semplici etichette che separino un genere di comportamento da un altro; vi sono delle esperienze, rinforzate dalla punizione e dall’elogio. Ma non un solo giorno della nostra vita, durante gli anni della nostra infanzia, passa senza che vi sia qualche correzione, senza che impariamo a distinguere il giusto dallo sbagliato. Sfortunatamente molto di questo imparare primitivo riguarda la nostra vita vegetativa, cioè le nostre funzioni più fondamentalmente fisiologiche. Noi non dobbiamo soltanto mangiare; siamo rimproverati o elogiati per quanto mangiamo e per come ci comportiamo a tavola. Non andiamo semplicemente nel bagno; siamo elogiati o sgridati se vi andiamo e per come ci andiamo, nonostante il fatto che durante i primi due anni di vita il mondo sia ancora così nuovo per noi e noi siamo così assorti in ciò che stiamo facendo che è naturale dimenticare di andare nel bagno qualche volta. Non ci è nemmeno possibile passeggiare senza ricevere qualche elogio o qualche rimprovero; dipende dal posto in cui passeggiamo, da come passeggiamo e da ciò in cui ci imbattiamo. Persino quando parliamo, incorriamo in elogi o in rimproveri per ciò che diciamo, per come lo diciamo, e per quando lo diciamo. La trasmissione culturale di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato è frustrante per noi e una frustrazione, come abbiamo visto (si veda “Ostilità”) conduce a un comportamento ostile ed impulsivo. Quando manifestiamo questa ostilità, i nostri genitori ci “annientano” con la loro forza e con la loro autorità; essi sono più forti e più grossi e ci dirigono. Ci puniscono in qualunque modo, da un dolce rimprovero a un’autentica ritrattazione di amore e di aiuto. A volte ci schiaffeggiano oppure ci privano di un prezioso privilegio, come vedere la televisione o stare alzati fino a tardi. Così, la punizione comincia ad essere identificata con il giusto e con lo sbagliato … con il fare e il non fare! Nello stesso tempo, come risultato dell’essere giudicati costantemente in questo modo, impariamo da noi a giudicare gli altri. Tendiamo a reagire aggressivamente (giudicare è una forma di aggressività) con chiunque consideriamo faccia le cose sbagliate, con chiunque, pensiamo, ci sentiremmo in grado di dire che sbaglia. Se reagiamo in maniera spontanea, chiamiamo ciò rappresaglia; se invece ci comportiamo nella faccenda in una maniera prestabilita, chiamiamo ciò vendetta. In tutti i casi prendiamo in considerazione la punizione; ci siamo autonominati giudici dando a chi agisce male proprio ciò che “merita”.

Colpa e punizione.

oiché le azioni che fanno nascere il senso di colpa sono le stesse che incorrono in una punizione, impariamo rapidamente ad attendere una punizione quando ci sentiamo colpevoli. Sempre di più ci troviamo in situazioni nelle quali incorriamo in disapprovazione; non solo ci viene insegnato di sentirci colpevoli per queste violazioni della condotta, ma siamo puniti. Dopo un po’ pensiamo alla punizione come a un “prezzo del peccato” e riteniamo che se siamo colpevoli di qualcosa, di qualunque cosa, saremo puniti. Teniamo conto dell’inevitabile connessione tra colpa e punizione, tanto quanto teniamo conto del fatto che il giorno segue la notte. Cominciamo ad immergerci nei particolari di ciò che successivamente sarà conosciuto come un nostro giudizio morale. Quando un lupo attacca e divora un agnello, tutti dicono “povero agnello”. Nessuno dice “fortunato il lupo”. Ci attendiamo che gli eroi vincano e che i codardi perdano. Siamo molto commossi dai grandi temi morali delle opere letterarie come ‘Delitto e castigo’ di Dostoevskij (il senso di colpa, dopo il doppio omicidio, si impadronisce di lui - Raskolnikov - a nulla valgono i continui ragionamenti ed insistenti pensieri razionali) o ‘I miserabili’ di V. Hugo. Attraverso le nostre esperienze paghiamo per le nostre trasgressioni, reali o immaginarie, con un sentimento di colpa … può diventare uno dei nostri più forti, più costanti sentimenti. Quattro fattori contribuiscono, in qualche modo, al suo formarsi.

