lunedì 23 maggio 2022

PANICO ... “la paura della paura”

 

PANICO ... “la paura della paura”


n po’ di storia. Viene dalla mitologia greca la radice etimologica di panico, e più precisamente dall’antico Dio greco Pan. E’ una divinità molto antica, protettore delle greggi e dei pastori. E’ talmente brutto che la madre stessa, al momento della nascita, ne è così spaventata che fugge terrorizzata; allora il padre Ermes lo avvolge in una pelle di lepre e lo presenta agli altri Dei che, vedendolo, si danno a grandi risate. Appare con un corpo umano villoso, capelli incolti, naso schiacciato, gambe, piedi, corna, orecchie e barba di caprone e con una coda decisamente sviluppata. Pan è una divinità vigorosa, gioiosa, l’allegro compagno delle ninfe che danzano, innamorato e respinto per la sua particolare bruttezza. Il Dio caprino, signore delle selve, era solito riposare nelle ore meridiane e, se disturbato, lanciava un grido spaventoso che incuteva il “terrore panico”. L’attacco di panico, infatti, sta proprio ad indicare il terrore irrazionale, improvviso e paralizzante, che ci coglie di sorpresa e che invade il nostro corpo in modo incontrollabile: una tempesta emotiva che esplode “apparentemente” senza alcun motivo. Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), infatti, sta ad indicare il ricorrere di attacchi di paura o terrore improvvisi, associati a sentimenti di catastrofe imminente e accompagnati da sintomi fisiologici drammatici quali soffocamento, vertigini, tremore, sudorazione, spasmi muscolari, tachicardia e nodo alla gola … appare davvero un'aggressione punitiva senza alcun senso. Le crisi colgono l’individuo come un fulmine a ciel sereno, cioè in momenti imprevedibili, spesso durante le normali attività quotidiane. Gli attacchi durano alcuni minuti, generalmente per i più sfortunati una decina, quindi un lasso di tempo breve, ma che può sembrare eterno per l’angoscia che procurano. E dopo resta la paura che tutto possa ripetersi. 


e crisi tendono, infatti, a essere ricorrenti, per cui i pazienti sviluppano un ansia anticipatoria rispetto a quando e dove avverrà l’attacco successivo. Di conseguenza si tende ad evitare luoghi o situazioni cui vengono associati gli attacchi (psicologia di evitamento invalidante). E man mano che le paure e i comportamenti di “evitamento” aumentano, la vita di queste persone viene sempre più compromessa. Infatti, dal primo momento in cui si verifica il “diabolico” e disastroso episodio non si riesce più ad essere autonomi, si ha bisogno ogni volta che si è costretti ad uscire, di un accompagnatore o di quel “qualcuno” particolare che rassicura, con la sua presenza fisica, di essere aiutati nel momento in cui si verificherà l’esperienza terrificante. Tutto ciò crea una forte dipendenza dagli altri in quanto non si è più in grado di essere autonomi e liberi … di contare esclusivamente sulle proprie forze. Si entra, quindi, in una spirale di paura: paura di star male … paura della paura!!! Nel momento in cui si verifica un attacco o siamo presi dall’ansia, reagiamo con paura, ed è la nostra reazione di paura che ci limita in ogni cosa … ci tiene in trappola. In questo frangente, durante l'aggressione il nostro corpo si prepara ad affrontare la situazione: gli ormoni dello stress e l’adrenalina, entrano nel flusso sanguigno per prepararci a sfuggire la situazione o rimanere ad affrontarla (lotta o fuga)


l battito cardiaco accelera, il respiro diventa affannoso e possiamo tremare o sudare abbondantemente. Quanto più si è spaventati e ansiosi, tanta più adrenalina viene prodotta e di conseguenza si accentua, inevitabilmente, la terrificante sintomatologia. I disturbi da ansia, comunque, non minacciano mai, in nessun caso, la vita della persona: è solo la nostra incomprensione della loro natura che ce li fa apparire così drammatici, deboli, impauriti e minacciosi. Il raggiungimento del proprio benessere dipende dalla capacità di abbassare il livello d’ansia e, naturalmente, di mantenerlo basso. Questo può essere raggiunto (secondo il nostro orientamento scientifico) attraverso metodiche terapeutiche di natura psicosomatica, basate su tecniche distensive e concentrative. Con queste tecniche è possibile non solo “lavorare” sui pensieri, sulle sensazioni ed emozioni, ma anche sulle “necessità” di mantenere il controllo … la gestione della situazione. Il bisogno, infatti, di controllare noi stessi e quanto ci circonda è una delle caratteristiche principali nel produrre e permanere del disturbo …come abbiamo visto più volte auto alimentandolo.

