Realtà e irrealtà
on
v’è dubbio che ognuno percepisce, agisce e sperimenta se stesso e
gli altri “nella realtà” e “nella fantasia”. Il problema
della realtà ha affascinato, da sempre, poeti e filosofi.
Platone, ad esempio, nella sua “Repubblica” affermò che la
nostra comprensione del mondo reale è imperfetta. Ciò che
comprendiamo, a suo dire, è una specie di ombra, di immagine, di
simulacro della realtà. Più la realtà diventa soggettiva, più è
difficile separare i fatti dalle finzioni e, soprattutto, l’oggettivo
da ciò che è decisamente personale. A
volte, vi sono persone che tendono ad essere vittime delle loro
fantasie in quanto, spesso, “permettono” involontariamente che le
loro fantasie impregnino la loro facoltà di valutare e giudicare.
Più il distacco dalla realtà è profondo, cioè non si è in grado
di orientarsi nel tempo, nello spazio o nell’identità, più si
vive in un mondo fantasioso. Si opera, quindi, in base a delle
illusioni e di conseguenza il funzionamento non è radicato nella
realtà. Ma la realtà non è sempre facile da definire. Spesso,
infatti, è difficile determinare quali credenze siano illusioni e
quali siano invece valide e concrete. La crescente accettazione dei
fenomeni extra – sensoriali, sta vacillando la comune convinzione
che la realtà escluda esperienze del genere.
nche una visione
troppo ristretta della realtà può dimostrarsi illusoria. Non di
rado si può constatare come una persona che si vanta di essere
“realista” ha illusioni nascoste. Se
si hanno, comunque, dei sogni di grandezza, si dipenderà da essi
molto più fortemente di quanto ci si renda conto e, quindi, si
tratteranno le cose, le persone in un modo “subordinato” anche se
esse, in realtà, non lo sono.
Ci si sente superiori e si falsifica la realtà autentica. Un
adeguato rapporto con la realtà è sempre indice di “buona
salute” sia fisica sia mentale.
Il criterio di base, fondamentale per il funzionamento di una persona
in stato di buona salute è il “sentirsi
bene”.
Un individuo sano, di solito, sperimenta benessere in quello che
realizza, in ciò che fa: nei rapporti, nel lavoro, negli affari,
nello svago, proverà piacere, gioia ma anche dolore, tristezza e
delusione, non, ovviamente, in senso stoico come certi orientamenti
filosofici vogliono farci credere … non siamo nati per soffrire!!!
Tendenzialmente chi affronta un disagio emotivo vive distaccato dal
proprio ambiente, ovvero nell’irrealtà, nella fantasia, fuori
tempo, negando in qualche modo il presente. La mente, attraverso le
sue fantasie, “sogni ad occhi aperti”, cerca, immediatamente, di
capovolgere una realtà particolarmente confusa, ostile, dolorosa ed
inaccettabile, inventando e costruendo immagini che consentono di
idealizzare i progetti dell’individuo … “gonfiandolo” in
modo tale da rendere la sua esistenza più accettabile.
l
pensiero di A. Fromme sul mondo reale è molto preciso, utile e,
soprattutto, poco fantasioso. Se il presente in qualche modo ci
delude e ci opprime, ci ritiriamo nel passato, nei “bei vecchi
tempi”. Per molta gente, il piacere di un sogno ad occhi aperti è
un rifugio, diventa maggiore, più importante che le cose reali.
Tutto ciò è facile intuire perché i tranelli, gli “inconvenienti”
della realtà non appaiono nelle fantasie ad occhi aperti. Nel
fantasticare, ad esempio, difficilmente si considera che una certa
situazione possa essere spiacevole perché la fantasia è selettiva,
filtra, separa da un dramma, da un eventuale pessimismo … è di
“parte” direbbe qualcuno. Essa
crea solo ciò che si desidera.
La
realtà, invece, contiene ogni cosa, il bello e il brutto, il buono e
il cattivo.
La fantasia attiva il proprio potere soltanto dal desiderio. Non
temere, desiderare significa essere vivi!!!
Il tuo cervello producendo le sostanze del benessere come le
endorfine, ti rende attivo, soddisfatto e felice. La realtà, invece,
tiene conto di tutto, ha risvolti più complessi; è piena di
anticipazioni, aspettative, ha conseguenze sul domani e, soprattutto,
sulla nostra adattabilità.
olto
spesso, comunque, la fantasia non è un nostro prodotto esclusivo, ma
viene spinta ed attivata dai mass media e dalla pubblicità
ingannevole, che spingono erroneamente al successo, alla bellezza e
alla felicità.
