venerdì 27 maggio 2022

 L'Abbandono

' una insicurezza affettiva connessa ad esperienze precoci di deprivazione vissute nei primi anni di vita; la figura di riferimento è inesistente, non appare per niente rassicurante, si relaziona con un atteggiamento anaffettivo; un fenomeno che, pur essendo vissuto nei primi anni di vita, compromette per sempre, la vita di relazione futura; ci si chiude in se stessi con disinteresse per ogni cosa. Quando si vive questa insicurezza affettiva anche il nostro corpo urla, si fa sentire, produce segnali, sintomi: agitazione, insonnia, aggressività, ansia. Il cucciolo privato completamente di cure affettuose durante i primi anni di vita, generalmente, si sviluppano male … porteranno segni di natura affettiva indelebili … rallentamento dello sviluppo fisico se blocco a livello intellettuale. Coloro per i quali la privazione non ha assunto un carattere così radicale, oppure è stata più tardiva, continueranno nel loro sviluppo, ma rimangono spesso bambini “difficoltosi” … non completi, ai quali manca sempre qualcosa. Tuttavia, anche in seguito a separazioni temporanee, non è raro osservare l'insorgere di vari turbe più o meno persistenti come: l'enuresi notturna, turbe dl sonno e dell'alimentazione, problemi a livello relazionale ed affettivo: capricciosi, disubbidienti, esigenti … che non perdono l'occasione di mettersi di traverso anche quando le cose sono a loro favore. Per questa ragione, si ritiene che la frequenza di tali problemi, la difficoltà di contenerli quando si sono sviluppati, le numerose difficoltà che essi pongono ai genitori e agli educatori come agli amici, giustificano ampiamente la raccomandazione fatta ai familiari di evitare, nel corso dei primi cinque anni di vita, inutili separazioni oppure, nel caso in cui siano inevitabili, di prendere tutte le precauzioni necessarie per evitarne e attenuarne i nefasti effetti. Naturalmente, tali effetti variano d'intensità e gravità a seconda delle condizioni nelle quali avviene la separazione. Essi dipendono da diversi fattori come ad esempio da: durata dell'assenza stessa, età del piccolo al momento della separazione e il genere di vita che egli conduce in tale periodo. Essi variano anche da bambino a bambino a seconda del carattere e del tipo di famiglia alla quale appartiene. Può accadere, comunque, che una separazione che va da alcune ore ad alcuni giorni può passare senza lasciare alcun segno. E' questo spesso il caso dei neonati che possono non accorgersi di una brevissima assenza; come pure bambini più grandi, già abituati a una compagnia diversa da quella della madre, che hanno acquisito alcune forme di indipendenza, posso affrontare la situazione, senza la figura materna, per alcuni giorni perché hanno la consapevolezza che essa tornerà. In tutti questi casi il bambino non sente l'assenza, non avverte cambiamento e quindi non soffre per la separazione.


utto ciò vale però sono per brevissime separazioni e se il bambino continua a rimanere sempre nel medesimo ambito generale di vita. Ma se l'assenza è prolungata, non appena essa – per una qualsiasi ragione - diviene evidente al bambino, non appena egli avverte il cambiamento di situazione, cominciano ad apparire segni di sofferenza. Il fatto che la manifestazione di tali segni avvenga al momento della separazione oppure dopo un certo lasso di tempo, non è molto importante: essi esistono sempre. Spesso si tratta di qualche grido di richiamo per la mamma, richiami penosi ovviamente, ma non gravi in sé, e che costituiscono una sana e normale protesta del piccolo, il quale comprende e teme quel che gli sta succedendo. Altre volte però – e ciò è tanto più evidente quanto minore è l'età del bambino – si tratta di pianti apparentemente senza ragione, di alterazioni più o meno profonde dello stato generale; tra questi fenomeni possiamo citare: perdita del senso della pulizia, della facoltà di camminare, del linguaggio o del gergo abituale, cambiamenti di espressione, immobilità e apatia, perdita di interesse al gioco. Nella maggior parte dei casi, questo periodo è seguito da un altro periodo di adattamento al nuovo ambiente. Si vuol dire che il bambino si abitua. E infatti le grida cessano, lo stato generale subisce un miglioramento; il bambino diventa ragionevole; la conoscenza con l'ambiente che lo circonda, con la sua nuova vita. Per questa ragione, comunemente si pensa che la separazione non è grave in sé, ma solo dolorosa all'inizio. Il buon adattamento è solo apparente; può verificarsi solo a presso di profondi mutamenti nel bambino. Egli può abituarsi solo a prezzo di una certa indifferenza, di un certo oblio; per ottenere tale scopo adotta atteggiamenti contrari al suo sviluppo; compaiono così tutte quelle piccole turbe che denotano le carenze affettive nel bambino. E' questa la ragione per cui bisogna ridurre al minimo la durata della separazione e recarsi di frequente a trovare il bambino. Le separazioni, inoltre, sono tanto meno nocive quanto più breve è la loro durata e quanto più offrono sicurezza al bambino.