Che cos’è, come si presenta


l panico appare all’improvviso, senza avvisaglia, con effetti incredibilmente devastanti sia sul corpo sia sulla mente. E’ una crisi d’ansia particolarmente acuta e, soprattutto, incontrollabile. Il tutto, a volte, si “gioca” in pochissimi minuti con la sensazione di catastrofe imminente e una profonda paura di morire. Non essendo legato a particolari situazioni o ad oggetti reali e specifici può apparire in qualunque momento, presentarsi in modo davvero imprevedibile; coglie all’improvviso, distrugge in un attimo tutte le certezze, le sicurezze e le abitudini, gettando il soggetto in un terrore irrazionale e paralizzante. I suoi segnali sconvolgono completamente la struttura psicosomatica. La manifestazione ansiogena parossistica altera contemporaneamente ogni cosa: capacità ideative, cognitive, comportamentali e fisiologiche:

Sintomi psichici:

Paura di morire, di perdere il controllo o di impazzire;

Senso di irrealtà;

Sensazione di confusione.


Sintomi fisici:

Dolore al torace e allo sterno; 

Palpitazioni; 

Vertigini;

Sudorazione fredda alternata a vampate di caldo 

Sensazione di soffocare con respiro affannoso; 

Tremori, formicolio, diarrea, ecc.; 

Annebbiamento della vista; 

Notevole difficoltà a deglutire;

Senso di svenimento o perdita di equilibrio.

I luoghi che predilige

Come abbiamo già detto, il panico colpisce senza il minimo preavviso. Tuttavia, molti attacchi tendono a manifestarsi in situazioni specifiche e in luoghi molto comuni.

MBIENTI AFFOLLATI. Agorafobia: “paura della piazza”. I luoghi pubblici sono quelli più temuti (cause scatenanti): piazze, supermercati, teatri, stadi. Chi soffre di agorafobia tende ad evitare i luoghi temuti (evitamento fobico); in questo modo, piano piano, si arriva all’isolamento, a confinarsi nella propria abitazione … chiudersi in casa.

MBIENTI CHIUSI. Claustrofobia. I principali “imputati” sono: ascensori, gallerie, strade, piccole stanze, cantine. I soggetti affetti da questo disagio temono di rimanere intrappolati in questi luoghi ristretti e particolarmente bui.

Come resistere, come assumere il controllo!



l modo in cui vediamo noi stessi struttura tutto ciò che facciamo. Se abbiamo fiducia in noi stessi e possediamo il senso reale del nostro valore, sentiamo di avere pienamente il controllo delle nostre azioni e sul nostro divenire. Se ci sentiamo in questo modo, è difficile che lo “stress”, con la sua diavoleria fisiologica, costituisca uno dei gravi problemi della nostra esistenza. Ma se la fiducia in noi stessi è scarsa e sentiamo di non avere controllo sulla nostra esistenza, allora corriamo il rischio di diventare vittime di un persistente e fastidioso senso di risentimento, paura e ansia. Quando la vita si fa intollerabilmente stressante, la tentazione è quella di incolpare le influenze esterne. Sì è vero che i fatti esterni che influenzano la nostra vita sono molteplici, basti pensare attentamente ai rapporti personali e a quelli di lavoro, ma è anche vero che molto spesso siamo noi stessi a impedirci di approfittare di quello che la vita ci offre e di realizzare tutto il nostro potenziale … una capacità che se non è corrosa dalla disistima ci porta ovunque!!! 


ersino il modo in cui comunichiamo e ci mettiamo in relazione con gli altri è largamente strutturato dalle nostre aspettative personali e dalla stima di noi stessi. Prima di riuscire a stabilire delle relazioni appaganti ed equilibrate, è necessario che noi per primi siamo appagati ed equilibrati … sperimentiamo un certo grado di soddisfazione ed interesse verso la vita. Per questo è di fondamentale importanza imparare a capirci e, soprattutto, accettarci. Se non riusciamo a capirci e ad accettarci come siamo, finiamo con l’assumere un ruolo non idoneo alla nostra vera natura e alle nostre necessità … in questo modo anche le strategie adattive e di intervento appaiono pasticciate. Quei perfezionisti che continuano a porsi obiettivi troppo alti, o quelle persone che antepongono sempre ai propri bisogni quelli altrui, sono più spesso motivati dalla paura dell’insuccesso o dal terrore di essere rifiutati che da vera ambizione o altruismo. Conoscenza di sé significa anche essere consapevoli delle prospettive di sviluppo e cambiamento della propria vita (essere liberi di poter scegliere e decidere). Tutti abbiamo la possibilità di operare delle scelte sul nostro aspetto, sul modo in cui parliamo, ci muoviamo e sui nostri rapporti personali; tutti fattori che possono influenzare profondamente il modo in cui vediamo noi stessi. Un vero cambiamento richiede una considerevole dose di coinvolgimento, coraggio, di risolutezza e, questo, non sempre avviene istantaneamente, attraverso automatismi.