In primo luogo, colpa e punizione sono associate così intimamente, che quando facciamo qualcosa e pensiamo che sia sbagliato sviluppiamo contemporaneamente una paura e un bisogno di punizione. E’ naturalmente poco confortevole volere e temere la stessa cosa.

In secondo luogo, nonostante il detto biblico “non giudicare se non vuoi essere giudicato”, il giudizio è la nostra più comune reazione a ogni azione. Giudichiamo non soltanto gli altri ma anche noi stessi e ciò di gran lunga più dannoso.

In terzo luogo, impariamo troppo sui nostri principi morali a causa delle emozioni associate ad essi. Ci viene insegnato che buono e cattivo sono veramente diversi rispetto all’informazione effettiva che ne abbiamo a scuola. Ogni volta che il nostro imparare coinvolge un giudizio sul buono e sul cattivo, toni fortemente emotivi ed invadenti sono presenti. Al posto di un cenno meramente intellettuale di accettazione o al posto di un distaccato rifiuto, la nostra emotività ci coinvolge più personalmente in qualsiasi punto in discussione. In realtà siamo così coinvolti per il fatto che non è il punto in discussione che si deve giudicare, ma siamo noi stessi. La posizione che assumiamo in ogni discussione morale non è mai tanto importante quanto ciò che pensiamo e sentiamo su noi stessi alla fine della discussione. Ciò significa sopravvalutare i nostri principi morali. E’ molto più difficile cambiare la disposizione morale che cambiare la nostra accettazione di un’informazione di fatto.

Il quarto e più dannoso fattore è che lo schema di colpa e di punizione ci fa sentire privi di valore … ci mette in contatto con una profonda disistima. Dal momento in cui siamo stati puniti per la prima volta come bambini, il nostro Io è aggredito. Ci si dice che siamo cattivi o insofferenti, o che siamo qualche volta meno di quello che dovremmo essere, contrariamente alla lode che otteniamo quando facciamo piacere ai nostri genitori. Giudizi elogiativi guidano l’espansione e lo sviluppo dell’Io. Incorriamo in danni della personalità, in perdita della stima che abbiamo di noi stessi e anche dell’accettazione che abbiamo di noi.

Espressioni tipiche del senso di colpa.


ome trattiamo il senso di colpa che andiamo accumulando? Il modo più semplice e diretto è soffrire la punizione. Troviamo anche sollievo dal senso di colpa nella riparazione, facendo ammenda del nostro agire sbagliato. Naturalmente ciò suona come un modo razionale di trattare la colpa. Ma la riparazione non è sempre così razionale come sembra; spesso coinvolge dei sacrifici irrazionali. Siamo così imbevuti di una combinazione di colpa e punizione che ci attendiamo di dover pagare per ogni cosa di cui ci rallegriamo. Ad esempio, se abbiamo una settimana di giornate soleggiate e stupende, possiamo immediatamente dire: Dovremmo pagare per questa settimana con una settimana di pioggia e bufera!”. Un altro modo di trattare la colpa è la confessione. Sappiamo che saremo puniti se ci confessiamo. Ma speriamo anche che la confessione ci procurerà un giudizio molto severo. Cerchiamo anche di reprimere la colpa, tentando di dimenticarla. La scacciamo completamente dal nostro pensiero. Ma nello scacciare l’ostilità e il senso di colpa dal nostro pensiero, frequentemente lo spostiamo e ciò conduce a proiettarla sugli altri attribuendo ad essi i desideri per i quali ci siamo sentiti colpevoli. Quando un uomo dice: “Mia moglie va continuamente cercando di litigare”, egli sta spesso esprimendo il suo desiderio di aggredirla, nonché la sua personale ostilità nei confronti della moglie. Infine razionalizziamo quegli atti che ci fanno sentire colpevoli. Troviamo buone ragioni per fare ciò per cui ci sentiamo segretamente in colpa. Se nell’ira neghiamo ai nostri bambini qualche cosa, diciamo che lo stiamo facendo per il loro bene. Oppure, se indulgiamo nel trattare un affare in modo tortuoso, chiamiamo ciò un modo astuto di fare gli affari.