er quanto riguarda circa il termine abbandono, il dizionario ci fornisce diverse definizioni: “Lasciare senza aiuto, sostegno, assistenza… lasciare, allontanare definitivamente”. La parola in sé non ha comunque un suono piacevole, non certamente melodioso e gradevole: evoca una sensazione di sconfitta, di inquietudine e di fallimento. Questa insicurezza affettiva è legata ad esperienze di deprivazioni sperimentate nei primi anni di vita e caratterizzate da sensazioni, più o meno profonde, di mancanza di protezione o, magari, da atteggiamenti poco soddisfacenti e affettuosi. Il neonato, infatti, inizialmente prototipo dell’essere umano “dipendente”, può fondare il suo istintivo senso di sicurezza esclusivamente in base all’attenzione ed alle cure che gli altri gli porgono. Abbandonato a se stesso perirebbe senza scampo. Tanto il momento di disinteresse volontario che quello di involontaria disattenzione sono percepiti dal neonato come un estremo pericolo di “morte”. La propensione all’attenzione ed alle cure per i neonati piccoli in genere è insita comunque nella natura umana a garanzia della continuità della specie ... è sempre la qualità e la durata dei rapporti che risultano determinanti per la salute psicosomatica futura. Tale propensione, arricchita da motivi accessori, è indicata comunemente come “affetto” … amorevolezza per eccellenza. Una sorta di profondo riflesso condizionato stabilisce così nella percezione istintiva del bambino un nesso insolubile tra ricezione di manifestazioni d’affetto e “sicurezza” di restare in vita, tra carenza d’affetto e pericolo di morte. Così il “senso di sicurezza” potrà svilupparsi nel bambino se sarà stato oggetto di soddisfacenti, continuative e compiute manifestazioni affettive. Subentrerà invece il “senso di insicurezza”, come basilare ansietà, in logica conseguenza di una insoddisfacente, instabile oppure incompiuta manifestazione affettiva. Così insoddisfazioni e insicurezze di natura istintiva possono distrarre parte delle energie tendenti allo sviluppo psichico e arrestarlo a fissazioni relative a situazioni ansiose. Più tardi, nella personalità dell’adulto, portatore del fenomeno di dipendenza, lo stesso anacronistico allarme, dovuto alle insoddisfazioni ed alle insicurezze infantili, si perpetuerà a causa del carattere inconscio - e quindi inattaccabile dal senso critico - dell’antica carica emozionale che lo determina tuttora. 