olti di noi possono conquistare, o riconquistare, il controllo sulle proprie azioni nel momento stesso in cui riconoscono che la responsabilità dei falsi ruoli assunti nel corso dell’esistenza è da imputare all’abitudine, alla ripetizione e alla noia. E sappiamo perfettamente anche quanto sia difficile modificare un’abitudine quando si è consolidata. E’ possibile, comunque, superare e rovesciare gran parte di questi modelli di comportamento se ci impegniamo “seriamente”, se impariamo a cercare chi realmente siamo e a scoprire quali sono le cose che possiamo o non possiamo cambiare. Questo significa che dobbiamo prima di tutto valutare sia i nostri aspetti positivi sia quelli negativi, accettando i nostri punti di forza e di debolezza, da cui ovviamente non si scappa mai perché siamo portatori di entrambi; la mossa giusta, invece, è cercare di raggiungere l’integrazione equilibrata di ciascuna di queste nostre componenti. E’ però fondamentale essere consapevoli del fatto che il cambiamento non costituisce sempre un processo facile ma che, al contrario, può essere spesso particolarmente “impegnativo”. Scrollarsi di dosso le abitudini di una intera esistenza può essere estremamente difficile, specialmente se questo significa dover riconoscere degli “atteggiamenti” che fatichiamo ad accettare … a metabolizzare senza rifiuti tossici. Ma i benefici che deriveranno da questi piccoli cambiamenti non solo aumenteranno la fiducia, la stima e ridurranno il livello di stress, ma compenseranno in misura significativa le difficoltà. Non facciamo di voi stessi dei perenni delusi a causa delle richieste impossibili che poniamo a noi stessi e agli altri. Lasciarsi andare e affermare le proprie opinioni con sempre maggior convinzione può essere sicuramente difficile, ma questo ci aiuterà a sviluppare il coraggio di smettere di lottare per essere quelli che non siamo e avere sempre più successo per quello che veramente siamo. Ognuno di noi, dunque, possiede difetti e virtù. 


iconoscere che non siamo perfetti, che siamo normali essere umani, con insicurezze e debolezze, rappresenta il primo passo per sentirsi bene con se stessi; assumendo un ruolo diverso da quello che siamo, attraverso lo sforzo, il nostro organismo, come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, produce sostanze che anziché aiutarci ci danneggiano! Un sistema che può aiutare a pensare a se stessi in modo riflessivo è la meditazione (tecniche di rilassamento, ipnosi). Le tecniche di visualizzazione aiutano a vedere le cose nella miglior luce possibile. La calma e la forza mentale, la condizione di tranquillità e di quiete permettono di essere perfettamente concentrati, e forniscono grande controllo su pensiero e azioni. Di fronte a una situazione potenzialmente stressante, si avrà più consapevolezza delle opzioni che si avranno di fronte. Se si è decisi e tranquilli, si potrà prendere le distanze, diventare più obiettivi e razionalizzare le proprie emozioni. La tranquillità può sembrare difficile da raggiungere, se si è incolleriti, frustrati o intimoriti. Ma se consideriamo queste emozioni come parte normale dell’esistenza e se sappiamo da cosa sono generate, sarà più facile superarle. E’ importante, quindi, esprimere apertamente le proprie emozioni ogni volta che è possibile farlo. Se non realizziamo tutto ciò, le emozioni verranno soppresse o dirette all’interno, verso noi stessi … ma non staranno quiete, fermenteranno, e primo o poi faranno pagare le tasse in sospeso con tutti gli interessi. Anche se non possiamo esercitare un eccessivo controllo sugli avvenimenti che hanno luogo attorno a noi nell’ambiente di lavoro, a casa e nei rapporti personali, possiamo però scegliere come reagire a essi. E’ importante cercare l’aspetto positivo di ogni situazione, non importa quanto spiacevole e stressante; imparare a guadagnare qualcosa di positivo da ogni situazione. Forse è possibile sentirsi presi in trappola solo perché non si è valutato le possibilità di rispondere in modo diverso. Molte nostre reazioni a volte diventano del tutto automatiche e irrazionali. L’ansia, ad esempio, costituisce spesso l’anticipazione di una situazione che non si verificherà mai. E’ il nostro atteggiamento nei confronti della situazione panica, non il panico in se stesso, a farci sentire impotenti, perdenti e vittime. Tutte le volte che ci troviamo ad affrontare una situazione che riteniamo “paurosa” cominciamo a sentirci ansiosi e incolleriti … perdiamo lentamente lucidità. In quel frangente sottoponiamoci a un test di controllo: sediamoci da soli per qualche minuto e prendiamo coscienza del battito del nostro polso sinistro, del ritmo della respirazione e concentriamoci sulla tensione muscolare, senza pensare ad una patologia disastrosa, ma solo ascoltare … distogliere il tarlo mentale dall'eventuale dramma incombente. Tratteniamo, quindi, il respiro per dieci secondi e poi espiriamo in modo rumoroso. Ripetiamo questo esercizio per un certo numero di volte (senza esagerare) quindi respiriamo normalmente. Al termine, possiamo sorseggiare acqua fresca naturale. Il miglioramento del controllo sulle risposte interiori aumenterà la fiducia nelle nostre capacità ed azioni determinando un benessere generale.