Come il senso di colpo agisce nel nostro intimo.


olto più importante di quello che facciamo quando ci sentiamo in colpa, è che cosa il senso di colpa fa per noi. Siamo tutti capaci di mantenere un aspetto esteriore che ci rende funzionali in maniera accettabile nella società. Ma al di sotto di questa facciata esteriore alimentiamo ostilità, rabbia, invidia, gelosia e desideri che ci fanno sentire colpevoli. Siamo spiacenti di avere questa facciata esteriore straziata dalla forza di questa ostilità e di questi desideri. Sopprimiamo, giustifichiamo, compensiamo ininterrottamente; facciamo riparazioni e ci confessiamo persino. Ma il sollievo è sempre breve. Anche se sappiamo che molte cose sono sbagliate continuiamo a volerle. Questo ricorrente, corrosivo senso di colpa inevitabilmente ha dei segni esteriori. I suoi segni rivelatori nel nostro comportamento possono essere raffinati, ma ci sono … eccome!. L’autorecriminazione è uno dei modi raffinati con cui il senso di colpa contamina il nostro comportamento quotidiano. Se siamo chiamati nell’ufficio del direttore, ad esempio, ci chiediamo invariabilmente: “Che cosa avrò mai fatto di sbagliato?”. Il direttore può volerci vedere per dirci semplicemente quanto sia compiaciuto per un particolare lavoro che abbiamo fatto; noi invece ci aspettiamo richiamo e disapprovazione. Se i nostri amici non ci telefonano, non ci scrivono o non ci fanno visite supponiamo che in qualche modo li abbiamo offesi. Non pensiamo naturalmente che possono essere occupati o fuori di città. Se qualcosa va storto, ci attendiamo di essere biasimati. E se il nostro senso di colpa è sufficientemente forte, pensiamo persino che le nostre disgrazie fortuite siano colpa nostra. Maggiore è il senso di colpa, meno possiamo permetterci di essere in errore su qualche cosa. Lo sforzo costante per ottenere approvazione può essere espresso come un bisogno costrittivo di essere dalla parte giusta, di perfezionarsi. Il pensiero implicito è molto semplice. La colpa ci fa sentire svalutati ma non dobbiamo svelarlo. Il modo migliore per non svelare il nostro senso di mancanza di valore è quello di farsi valere, di eccellere in ogni cosa, nel gioco, negli affari, nella conversazione; vogliamo essere perfetti, in modo che nessuno sia capace di scoprirci con le mani nel vasetto della marmellata ... in difetto, in errore. Sfortunatamente, nel nostro bisogno imperativo di essere impeccabili tendiamo ad eccedere nello sforzo di far bene. Dobbiamo vincere qualsiasi argomentazione, non importa quanto insignificante essa sia, perché temiamo che, se sbagliamo in qualche cosa, la gente ci guardi come se sbagliassimo tutto. La coercizione generalmente è un aspetto significativo nello sviluppo del senso di colpa, e una delle sue più evidenti espressioni. Parlando in maniera non spontanea, ad esempio, controlliamo le nostre reazioni. Se facciamo ciò durante tutta la conversazione, non può saltar fuori nulla che potrebbe rivelare la nostra insufficiente naturalezza. Qualche volta, chi conversa in maniera costrittiva parla parecchio di se stesso. Infatti può in maniera ossessiva invitarvi a pensare bene di lui raccontando alcuni incidenti in cui qualcuno vergognosamente si è servito di lui senza che egli alzasse un dito per protestare, tanto grande era la sua generosità. Oppure può sollecitare il nostro amore e la nostra pietà parlando incessantemente delle sue malattie o della sua malasorte. 


