L'Abbandono
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una insicurezza affettiva connessa ad esperienze precoci di
deprivazione vissute nei primi anni di vita; la figura di riferimento
è inesistente, non appare per niente rassicurante, si relaziona con
un atteggiamento anaffettivo; un fenomeno che, pur essendo vissuto
nei primi anni di vita, compromette per sempre, la vita di relazione
futura; ci si chiude in se stessi con disinteresse per ogni cosa.
Quando si vive questa insicurezza affettiva anche il nostro corpo
urla, si fa sentire, produce segnali, sintomi: agitazione, insonnia,
aggressività, ansia. Il cucciolo privato completamente di cure
affettuose durante i primi anni di vita, generalmente, si sviluppano
male … porteranno segni di natura affettiva indelebili …
rallentamento dello sviluppo fisico se blocco a livello
intellettuale. Coloro per i quali la privazione non ha assunto un
carattere così radicale, oppure è stata più tardiva, continueranno
nel loro sviluppo, ma rimangono spesso bambini “difficoltosi” …
non completi, ai quali manca sempre qualcosa. Tuttavia, anche in
seguito a separazioni temporanee, non è raro osservare l'insorgere
di vari turbe più o meno persistenti come: l'enuresi notturna, turbe
dl sonno e dell'alimentazione, problemi a livello relazionale ed
affettivo: capricciosi, disubbidienti, esigenti … che non perdono
l'occasione di mettersi di traverso anche quando le cose sono a loro
favore. Per questa ragione, si ritiene che la frequenza di tali
problemi, la difficoltà di contenerli quando si sono sviluppati, le
numerose difficoltà che essi pongono ai genitori e agli educatori
come agli amici, giustificano ampiamente la raccomandazione fatta ai
familiari di evitare, nel corso dei primi cinque anni di vita,
inutili separazioni oppure, nel caso in cui siano inevitabili, di
prendere tutte le precauzioni necessarie per evitarne e attenuarne i
nefasti effetti. Naturalmente, tali effetti variano d'intensità e
gravità a seconda delle condizioni nelle quali avviene la
separazione. Essi dipendono da diversi fattori come ad esempio da:
durata dell'assenza stessa, età del piccolo al momento della
separazione e il genere di vita che egli conduce in tale periodo.
Essi variano anche da bambino a bambino a seconda del carattere e del
tipo di famiglia alla quale appartiene. Può accadere, comunque, che
una separazione che va da alcune ore ad alcuni giorni può passare
senza lasciare alcun segno. E' questo spesso il caso dei neonati che
possono non accorgersi di una brevissima assenza; come pure bambini
più grandi, già abituati a una compagnia diversa da quella della
madre, che hanno acquisito alcune forme di indipendenza, posso
affrontare la situazione, senza la figura materna, per alcuni giorni
perché hanno la consapevolezza che essa tornerà. In tutti questi
casi il bambino non sente l'assenza, non avverte cambiamento e quindi
non soffre per la separazione.
utto ciò vale però sono per
brevissime separazioni e se il bambino continua a rimanere sempre nel
medesimo ambito generale di vita. Ma se l'assenza è prolungata, non
appena essa – per una qualsiasi ragione - diviene evidente al
bambino, non appena egli avverte il cambiamento di situazione,
cominciano ad apparire segni di sofferenza. Il fatto che la
manifestazione di tali segni avvenga al momento della separazione
oppure dopo un certo lasso di tempo, non è molto importante: essi
esistono sempre. Spesso si tratta di qualche grido di richiamo per la
mamma, richiami penosi ovviamente, ma non gravi in sé, e che
costituiscono una sana e normale protesta del piccolo, il quale
comprende e teme quel che gli sta succedendo. Altre volte però – e
ciò è tanto più evidente quanto minore è l'età del bambino –
si tratta di pianti apparentemente senza ragione, di alterazioni più
o meno profonde dello stato generale; tra questi fenomeni possiamo
citare: perdita del senso della pulizia, della facoltà di camminare,
del linguaggio o del gergo abituale, cambiamenti di espressione,
immobilità e apatia, perdita di interesse al gioco. Nella maggior
parte dei casi, questo periodo è seguito da un altro periodo di
adattamento al nuovo ambiente. Si vuol dire che il bambino si abitua.