Ma non tutto è perduto. La fantasia, infatti, ha anche dei buoni
propositi, degli aspetti gradevoli e vantaggiosi. La
nostra astuzia di rompere con la realtà ci aiuta a migliorare la
nostra intelligenza e il nostro umore.
La strategia fondamentale è quella di rendere la fantasia in utilità
piuttosto che dannosa. Nello scontro fantasia
– realtà
non dobbiamo disapprovare i nostri desideri, ma imparare ad
apprezzarli, valutarli nel modo giusto, perché essi possono
facilmente condurci tanto a pensieri, creativi, costruttivi quanto a
pensieri poco pratici o inutili. Una volta che abbiamo attentamente
valutato i nostri desideri, possiamo più facilmente determinare in
quale direzione la nostra fantasia deve condurci. Le fantasie
salutari non hanno soltanto un certo grado di speranze in se stesse,
hanno anche, indubbiamente, una struttura su cui si basano fatti
concreti, reali … possono dare tanto e tanto piacere!!! Alla fine
della corsa, l'immaginazione serve per considerare, per catturare
nuovamente, per valutare e raggiungere uno stato di benessere
diffuso. Quindi,
in giusta misura, le nostre fantasie sono, per certi versi, più
benefiche che nocive.
Diciamo, spesso, che è sicuramente importante per la nostra salute
mentale avere una buona immagine di noi ... un concetto adeguato di
noi stessi per una corretta autostima. Ma se sbagliamo nel valutarci,
è meglio che l'errore di valutazione cada in nostro favore … mai
dalla parte della denigrazione, della non accettazione. In questo
modo non dovremmo per nessuna ragione abbandonare la fantasia per la
realtà … piuttosto
dovremmo impegnarci a rendere la realtà più strettamente simile
alle nostre fantasie.
ttraverso i nostri scopi irreali, con tutti i suoi derivati -
ricchezza, fama, potenza e successo - non solo crediamo di
realizzarci, di aumentare la nostra autostima e il prestigio, ma
pensiamo, attraverso questo processo, di ottenere l’approvazione,
l’accettazione e la considerazione da parte degli altri. Anche il
fatto di voler raggiungere a tutti i costi la “perfezione” può
diventare una trappola, un atteggiamento irreale. Essere “perfetti”
ha lo scopo di farci sembrare “grandiosi”, superiori, mentre fa
apparire l’altro - moglie, marito, collega o amico - meno perfetto,
determinando rapporti sociali invivibili, confusi e, spesso,
superficiali. Quando si ha una buona considerazione di se stessi, non
ci si lascia facilmente influenzare e condizionare dagli schemi
incredibilmente mutevoli dell’ambiente: si sa quello che si vuole e
lo si esprime spontaneamente, concretamente e direttamente.
Chi invece ha continuamente bisogno di appoggiarsi emozionalmente ad
altre persone, corre costantemente il rischio di rimanere deluso, in
quanto il rapporto non è libero e realistico, ma solo idealizzato!
eve sempre credere, per mantenere alta la sua autostima, in qualche persona, in una causa, in un lavoro originale. Alla fine, ogni gesto che fa è in funzione di qualcuno o di qualcosa. Lo fa più per gli altri, perché si aspetta che gli altri riconoscano il suo valore e, di conseguenza, lo accettino senza alcuna riserva. Gli scambi personali, pertanto, non sono realizzati per il valore che essi possono avere, ma semplicemente come strumento attraverso il quale si ottiene approvazione ed accettazione. Non trova, quindi, soddisfazione nel suo modo di reagire con il proprio ambiente, ma vive in funzione di come reagirà il “mondo” nei suoi confronti. Il fatto, inoltre, di proiettare, trasferire, vedere negli altri le nostre difficoltà su altri individui e di pretendere che essi trovino soluzioni, è un’altra caratteristica non realistica e, sicuramente, connessa al senso di insicurezza, di incertezza e di dipendenza. Trasferire i problemi sociali, politici, familiari, culturali sugli altri può diventare un alibi ma, soprattutto, significa non assumersi mai le proprie responsabilità. Assumersi le proprie responsabilità non in senso moralistico, di merito o di punizione, di giustizia o di ingiustizia, ma significa, semplicemente, essere indipendenti, autonomi: avere la possibilità di decidere e di scegliere autonomamente. Il senso di “libertà” e “indipendenza” potrà essere costruito perseguendo il proprio benessere, in modo realistico, e prendendoci cura dei nostri bisogni primari ed essenziali. Riconoscersi, pertanto, parte attiva e responsabile nella costruzione del nostro benessere … anche se non è automatico, questo lo possiamo fare!!!
NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.
Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551 - 0532.476055
E mail: bonipozzi@libero.it
Nessun commento:
Posta un commento