può essere eccessivamente sollecito: “Desidera un altro bicchiere? Una sigaretta? Una sedia più soffice? Ha abbastanza caldo?” e così via. Questo genere di controllo eccessivo di una relazione può nascondere sentimenti del tutto contrari a quelli espressi. Ciò impedisce all’altro di esprimersi completamente. Un contatto coercitivo o l’essere troppo calcolatori o il dubitare eccessivamente, esprimono anche la nostra paura di sbagliare e di essere scoperti. Alcune persone impongono di comprare a prezzi vantaggiosi. Questo è il loro modo inconscio di giustificarsi nel caso siano stati accusati di essere indulgenti con se stessi. Difficilmente potevano non comprare, dato il prezzo; era realmente un risparmio!!! In altre parole era meglio comprare, non lasciarsi sfuggire quel grosso “affarone”. A volte esprimiamo intenzionalmente il nostro senso di colpa, perché pensiamo che ciò ci darà la possibilità di dimenticare, di redimerci. Ma come molti studiosi hanno dimostrato, coloro che esibiscono in maniera drammatica la propria colpa raramente mostrano l’umiltà o il rincrescimento che ci attendiamo sia unito ad essa. Proclamano la loro colpa per disarmarci. Accusano se stessi prima che possiamo accusarli noi; così, pensiamo di loro che sono persone “per bene”. Il bisogno di un tale “perbenismo” facilmente sfugge. Maggiore è il nostro senso di colpa, più acutamente sentiamo questo bisogno. Il nostro comportamento comincia a essere dominato, quindi tiranneggiato da esso. Ci sono persone che arrivano con appena cinque minuti di ritardo e sprecano mezz’ora per scusarsene. Giudicando dalle apparenze il loro scusarsi è eccessivo in confronto alla colpa. Ma a livello psicologico più profondo si stanno scusando non per il piccolo errore di comportamento costituito dall’essere in ritardo, si stanno scusando per tutti i loro “misfatti”, passati, presenti, futuri, reali, immaginari o potenziali. Questo è il motivo per cui si scusano così profondamente e man mano che diventano sempre più esperti nello scusarsi, possono anche riuscire ad avvilire se stessi, a farsi sentire importanti, così si risparmiano ogni eventuale attacco che potrebbe essere rivolto contro loro. Cominciamo ad apparire umili, modesti, e perciò veramente accettabili. Le loro scuse hanno lo stesso effetto di un narcotico dall’odore dolce; la nostra irritabilità scompare, e ci calmiamo in una passiva accettazione. Alcune persone dominate dal senso di colpa impiegano mezzi di espressione che sono esattamente l’opposto dello scusarsi. Semplicemente non permettono mai a se stessi di sbagliare. Invece di sfoderare le loro nobili intenzioni sempre di più con le scuse che vogliono addurre per avere sbagliato, parlano ripetutamente del loro successo, di ciò che fanno costantemente per gli altri e per se stessi, per dimostrare le loro buone intenzioni. Che cos’altro posso essere se non degno di stima, ben presentabile e accettabile, domandano silenziosamente, se mi sforzo tanto di essere fidato, consenziente, caritatevole? Il fatto è che il mondo esterno, il più delle volte, accetta queste persone; esse sembrano generalmente esempi di virtù. E’ l’individuo che non accetta se stesso e continua a lavorare eccessivamente, come se la sua vita dipendesse veramente da ciò. 