l senso di fiducia, inoltre, è contagioso. Se siamo felici e abbiamo fiducia nelle nostre qualità, sarà molto probabile che anche la nostra vita familiare sia più armoniosa ed equilibrata. Non è necessario imporsi livelli di prestazione eccessivamente elevati nel proprio ruolo, nel tentativo di “guadagnarsi” l’affetto o di sentirsi degni del rispetto dei propri familiari: lasciamo che gli altri ci amino per quello che siamo, con le nostre qualità e i nostri difetti; incoraggiamo così un’atmosfera familiare spontanea, sincera e comprensiva, basata naturalmente sulla capacità di comunicare senza tanti scossoni. Concediamo ai vari membri il loro spazio di libero movimento e la possibilità di affermarsi: questo creerà un ambiente stimolante e creativo nel quale essi potranno trovare spazio per esprimersi in modo libero e sincero. Come abbiamo visto, il nostro carattere è profondamente condizionato dalla società e dall’ambiente. Gli atteggiamenti che sviluppiamo nel corso della nostra crescita possono inibire la quantità di controllo che vorremmo esercitare sulla nostra vita. Possiamo anche essere coscienti delle scelte diverse che abbiamo davanti, ma spesso non sappiamo agire in modo libero e autonomo: non riusciremo mai a cambiare se prima non avremo chiarito quale ruolo desideriamo assumere nel corso dell’esistenza. Le donne, ad esempio, sono spesso condizionate a dare soltanto e a sopprimere i propri desideri. Spesso, però, più danno (negando il loro desiderio di ricevere) più sviluppano un senso di risentimento, specialmente se ciò che danno non viene apprezzato. La paura di essere rifiutati quando dichiariamo i nostri bisogni, l’incapacità di esprimere la collera e la necessità di approvazione spesso ci inibiscono dall’affermare la nostra volontà e quindi assumere il controllo della nostra esistenza. Molti individui sono dei campioni nell'impantanarsi nel sociale, nel programmare a livello lavorativo, poi cadono nella trappola della “prestazione impossibile”: stabiliscono, cioè, dei parametri di comportamento superiori, umanamente, alle proprie possibilità solo per sentirsi in colpa quando non riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati. E’ chiaro quindi che il primo passo verso un vero cambiamento dipende dalla capacità di “sfidare” tutte le credenze, i punti di vista e gli stili di vita nei confronti di noi stessi che possono agire da ostacolo o, meglio, agire da freno. Il secondo passo consiste nel trovare la determinazione e il “coraggio” necessari per apportare quelle modifiche e quei cambiamenti là dove è possibile. Il terzo risiede nello sviluppo della capacità di affermare la propria volontà, che può aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi e il controllo delle situazioni. L’intervento quindi su tutto ciò che è in nostro potere modificare, compresi i cambiamenti di scarsa importanza, può aiutarci a modificare il modo in cui viviamo; favorire un discreto adattamento in tutti i sensi: culturale, sociale e lavorativo.