osì affiora nella coscienza un misterioso senso d’insicurezza e d’insoddisfazione che, tuttavia, le facoltà mentali razionali, giustificheranno di volta in volta con motivi banali. Ad essi il soggetto, ogni volta, presterà fede pur notando come l’insicurezza e l’insoddisfazione permangono oltre il dileguarsi dei motivi che per breve tempo hanno prestato loro una giustificazione. Tali reazioni dunque, sono prive di una logica vincolata all’ambiente presente - non è riconducibile a fenomeni oggettivi e realistici - e, perché siano spiegate logicamente, occorre risalire alla loro genesi. Queste esperienze iniziali, come abbiamo visto, man mano che passa il tempo, non solo creano un profondo malessere, ma possono pregiudicare la vita relazionale successiva, determinando in chi soffre un’irrequietezza e una sfiducia di base, spesso responsabili del fallimento dei rapporti interpersonali: amicizia, lavorativi e di coppia. Essere abbandonato è un’esperienza drammatica e, incide, soprattutto in tenera età, sulla psiche in maniera indelebile. E’ talmente dolorosa che crea nel soggetto, come modalità reattiva, una profonda disistima, insicurezza, un senso di autodistruzione psico – fisico e un legame di totale dipendenza dagli altri. In realtà chi ha sofferto di abbandono è convinto, pur avendo straordinarie capacità intellettive, di non essere in grado di far niente da solo; chiede continuamente consigli e pareri a ruota libera che, il più delle volte, non utilizza mai, ha una grande necessità di sentirsi sostenuto e continuamente approvato in ogni scelta che fa. Poiché non ha mai avuto - o perlomeno ne è convinto - l’attenzione desiderata, ama passare per vittima e drammatizzare anche gli eventi più semplici e banali. Attraverso questa strategia riesce ad attirare l’attenzione con i mezzi più disparati; anche con problemi di salute raggiungendo in tal modo il suo scopo, ovvero il sostegno, l’attenzione degli altri e qualche piccola porzione di dimostrazione d’affetto. Il dipendente quando agisce da altruista non lo fa mai in modo spontaneo, ma usa questo gesto per ricevere esclusivamente attenzione, considerazione, riconoscimenti e complimenti … si sente importante ed aumenta, per un attimo, la sua autostima. E’ una persona tormentata da notevoli sbalzi d’umore, in quanto non essendo completamente autonomo e incapace di gestire un semplice rifiuto, evoca lo spettro drammatico della solitudine: Che farò da solo? … Che ne sarà di me”? 


'individuo dipendente, temendo profondamente la solitudine, ha l’abitudine di aggrapparsi fisicamente agli altri in modo vischioso … ecco perché predilige tutte quelle attività in cui c’è il contatto fisico … ama i balli in cui ci si può toccare, stringere e proprio per evitare di ripetere l’esperienza dolorosa di abbandono, accetta situazioni drammatiche e rapporti di sofferenza … marito etilista, violento, autoritario. Non ha, inoltre, particolare simpatia per le divise, perché tale abbigliamento, in qualche modo, rappresenta l’autorità. La persona autoritaria, infatti, con il suo tono, aspetto e comportamento deciso, viene definita dal dipendente come una figura fredda, indifferente e, soprattutto, non attenta - proprio per queste sue caratteristiche - alle sue necessità, esigenze affettive; continua la giostra dell’infelicità: si aggrappa eccessivamente agli altri, li “soffoca” e, alla fine, li perde. Il dipendente, pur avendo un discreto appetito sessuale, usa il sesso per sentirsi più importante in quanto si sente desiderato dal partner. Anche quando non ne ha voglia non si oppone perché, a suo dire, perde una opportunità o, meglio, una occasione per sentirsi importante e desiderato … è un altro modo, non spontaneo, per ottenere attenzione!!! Avendo, inoltre, vissuto l’esperienza di abbandono, il più delle volte con il genitore di sesso opposto, non solo gli risulterà più difficile il rapporto con le persone dell’altro sesso ma il suo malessere si riacutizzerà anche ogni volta che accantonerà un progetto cui gli stava a cuore, ogni volta che si allontanerà da un luogo o da una situazione familiare, oppure, cosa più grave, quando non si occupa in modo adeguato di se stesso. I comportamenti e gli atteggiamenti propri del dipendente, stili di vita, gesti imbarazzanti, indecisione e remissione, sono dettati dal terrore di rivivere quelle drammatiche esperienze abbandoniche sperimentate nell’infanzia. Poiché tali caratteristiche non si presentano mai contemporaneamente, con le stesse modalità e, soprattutto, non sono vincolati all’ambiente esterno, il dipendente non avrà mai una profonda consapevolezza dei vari comportamenti descritti, ma li riconoscerà solamente quando essi si presenteranno in modo ostacolante e dominante: fuga dal senso di responsabilità, bisogno di essere curato, bisogno di aiuto e protezione, dipendenza … il tutto accompagnato da una profonda insicurezza e insoddisfazione. L’individuo, con queste caratteristiche, continuerà allora a cercare di scansare le responsabilità proprie della sua età, si attenderà di essere amato e protetto, vagheggerà in modo di sbarcare il lunario a “spese” di una persona o di un ente o della società, e cercherà di raggiungere tutto ciò con sistemi esibizionistici diretti a suscitare, come un tempo, simpatia ammirazione affetto o pietà. Alla ricerca di una “razionalizzazione” delle sue “pene” il soggetto finisce per attribuirne la colpa ad altri o ad uno spiacevole destino, o a qualche divinità, o ad un’assidua sfortuna o a causa di carattere superstizioso, o addirittura al fatto che tutto il mondo “è fatto a rovescio”. Poiché è “cieco” verso i veri motivi delle sue esigenze - è condizionato dalla necessità di non perdere la fiducia in se stesso - giustifica come motivi di gloria (autoglorificazione) proprio i lati più negativi del suo psichismo. D’altra parte tale processo ha una funzione protettiva dell’equilibrio emotivo, dal momento che se l’individuo perdesse del tutto la fiducia in se stesso tale equilibrio verrebbe a mancare. Il mentire a se stessi in modo più o meno consapevole diviene, sotto questo aspetto patologico, una necessità vitale.