E infatti le grida cessano, lo stato generale subisce un
miglioramento; il bambino diventa ragionevole; la conoscenza con
l'ambiente che lo circonda, con la sua nuova vita. Per questa
ragione, comunemente si pensa che la separazione non è grave in sé,
ma solo dolorosa all'inizio. Il buon adattamento è solo apparente;
può verificarsi solo a presso di profondi mutamenti nel bambino.
Egli può abituarsi solo a prezzo di una certa indifferenza, di un
certo oblio; per ottenere tale scopo adotta atteggiamenti contrari al
suo sviluppo; compaiono così tutte quelle piccole turbe che denotano
le carenze affettive nel bambino. E' questa la ragione per cui
bisogna ridurre al minimo la durata della separazione e recarsi di
frequente a trovare il bambino. Le
separazioni, inoltre, sono tanto meno nocive quanto più breve è la
loro durata e quanto più offrono sicurezza al bambino.
er
quanto riguarda circa il termine abbandono, il dizionario ci fornisce
diverse definizioni: “Lasciare senza
aiuto, sostegno, assistenza… lasciare, allontanare
definitivamente”. La
parola in sé non ha comunque un suono piacevole, non certamente
melodioso e gradevole: evoca una sensazione di sconfitta, di
inquietudine e di fallimento. Questa insicurezza affettiva è legata
ad esperienze di deprivazioni sperimentate nei primi anni di vita e
caratterizzate da sensazioni, più o meno profonde, di mancanza di
protezione o, magari, da atteggiamenti poco soddisfacenti e
affettuosi. Il neonato, infatti, inizialmente prototipo dell’essere
umano “dipendente”, può fondare il suo istintivo senso di
sicurezza esclusivamente in base all’attenzione ed alle cure che
gli altri gli porgono. Abbandonato a se stesso perirebbe senza
scampo. Tanto il momento di disinteresse volontario che quello di
involontaria disattenzione sono percepiti dal neonato come un estremo
pericolo di “morte”. La propensione all’attenzione ed alle cure
per i neonati piccoli in genere è insita comunque nella natura umana
a garanzia della continuità della specie ... è sempre la qualità e
la durata dei rapporti che risultano determinanti per la salute
psicosomatica futura. Tale propensione, arricchita da motivi
accessori, è indicata comunemente come “affetto” …
amorevolezza per eccellenza. Una sorta
di profondo riflesso condizionato stabilisce così nella percezione
istintiva del bambino un nesso insolubile tra ricezione di
manifestazioni d’affetto e “sicurezza” di restare in vita, tra
carenza d’affetto e pericolo di morte.
Così il “senso di sicurezza” potrà svilupparsi nel bambino se
sarà stato oggetto di soddisfacenti, continuative e compiute
manifestazioni affettive. Subentrerà invece il “senso di
insicurezza”, come basilare ansietà, in logica conseguenza di una
insoddisfacente, instabile oppure incompiuta manifestazione
affettiva. Così insoddisfazioni e insicurezze di natura istintiva
possono distrarre parte delle energie tendenti allo sviluppo psichico
e arrestarlo a fissazioni relative a situazioni ansiose. Più tardi,
nella personalità dell’adulto, portatore del fenomeno di
dipendenza, lo stesso anacronistico allarme, dovuto alle
insoddisfazioni ed alle insicurezze infantili, si perpetuerà a causa
del carattere inconscio - e quindi inattaccabile dal senso critico -
dell’antica carica emozionale che lo determina tuttora.