n soggetto particolarmente formale e perfezionista, rigoroso, intransigente con se stesso e gli altri farà fatica, ma con l'allenamento raggiungerà vette impensabili, considerate impossibili … dovrà ricredersi. Quando ci si chiude in una profonda 'testardaggine' l'energia ristagna e devasta ogni cosa … si perdono completamente motivazioni e forze. E' rabbia pura trattenuta, accompagnata dai soliti comportamenti banali e superficiali che provocano la crisi panica. Un profondo desiderio che spinge ad uscire dal branco, modificare lo stile di vita, rinnovare la mente, smantellare quel modello fittizio imposto da altri in cui ci si é da tempo rinchiusi. Se si cambia personaggio arriva la felicità e un'energia infinita. Il sintomo segnale sempre che qualcosa non va per il verso giusto, la vita non scorre più come dovrebbe realmente. Si rischia di vivere e interpretare la vita di qualcun altro, di recitare un personaggio scialbo che non ci appartiene, di spegnere interessi, passioni e desideri … un vivere soffocato dall'identità collettiva; si affronta la vita con schemi mentali troppo rigidi, troppo perfetti: con tanti pensieri inutili … le giornate sono governate e schiacciate da schemi mentali rigidi; le idee fisse che controllano l'attività mentale e le azioni: spingono a diventare ciò che non si è … si è stufi, non se ne può più del modo di pensare ripetitivo, di vedere in maniera confusa e di vivere senza gioia il quotidiano… tale fenomeno si supera solo quando smettiamo di risalire alle cause e correggerle. La sofferenza ha un suo disegno, uno scopo ben preciso: arriva per riaccendere la vita.


uccede a volte in alta montagna che durante una bella giornata di sole il cielo all’improvviso si rabbui e scoppi un violento temporale. La pioggia è di breve durata, ma particolarmente intensa e spesso accompagnata da tuoni e lampi. Qualcosa di simile accade durante un attacco di panico; una violenta crisi di angoscia e di paura che le prime volte esplode all’improvviso, senza segnali premonitori e in assenza di reali situazioni di minaccia o di pericolo. E’ una crisi di terrore che può durare 5 o 10 minuti, ma che di solito permane per un periodo molto più breve, solo alcuni minuti, addirittura secondi. In questi istanti si avverte la sensazione di svenire, di perdere il controllo delle proprie reazioni, si avverte intensissima la paura di morire o di impazzire, ci si sente proiettati in un’altra dimensione, quasi distaccati dal proprio corpo. L’attacco di panico dura poco, ma lascia poi per intere ore, a volte per giorni, una sensazione di sfinimento, di stordimento, di spossatezza. Si tratta di una patologia a evoluzione lenta che spesso si manifesta intorno ai 30 anni anche se le cause vanno cercate nell’infanzia e in fattori fisiologici. La sua diffusione è crescente tanto che secondo alcune statistiche ne è colpito il 6% della popolazione. Tre milioni di italiani, dunque, soffrirebbe o avrebbe sofferto di queste improvvise manifestazioni d’angoscia. La diagnosi di questo disturbo ancora oggi richiede di solito molto tempo. All’inizio, infatti, viene facilmente confuso con un attacco cardiaco. Solo dopo lunghe analisi, sempre con esito negativo, ci si orienta nella giusta direzione. Durante l’attacco di panico la persona colpita avverte dolori al torace, senso di soffocamento, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà respiratorie, forti sudorazioni, tremori, scosse o formicolio alle mani o agli arti. Tutti elementi che inducono lo specialista a pensare a cause fisiche che di solito poi non trovano riscontro. L’attacco di panico suscita in chi lo patisce un’impressione talmente penosa che di solito il soggetto interessato cercherà in futuro di evitare in ogni modo di ritrovarsi nella stessa situazione che ha scatenato l’esplodere dell’angoscia. 