l bisogno di essere amato e protetto verrà considerato desiderio d’amore ed il soggetto coltiverà un ideale di se stesso quale generoso dispensatore d’amore. La tendenza a fuggire le doverose responsabilità dell’adulto verrà dichiarata come eccezionale destrezza nel vivere. Il desiderio di vivere a “spese” degli altri - altro tentativo di perpetuare l’antica situazione infantile - quando fosse autosservato, lo sarebbe come eccellente indice di astuzia e diventerebbe fonte di ammirazione. Poiché nulla di male il soggetto si addebita, non riesce egli a vedere su che cosa si fondi l’ostilità altrui … nel nostro caso specifico le reazioni abbandoniche. Soffrirà allora di sentirsi, in ogni rapporto, incompreso, angariato, disamato, deriso a torto e diventerà vittima depressa oppure rabbioso di un destino senza speranza o di un prossimo apparentemente birbaccione, perfido e ingannevole. E’ bene ricordare, comunque, che questi modi di pensare, di sentire, di agire non sono fenomeni “patologici”, ovviamente quando non ostacolano il soggetto nelle più elementari attività quotidiane, ma sono modalità reattive che permettono all’individuo di “adattarsi” a situazioni ed esperienze particolarmente dolorose … creando, purtroppo, attraverso l’equilibrio raggiunto, per quanto possa essere strano e complesso, ulteriore sofferenza). Tale “equilibrio” inizialmente vantaggioso a lungo andare può creare nell’individuo stesso malessere e sofferenza in quanto non gli permette di condurre la vita in maniera spontanea e libera, di grande apertura mentale e di sana adattabilità all’ambiente circostante. Tuttavia possiamo affermare che la dipendenza è presente in altri stati emotivi, ma resta sempre più marcata e dominante nell’ambito dell’abbandono … è il tema dominante che crea la “sofferenza”!!!. Tutto quanto è stato menzionato in questa breve esposizione non deve essere inteso come un lungo elenco di “difetti” senza senso, ma devono essere interpretati come piccoli ostacoli che non consentono di aprirci mentalmente e a migliorare la nostra dimensione emozionale e mentale. Attraverso tale conoscenza possiamo decidere se continuare a salire sulla “giostra dell’infelicità”, che ci siamo creati nel tempo, oppure diventare consapevoli dell’inutilità delle nostre risorse reattive che, pur non essendo soddisfacenti, continuano a dominano la nostra vita.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre indispensabile rivolgersi per qualsiasi diagnosi o terapia specifica. Il presente articolo pertanto ha un  valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551  
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