osì
affiora nella coscienza un misterioso senso d’insicurezza e
d’insoddisfazione che, tuttavia, le facoltà mentali razionali,
giustificheranno di volta in volta con motivi banali. Ad
essi il soggetto, ogni volta, presterà fede pur notando come
l’insicurezza e l’insoddisfazione permangono oltre il dileguarsi
dei motivi che per breve tempo hanno prestato loro una
giustificazione. Tali reazioni dunque, sono prive di una logica
vincolata all’ambiente presente - non è riconducibile a fenomeni
oggettivi e realistici - e, perché siano spiegate logicamente,
occorre risalire alla loro genesi. Queste esperienze iniziali, come
abbiamo visto, man mano che passa il tempo, non solo creano un
profondo malessere, ma possono pregiudicare la vita relazionale
successiva, determinando in chi soffre un’irrequietezza e una
sfiducia di base, spesso responsabili del fallimento dei rapporti
interpersonali: amicizia, lavorativi e di coppia. Essere abbandonato
è un’esperienza drammatica e, incide, soprattutto in tenera età,
sulla psiche in maniera indelebile. E’ talmente dolorosa che crea
nel soggetto, come modalità reattiva, una profonda disistima,
insicurezza, un senso di autodistruzione psico – fisico e un legame
di totale dipendenza dagli altri. In realtà chi ha sofferto di
abbandono è convinto, pur avendo straordinarie capacità
intellettive, di non essere in grado di far niente da solo; chiede
continuamente consigli e pareri a ruota libera
che, il più delle volte, non utilizza
mai, ha una grande necessità di sentirsi sostenuto e continuamente
approvato in ogni scelta che fa. Poiché
non ha mai avuto - o perlomeno ne è convinto - l’attenzione
desiderata, ama passare per vittima e drammatizzare anche gli eventi
più semplici e banali. Attraverso questa strategia riesce ad
attirare l’attenzione con i mezzi più disparati; anche con
problemi di salute raggiungendo in tal modo il suo scopo, ovvero il
sostegno, l’attenzione degli altri e qualche piccola porzione di
dimostrazione d’affetto. Il dipendente quando agisce da altruista
non lo fa mai in modo spontaneo, ma usa questo gesto per ricevere
esclusivamente attenzione, considerazione, riconoscimenti e
complimenti … si sente importante ed
aumenta, per un attimo, la sua autostima. E’
una persona tormentata da notevoli sbalzi d’umore, in quanto non
essendo completamente autonomo e incapace di gestire un semplice
rifiuto, evoca lo spettro drammatico della solitudine: “Che
farò da solo? … Che ne sarà di me”?
l bisogno di essere
amato e protetto verrà considerato desiderio d’amore ed il
soggetto coltiverà un ideale di se stesso quale generoso
dispensatore d’amore. La tendenza a
fuggire le doverose responsabilità dell’adulto verrà dichiarata
come eccezionale destrezza nel vivere. Il desiderio di vivere a
“spese” degli altri - altro tentativo di perpetuare l’antica
situazione infantile - quando fosse autosservato, lo sarebbe come
eccellente indice di astuzia e diventerebbe fonte di ammirazione.
Poiché nulla di male il soggetto si addebita, non riesce egli a
vedere su che cosa si fondi l’ostilità altrui …
nel nostro caso specifico le reazioni abbandoniche.
Soffrirà allora di sentirsi, in ogni rapporto, incompreso,
angariato, disamato, deriso a torto e diventerà vittima depressa
oppure rabbioso di un destino senza speranza o di un prossimo
apparentemente birbaccione, perfido e ingannevole. E’ bene
ricordare, comunque, che questi modi di pensare, di sentire, di agire
non sono fenomeni “patologici”, ovviamente
quando non ostacolano il soggetto nelle più elementari attività
quotidiane, ma sono modalità reattive
che permettono all’individuo di “adattarsi” a situazioni ed
esperienze particolarmente dolorose …
creando, purtroppo, attraverso l’equilibrio raggiunto, per quanto
possa essere strano e complesso, ulteriore sofferenza).
Tale “equilibrio” inizialmente vantaggioso a lungo andare può
creare nell’individuo stesso malessere e sofferenza in quanto non
gli permette di condurre la vita in maniera spontanea e libera, di
grande apertura mentale e di sana adattabilità all’ambiente
circostante. Tuttavia possiamo affermare che la dipendenza è
presente in altri stati emotivi, ma resta sempre più marcata e
dominante nell’ambito dell’abbandono …
è il tema dominante che crea la “sofferenza”!!!.
Tutto quanto è stato menzionato in questa breve esposizione non deve
essere inteso come un lungo elenco di “difetti” senza senso, ma
devono essere interpretati come piccoli ostacoli che non consentono
di aprirci mentalmente e a migliorare la nostra dimensione emozionale
e mentale. Attraverso tale conoscenza possiamo decidere se continuare
a salire sulla “giostra
dell’infelicità”, che ci siamo
creati nel tempo, oppure diventare consapevoli dell’inutilità
delle nostre risorse reattive che, pur non essendo soddisfacenti,
continuano a dominano la nostra vita.
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
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