e, ad esempio, si trovava in ascensore, preferirà fare a piedi anche numerose rampe piuttosto che rimanere da solo chiuso in quella cabina (lascio al lettore immaginare l’eccessivo ed inutile consumo energetico). Se il fenomeno si è manifestato mentre stava guidando in autostrada, cercherà di viaggiare solo su strade provinciali, anche se questo richiederà tempi più lunghi per gli spostamenti (anche denaro). Nella maggior parte dei casi l’attacco di panico si manifesta fuori casa, perché l’ambiente domestico è percepito come una zona sicura e protetta. Vi sono però anche casalinghe che evitano accuratamente di restare da sole nella propria abitazione perché questa è la situazione che ha scatenato il disturbo. Oltre un terzo degli attacchi di panico si manifesta quando si è alla guida della propria automobile, prevalentemente mentre si è intrappolati nel traffico intenso o in una situazione in cui sembra più difficile ricevere soccorso in caso di malessere (nelle gallerie). Più in generale possiamo dire che la crisi di panico viene favorita da situazioni in cui il soggetto predisposto si sente solo, abbandonato, privo di rassicurazioni o fortemente limitato nella possibilità di scampo o di fuga. La complicazione rilevata con maggiore frequenza è l’agorafobia, cioè la paura degli spazi aperti. Tra i due disturbi esiste uno stretto legame, tanto che l’agorafobia funziona spesso come causa scatenante degli attacchi di panico e aggrava il cosiddetto comportamento di “evitamento”, cioè la paura che sorge al solo pensiero di trovarsi nella situazione temuta. Se non possono evitare le situazioni che hanno determinato l’insorgere del disturbo (ascensore, aereo, luoghi isolati o troppo affollati, autostrada, gallerie, parlare in pubblico), le persone che soffrono di attacchi di panico cercheranno almeno di affrontarle in compagnia di una persona che possa in qualche modo rassicurarli, come un amico o un familiare. Nei casi estremi il soggetto interessato uscirà di casa o intraprenderà un viaggio solo se accompagnato. Chi soffre di questa malattia ne descrive gli attacchi come improvvisi dolori al petto, difficoltà respiratorie, sudorazioni. Il volto si sbianca e assume un’espressione sofferente, incupita. Mentre il panico cresce si ha l’impressione che la propria persona sia “divisa”, ci si sente estranei a se stessi, come se la testa volasse via e si ha la sensazione di svenire, di perdere il controllo. Il terrore, infine, sembra bloccare ogni ragionamento razionale. Di solito il soggetto interessato non si rende immediatamente conto del tipo di disturbo di cui soffre.


l malessere fisico è talmente forte che spesso si ricorre subito al pronto soccorso convinti di essere vittima di un attacco di cuore o di qualche altra grave malattia. Gli studiosi in realtà hanno individuato un certo rapporto tra i disturbi di cuore e gli attacchi di panico. Il prolasso della mitrale, una delle valvole cardiache, è presente nel 30/40% nelle persone che soffrono di queste esplosioni di ansia (il lettore attento avrà già fatto il suo collegamento: adrenalina – noradrenalina). Si deve infatti escludere che gli attacchi di panico siano una conseguenza diretta di questa alterazione cardiaca. L’ipotesi più probabile è che entrambe queste manifestazioni siano espressione di un errato funzionamento di quella parte del sistema nervoso definita “autonomo” (il quale secerne adrenalina e noradrenalina). Il disturbo da attacco di panico può trovare certamente la sua causa scatenante in una particolare situazione di stress o in forti conflitti psicologici. Secondo i più recenti studi, la sua radice andrebbe rintracciata in un’alterazione funzionale di alcune strutture nervose che presiedono al controllo del sistema di allarme. La malattia consiste infatti in un improvviso ed immotivato attivarsi di questo sistema (ad es. la paura a livello cognitivo possono attivare tale sistema). Secondo alcuni esperti un terzo delle persone sofferenti di tale malattia è stato costretto a distacchi precoci dalle figure genitoriali o comunque più significative dell’età evolutiva. La mancanza di queste figure protettive avrebbe contribuito a determinare una visione allarmante del mondo esterno. Questo fattore sarebbe spesso all’origine anche dei casi di agorafobia. Altri ricercatori hanno poi messo in luce una forte componente genetica ed ereditaria di questo disturbo. Se un genitore soffre di attacchi di panico esiste il 50% di probabilità che ne venga colpito anche il figlio; che la disposizione al panico possa essere ereditaria è stato suggerito dagli studi sulle teorie familiari, sui gemelli e sui figli adottivi. Secondo la mia esperienza clinica, è fuori di dubbio che il panico, spesso ricorre in famiglie con particolari caratteristiche emotive, ma nessuno ancora è riuscito a stabilire con sicurezza in che misura la trasmissione di tendenze paniche sia geneticamente determinata e in che misura, invece, sia il comportamento di genitori con determinata personalità e con i loro insegnamenti a provocare quelle reazioni cognitive specifiche nei figli. Come già detto si deve infine ricordare che un alto livello di stress nella vita quotidiana può essere uno dei fattori scatenanti di questa sindrome. Prevenire lo stress cattivo è dunque un modo per prevenire anche più gravi forme morbose. Lo stato di panico è spesso collegato a stati di depressione e può spesso segnarne l’inizio.