ontinua ad essere azionato meccanicamente, lavorando come se stesse facendo penitenza, senza reagire con sufficiente chiarezza alle necessità logiche del lavoro, tanto è minacciosa e paurosa l’interpretazione che dà a queste necessità. In breve, agisce reagendo a qualcosa che sta dentro di lui, qualcosa di profondamente personale, emotivo e di lunga durata. E’ probabile che tutto ciò ha a che vedere con quello che egli crede necessario per l’edificazione di un’immagine accettabile di sé agli occhi del mondo. Maggiore è la nostra sensazione di colpa, tanto più dobbiamo sacrificarci a questo compito. Il guaio di tutto ciò, sfortunatamente, è che questo mezzo, come molti altri, induce la gente a pensare meglio di noi in quelle circostanze, ma spesso ha effetto opposto su di noi. Lo scaricatore può anche pensare che gli altri valgano poco, e così tenere viva la propria ostilità interiore, restando così esposto ai ripetuti attacchi del suo stesso senso di colpa. Una persona che lavora eccessivamente si stanca troppo per rallegrarsi della compagnia e spesso critica eccessivamente la pigrizia degli altri. Più a lungo manteniamo viva la nostra ostilità, non importa come la nascondiamo, più il nostro senso di colpa rimane vivo. Il più penetrante e serio effetto del nostro senso di colpa è il bisogno che esso crea di soffrire. Abbiamo visto che il senso di colpa e la punizione si susseguono come il giorno e la notte. Soffrire è una punizione speciale che applichiamo a noi stessi. Se soffriamo che cosa accade? Suscitiamo la pietà, la simpatia, il cameratismo. La gente è spiacente per noi, invece di accusarci si aver fatto qualcosa di sbagliato e di soffrirne; naturalmente ci aiuta a pensare che abbiamo pagato il prezzo che dovevamo per “aver agito male”. Inoltre soffrire non è realmente ciò che vogliamo; noi tutti lo sappiamo. E’ il nostro modo di purificare la nostra personalità. Sfortunatamente scegliamo per purificarci qualcosa che è troppo forte. Nel purificare la nostra personalità, diamo alle fiamme la nostra vera parte di noi che stiamo tentando di purificare. Soffriamo molto di più di quanto dovremmo. Sommergiamo noi stessi nella miseria, nell’infelicità, nell’impotenza, in un senso di privazione di valori. Alcuni fanno di ciò un’abitudine, diventano professionalmente flagellanti. Giungono ad un punto in cui la tristezza è un aspetto integrante della loro personalità, fino al punto che piangono per la gioia e trovano persino, come fece Romeo, che la tristezza sia una cosa piacevole. Una delle forme più comuni di sofferenza è l’abitudine a sentirsi vittime. Vediamo ciò in espressioni come: “Non me ne hanno dato l’opportunità”, oppure “Capitano tutte a me”. La gente che dice queste cose trova diletto in storie pietose. Non deve trattarsi necessariamente della loro personale, sfortunata storia. Può essere quella di chiunque. Questi sofferenti cronici si fissano su una tragedia, su una malattia, su qualche incidente, sul senso di fallimento, sulla morte, sulle infermità, ciascuna delle quali cose concede loro di dire: “Non controlliamo noi stessi; siamo le vittime innocenti di forze aspre e crudeli al di fuori di noi”. L’infermità psicosomatica è un’espressione più sofisticata di un’abituale tendenza al vittimismo.


erte persone sono sempre vagamente sofferenti. Durante l’inverno sono congelate dal freddo; in estate sono allergiche al calore; in primavere ed in autunno sono sensibili alle fluttuazioni della temperatura. Queste modalità di comportamento le possiamo tradurre così: “Non mi è permesso di stare bene. Se sto bene, devo trovare un nuovo meccanismo per esprimere il fatto che mi sento vittima, sofferente, che sento di dovermi punire. Ma se sono malato, se sono vittima delle circostanze, tu non mi puoi accusare degli impulsi ostili che sto nascondendo o del mio senso di colpa. La malattia è debilitante, dolorosa, costosa, ma in quale altro modo posso esprimere il mio bisogno di soffrire?”. Una paura reale di punizione è anche una forma di sofferenza. Paghiamo poiché abbiamo degli impulsi ostili o indegni. Paghiamo vivendo nella paura di una punizione. Pensiamo di morire di terribili malattie, di perdere una gamba, di perdere il lavoro, tutto come punizione.

Che cosa possiamo fare contro il senso di colpa.

oi soffriamo. Perché? Perché ci sentiamo colpevoli di tutti i nostri desideri proscritti e di tutti i nostri impulsi ostili. Alcuni fra questi sentimenti risalgono molto indietro nel tempo. Pochi li abbiamo risolti, ma per la maggior parte sono rimasti insoluti. E sono mantenuti vivi dalle circostanze della nostra vita. Così soffriamo di un senso di colpa a causa di essi. Ci chiediamo ripetutamente: “Per che cosa sto provando un senso di colpa?