Tensione muscolare e attacco di panico


endenzialmente si è molto restii ad accettare che vi sia un collegamento tra le due cose e ci si oppone all’idea di dover fare qualcosa per sentirsi meglio. E’ importante riconoscere quali danni al sistema nervoso procura camminare con della tensione dentro, stare seduti con le spalle all’altezza delle orecchie, dormire con le mascelle serrate e le ginocchia piegate contro il corpo. Gli attacchi di panico servono da monito perché obbligano a prestare attenzione a ciò che sta accadendo alla propria vita emotiva. Uno stato continuo di paura, che sia riconosciuto o meno, viene preso in consegna dal corpo; se siamo attenti osservatori possiamo dire che il corpo non mente mai e ci segnala il malessere in atto. I muscoli sono contratti a causa di una continua apprensione, paura. La tensione o lo spasmo muscolare fanno sì che i muscoli siano contratti al punto di non poter tornare alla lunghezza e forma originaria neppure a riposo. Ne viene influenzato l’apporto di sangue ai muscoli, e dato che la stessa cosa avviene al sistema linfatico, non vengono eliminate a dovere le tossine liberate dopo che i muscoli sono stati ossigenati; queste formano cristalli e determinano dolore, indolenzimento e talvolta infiammazione e gonfiori. In queste condizioni, i muscoli possono essere paragonati a una camicia lavata più volte con un detersivo, ma mai risciacquata. Oltre ad essere causa di dolori muscolari, una tensione muscolare cronica incide anche sulle articolazioni, creando perciò ulteriore dolore, e ha profondi effetti sulla psiche: ansia, panico, insoddisfazione di sé e depressione sono i sintomi più comuni. La tensione muscolare cronica può essere conseguenza di una situazione stressante o il riflesso di particolari problemi vissuti nell’infanzia, come senso di rifiuto o di abbandono, frustrazione, rabbia soffocata. E’ come se noi depositassimo la nostra sofferenza nelle articolazioni e nei muscoli. A volte si parla di “rigidità”, perché questa tensione limita i movimenti, impedisce l’espressione dei propri sentimenti e rappresenta una sorta di protezione contro le ferite della vita. 


na respirazione completa ed il rilassamento della tensione muscolare contribuiscono a liberare l’energia impiegata per tenere addosso questa “rigidità” corporea. Se non ci si libera di questa tensione non sarà possibile una “crescita” personale. La salute è bene ricordare non dipende soltanto dall’energia che riceviamo sotto forma di cibo, ossigeno e stimoli, ma anche dall’eliminazione dell’energia in eccesso. E’ comune sentire dire da una persona ansiosa o da chi soffre di emicrania frasi del tipo “Mi sento come se avessi il corpo pieno di elettricità”, “Mi sento come sul punto di scoppiare”. In questi casi vi è una mancanza di eliminazione. Il massaggio, quindi, al fine di allentare i “circuiti sovraccarichi” può aiutare a rilasciare le tensioni del corpo (piedi, mascella, cuoio capelluto, spalle, collo, colonna vertebrale, tutti distretti corporei che possono essere sciolti anche dalla moxa) ... metodiche terapeutiche che possono aiutare a controllare e gestire l’ansia e gli attacchi. Il massaggio può essere utile a ridurre ansia e tensione e, a lungo termine, aiutare a mantenere il corpo rilassato in modo continuativo. Al di là dei vari orientamenti scientifici, come è già stato detto più volte, il nostro benessere dipende dall’imparare noi stessi a gestire ansia e attacchi. Capire e accettare il nostro disturbo sono i primi passi per riprenderci il potere; imparare a gestire attacchi e ansia sono il terzo e quarto passo. Gestire significa dover seguire un approccio disciplinato a un programma formale di rilassamento (ipnosi medica, meditazione, visualizzazione). La prima reazione, per molti, è di esitazione: anche se con tutto il cuore vogliono guarire, non apprezzano l’idea di sottoporsi a una disciplina nel loro approccio al rilassamento. La meditazione (ipnosi, visualizzazione) può essere un ottimo metodo di rilassamento se viene praticata con una certa costanza e continuità. La meditazione è stato argomento di ricerca dalla fine degli anni ’60 ed è impiegata ora in molti trattamenti in combinazione con pratiche mediche convenzionali. E’ usata per migliorare la qualità di vita di persone con tumori, AIDS, ipertensione, per i tossicodipendenti, etilismo; la meditazione riduce anche il livello d’ansia nei disturbi vari disturbi emotivi: uno studio clinico ha indicato “significative riduzioni in casi d’ansia e di depressione” e che è efficace nei disturbi di panico con o senza agorafobia e disturbi d’ansia generalizzati. E’ sempre bene ricordare che la guarigione dipende dalla capacità di abbassare il livello d’ansia (adrenalina, noradrenalina) e di mantenerlo basso. La guarigione significa dover cambiare qualcuno dei nostri precedenti modi di trattare certi aspetti cognitivi della vita. Essere disciplinati in una tecnica o varie metodiche terapeutiche di rilassamento, perché devono essere sempre adattate alle esigenze del paziente, è un passo importante nel nostro impegno globale per la guarigione. 


olti non si avvicinano a questa metodica terapeutica per i troppi malintesi che riguardano la meditazione. Si teme, quando si medita, di essere esposti a influenze esterne: questo non può avvenire e non avviene. Anche negli stadi di rilassamento più profondi siamo sempre in controllo di noi stessi, siamo sempre coscienti di ogni cosa, dentro e fuori di noi. Alcuni trovano piuttosto paurosa la prospettiva di lasciar andare in meditazione, anche solo a pensarci. Si può temere di perdere il controllo e che i peggiori timori si realizzino. Non è così: lasciando andare in realtà si acquista il controllo, non lo si perde. Per qualcuno ci vorrà un pò di tempo per acquistare fiducia e abbandonare il controllo, mentre altri lo faranno subito, riuscendo a meditare naturalmente e con facilità (ognuno di noi a suoi tempi biologici). Questo è l’inizio di una piena guarigione. Si tratta di un passo molto importante perché la meditazione ci insegna che è giusto lasciare andare il controllo che ostinatamente cerchiamo di mantenere. Quando lo lasciamo ci accorgiamo che le nostre peggiori paure non si avverano e, a mano a mano che pratichiamo, comprendiamo anche perché non si avvereranno mai (perché si agisce sul livello adrenalinico). Il benessere non è così semplice come vorremmo. All’inizio ci sembra di fare un passo avanti e due indietro: per questo molti temono di non guarire mai e finiscono per scoraggiarsi e arrendersi. E’ perciò indispensabile capire il processo di guarigione nelle sue varie fasi. Comprenderlo è della massima importanza, eppure raramente se ne discute. Una delle prime cose da imparare è la pazienza. Ognuno, è naturale, vuole guarire subito: non stasera, non domani, non la prossima settimana, ma proprio in questo istante; cosa che genera altro stress che a sua volta alimenta il ciclo bio - chimico. Che piaccia o meno dobbiamo imparare a essere pazienti sia con il processo sia con noi stessi. Dobbiamo dirigere la nostra energia, lavorando sul programma assegnato, verso la ferma intenzione di impegnarci nel processo di guarigione nonostante gli insuccessi provvisori (sempre momentanei). Il programma di cura e guarigione può sembrare all’inizio difficile e confuso, ma non lo è. Alcuni si sentono impauriti e sopraffatti dallo sforzo che esso comporta: ne vale la pena. Tutto quello che viene richiesto verrà restituito con la pura gioia e la libertà totale della guarigione. Il programma di cura è “uguale” per tutti; la sola differenza consiste nel livello di soglia personale allo stress. Qualcuno può aver raggiunto un livello tale da non poter tollerare il minimo stress, altri possono avere soglie più alte ma inadeguate a impedire lo scatenarsi di pensieri di paura. Cominciando l’esperienza è utile capire quanto è bassa la nostra soglia e quanto alta invece l’ansia. Per stimare i relativi livelli. Se la nostra soglia è ora molto bassa, forse non siamo in grado di sopportare neanche la minima sollecitazione quotidiana: la nostra soglia sarebbe zero mentre il livello d’ansia sarebbe dieci.


NB. Le informazioni e le interpretazioni terapeutiche contenute in questo articolo non sostituiscono in nessun modo il parere del proprio medico di base, al quale è sempre doveroso ed indispensabile rivolgersi per la diagnosi e la terapia specifica. Questo articolo pertanto ha valore educativo, non prescrittivo.

Bonipozzi dott. Claudio Tel. 349.1050551
E mail: bonipozzi@libero.it

Nessun commento:

Posta un commento