a questa non è una domanda che ci può aiutare di più. Ciò che dovremmo chiederci è: “Qual è la funzione di questa condanna, autorecriminazione, di questa disposizione, ricerca continua a soffrire?”. Fondamentalmente, la sofferenza è la nostra ostilità che si è volta contro di noi stessi! E’ la punizione che diamo a noi stessi per aver voluto cose che abbiamo supposto non siano da desiderare, per aver fatto cose che abbiamo supposto non siano da fare. L’associazione di colpa e punizione lascia in noi un bisogno di punizione, così ci imponiamo delle privazioni, ci martirizziamo, e in questo modo puliamo, laviamo i nostri peccati. Il nostro soffrire, bilanciando l’assenza di valori che sentiamo per il nostro senso di colpa, ci aiuta a conservare la stima in noi stessi; ma sfortunatamente diminuisce la nostra abilità, la nostra capacità di godere della vita, poiché non permette un sufficiente sviluppo della nostra personalità per ciò che intraprendiamo che è di prima importanza e per la possibilità di godere della compagnia degli altri. Che cosa possiamo fare? Il moralista dice: Agisci giustamente, sii caritatevole, cammina umilmente con il tuo Dio, oppure Non fare agli altri ciò che non verresti fosse fatto a te. Un psicoterapeuta non può guardare al senso di colpa o alle sue cause in termini morali. Egli riconosce i desideri dell’uomo non come buoni o cattivi, ma semplicemente in quanto ci sono e costituiscono una parte incancellabile dell’essere umano. Non possiamo cambiare le nostre “macchie”. Tutti abbiamo dei desideri che sono in qualche modo antisociali, ma ciò non ci rende psicopatici o criminali. La moralità può impedirci di agire sulla base di desideri antisociali, ma non impedirli di averli, e impedirci di provare un sentimento di colpa a causa di essi. Noi li esprimiamo e li soddisfacciamo nel nostro pensiero, nella nostra fantasia, se non nell’azione. Così il sentimento di colpa è in noi per restarci.


on possiamo liberarci di esso più di quanto non possiamo liberarci del freddo dell’inverno o del caldo dell’estate. Ma proprio come ci proteggiamo contro il clima col cambiare qualcosa secondo la situazione contingente, mettendoci un cappotto d’inverno, usando aria condizionata d’estate. Possiamo ammortizzare il nostro senso di colpa strutturando la stima di noi stessi tramite il “sentire”, il piacere, la gente e la partecipazione a interessi di diverso tipo. Ogni cosa che facciamo per rallegrarci un po' di più, per aumentare i nostri divertimenti ed essere consapevoli, tende a bilanciare il dolore che la sofferenza ci causa. Ogni sforzo che facciamo nell’aumentare il numero e la varietà delle nostre amicizie o delle nostre relazioni con la gente, tende a sostenerci.

La personalità si sviluppa nel momento in cui comincia a identificarsi con gli altri. Ci sentiamo meglio perché la nostra accettazione degli altri ci aiuta ad accettare noi stessi.


iò non significa che dovremmo diventare parassiti e vivere della forza degli altri. Dovremmo poter dare qualcosa a ogni persona con cui ci mettiamo in relazione, e se conserviamo una disposizione d’animo aperta e andiamo in cerca di qualcosa che ci faccia gioire della vita e partecipiamo ad attività che ci danno un senso di soddisfazione e di compimento dei desideri, troveremo molte cose da portare con noi nelle nostre relazioni con gli altri.

Ora, naturalmente, è facile riconoscere che ciò è un buon consiglio generale. Ma non c’è qui un consiglio specifico sul problema della colpa, non c’è un modo che ci permetta di annullare la nostra tendenza a giudicarci così duramente?

C’è, ma prima dobbiamo riconoscere e ammettere che noi, nei fatti, ci giudichiamo troppo e troppo sbrigativamente.

uesto è il primo modo specifico. Noi tutti soffriamo. E non a causa della malasorte. Soffrire è una punizione. La punizione deriva dalla colpa. E tutti abbiamo, anche se non lo vediamo chiaramente, un senso di colpa. Ora questa conoscenza in sé non ci renderà più semplice reprimere la nostra tendenza a giudicare noi stessi, ma ci può aiutare a essere più comprensivi nei confronti degli altri. Finché ci ricordiamo che il senso di colpa non resta mai impunito perché l’individuo stesso che si sente colpevole si punisce, anche se la società manca di scoprire la colpa e di agire contro di essa, potremo non sentirci forzati a giudicare gli altri.

Perché giudicare e punire se sappiamo che tale azione ha già preso posto dietro le quinte?

Possiamo rilassarci: possiamo vivere e lasciar vivere e, ancora meglio, in breve tempo potremo perfino trattarci con un po’ più di indulgenza.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.


Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 
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